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Lui & Lei

Edoardo e la governante 1a parte


di sexitraumer
16.12.2008    |    32.920    |    3 7.3
"Tutto sudato si lavava la faccia dell’umidità di quell’enorme materno bacino tutto per lui..."
Erano le quattro del pomeriggio; il baroncino Edoardo, un piccolo ometto con i capelli biondi spettinati dal sonno si era appena svegliato dal sonnellino pomeridiano. Baroncino per modo di dire dato che si stava trasformando in un ometto già da un po’. Essendo un biondino la peluria dei baffi era poco evidente, salvo che stesse sudando. Sbadigliò soddisfatto, e si alzò dal letto tenendo i piedi sospesi a poca distanza dal pavimento della propria baronale camera da letto. Si era addormentato forse due ore prima vestito nel suo abito azzurrino di seta aderente alle forme del corpo. Il cappello di seta era rimasto abbandonato sotto il cuscino. Anche il suo collarino bianco era stato un poco deformato dalla postura supina. Probabilmente il pranzo era stato pesante anche se il padre, il signor Barone con la B maiuscola, non gli aveva permesso di bere del vino data la sua ancora giovane età post puberale. Ancora qualche anno ed il baroncino di ieri si sarebbe trasformato in un ometto che doveva iniziare a porsi il problema di dover succedere al suo saggio padre, ormai quasi invecchiato. Afferrò la campanella e suonò imperiosamente: neanche a dirlo ed uno dei servi bianchi sopraggiunse sollecito dicendo:
“Comandi vostra grazia!...dite!”
“Prendete il vaso da sotto il letto Pierluigi...”
Il servo, Pierluigi per l’appunto, si chinò ad afferrare il baronal pitale, e lo sistemò di lato al letto. Sua grazia il baroncino si calò i pantaloni e dopo aver comandato al servo di voltarsi, cosa ch’egli prontamente fece, si tirò fuori la baronal fontanella onde liberar la vescica, e dare uno scopo a quel pitale. Un minuto dopo, fatto anche un baronal petino con disinvolta grazia nobiliare, si rialzò i pantaloncini azzurri aderenti e disse:
“Portate pure via Pierluigi!”
L’anziano Pierluigi, il servo del baroncino da un paio di mesi, prese il pitale riempito di cotanta urina e lo portò via. Edoardo, il biondo erede della baronia, rimasto solo giudicò che prima di recarsi nel giardino del palazzo baronale per i suoi ozi pomeridiani prevalenti sulle ore di studio col precettore si sarebbe furtivamente recato nelle stanze private della sua ex governante, per i comuni mortali una donna di quaranta anni di nome Donna Ester. Era invero la governante di Edoardo e delle sue sorelle, e come tale godeva della fiducia della madre di Edoardo della quale era stata pure confidente, nonché del signor Barone del pisello del quale doveva aver avuto una qualche cura quando era una donna più giovane. Non che adesso non fosse una donna desiderabile...Edoardo aveva da diversi mesi scoperto il piacere che si provava a guardare le donne, e a toccarsi il proprio pisello, che scaldato e mosso dalla mano di fiducia, diveniva bello grosso, fino a quando dalle palle più sotto, non partiva un piacevole impulso che culminava in un gettito di calda crema attraverso il buco del pisello. Un getto che dava anche molto piacere e faceva sentire più scarichi, e meno aggressivi. Verso l’ora quinta Donna Ester usava cambiarsi d’abito per scendere dabbasso a far conversazione con sua madre, la baronessa. E quando si cambiava , con l’aiuto di una delle schiave negre del barone che aveva tra i tanti incarichi quello di stringerle la gonna alla vita, il giovane Edoardo aveva l’indubbia possibilità di far godere ai propri occhi curiosi le femminili fattezze di una donna adulta, oltretutto anche ben pettinata. Apprezzava molto il seno e le cosce posteriormente. Si beava Edoardo di quelle natiche certo non più sode, e nondimeno abbondanti, con non pochi cuscinetti; tuttavia, ragionava il giovane barone, sempre carne era...Donna Ester non portava le mutande. Da dietro la baronale porta appena scostata Edoardo poteva sbirciare quel corpo impegnato a pettinarsi prima di indossare un nuovo abito. All’improvviso Donna Ester chiamò Anna, la serva assegnatale, e chiese un po’ d’acqua in bacinella. Anna prese quell’acqua da una giara che aveva portato con sé e la versò in una bacinella accanto a Donna Ester. Il baroncino poté assistere ad uno spettacolo a lui abbastanza nuovo: Donna Ester che aveva preso una spugna imbevuta di acqua con petali di rosa a lavarsi il seno e voltandosi di spalle al tavolo da toilette (e di tre quarti verso avanti rispetto alla porta) poté vedere la peluria della fica di cotanta donna che il giovane Edoardo aveva preso a meglio osservare tempo prima senza spiegarsene il perché. Cominciò a toccarsi Edoardo, e poi a farsi una delle sue pippe giornaliere vedendo quella spugna solcare il pube castano scuro dal pelo corto della sua...ex governante. La donna si lavò lì cinque o sei volte; poi si voltò per ripetere il lavaggio all’inguine ed al culo. Anna aiutò poi la sua padrona ad asciugarsi toccandola con un ampio asciugamano di lino bianco. Mentre donna Ester finiva di asciugarsi Anna si presentò con l’abito per il pomeriggio. Donna Ester lo prese, lo approvò, quindi fece cenno ad Anna di aiutarla ad indossarlo. La nudità procace di Donna Ester scomparve dentro il vestito; la camicetta invece restò comunque aperta. Edoardo non ebbe il tempo per provare una qualche delusione: la natura fece il suo corso. Venne macchiando i pantaloncini di seta. Mentre finiva di venire non si era accorto che Anna era uscita dagli appartamenti di Donna Ester avendo dimenticato alcune pertinenze dell’abito. Colse il baroncino in flagranza di post venuta, e questi restò imbarazzato e ammutolito per l’incontro. Della cosa si accorse anche Donna Ester una volta aperta del tutto la porta. Vedendo il baroncino sudato per l’ovvio imbarazzo comandò ad Anna di allontanarsi, e di cercare bene quegli oggetti; e di non tornare se non dopo aver cercato bene. Anna capì e lasciò sola la sua padrona. Quest’ultima esordì:
