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DALIA, TROIA D'ESTATE - Cap.8: il cognato


di DonEladio
23.03.2013    |    14.541    |    1 9.8
"Antonio era un buzzurro siciliano sulla quarantina, robusto, non molto alto e con una pancia prominente; aveva il corpo disseminato di tatuaggi, indossava..."
L’incredibile serata in trattoria, un cui ammirai mia moglie farsi scopare e inculare da tre camionisti e il proprietario del locale, rappresentò il punto più infimo del vortice di perdizione che ci aveva risucchiato. Ci interrogammo su quale fosse il limite e se non l’avessimo già superato; fin dove ci saremmo potuti spingere? Volevamo davvero scoprirlo? Quali pericoli si celavano dietro all’eccitamento della prossima perversione? Dopotutto la nostra coppia era stata già distrutta in passato sulla scia dei primi esperimenti. Eravamo diventati talmente indissolubili nella nostra complicità? Non era forse il caso di fermarsi? Dopotutto io avevo soddisfatto praticamente tutte le mie fantasie e, sebbene non mancassero le situazioni che mi facevano nascere di tanto in tanto qualche stuzzicamento, decidemmo di mettere un freno alla cosa, complice il fatto che ormai eravamo in agosto e a distanza di qualche giorno saremmo partiti per le ferie raggiungendo i miei suoceri in campeggio; non molte ore e Dalia avrebbe potuto riabbracciare la sua adorata Jasmine, anche questo indubbiamente aiutò parecchio mia moglie a “ricordarsi” la fine di questa sconvolgente parentesi di perversione, e immergersi nuovamente nel suo amato ruolo di madre.
Dopotutto ci sarebbero state altre estati, non finiva mica il mondo: eravamo innamorati come e più del primo giorno, le nostre esperienze di vita ci avevano portati a dividerci e a riunirci in una simbiosi adesso davvero perfetta; adesso, io ero Dalia e Dalia era me.
Rifiutammo tutti gli inviti dei compagni di giochi delle ultime quattro settimane; Patrick e Mohamed reclamavano a gran voce una nottata tranquilla da noi, dopo il trambusto dei reciproci incontri: Patrick, dopo lo scandalo in discoteca, venne licenziato da buttafuori, e adesso lavorava come operaio insieme a Mustafà, che non perdeva le speranze di sbattersi ancora Dalia in cantiere insieme ai suoi manovali; Mohamed invece non fu licenziato dalla trattoria, ma incitato ad invitare nuovamente quel gran troione a trovarli, magari avvisando con un po’ d’anticipo in modo da radunare una buona decina di camionisti; rifiutammo tutto con decisa gentilezza: l’unica figura che ci ricordava nostro malgrado la parentesi che avevamo (momentaneamente?) chiuso era il caro sig. Gatti: ogni volta che rincasavamo spuntava fuori il suo portone con un tempismo a dir poco sospetto (ma passava la giornata allo spioncino aspettandola?), ci ricopriva di cortesie e gentilezze ed elargiva costantemente graziosi complimenti alla mia signora, pendendo letteralmente dalle sue labbra. Ci procurava divertimento e tenerezza, probabilmente se fosse capitata l’occasione giusta nel mese trascorso, avrebbe potuto ottenere qualcosa di più che uno spettacolino crudele (se, per assurdo, si fosse trovato in trattoria? Pensate che io o mia moglie saremmo stati in grado di impedirgli di prendersi la sua parte di preda?), ma ormai era troppo tardi. Chissà, magari la prossima estate…
Mancavano ormai 48 ore alla partenza, e quando un lunedì rincasai dal lavoro poco prima di cena, la trovai in lacrime nel nostro letto, nuda sotto le lenzuola stropicciate; singhiozzava come una bambina, mi si strinse il cuore e corsi ad abbracciarla. “Amore mio.. no… non fare così, ti prego. Dimmi cos’è successo.” Si abbandonò sul mio petto e pianse ancora, poi finalmente respirò a lungo, e dopo qualche secondo in silenzio, trovò il coraggio di raccontarmi.
