Lui & Lei

PER NIKY


di FREEALL
14.07.2016    |    4.710    |    4 9.7
"Poi allunga le mani e con movimenti sinuosi delle dita, stende la crema sul glande, che non vedo, ma che dovrebbe essere viola per la tensione..."
Premessa.
Ho passato dei momenti malinconici e per alcuni mesi sono stato lontano dal sito. In questo frangente, le persone che ho conosciuto tramite A69, mi hanno dimostrato vicinanza e amicizia, al di là di ogni aspettativa se si considerano le finalità e i contenuti del sito. Ognuno, a modo loro, mi è stato d'aiuto. Per questo, ringrazio, con calore, gli amici per la loro squisita solidarietà. E ringrazio le amiche alle quali, considerato il particolare rapporto intercorso con loro, mi piacerebbe dedicare un racconto. Quello di seguito è uno di questi.


DEDICATO A NIKY

Maledetti snowboardisti, maleducati e indisciplinati. Un'imprecazione che si rincorre nel mio cervello, mentre intorpidito, cerco di capire dove sono. Poi, il sonno e una specie di malessere riprendono il sopravvento, ed io annaspo nella nebbia che invade la mia testa.
A tratti affiora qualche ricordo che sembra farsi più nitido, per poi sparire di nuovo. Mi pare di ricordare una discesa fantastica nel bianco accecante della neve fresca, il sole e il cielo blu cobalto, l'aria pungente ed io che scivolo veloce e sicuro sulla pista, assaporando il gusto di tuffarmi nel tratto più ripido, prima dell'arrivo. Poi, d'improvviso, oltre il dosso, quel gruppetto di ragazzi con lo snowboard, sdraiati in mezzo alla pista, in un punto invisibile e pericoloso. Ricordo il tentativo disperato di evitarli, la perdita di controllo in una manovra impossibile, l'avvitamento del mio corpo e l'impatto con la neve dura del bordo pista, dieci o quindici metri più in basso. Poi, come un flash, lo sci che, sbattendo sul casco, mi porta via la visiera, ed io che volo verso le rocce.
Ora il malessere si fa più nitido e cerco di aprire gli occhi. Guardo il soffitto della stanza, illuminato da una debole luce e cerco di girare la testa per vedere di più, ma non ci riesco. Un dolore acuto risveglia in me altri ricordi, vaghi, spezzati: il rumore del rotore di un elicottero, un freddo raggelante che invade il mio corpo a cominciare dalle gambe. Poi più niente.
Riapro gli occhi e cerco di mettere a fuoco quello che mi pare essere il flacone per la flebo, sospeso sopra la mia testa. Si concretizza nella mia mente l'impressione di trovarmi in una stanza d'ospedale. Adesso ricordo il volto di Carla, riverso sul mio e le voci degli amici. Sì, ricordo che li sentivo distintamente, ma non potevo rispondere e non riuscivo a muovermi, né ad aprire gli occhi. "Non si sveglia ancora!" diceva lei con voce sommessa. "Per forza" replicava qualcuno "è in coma farmacologico!". "Speriamo non sia niente di grave!" commentava qualcun altro, e lei continuava: "E' presto per dirlo, ma spero di non riportarmelo a casa su una carrozzella!". Oltre al dolore e al malessere, quelle parole rimbombano nella mia mente provocando una cieca paura. Anzi, è proprio il terrore di aver perso la pienezza delle mie possibilità, di non tornare a fare quello che ho sempre fatto, che mi piace fare, che anima la mia vita.
Ascolto, angosciato, ogni segnale che il corpo mi manda, cerco di cogliere le percezioni provenienti dalla pelle, la risposta dei nervi, la mobilità dei muscoli. Qualcosa però mi trattiene, m'impedisce di muovermi o, forse, sono io che sono bloccato. E questo non fa che ingigantire le mie paure. Nella mia testa, ancora le parole di Carla che, stizzita, commenta: "È un testone! Quante volte gli ho detto di praticare sport più tranquilli, di considerare l'età e di smetterla con lo sci, il windsurf, o di lasciar perdere il downhill. Forse, stavolta imparerà la lezione, una volta per sempre!". La durezza delle sue parole mi fa più male del dolore fisico che provo e acuisce la sofferenza e lo sgomento di non essere più autonomo, autosufficiente, libero.