“Venite avanti vostra grazia! Non restate lì impalato!...Su!”
Il baroncino sempre muto entrò.
“Vi prego vostra grazia, abbiate la compiacenza di chiuder la porta dietro di voi...e venite avanti!”
Edoardo, rosso in volto, eseguì.
“Vostra grazia che stava facendo dietro la porta? Avete forse perduto qualcosa...o solo la favella?”
Il baroncino non rispose.
“Mi stavate spiando,... vero vostra grazia?...lo so che da qualche tempo lo fate con assiduità...io pensavo di avervi insegnato che non sta bene spiare le donne a cambiarsi...”
Edoardo, tranquillizzato dalla dolcezza della voce di quella donna molto più grande di lui, rispose annuendo.
“Perché vi ostinate a star zitto Edoardo? Vostra grazia volle vedere com’era fatta una donna, vero?”
Edoardo annuì di nuovo. Donna Ester non aveva ancora fatto stringere l’abito attorno alla sua vita; anche il suo seno era ben visibile, quasi tutto. Tondo e roseo, e nemmeno tanto grosso. Non ancora cadente. La donna si accorse che stava turbando il giovanotto. Riprese a pettinarsi i capelli lasciandoseli scendere tra i seni e recuperandoli di nuovo. Così per due buoni minuti. Edoardo era letteralmente imbambolato innanzi a lei. Donna Ester prese in mano la situazione, (e non solo quella):
“Vediamo le mani vostra grazia!...oh! Sporche come immaginavo...prego vostra grazia! Lavatele qui immantinente. Mai presentarsi da una donna a mani sporche...sapete?!...ormai siete cresciuto! Non potete più fare il bambino!”
Edoardo lavò le mani al catino, e vide che la sua ex governante lo guardava interessata. Dallo sguardo sembrava che Donna Ester non lo volesse punire. Questa, da parte sua, osservandolo meglio vide che anche i pantaloni erano macchiati; era lo sperma dovuto alla masturbazione dietro la porta di poco prima. Gli fece cenno di calare anche quelli. Edoardo eseguì, per poi sorprendersi con una corrente dentro di sé a percorrerlo quando Donna Ester con dolcezza aveva preso il mano il suo pisello, ed aveva iniziato a lavarglielo di persona, carezzando a tratti anche le sue pallette, e staccandosi solo per attingere acqua con la mano dalla bacinella. Le uscirono fuori anche i seni che adesso Edoardo poteva toccare a piacimento. Mentre gli carezzava il pisello con dolcezza lavandoglielo per farlo sentire più fresco Edoardo provò a stringerle una zinna. Donna Ester se ne compiacque sorridendo divertita. Strinse e ri strinse fino a quando non gli capitò come d’incanto un qualcosa di morbido e piccolo; prese a tenere tra le dita un capezzolo; poi toccò allo stesso modo anche l’altro mentre la governante (di un tempo) lo stava asciugando col proprio asciugamano. Edoardo decise di buttarsi: avvicinò il volto al seno di quella donna, e sentì subito sulle proprie guance il calore e la pelle delicata del seno di una donna. L’ultima a farglielo sentire era stata la baronessa sua madre da neonato. Succhiò come un bambino per dei minuti durante i quali niente intorno contava, se non Donna Ester, il suo calore, il suo odore, tutta la materialità del suo corpo di donna procace ai suoi occhi adolescenti. I succhi famelici di Edoardo avevano fatto in maniera che Donna Ester respirasse con più sospiri; la qual cosa provocò un principio di erezione al ragazzo. La cinse alla vita abbracciandola come poté. La sua governante, un tempo alter ego della propria madre, prese a tenergli la testa contro il proprio seno, e si stesero sul letto entrambi. Lui sopra di lei dolcemente supina. Nonostante l’abbondante gonna riuscì a sentire un bozzetto duro in crescita che cercava strada sopra la sua pancia.
“Vostra grazia ahnnnn...ndate alla grande!...uh!...ahnnnn, come succhiate...avete fame vero?”
Edoardo continuava a succhiare il seno a quella donna. Donna Ester decise che Edoardo avrebbe provato una nuova sensazione. Ormai era venuto il momento. Era ormai qualche mese che ostentava le proprie rotondità sode col figlio del Barone. Ogni occasione era stata buona. Ma nessuna come quella di adesso nella quale Edoardo aveva accettato di scoprire le proprie carte. Il ragazzo voleva approfondire. Stese il baroncino sul letto e andandogli sopra con i seni, che lui ancora tendeva ad afferrare, gli disse con un sorriso:
“Stendetevi vostra grazia, e rilassatevi...”
“Sì...”
L’abbondanza di Donna Ester sovrastava il torace del figlio del Barone. Il biondino Edoardo aspettava che quelle zinne calde colpissero le sue labbra. Aveva già dischiuso la labbra per catturarne i capezzoli dei quali si era innamorato per via della loro calda e dolcezza. La morbidezza e la delicatezza del seno di Donna Ester mandarono in paradiso il viso del baroncino. Mordicchiava e succhiava continuamente lasciandosi scendere la saliva dagli angoli della bocca.