Era il primo pomeriggio quando Dalia stava rassettando casa, che squillò il campanello: mia moglie pensò immediatamente che fosse il sig. Gatti che cercava l’ennesima scusa per guardare il suo corpo (nonostante tutto faceva molto caldo, e Dalia era scalza e indossava un paio di shorts molto corti e una canottiera molto larga), andò ad aprire con un’espressione divertita, ma quando aprì la porta di casa, si ritrovò di fronte suo cognato Antonio. Dalia aveva una sorella maggiore, Alessia, sposata con Antonio, appunto, da tempo immemore, con cui aveva avuto tre figli, i nipoti di Dalia. La loro relazione durava da quando mia moglie era poco più che adolescente, si può dire che l’avesse vista crescere. Antonio era un buzzurro siciliano sulla quarantina, robusto, non molto alto e con una pancia prominente; aveva il corpo disseminato di tatuaggi, indossava gioielli vistosi al collo e alle mani e, soprattutto, di mestiere faceva il camionista.
Entrò in casa e immediatamente tirò fuori il telefonino e le mostrò un filmato: in esso si vedeva Dalia su un tavolo di legno che si faceva sbattere da un certo gruppo di uomini. Mia moglie riconobbe immediatamente la situazione in trattoria, arrossì di colpo e si portò le mani a coprirsi il volto per la vergogna. “Un mio amico camionista l’altro giorno, mentre mangiavamo un panino al baracchino, mi ha raccontato una storia incredibile: diceva di essersi scopato una troia in una trattoria insieme ad altri tre. All’inizio ho riso insieme a lui per dargli corda, credevo fosse una delle solite storie inventate che non mancano mai. Poi, quando mi ha detto che aveva fatto un filmato col telefonino (come diavolo ho fatto a non accorgermene?), mi sono incuriosito e ho cominciato a credergli. Ridevo di gusto mentre smanettava alla ricerca del filmato e non vedevo l’ora di vedere in faccia quella troia. Quando ho visto chi era quella troia mi si è gelato il sangue nelle vene. Lui ha notato il mio cambio di espressione e mi ha chiesto come mai. Ho risposto che quella troia la conoscevo, e mi sono fatto passare il filmato.”
Dalia ormai piangeva a dirotto dietro le mani. “Sai cosa vuol dire questo filmato?”, Dalia non rispose limitandosi a scuotere la testa, “Lo sai cosa significa questo filmato?”, ripetè lui con insistenza. “Che ho fatto una cazzata Antonio, che vergogna, lo so, ti prego smettila…” Risposta sbagliata”, rispose lui, “Questo filmato significa che sei una lurida puttana.”, Vania ricominciò a singhiozzare dalla vergogna e dal senso di colpa, “Io lo sapevo che eri diventata una vacca da monta, sono anni, da quando hai cominciato a formarti come femmina, che ti guardo con curiosità, ma non potevo permettermi di farmi certi pensieri sulla sorella di mia moglie, della figlia dei miei suoceri, della zia dei miei figli. Ma ora, grazie a questo filmato, so che sei una lurida puttana.”, Dalia ormai piangeva a dirotto e farfugliava versi incomprensibili, “Ora, grazie a questo filmato, posso avere quello che ho sempre desiderato”, Dalia lo guardava incredula non riuscendo a capire quell’ultima frase, “Ora, se non vuoi che questo filmato arrivi accidentalmente a tuo marito, a tua sorella, a tuo padre, a tua madre, e a tutti quelli che ti conoscono, diventi anche la MIA puttana”. Le ultime parole colpirono Dalia come un manrovescio, lasciandola incredula e scioccata: “Ma Antonio, che cosa dici? Dio mio, siamo quasi fratelli, mi hai visto crescere da bambina!”, “Si, hai detto bene, ti ho visto crescere da bambina e ti ho visto diventare donna, hai cominciato a girare per casa con quelle canottierine scollate che mettevano in mostra le tue tette sempre più invitanti..” e mentre lo disse le strizzò con decisione un capezzolo attraverso la canottiera, Dalia allontanò immediatamente la sua mano, “…hai cominciato a gironzolare sotto i miei occhi con quei pantaloncini così corti che si vedeva bene il tuo culo sempre più tondo e morbido…”, e mentre lo disse le diede una sonora pacca sulle chiappe, a cui Dalia rispose con un tentativo di schiaffo prontamente parato dall’altra mano, “cosa credevi, che non fossi un uomo anch’io? Credevi che fossi insensibile a tutti quegli ancheggiamenti? E tutte le volte al mare che ti sdraiavi al mio fianco con i tuoi costumini bianchi trasparenti che facevano intravedere la tua fica depilata?”, e mentre lo diceva appoggiava una mano sui suoi shorts all’altezza del pube, Dalia cercò di spostargli la mano con l’unico braccio rimasto libero ma fu immobilizzata anche con quello, poi Antonio la girò verso il muro tenendole le braccia dietro la schiena e si rivolse al suo orecchio mentre piangeva contro l’intonaco: “Io l’avevo avuto il dubbio anni fa, quando uscivi con quel tipo più vecchio di te vestita sempre da troia e rientravi in casa alle quattro di notte, ma mi sono sempre costretto a smetterla di pensarci, no, ma dai, è una bambina ancora, è la sorella di mia moglie, ma poi questo, oh questo filmato, mi ha tolto la benda dagli occhi, altro che la piccolina cresciuta ma intoccabile, tu sei quello che sotto sotto ho sempre saputo, sei una lurida PUTTANA!”.