Ruoto gli occhi cercando un appiglio, bisognoso di aiuto per un disagio che aumenta, consapevole di essere stato lasciato solo. Scorgo sopra di me il pulsante rosso della chiamata ma non riesco a muovermi: la testa è bloccata, le gambe ferme o immobilizzate, un braccio che non riesco a sollevare, e l'altro che sembra non muoversi. Con grande sforzo sollevo la mano e la protendo verso il pulsante, trascinando verso l'alto le cannule e i deflussori con i terminali infilati nel braccio. Mi aggrappo al pulsante e suono. Non viene nessuno. Poi avverto un movimento intorno al letto e un viso di donna si affaccia al mio orizzonte. Mi guarda scrutandomi in volto, come per intuire il motivo della chiamata. "Posso fare qualcosa?" mi chiede con voce soave.
Ritrovo incredibilmente la voce e le sussurro: "Sono scomodo e provo una specie di malessere. Credo di dover andare in bagno!".
"Andare dove?" replica lei, quasi divertita, e prosegue: "Andare, mi pare una parola grossa, viste le sue condizioni". "Perché, che cos'ho?" chiedo incerto.
Lei si porta ai piedi del letto, solleva la cartella e legge, un po' corrucciata, la mia anamnesi clinica. Senza alzare gli occhi, mi chiede: "Cosa le è successo?". "Un incidente con gli sci" rispondo, facendo appello alla mia labile memoria. "Ah" ribatte lei, "ha fatto un bel botto!" e, senza aspettare risposta, aggiunge: "Sospetta frattura di una gamba e probabile lesione ai legamenti, distorsione al braccio destro con interessamento del polso che pare fratturato, contusioni ed ecchimosi ovunque, ma, il peggio, è una forte contusione lombo-sacrale, con sospetta lesione alla quarta e alla quinta vertebra sacrale". Mi guarda come a dire: basta e avanza, ed io, che nemmeno voglio sapere i dettagli, cerco però di capire: "Da quanti giorni sono qui?". Mi risponde: "Oggi è il terzo giorno e sta progressivamente uscendo dal coma indotto!".
Resto per un lungo momento basito ma poi, l'urgenza di andare in bagno si manifesta in tutta la sua prepotenza e insisto. "Andare… Da nessuna parte!" m’intima lei, seppur con un tono di comprensione, "Però, se deve fare pipì o altro, faccia pure!" e intanto solleva il lenzuolo per accertarsi di quel che c'è sotto.
È, per me, una situazione nuova e accidentale, tanto che replico preoccupato: "La faccio qui?". "Sì!" mi rassicura lei, "tanto ha il pannolone. Faccia quello che si sente e poi verrò a pulirla!". "Farla a letto e poi farsi pulire?" penso io in confusione. È da quando avevo due anni che non mi succede, perché già all'asilo facevo da solo. Lei, come se intuisse i miei pensieri, si avvicina, sfiora la mia mano e il contatto con la sua pelle calda, in quell'ambiente tenuto volutamente a bassa temperatura, ravviva in me sensazioni che sembrano nuove, oserei dire inverosimili in quelle condizioni e, allo stesso tempo, familiari. "Non si preoccupi" mi dice con voce calma, "passerò più tardi a vedere!".
Aspetto che si allontani, perché mi vergogno alla sola idea di evacuare a letto, figurarsi in sua presenza. Penso preoccupato ai vicini di letto, che però non riesco a scorgere, e comunque non ne avverto la vicinanza. Forse dormono tutti e allora, pazienza.
Cerco di rilassarmi e di non pensare, mentre il mio corpo, quasi autonomamente, esplica le sue funzioni. Adesso mi sento meglio, decisamente meglio. Tutto intorno c'è silenzio e per un tempo lunghissimo mi sembra che non succeda niente.
A un tratto, rieccola. Fa capolino sul mio letto e domanda: "Ha fatto?". Socchiudo gli occhi in cenno di assenso. "Torno tra un po'!" mi spiega, e si allontana con passo svelto. Cerco di sollevare la testa con l'idea di osservarla. La luce fioca e la lontananza dal letto non mi fanno vedere di più di tanto: una figura ben proporzionata, longilinea, credo della mia altezza, avvolta in un camice bianco che risalta le curve morbide e femminili del suo corpo; capelli castano chiaro che incorniciano un viso che però non riesco a vedere. "Non male!" è il commento elaborato all'istante dalla mia mente, anche se sorrido all'idea della vanità delle mie considerazioni, viste le condizioni in cui verso.