“Sapete è da tempo che vi osservo vostra grazia! ...ohi! Che presa! Dovete rilassarvi baroncino! Da quando avete preso a guardarmi meglio voi...aspettavo,...ahnnn...ehi!...uh!...dicevo aspettavo il...il momento di farvi conoscere le gioie del corpo...uhnnn...oh grazie del bacio,...ma ora lasciate fare a me...vi prego!”
Donna Ester si allontanò verso il bacino di Edoardo ed afferrò il pisello eretto del baroncino, ogni istante più duro, e dopo averglielo scappellato con dolcezza e sicurezza in due tre colpetti, prese a lambirgli tutta la piccola cappella con la lingua avendo cura di passare anche al centro più volte ed improvvisamente. Edoardo trasalì:
“Ahnnnn! Ahnnnn...sì!....ahnnnnn!...ancora...ahnnnn! Sì!....ancora, oh mamma, ancora!”
“Vi è tornata la favella vostra grazia! ....uhmmmm...gloooommmm!...uhnmmmm!”
La bocca della sua ex governante faceva avanti indietro lungo tutta la sua asta; indugiava qualche istante sopra la cappella, poi riprendeva aggressiva. Da qualche istante Donna Ester aveva preso anche a carezzare le palle del baroncino mentre muoveva sicura la bocca. Edoardo aveva chiuso gli occhi per meglio fissare l’immagine di lei con quelle sue labbra intenta a praticargli quella per lui nuovissima cosa. Gli affondi di Donna Ester erano sempre più rapidi e sicuri, e del pari delicate erano le carezze da questa praticati ai suoi testicoli induriti. Il baroncino non poteva più controllare alcuno dei suoi gesti. Venne in bocca alla donna che accolse il suo caldissimo sperma muovendo più e più volte la lingua su quel glande dal cui pertugio usciva la bianca linfa della discendenza baronale. Edoardo schizzò, o credette di schizzare, dieci o dodici volte. Provava la felicità di sporcare le guance alla sua governante dopo averle riempito la bocca. Donna Ester ingoiò e assaporò quello sperma. Edoardo si rilassò, e mentre guardava la sua vice madre ripulirsi alla bacinella prese a reggersi in mano il pisello ormai scarico, ma non sporco dato che la lingua di quella donna con lui così inaspettatamente materna, aveva avuto cura di ripulirglielo. Vide di nuovo quel culo che lo aveva sempre attratto, e si sporse a baciarglielo. Lo baciò più volte ad ambo le natiche per poi baciare anche l’ano consecutivamente. Istintivamente lo lambì con la lingua per saggiarne meglio la morbidezza, anche se non era tenero come i capezzoli di prima. Donna Ester, i cui capelli ben ordinati e raccolti non avevano fatto una sola piega, si voltò e dopo aver rimboccato l’ampia gonna gli presentò il suo pube dilatando un po’ le cosce, e dicendogli con materna tranquillità:
“Lo sapevate vostra grazia che anche voi potreste leccarla ad una donna, come io l’ho preso in bocca a voi poc’anzi? Voi avete il potere di darmi lo stesso piacere che vi diedi io poc’anzi!”
“Come dite...madame?”
“Che, se lo desiderate, potete leccarmi qui!...Sulla fessa vostra grazia! A noi donne piace...sapete?!..”
“...”
“Su! Coraggio! Mettete la vostra lingua qui!”- Donna Ester indicò al giovane verginello lo spacco della vulva.-“...poi salite e scendete, e risalite, e leccatemi anche qui, ...su questo fiorellino! Magari prendetelo tra le vostre labbra...con delicatezza,...poi scendete di nuovo e leccate ancora, se volete, leccate anche dentro...”- E gli indicò il pertugio d’ingresso con le sue rosee cavità che Edoardo vedeva per la prima volta nella sua vita. Riprese poi -“ Vi prego vostra grazia, ogni tanto passatemi la lingua più volte qui da dove faccio la pipì, state tranquillo non ve la farò sul viso...poi tornate su di nuovo. Leccate continuamente, finché ve la sentite...volete provare ?”
Il giovane barone tirò fuori la lingua timidamente, tutto sudato la avvicinò al pube di lei; dapprima annusò, e dovette piacergli perché restò; e fece alla lettera tutto quello che la sua ex governante gli suggeriva pazientemente. Le leccava la fica pelosa con la lenta delicatezza di un ingenuo; e per lui era la prima volta che sentiva il sapore di una donna, l’odore della sua vulva, il piacere che si traeva dallo sporcarsi di lei. Un odore, e un sapore che ricordava il pesce; ma con il rapido succedersi di quei dolci intimi istanti nel suo cervello ciò che la lingua prendeva per pesce veniva tradotto per miele...la punta della sua lingua, a tratti sembrava cogliere il sapore denso di un tuorlo d’uovo, e subito dopo scopriva che quello stesso sapore si tramutava in salaticcio...Anche le sue guance venivano investite dall’umido calore della vulva sempre più umida e calda accompagnata dal solletico della peluria della fica di Donna Ester. Quest’ultima menava ancora la danza aspettando l’infoiamento del giovane:
“...Vostra grazia!...ahnnnn, ci sapete fare sapete!...ahnnn, ahnnn, ahnnnn, continuate, vi prego! Ahnnnn, ahnnnn, uhhhhhhhh!”
Edoardo leccava rapido adesso, come un cavallo al trotto. Tutto sudato si lavava la faccia dell’umidità di quell’enorme materno bacino tutto per lui.
“...Vostra grazia perdonatemi! ...vi bagno un po’...ahnnnn, devo bagnarvi...ahnnnn, uhhh!...ahnnn che lingua che avete signorino! Ehi!...Uh!....ahnnnnn! Ma dove avete imparato?...ahhnnnn sì!...ahnnn! Bello!...”