Ormai era inarrestabile, le abbassò gli shorts e la prese lì, in piedi, appoggiata al muro, mentre con una mano le bloccava le braccia dietro la schiena e con l’altra soffocava le sue urla, “Zitta puttana, è inutile che provi a ribellarti, ormai faccio di te quello che voglio.”, continuava a penetrarla a fondo, con profondi e prolungati movimenti del bacino dal basso verso l’alto che facevano alzare Dalia in punta di piedi ad ogni colpo, dopo qualche minuto mia moglie cominciò a smettere di lottare e ribellarsi stremata da quella lotta impari, “Brava, vedo che stai cominciando a capire. E’ inutile che ti ribelli, lo sai, Se d’ora in poi non ti fai fare tutto quello che voglio, ti sputtano come la puttana che sei. Tu non vuoi questo vero? Non vuoi che quel filmato finisca sotto gli occhi di tua madre, vero?”, Dalia fece energicamente cenno di no con la testa in segno di resa; “Allora adesso se ti libero la bocca e le braccia non ti metterai a fare la pazza, vero?, Dalia ripetè nuovamente lo stesso gesto.
Da quel momento Antonio la spogliò e se la scopò con foga sul tavolo da pranzo; poi la sollevò in piedi, se la caricò in spalla e la portò sul nostro letto, dove se la scopò in tutti i buchi per ore e ore, senza mai saziarsi; venne la prima volta nella sua figa, poi la lasciò stravolta sul letto, andò in bagno, si diede una rinfrescata, andò in cucina, si preparò un caffè, poi tornò in camera e la scopò di nuovo, svuotandosi le palle nel suo culo. Poi si rivestì e se ne andò, tutto questo pochi minuti prima del mio rientro. Dopo essermi ripreso dallo shock, scoprii mia moglie dal lenzuolo, e vidi chiaramente fili di sperma di suo cognato colare dai suoi buchi andando ad affluire ad una considerevole chiazza sul copriletto. Quell’immagine, nella sua devastante crudezza, mi fece finalmente comprendere che non era un incubo, che era tutto vero: proprio quando avevamo deciso di fermarci, il nostro giocattolo ci era esploso in mano, il nostro vortice di perversione ci aveva inghiottito e non sembrava esserci via d’uscita.
Abbracciai mia moglie e la ascoltai impotente piangere a dirotto sulla mia spalla. “Ma sai qual è la cosa più schifosa, che mi più mi spaventa di questa storia?”, sollevò la testa dal mio petto e mi fissò con gli occhi pieni di lacrime e gli angoli della bocca in giù, con quelle sue meravigliose labbra all’infuori come fa un bambino quando si è fatto la bua, “Che mi è piaciuto! Mi è piaciuto cazzo, per quanto fosse umiliante, imbarazzante e avvilente, ho goduto come una vacca!”; si abbandonò nuovamente sul mio petto e ricominciò a piangere disperatamente ripetendo “Cosa sono diventata?”
Sperimentai appieno il senso di impotenza. Non sapevo come saremmo potuti uscire dalla situazione in cui ci eravamo infilati, ma era ormai evidente che il gioco ci era sfuggito di mano.
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