Dopo qualche minuto ritorna spingendo un carrello, lo piazza vicino al letto e poi, con un ampio gesto del braccio tira la tenda che scorre sul fianco del letto, creando una specie di privacy che isola la mia postazione dal resto della stanza. La osservo curioso mentre toglie due guanti di lattice da una scatola e li infila su quelle sue mani flessuose, facendoli aderire in ogni punto. Armeggia poi con non so cosa e mi dice, senza guardarmi: "Adesso stia fermo, non cerchi di muoversi e lasci fare a me!". "Perché non mi posso muovere?" replico io, che invece sarei desideroso di assecondarla. "Perché, fino a quando domani non le faranno la risonanza magnetica che stabilirà l’entità delle lesioni, è meglio non rischiare" mi spiega allontanando il lenzuolo che mi copre. "Rischiare che cosa?" chiedo io come se non sapessi il baratro che potrebbe aspettarmi o, forse, per aggrapparmi a una flebile speranza che non sia vero quello che ho appreso dai discorsi al mio capezzale.
"A causa delle possibili lesioni alle vertebre, rischia di diventare paraplegico, di perdere l’uso delle gambe, o parte della funzionalità del suo corpo" mi dice con un distacco professionale che mi fa rabbrividire. Mi chiudo in un silenzio angosciato, irrigidendo ogni muscolo come a non voler peggiorare la situazione. Forse solo adesso ho la piena percezione di quanto potrebbe essere stravolta la mia vita, della perdita che potrei subire, del dolore che mi aspetta. Ho paura di quello che sarà domani, una paura cieca e assordante.
Probabilmente lei avverte il mio stato e,così, si rivolge a me con quella sua voce rassicurante: "Non abbia paura!" mi dice, "La vedo spaventato, ma non credo che il suo stato sia poi tanto grave. Se le sue lesioni fossero di più di un semplice sospetto, non sarebbe in questo reparto e, riflettendoci, l'essersi risvegliato e aver espletato i bisogni fisiologici depone a favore di una diagnosi severa, ma non preoccupante. Da come reagisce e da quello che vedo, sono molto ottimista! Anzi, ritengo che una volta ridotte le fratture potrà tornare a casa e, con un po' di riabilitazione, alla sua vita normale".
Le sue parole mi sembrano uno spiraglio di luce in un cielo tempestoso e buio. Voglio credere che abbia ragione, voglio fidarmi della sua esperienza e della sua professionalità. Anche se non del tutto convinto, mi abbandono, non senza un qualche imbarazzo, al suo servizio.
Prende un telo e ruotando leggermente il mio corpo, sento che lo pone sotto di me. Dico sento, perché, non potendo muovere la testa, non vedo quello che succede se non quanto compreso nel mio campo visivo. Sono solo le sensazioni tattili o caloriche che mi fanno capire i suoi gesti. Ecco, adesso sento sfilare il pannolone e, dopo averlo ripiegato accuratamente, lo va a riporre chissà dove.
Intanto, senza il lenzuolo che mi copre, mi pervade una sensazione di freddo che si posa sulla pelle.
Di lì a poco la vedo tornare con una bacinella che scopro contenere dell'acqua tiepida. Raccoglie una spugna dall'acqua e incomincia a detergermi i muscoli femorali e la parte interna delle cosce. Il contrasto dell’acqua tiepida sulla pelle fredda mi trasmette una sensazione stupefacente di benessere e rilassatezza, che le manifesto con un sorriso. Poi, in un andirivieni della spugna, deterge delicatamente l'inguine e le parti intime. Qui le sensazioni si fanno più forti e cresce l'imbarazzo per l'esposizione e la manipolazione di un qualcosa che è riservato solo a "certe" persone.
Provo a non pensarci, anche se ho la netta sensazione che lei indugi in certi punti, che prolunghi certe prese, che insista nel ripassare in posti delicati. Cerco di non muovermi ma ho paura che lei avverta una certa tensione, non fosse altro che per il mio respiro, a momenti, trattenuto.
Cerco di minimizzare, ma mi domando, seriamente, che diamine stia facendo. Incomincio ad agitarmi, anche perché non potendo vedere, non mi capacito se stia per finire o ci voglia ancora molto tempo.
Lei, imperterrita, continua come se nulla fosse, ma certamente avverte la mia tensione. Ciò nonostante, adesso si prende cura del pene, lo strofina, lo bagna, lo deterge con delicatezza, lo scappella. Vorrei intimarle "Fermati!" perché, ciò che sta facendo, mi pare davvero troppo. Capisco l'igiene, ma questo va oltre.