L’istinto stava facendo ben leccare quella fica al giovane nobile erede...il pisello gli era tornato grosso. Fra poco sarebbe anche diventato di una certa durezza. La governante se ne accorse e disse:
“Ora basta vostra grazia!...L’arnese lo avete! Fatemi vostra!...sì! Dovete...ehi! Smettela di leccare! Altrimenti vi vengo in faccia!...Uhnmmmm, vi piace eh?!...no dico! Mettelo qui! Uhi!...Ahnnnn....Prego vostra grazia mettetelo qui dentro...”- e scostò le grandi labbra per mostrargli l’ingresso:
Donna Ester dovette guidare il ragazzo alla penetrazione. Era di statura ancora più basso di lei, indubbiamente però sarebbe cresciuto ancora...Donna Ester aveva allargato un po’ le gambe e si era disfatta anche della gonna. Il ragazzo in ginocchio col cazzone in mano, incerto, innanzi a lei.
“Non abbiate timore! Scappellatevi...così bravo, che deve venir fuori tutta!...ora entrate...affondatelo qui, voglio la vostra spada...su! Ben addentro, dai...!”
Il ragazzo entrò dentro di lei. Appoggiò il cappellone rosso al pertugio d’ingresso e si abbandonò al proprio peso contro quel morbido ed accogliente corpo. Cercando un fondo a quella vagina calda aveva preso a muoversi traendo moltissimo piacere. Si era congiunto con quella donna che anni prima aveva amato e temuto visto che era autorizzata anche a correggerlo con schiaffi e reprimende se qualcosa non andava nel suo portamento. Ora era diventato un uomo e tutto questo era alle sue spalle. Vide nel volto godente di lei un'altra governante, più umana e più calda, un’altra madre nei suoi seni pronti ad inturgidire sulle sue labbra. Aveva capito cosa era la materialità nell’amore. Il piacere della genitalità. Donna Ester lo incoraggiava ad ogni colpo godendo, rantolando, e soprattutto respirando. I suoi seni si contraevano, e si gonfiavano; e lui prese ad affondarvi sopra mentre il suo glande veniva investito dai liquami caldi, tiepidi, di nuovo caldi della vagina di quella donna. Anche il respiro di lui aumentava di ritmo. Il cavallo era alla corsa finale. Donna Ester lo baciava dappertutto sul viso. Materna ed amorosa. Lui ricambiava i baci di lei leccandola sulle guance fin dentro le orecchie, persino in fronte. Provò infoiatissimo a cercarle la lingua dentro la bocca, -se solo la dischiudesse un attimo!-, pensò. Sentiva che le sue palle gli stavano mandando qualcosa. L’impulso non avrebbe tardato. Ecco! Un eterno attimo di vuoto! Il culmine del piacere sulla punta del glande già in paradiso! Sborrò all’improvviso dentro di lei, calda ed accogliente, in cuor suo desiderava trasformarsi in una bomba, in un incendio!...avrebbe voluto affogarla in un oceano di sperma. Diede il suo baronale seme alla fiduciaria di sua madre, curandosi esaltato che non ne perdesse nemmeno una goccia! Poi ancora congiunto dentro di lei crollò esausto, e le dormì sui seni.
Al risveglio, una mezz’ora dopo Donna Ester si era ripulita e stava davanti ad uno specchio a finire di vestirsi. Anna, nel frattempo tornata, le stava stringendo la gonna senza curarsi della presenza del figlio del barone. Donna Ester disse:
“Vostra grazia! Vi concedo di ripulirvi qui, con la mia acqua se la gradite; poi dopo che me ne sarò andata...Anna vi accompagnerà in camera vostra dove vi cambierete con un abito pulito prima di scendere in giardino...intesi?! Ora che vi ho fatto uomo mi auguro per vostro Padre e vostra Madre che avrete più cura nel vestirvi. Imparate anche a non sporcarvi in presenza di una dama! Intesi?...fosse anche una banale schiava Voi baronc...barone dovrete emanare sempre dignità!..”
Edoardo steso di fianco sul letto a guardarla ancora nudo non disse niente. Era la prima volta che si trovava a suo agio nudo in presenza di donne più grandi di lui. Anche il timore reverenziale per Donna Ester si era ovviamente un po’ attenuato. La voce di Donna Ester era più distaccata, ma non ostile. Certo non dolce come poco tempo prima. Oppure era il contegno da assumere con tutti davanti alla servitù. Due ore prima era un giovincello da manovella, ma con un esame ad personam era stato promosso uomo. Prima che Donna Ester lo lasciasse si permise un’ultima toccata lì sul sedere...non gli bastò: scese dal letto e prendendo per i fianchi Donna Ester provò a sbattere più volte il suo bacino contro il posteriore della donna che pazientemente lo fece scostare dicendogli:
“Vostra grazia ! Ho parlato a vuoto forse?!...Dignità in presenza della servitù!...”
“Sottomettevi Donna Ester! Voglio il vostro di dietro! Vi voglio ora in guisa di pecora...”
Donna Ester lo ignorò impedendogli l’altra sbattuta di bacino. Anche Anna fece capire parandosi davanti che era disposta a difendere la sua padrona. Il “barocino” batté in ritirata, dato che la violenza alle donne era comunque incapace di compierla. La ex governante (ma lo era ancora delle sue sorelle più piccole...) volle accomiatarsi da lui con alterigia mista a gentilezza; Edoardo capì che una porta dischiusa per lui sarebbe rimasta lo stesso.
“Vostra grazia!...in futuro si vedrà! Per ora avete avuto più di quello che cercavate! Ora siete un uomo! Se volete quest’altra cosa Anna o le altre vi diranno cosa dovrete fare...anche se in realtà ora lo sapete pure voi!”


