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IN BALIA DEGLI STRANIERI


di sottodite
25.08.2010    |    18.166    |    0 7.4
"Nei giorni che seguirono tornai la sera, ne trovai in casa alcuni, talvolta ancora tutti insieme..."
Era notte, le 1,30, e mi trovavo sulla filovia, in una caldissima ed afosa serata d’Estate, che tornavo a casa, dopo una bella serata con un mio amico. Ero da solo col guidatore del mezzo pubblico, quando ad una fermata, salirono tre stranieri, giovani, dalla pelle olivastra, alti e assai belli tutti e tre, forse un po’ ubriachi, che portavano i sandali ai piedi, come è loro costume. Saliti, li guardai subito, mentre scherzavano a voce alta nella loro lingua, spingendosi e strattonandosi lungo tutto il filobus deserto ed ampio, e vidi che avevano dei bellissimi piedi grandi e volgari, maschi, ma soprattutto molto sudati e sporchi. Uno di loro attrasse di più la mia attenzione: aveva due grandi piedi molto belli, volgari, maschi e prepotenti, scattanti e nervosi, con grossi, enormi e larghi alluci, e notai inoltre, che ognuno di questi aveva i piedi con dei pezzi di sudore attaccati, soprattutto tra i diti, negli spazi interdigitali, che erano assai evidenti: pensai, che prima di indossare i sandali aperti, che mostravano i piedi interamente, dovevano essersi tolte le scarpe e le calze, senza lavarsi i piedi, forse abitavano in un rifugio d’emergenza, con pochi confort igienici, e forse, addirittura, senz’acqua, anche se le abitudini dei maschi, che conosco, è quella di lavarsi molto poco, soprattutto i piedi, perché così si sentono più virili e maschi, e quindi, erano rimasti attaccati ai piedi e tra i diti pezzi di nero sudore maschio, misto a pezzetti di calzini, senza esserseli potuti o voluti pulire e lavare, dopo tolte le scarpe e le calze, probabilmente indossate durante il lavoro pesante, e quindi che avevano sudato molto, nell’afa estiva di Luglio, ed erano già da molti giorni non lavati, il cui sudore del giorno si era aggiunto a quello dei giorni precedenti. Questo ragazzo, con i piedi molto belli, virili, maschi, prepotenti e volgari, aveva i piedi molto sporchi, erano sudati e gialli ed appiccicaticci ai sandali, la pianta era giallastra e rugosa, vissuta, come piaceva a me, con molti calli anche sui diti, sull’alluce e sul mignolo, forse costretti negli scarponi da lavoro, e quindi non curati. Nel filobus si sentì un forte odore di piedi sudati e puzzolenti che si spandeva tutt’intorno. I tre ragazzi si sedettero, spingendosi a vicenda, in tre sedili, due di fronte ad uno solo, vicini a dove stavo seduto io. Non si curarono della mia presenza e continuarono a ridere, parlare molto forte, e a spingersi nello scherzo. Il più bello, che a me piaceva, che stava seduto da solo di fronte agli altri due, poggiò il piedone, toltolo dal sandalo, sul sedile davanti dove c’era lo spazio tra gli altri due seduti, ed iniziò a scaccolarsi spudoratamente il piede, col dito della mano, tra gli spazi interdigitali del suo piede. Io iniziavo ad essere molto eccitato dalla cosa. Uno dei due, davanti a lui, fece una faccia schifata, e si tappò il naso colla mano, facendo segno che la cosa lo schifava e soprattutto la puzza che si spandeva ancora più forte dello scaccolamento. Al che, il bellone, fece un cenno cogli occhi al compagno seduto accanto al ragazzo schifato, che d’accordo, si alzò di scatto, e tenne da dietro per le mani fermo quello schifato, togliendogli la mano che si chiudeva il naso, e il ragazzo bello pose il dito, che prima scaccolava il piede, sotto il naso dello schifato, costringendolo ad annusare. Lo schifato si divincolò, costretto ad annusare la puzza che emanava il dito della mano, pieno delle caccole asportate dagli spazi interdigitali, ma quello dietro fu pronto a tenerlo più fermo, cosicché, con una mano gli chiuse le labbra e lo costrinse a respirare col naso, per non affogare, e quindi ad inalare tutto quell’odore di piedi, così nauseabondo. Il bello e torturatore, non contento, allora, alzò il piede e lo mise sotto il naso del povero ragazzo