Sto per sbottare, quando lei mi precede e avvicina la faccia al mio volto. Adesso vedo chiaramente quello che non potevo percepire prima. Due occhioni verdi che scrutano i miei, attenti a ogni mimica del mio volto, che mi penetrano nell'anima come a volermi interrogare. Due occhi stupendi, luminosi, nonostante la luce fioca della stanza, disarmanti per la schiettezza che traspare da essi. Due occhi che impreziosiscono un volto bello e delicato, completato da labbra morbide, appena segnate da un rossetto rosa.
Con un accento di stupore, mi chiede: "Vuoi che smetta di prendermi cura di te? Ti chiamo un infermiere?".
La sua voce calda e pacata, il suo essere passata a un tono più intimo dandomi del tu, mi confondono, mi fanno sentire incauto, ingrato. In fondo, lei sta facendo il suo lavoro, con competenza e sensibilità. Sono io che fraintendo, che forse equivoco. Balbetto: "No! Continua pure. Mi fa piacere che sia tu a farlo!". Mi sorride e mi tranquillizza: "Non ci vorrà molto!".
Quando riprende ciò che ha momentaneamente lasciato, sento qualcosa smuovermi, qualcosa che non riesco a controllare. Adesso veramente l'imbarazzo e palpabile e non so, a questo punto, come arginare la figuraccia. Tra le sue mani nasce un'erezione potente, che lei non può non avvertite e non vedere. Di colpo si alza e sposta la bacinella sul carrello. Forse si è offesa per una deplorevole eccitazione sessuale non gradita. Sono stato maldestro, cafone. Non ho saputo tenere a freno il mio inconscio, che ha mixato, in una combinazione esplosiva: sensazioni tattili, dolcezza del trattamento, i suoi occhi verdi, una femminilità prorompente e squisita, racchiusa dentro una conturbante veste professionale.
Per fortuna, il suo allontanamento, se prostra la mia mente per la figuraccia, consente una tregua ai miei sensi.
La guardo con tono dimesso mentre lei si gira e mi si accosta di nuovo. In mano tiene un piccolo asciugamano di carta che ora, lambisce tutto ciò che prima era umido. A questo punto, il pene reagisce violento. A fine manipolazione, è certamente asciutto, ma talmente duro da provocare fastidio. Credo di essere paonazzo e senza parole, per una situazione non più controllabile. Mi vergogno per la figura di "m." che sto rimediando, anche se mi chiedo quanti potrebbero trovarsi nella mia situazione e rimanere indifferenti.
Sento le sue mani avvolgermi il pene, con una presa che, sono sicuro, non ha niente a che fare con l'igiene. Non posso vedere il suo volto e non capisco cosa abbia in mente. Poi la sento poggiare una mano sull'inguine, a serrare la base del pene, mentre l'altra scivola verso la punta, ritraendo il prepuzio fino a stirare il frenulo. Poi si alza e torna verso il carrello per inserire l'asciugamano di carta in un sacco.
Si volta e mi guarda con gentilezza come se per lei questo fosse normale, mentre io, vinto dall'imbarazzo, non riesco a proferire parola. Poi sposta lo sguardo sulle mie parti intime, osservando con compiacimento il pene che oscilla per le contrazioni dell'inguine. Torna a fissarmi e poi a guardare lo spettacolo osceno del mio pene che brucia di libidine.
Non paga, prende un tubetto dal carrello e si avvicina di nuovo a me. Con gli occhi che scintillano, spreme un po' di crema sulle dita e si accomoda al lato del letto. Poi allunga le mani e con movimenti sinuosi delle dita, stende la crema sul glande, che non vedo, ma che dovrebbe essere viola per la tensione.
Il gel porta sulle mucose una frescura inattesa, aumentando di conseguenza le sensazioni di piacere che s'irradiano a tutto il corpo. Capisco, in quel momento, che non posso che arrendermi alle sue mani e al suo volere. Certo, non posso vedere, ma le sensazioni che mi giungono sono sublimi, irresistibili, esplosive. Il mio corpo sussulta e il respiro comincia a farsi affannoso, con qualche rantolo che sfugge alle mie labbra. Per un attimo, avverto che ha smesso di toccarmi e, aprendo gli occhi, me la trovo davanti. Con un dito dritto sulla bocca mi fa cenno di tacere e di non fare rumori, facendomi intendere che qualcuno si potrebbe svegliare. Poi mi bisbiglia: "Abbiamo svuotato la vescia e il retto, non vuoi che riserviamo un po' di attenzioni anche alla prostata?".