Barnabito, il mio amico d’infanzia che oggi in età adulta fa l’armigero del capitano di giustizia, mi aveva cercato tutta la mattina. Ero al mio lavoro di ragioniere del nostro Barone presso il castello e non potevo giocoforza occuparmi d’altro. All’ora quinta pomeridiana potei staccare, e prima di tornare a casa passai alla taverna per un bicchiere di vino con gli amici. Lì trovai Barnabito già seduto al tavolo a giocare a dadi (truccati) con un avventore. Perse solo pochi spiccioli, poi dopo aver pagato, si rivolse verso di me che subito gli dissi:
“Sapessi come ha ridotto mio cognato questo gioco...”
“Ma dai !...mica mi gioco tutta la paga...sei stato a trovare Olivina per caso? Non ti si è visto tutto il giorno...”
“No! Ho travagliato tutto il giorno che dici tu al castello del Barone...”
“...senti ! Ti accompagno a casa, e tu in cambio mi inviti a cena, va bene?!”
“Non ti sei giocato tutta la paga naturalmente...”
Ignorò la mia ironia.
“Allora ?”
“Dai vieni...andiamo...”
Strada facendo Barnabito mi disse perché mi cercava.
“Sai stamattina al mercato ho incontrato il tuo precettore privato signorino...”
Barnabito era stato sempre un po’ invidioso per via delle sue più umili origini rispetto alle mie...
“...e allora...”
“...allora Don Grico ti ha cercato tutto stamattina senza trovarti...al castello mi hanno negato l’ingresso...comunque ha detto che vorrebbe vederti. Pare sia urgente...”
“Stasera dopo cena andrò a trovarlo...tanto si siede sempre al fresco...”
“Bah...hai saputo ?”
“Cosa?”
“Dopodomani giustiziano tre rei...due sodomiti, e donna Teresina. La donna credo per prima si vocifera...”
“Cosa hanno fatto?”- Lo chiesi automaticamente senza troppo interesse.
“Beh, i due sodomiti li catturammo noi di pattuglia in campagna a commettere atto contro Dio sotto un albero di fichi, li abbiamo presi proprio a cazzo dritto... sapessi...era proprio dentro!...tempo sette giorni e in seguito alla nostra doverosa denunzia l’inquisizione li aveva condannati al rogo...il nostro buon Barone però ha commutato in impiccagione...”
“...noi...?”
“Io e il collega Velas...quello che viene dalla Spagna, un mio commilitone comunque...”
“...e chi eran questi due sciaguratissimi?”
“Il più giovane era un tale che farebbe Sonnino...forse di Roma...qui se ne venne a porger l’augello...”
“Ah! ...e l’altro?”
“Polo, pare che sia di una baronia qui vicino...”
“Polo hai detto?...”
“Sì...”
“Ma Polo non era un brigante che impiccarono tredici anni fa ? Non era per sodomia. Terrorizzava le campagne. Peggio dei turchi...Lo so perché andai io all’esecuzione...mi ci portò Don Grico; il mio primo impiccato e te l’ho pure raccontato...ti confondi senz’altro...”
“Hai ragione! Hai ragione; mi sono confuso; scusa! No, quest’altro era Nigro di cognome! Sì, fa proprio Nigro...”
“E donna Sina?”
“La nostra cara Donna Sina, gran maestra e matrigna delle nostre pute si fece coinvolgere per denari con malefici e mal fatti intrugli...e ora ne havvi a pagare il fìo disse il giudice del processo...”
“Nientemeno...”
“Amico Toraldo! Ha procurato un aborto che si è concluso con la morte di una giovine, un po’ troppo giovine per lo veleno dell’intruglio,...e per la gravidanza!...La giustizia ha da farsi! E per lei il Barone ha deciso per la mannaia e via!”
La giustizia del mio amico d’infanzia era basata sull’opinione popolare, un’opinione fatta anche d’ignoranza dato che a nessuno importava chi avesse messo veramente incinta quella poveretta da far abortire.
“La mannaia?”
Mi fece il segno del taglio della testa.
“Tuttavia il nostro barone pare abbia dato ordine di portarle domani sera con l’ultima cena anche un affilato rasoio...”
“Per farne che?...”
“Beh, è quella che procurò le pute a noi tutti maschi e militi del paese, e qualcuna particolarmente in fiore pare la inviasse a guisa d’inaugurazione anche al Barone in persona e al di lui figlio che poté possederne una fin dai primi peli,...peli suoi, del baroncino, non fraintendere!...”
Barnabito era uomo del popolo fino alla stupidità, ed anche un tantino lingua lunga, ma senza cattiveria. Niente di strano che usavano tenerlo lontano dal castello. Il nostro buon Barone con le troppo giovani non usava congiungersi; anche se ciò non escludeva che quelle giovanissime dovessero deliziare l’uccellino al baroncino erede...la baronale moglie usava non far caso a tali corna, dato che il suo ambiente lo aveva; dame di compagnia con compiacentissimi e parassitissimi nipoti e cugini che per favori e prebende si prestavano a quanto loro richiesto (meglio dir disposto) dalla signora baronessa, invero un po’ grassa dopo tre figli (un maschio erede e due femmine ) al nobile marito. Il barone, era ormai comunque vecchio. Andava a messa tutti i pomeriggi ed usava pure comunicarsi, convinto che ogni notte potesse essere l’ultima. La sera però peccava prima di dormire; pretendeva, pare, che le sue schiave negre, pagate al mercato a suon di ducati, gli rifacessero il letto mentre lui usava toccarle, come fosse un infante curioso, nelle parti intime. Non è, né sarà il primo...facendo il servizio presso il castello stesso ero molto più informato di Barnabito; solo che aspettavo che fosse sempre lui a raccontarmi “l’ultima”.
“...insomma in buona sostanza la gratitudine del barone è: se lo fa da sola bene,...che so...?... si taglia la giugulare in cella o i polsi...le guardie hanno l’ordine di servirle la cena e di lasciarla in pace assoluta senza più entrare...così mi hanno detto...almeno.”
“Sei ben informato vedo...”
“Ho parlato con dei colleghi di servizio al castello...ma ora è sulla bocca di tutti...”
“E...se non commette suicidio?”
“Allora dopodomani ci pensa mastro Giacomo!”
“Il nuovo boia ?”
“Proprio lui...vedremo alla mezza quanto è bravo! “