schifatissimo ma prigioniero, e aprendo i diti, glieli mise sul naso, in modo che annusasse bene tutta la puzza, direttamente dal piede sudatissimo e dagli spazi interdigitali nauseabondi ancora pieni di caccole nere e grigie. Poi si strusciava gli spazi interdigitali, colmi delle caccole nere, sul naso del malcapitato, pulendoseli proprio sul naso della vittima, e sganasciandosi dal ridere sadicamente, dello schifo subito dall’amico succube. Le caccole intanto, si erano depositate, toltesi dagli spazi tra i diti del piede, e appiccicate sulle narici e sul naso del succube tenuto fermo con violenza, e potete immaginare l’odore che questi, poverino, doveva inalare, direttamente dallo strusciamento del piede a contatto sul suo naso e dalle caccole attaccatevisi. Il ragazzo bello, ridendo divertendosi un mondo insieme all’amico che teneva fermo il prigioniero, tolse anche l’altro piede dal sandalo, e fece la stessa cosa coll’altro piede, fino a farsi staccare tutto lo sporco, che rimaneva attaccato al naso e al viso del povero succube. Per finire l’estremo divertimento, prese le caccole, attaccate al naso dell’amico, e mentre l’amico continuava a costringere fermo il tormentato, con tutte e due le mani, e teneva adesso ferma la testa, poggiandovi e premendovi il suo piede nudo, scalzato dal suo sandalo, e premendolo forte come a schiacciarlo, con le mani le introdusse un po’ bene in fondo alle narici, e le altre sul viso le ficcò in bocca dell’amico sottomesso e gliele fece ingoiare in gola. Finito questo, la povera vittima venne lasciata libera, che contorcendosi sputava le caccole oramai ingurgitate in gola, e dentro il naso, con forti conati di vomito, mentre i due se la ridevano a crepapelle della sofferenza subita dall’amico: per loro era, forse, un gioco innocente e usuale, fatto tra gente ignorante e volgare, ma sempre per scherzare; pensai, era un gioco da adolescenti, che si facevano degli innocenti dispetti da maschi. Finiti i conati di vomito e la tosse, che squarciava la povera vittima, si ricompose, ridendo anche lui dello scherzo goliardico, sdraiato inerme sul sedile. Allora, dopo un po’, con lo sguardo complice dell’amico che prima l’aveva costretto a stare fermo, la prima vittima, fece ora il segnale, e l’amico, stavolta suo complice, si scagliò con violenza verso il ragazzo bello prima carnefice, che si era rinfilato i sandali, coi piedi oramai nettati dallo sporco evidente, e lo tenne fermo, mentre quello succube, per vendicarsi dell’inalazione schifosa subita, con estrema lentezza si toglieva entrambi i sandali minaccioso, e porgeva i due piedoni, questi più lunghi e pieni di vene turgide, ma altrettanto sporchi, sudaticci e giallastri, sul viso e sulla bocca del ragazzo, diventato a sua volta vittima, e mentre il complice gli chiudeva il naso a sua volta perché evitasse di respirare col naso e fosse costretto, per prendere fiato, ad aprire la bocca, gli infilò un piedone in bocca, e gli sollecitò coll’alluce e i diti la lingua, cosicché fu costretto a leccare il piede e gli spazi interdigitali con la lingua, obbligato con violenza estrema, e a pulire le caccole e a ingoiarle in gola. Così fece anche con l’altro piede, con molta calma da padrone, e infine glieli introdusse tutti e due insieme in gola, quasi facendolo affogare, ridendo e scompisciandosi, sentendolo gorgogliare, coi piedi infilati il più possibile in gola, mentre era preso da violenti conati di vomito, per essere stato costretto ad ingoiare le caccole gustose di sudore umidiccio del piede vendicativo dell’amico. Alla fine, gli tolse i piedi nettati, dalla gola, e continuò a ridere a crepapelle insieme all’altro complice, mentre il bel ragazzo sputava quello che riusciva, rimasto in bocca e non ingoiato del sudore rancido dei piedi dell’amico violentatore, e tossiva, schifato. Vendetta era compiuta, pensai io, supereccitato. Ma non era ancora finita: i due stranieri, prima vittima e carnefice, che poi si erano scambiati i ruoli, con un’occhiata d’intesa, si vollero rifare dell’amico traditore che li aveva aiutati