“Ti interessa tanto ?!...”

“Si presentò a palazzo un mese addietro. Un tipo dritto che non sgarra e non beve. Sembra sapere il suo mestiere...con noi armigeri in taverna non vuol bere...forse non beve e basta! Non gioca manco a dadi... non so se è sposato, ma con le pute delle taverne non va... ”

“Don Grico mi fece assistere ad un’esecuzione per impiccagione e non me la sono più dimenticata...”

“...ma và!...”

“Ma và cosa ?”

“Dì...! Perché non inviti tua sorella Olivina? Le esecuzioni capitali l’hanno sempre incuriosita...”

“Ci vuole un giorno per andare, convincere il marito, fare i bagagli, farla venire qui e poi deve tornare, no...!”

“Se vuoi vado a prenderla io, tanto dicono che il marito è un posaculo addormentato dal vino, nemmeno se ne accorgerebbe che è partita...ha una sua locanda adesso ?...vero?! Sai dicono che è molto brava a sbrigarsela con gli ufficiali giudiziari del tribunale. Ha debiti, ma riesce sempre a cavarsela...gran donna tua sorella Toraldo! Gran donna!”

Le voci sulla condotta sciagurata di Ranuccio erano giunte fin qui con tutto che abitavano in una diversa baronia. La libertà a discorrere in quei termini della famiglia di mia sorella che si stava prendendo il mio amico d’infanzia, il mulatto Barnabito, non mi stava piacendo. E così lo si era risaputo: mia sorella calmava creditori ed ufficiali di giustizia con le sue carni giovanili...a Roma una principessa Farnese, tale Julia, si trombava nientemeno che papa Alessandro VI Borgia ed avevano avuto pure una bambina,... tutto il mondo è paese! Con Barnabito poi mia sorella ebbe a giocare da piccoli. In fondo anche a Barnabito dispiacque che mia sorella se ne fosse andata col matrimonio. Lui un pensierino doveva avercelo fatto per forza. Per non dargli soverchia importanza ostentai indifferenza mentre apparecchiavo con due piatti. Fui un po’ avaro col vino. Stavo per versarglielo in un bicchiere e all’improvviso mi fermai a bella posta e continuai ad apparecchiare, ignorando il vino ed il bicchiere davanti a Barnabito; presi le posate per due. Barnabito capì che su quell’argomento non doveva continuare e non disse altro su Olivina. Se solo avesse saputo di cosa eravamo stati capaci e quanto irrilevante fosse stato per noi il matrimonio con Ranuccio...cambiò discorso:

“Dove posso mettere la spada? Mi impiccia a tavola...”

“Là sulla panca, distendila sulla panca...”- Si alzò onde togliersela dalla cinta ed adagiarvela. Presi il polletto arrostito dalla pentola in cui me lo aveva consegnato la vicina e feci le porzioni. Cenai con Barnabito che mangiò come se non mangiasse da due giorni; al gioco aveva perso eccome...La mia vicina di casa mi aveva cucinato un polletto che avevo tenuto da parte da ieri in cambio di un quarto a scelta di quel pollo per lei e la sua famiglia. Dei restanti tre quarti ne dovetti “donare” la metà a Barnabito che lo faceva fuori con un entusiasmo infantile. Doveva essere affamato perché cessò la sua loquela. Mangiava di gusto accompagnando con il pane raffermo che gli avevo prudentemente servito; da parte ne avevo di più fresco; tuttavia non spettava a me mantenere il mio amico armigero; mentre mangiava lo salutai lasciandogli il mio vino; tanto ne avevo da parte due bottine e Barnabito non era ladro...sconsiderato a giocare sì, ma non rubava di certo.
“Barnabito! Vado da Don Grico...quando finisci metti i piatti sulla pila...quel vino deve bastarti, non prenderne altro!” - Mi salutò senza distogliere lo sguardo dal piatto facendo segno con la mano destra.
Mi recai da Don Grico che come mi aspettavo mi aspettava al fresco seduto.
Io ero cresciuto, ed i suoi radi capelli erano ormai di un certo grigiore. Non crediate fosse un rammollito: stava ancora dritto sulla schiena ed ogni tanto trovava anche una vedova da consolare facendosi venire dritta qualche altra cosa...
“Salve Toraldo!...come va tutto bene con il travaglio?”
“Sì ottimamente Don Grico...grazie! Barnabito mi disse che mi cercavate...”
“Quel lingua lunga! Beh allora ti avrà detto le novità immagino...”
“Sì, dopodomani si giustiziano i tre rei: i due sodomiti e donna Sina...purtroppo...”
“Capisco. Tuo padre mi disse che ti ci portò che avevi sedici anni...e ben fece visto che ti pescò a spiare il bagno alla tinozza di tua sorella Olivina...chi ti fece conoscere quella volta?”
“Una tale di nome Cosimina...molto bella e... diciamo carnale...fu molto peccaminoso ricordo...”
“Sì immagino, e tu la testa a posto non l’hai ancora messa...”
Alludeva al fatto che non mi ero ancora accasato con un matrimonio.
“Fu tredici anni fa...passati in un baleno! E dopodomani la matriarca di quella donna cesserà di vivere...”
“Ormai puoi dire domani...entra dai...”
Entrammo nell’umile casa di Don Grico. Al muro dello stesso colore del tufo, bianco giallino, c’era solo un quadretto della Vergine Maria ed un Crocifisso: i suoi due unici lussi. Tavolo e comò però erano di buon legno d’ebano. Il tutto ereditato da una devota cattolica senza figli. Con pochi ricami la tovaglia di lino. Decisamente spartane le sedie. Mi disse di sedermi sul tavolo poi andò fuori in giardino e tornò con una scatola di legno scuro. La aprì davanti a me. Conteneva tre ostie come quelle da liturgia. La stanza era umida ed illuminata dal chiarore di tre candele.
“Queste pochi secondi prima del momento ultimo devo servirle a quei tre disgraziati...”
“Sono le ostie di santa benedizione?”
“No, quelle gliele servirò in carcere per comunicarli dopo la confessione un’ora prima circa...”
“E allora queste perché me le mostrate? Io stasera non vorrei comunicarmi...”
“Tranquillo! Sono sconsacrate! Non toccarle a mani nude! Le ho fatte fare dal cerusico con l’arsenico...ne sono impregnate! Le ho pagate ben otto ducati! Ballanti e sonanti... Comunque faccio volentieri il sacrificio per alleviare la sofferenza di quei tre peccatori...poi se mi manca da mangiare il Signore mi manderà da te Toraldo...ho saputo che ti fai cucinare dalla vicina ed in cambio gliene dai un po’...bravo giovane mio! Io invece non lo sono più...fffffffffffffffffffh...”
“Sarebbe a dire...?”
Non avevo capito quel soffiare improvviso.