entrambi nella punizione-gioco, alleandosi ora ad uno, ora all’altro, ma era rimasto immune dal gioco. Anche lui venne immobilizzato dai due alleati, uno di fronte all’altro, che coi piedi, insieme, gli cercarono il pacco, gli aprirono la patta sempre coi piedi, uno addirittura gli infilò il piede dentro da sopra i pantaloni, e introdussero i piedi dentro i pantaloni, mantrugiando e pestando i genitali dell’amico. Questo rideva e gemeva, sentendosi sollecitare e premere il pisello dai quattro piedi introdotti nella patta, cosicché il grosso cazzone, si rizzò così tanto che uscì dalla patta dei pantaloni, visibile e turgido dall’eccitazione, ai suoi aguzzini, che impietosi lo masturbavano, lo titillavano, lo pestavano sulla punta coi grossi e maliziosi diti dei piedoni violentemente, tanto che ad un certo punto smise di agitarsi, gemette languido e dalla punta del pisello, visibile anche per me, oltre che per i due suoi amici, uscì uno schizzo di sperma bianco, colloso ed abbondante: erano riusciti a farlo eiaculare. Togliendo i piedi, sui quali si era riversato un po’ della sborra dell’amico, se li pulivano sui pantaloni dell’amico, lasciando macchie ed aloni bianchi e bagnati, e ridevano, cortoncendosi dal divertimento. L’amico che aveva eiaculato, si ricompose, soddisfatto dal piacere provato, e rise anche lui da matto della cosa provocatagli. Io non resistetti più, mi alzai e mi avvicinai ai tre ragazzi, che mi guardarono dall’alto in basso, con sguardi violenti, aggressivi, diffidenti chiedendosi cosa mai volessi da loro. Li chiesi, sorridente e cortese se parlassero Italiano e il ragazzo bono mi disse: - Sì, poco. Cosa tu vuoi da me? – Sbottai: - Vorrei leccarvi i piedi! - - Dove? Qui? – Chiese il bello, nel suo accento. – Dove volete voi, anche a casa vostra, vengo da voi adesso, se volete –
I tre confabularono nella loro lingua, ridendo, si accordarono, poi il ragazzo che parlava in Italiano, mi disse: - Va bene. Noi abitare insieme vicino qui. Ma a casa ci sono nostri altri amici connazionali. Se vuoi facciamo lì, con loro - - Sì, va bene – Dissi io pazzo dall’eccitazione. Scesero dopo due fermate, e li seguii in silenzio, temendo cambiassero idea. Facemmo dieci minuti di strada, dopo la fermata, loro tre davanti che parlottavano nella loro lingua, ed io dietro in silenzio, timoroso come un cane bastonato. Arrivammo in un vecchi edificio in disuso, che sembrava disabitato, suonarono un campanello, si sentì qualcuno al citofono gracchiante chiedere qualcosa in lingua, la loro risposta nell’idioma straniero, ed il portone che si aprì con uno scatto. Salimmo tre piani ed entrammo in una grande stanza, dove altri quattro uomini, molto belli, ma di varia età, qualcuno sui 45-30-35 anni, stavano seduti per terra, fumando, bevendo ed ascoltando da una radio musica orientale. Loro si salutarono, e poi i nuovi quattro mi scrutarono ostili come un nemico intruso. Il bello parlò con loro, probabilmente spiegando cosa volevo fare. Insieme i sette risero di gusto e sghignazzarono come matti. Poi sempre questo mi disse: - Va bene. Nostri amici d’accordo, ma tu dovere leccare piedi anche di loro. Sono molto sporchi come i nostri, non avere acqua, tu servi noi come lavaggio piedi a noi che non potere qui, ma alla fontana di fuori. Ti va? Piacciono piedi di nostri amici? – Ero elettrizzato, dissi: - Sì, molto - - Però, - Disse in uno stentato Italiano – Tu eseguire tutti nostri ordini. Ora tu togliere abiti, e stai nudo in ginocchio. – Obbedii subito, mi sfilai i vestiti e li buttai in un angolo vuoto della stanza, lontano da me, e mi prostrai in ginocchio davanti a loro sette, a quel ben di dio, che si erano seduti per terra, accanto uno all’altro, in attesa da dominatori. Il mio pisello era piccolo ma duro e ritto per l’eccitazione. Risero guardandolo, ed indicandolo a vicenda. Lo straniero bello disse:
- Tu cazzo duro. Vuol dire che piace noi. Tu finocchio, forse. Inizia leccare, pervertito! – Non me lo feci dire due volte, l’offesa mi aveva eccitato di più, mi buttai sul primo piedone più vicino, che era il più sudato e sporco di caccole, di uno dei nuovi quattro, un quarantenne olivastro e con capelli ricci nerissimi corti. Leccai con gusto, lappai il grosso e virile e volgare piede maschio, succhiai i diti e colla lingua rimossi le caccole grosse, grigie ed umidicce tra i diti, e le ingoiai. Annusai l’odore fortissimo ed acido, asprissimo, forte, virile che emanavano. Mentre mi godevo questo e quelli degli altri, alcuni di loro, sghignazzando, si alzavano, e mi premevano la testa con gusto sadico col piede per costringermi ad eseguire bene il lavoro del leccaggio e pulizia dei piedi sudatissimi ed attaccaticci di umore umido degli amici seduti a godersi, da veri padroni, l’omaggio. Quando finii di leccare e pulire tutti i 14 piedoni lerci, e ci volle proprio molto tempo, pensai di aver finito, ma fu allora che in gruppo, insieme, si alzarono, mi legarono davanti a loro, tenendomi ben fermo, in ginocchio, a gambe ben larghe, si fecero uscire tutte e sette le grosse e nere nerchie pelose, così grosse e ritte, come non ne avevo mai viste né immaginate, e si menavano ritti davanti a me intorno, in cerchio. Poi allo sborrare di uno, l’altro col piede mi spingeva la testa e mi obbligava ad aprire la bocca, gridando parole incomprensibili, ma violente ed aggressive, per farmi introdurre il pisellone che spruzzava sborra violentemente ed abbondantemente, prendendo la mira nella mia bocca aperta. – Ingoia tutto, finocchione! – Mi ordinò il bello che parlava Italiano. Dovetti farlo a tutti, uno dopo l’altro, e il sapore delle varie sborre acide ed abbondanti, che sembravano non finire mai ( probabilmente era tanto tempo che non eiaculavano, erano colmi di sborra collosa, bianca, rancida ) si mischiarono nella mia bocca e nella mia gola che doveva ingoiare, obbligata dai loro piedi sulla testa, da padroni insindacabili. Finito lo sbarramento, uno di loro giovane, ripetè il gioco che aveva fatto in filobus: col piedone volgare mi titillò il pene turgido e ritto, imitato subito dagli altri 12 piedi, e mentre continuavano a menarsi i cazzoni mi fecero venire 4-5-6 volte ininterrottamente con molto gusto, finchè loro stessi, tutti e sette vennero di nuovo abbondantemente uno dopo l’altro, gemendo per il loro piacere. Poi mi costrinsero a pulire colla lingua e ingoiare tutta la sborra colata e mezza asciugata lungo i loro uccelli, lunghi ma oramai molli. Poi mi pisciarono in bocca a turno per spregio, scaricandomi la piscia abbondante in gola ed obbligandomi a ingoiarla tutta fino all’ultima goccia, con cui si erano scaricati la vescica ricolma. Poi, infine, mi slegarono, e prendendomi a calci sulla faccia e sulla testa, mi sbatterono fuori di casa, buttandomi addosso i miei vestiti, e sbattendo la porta, inveendo nella loro lingua e il bello bello urlò in Italiano: - Porco e schifoso finocchio, ti abbiamo umiliato e punito abbastanza! Che ne dici? Ne vuoi ancora? Se vuoi tornare a prenderne altre, noi siamo sempre qui pronti a dartele in abbondanza! – E sbatterono la porta, chiudendola definitivamente. Mi alzai, indolenzito e sbigottito: mi era piaciuto moltissimo. Nei giorni che seguirono tornai la sera, ne trovai in casa alcuni, talvolta ancora tutti insieme. Mi torturarono ancora in mille modi diversi e mi piacque sempre di più, diventammo amici, ed ancora adesso mi permettono di leccarli i piedi sporchissimi e di spompinarli spesso, anche insieme ad altri nuovi amici dei dintorni e nuovi stranieri arrivati in Italia. E spero non finisca mai!


P. S. Se qualche gruppo di Arabi, neri, Cingalesi, Indiani, Marocchini, Tunisini, Sudamericani, Slavi, Russi, Albanesi, Croati, Sloveni, Ceceni, Africani, Cinesi, Giapponesi, Militari e non, anche Italiani giovani o maturi, nel branco o da soli volessero provare, anche per la prima volta un’esperienza così di leccaggio di piedi luridi possono scrivere subito a [email protected] oppure Telegram@Sottodite: sarò felice di stare a loro sotto! Forza, coraggio, scrivete subito! E non vi perdete l’occasione!
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