“Toraldo io ormai invecchio...non ci vedo bene! A un metro per me sei solo un’ombra adesso. In luce vedo un po’ di più ma non tanto di più,...per cui la candela in più l’ho spenta per risparmiare...mi devi aiutare ti va?...”
“Certo, ditemi cosa posso fare...”
“Per la mattina dell’esecuzione prenditi un permesso...devi venire con me in piazza della morte...ti vestirai da prete al pari di me, ti darò io i paramenti necessari; lungo il tragitto rimarrai accanto a me che li assisterò negli ultimi istanti...il viatico e il Corpus Christi sono cosa mia, li so a memoria!...il problema è che vedo poco, e dovrai essere tu a servire queste ostie prendendole con un tovagliolo. Dovrai essere rapido a piazzarle nelle loro bocche. Non appena le scioglieranno sopra o sotto la lingua girerà loro la testa e cadranno nell’ultimo torpore. Per gli impiccandi non dovrebbe essere un problema perché dopo aver contato fino a cinque dopo l’assunzione, gli aiutanti del boia gli caleranno il cappuccio e toglieranno loro gli sgabelli da sotto i loro piedi...ho detto io loro di aspettare un po’ per dar loro il tempo di comunicarsi, naturalmente è falso perché la comunione come ti ho già detto la prenderanno in cella dopo la confessione...”
“Don Grico, io....”
“Ascoltami senza interrompere Toraldo! Adesso stai attento! Donna Sina verrà fatta accomodare sul cippo e bendata.”- Si spiegò a gesti sicuri e risoluti. Ascoltavo e guardavo interessato. Continuò:
“ ...magari non lo desidera, ma lo faranno egualmente su mie istruzioni. Servirà a mascherare la narcosi...Ho già parlato con i ragazzi che lavorano con Mastro Giacomo. Tu ti avvicinerai, dopo che io le avrò fatto baciare il Crocifisso, tu le darai l’oblìo dicendole sottovoce di poggiare calma la testa sul cuscino che troverà. Quindi ti allontanerai...contando fino a cinque, dopo il boia gliela reciderà, si spera di netto.. Il boia calerà la lama in un paio di istanti...In quel momento spero sarà già priva di conoscenza...mi sarei rivolto ad altri ma non ho trovato nessuno di cui potessi fidarmi...sono in attesa di un sagrestano che mi aiuti, ma non me l’hanno ancora mandato ed ai chierichetti non lo posso chiedere...sono troppo piccoli...Toraldo! Io e tuo padre abbiamo fatto di te un uomo forte. Purtroppo dovrai dimostrarlo...”
Non ero neppure troppo grande io quando mi fece assistere a quell’impiccagione da ragazzo; ad ogni modo risposi:
“Potete contare su di me Don Grico!”
Devo ammettere che mi prese la curiosità di vedere da vicino quelle persone nell’istante supremo.
“Allora verrai da me all’ora nona del mattino...ci recheremo insieme presso le segrete del castello ed io entrerò per gli ultimi sacramenti. Tu, che devi solo sembrare prete, ma visto che non lo sei starai fuori con le guardie...intrattienile come meglio credi...”
Mi congedai da Don Grico e tornato a casa trovai Barnabito che si era steso sulla panca con accanto la sua spada d’ordinanza. Lo lasciai dormire anche perché russava e talvolta ruttava dormendo. Presi una coperta, dopo essermi recato nella camera dove dormivo, e gliela gettai sopra. Poi andai all’ertu ossia in giardino, e vuotata la vescica me ne andai a dormire. Il mattino dopo avrei dovuto ancora lavorare e dovevo ricordarmi di chiedere un permesso all’intendenza del barone. L’indomani sarei stato più vicino di quanto avrei potuto immaginare a quel patibolo che a sedici anni mi provocò erezione, tensione interiore, e turbamento. Dormii e non ricordo se sognai. Sta di fatto che quando il mattino dopo mi svegliai perché la vicina venne a bussare all’uscio, vidi che Barnabito se ne era già andato di buon mattino onde presentarsi in caserma per il servizio. Non aveva toccato la mia acqua; anche se assullu lumatu all’ertu ia fatta la soa...

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