Non mi pare professionale, ma per un momento deduco che se avverto quelle sensazioni che lei mi fa provare, forse il danno che le vertebre potrebbero aver procurato non è così esteso. Questo ragionamento mi rincuora e mi solleva da uno dei timori più grandi: perdere la possibilità di vivere una sessualità corporea. Sono talmente euforico che non replico alla sua proposta.
Dal canto suo, lei non ha atteso risposte e si è tornata a prendere cura di me. Ha ripreso in mano il tubetto e sta spremendo dell’altra crema.
Sento afferrarmi il pene e rimango in attesa, per un lungo istante, delle mosse successive. Una sorpresa che non si fa attendere. Dopo aver giocato un po' con '’ano, ci infila decisa il medio affondandolo del tutto fino a lambire la prostata. Il massaggio delicato provoca un'iniziale sensazione di dover urinare, che lascia il posto a una specie di tensione interna che richiede di essere placata. Con leggeri movimenti rotatori, lei insiste con il massaggio per diversi minuti, accrescendo appena il piacere con pochi e studiati movimenti della sua mano sul pene. La cosa si protrae senza che lei dia segno di avere fretta, mentre io sento montare a poco alla volta un piacere diffuso che coinvolge l'intera regione del mio corpo.
Dopo un tempo che mi pare lunghissimo, scandito, nel silenzio della stanza, dal suo respiro regolare e dal mio fiato trattenuto, nel crescendo progressivo dell'eccitazione, si manifesta improvvisa e prepotente l'esigenza di eiaculare. Con il corpo trattenuto da vari presidi sanitari che lo immobilizzano, bloccato dalla paura di provare dolore se solo provassi a scuotermi o semplicemente inarcassi la schiena, mi abbandono completamente inerme e arreso al massaggio delle sue mani sapienti, che sembrano conoscere le vie del mio corpo meglio di chiunque altra.
Sono tesissimo comunque, ma lei non si scompone. Non aumenta nemmeno il ritmo ma senza mollare la presa, da padrona della situazione, afferra una salviettina e la posa sul mio ventre.
Poi, con piccoli movimenti del pene, scatena un orgasmo profondo e strano, un'esplosione controllata, con lo sperma che sgorga dal pene in un rivolo continuo e prolungato, senza i sussulti o gli schizzi propri dell'eiaculazione. Un piacere esteso che sembra spremuto dalla profondità dei miei genitali. Lei continua con delicatezza a massaggiarmi, fin quando il rivolo s’interrompe in piccole gocce lucenti.
Una leggerezza incredibile sembra impadronirsi adesso delle mie viscere, mentre lei sfila le dita dall'ano e deterge con delicatezza un pene che finalmente appagato, accenna a tornare normale.
Chiudo gli occhi perché ho timore di incrociare il suo sguardo. Li riapro mentre lei mi sorride e mi rassicura: "Tutto a posto! Questo conferma, come ti dicevo, che non hai riportato lesioni gravi e anche il monitor, che ho tenuto d'occhio, non mette in evidenza problemi cardiaci, nemmeno" ammiccando un po' con lo sguardo, "sotto sforzo. Adesso dormi e stai tranquillo. Sarà questione di qualche mese, ma tornerai quello di prima. Forse anche meglio!".
Non so se il sesso sia anche un analgesico, ma mi sembra di stare notevolmente meglio. Forse è il morale, forse anche il fisico contribuisce al mio rilassamento e, nonostante le forti emozioni che si sono susseguite in me, mi addormento quasi subito.
Mi risveglio per il trambusto che agita la stanza. Infermieri e addetti riavviano la normale giornata ospedaliera, mentre fuori si annunciano i primi chiarori dell'alba. Riapro gli occhi da quello che mi sembra essere stato un sogno e, d'improvviso, la vedo ricomparire.
Si avvicina e mi dà il buon giorno. "Ciao, tutto bene?" mi chiede mentre io, imbarazzato, le sorrido sperando possa capire il mio apprezzamento nel rivederla. "Sono venuta a salutarti prima della fine del mio turno che termina tra poco, alle 6. Con domani tornerò al mio reparto, perché questa notte mi hanno trasferita qui per una sostituzione. Vedrai che anche la risonanza sarà positiva e, superato il momento più doloroso causato dai traumi, starai subito meglio!".
In effetti, mi sento ancora molto indolenzito e cerco di alzare la mano non ingessata per salutarla. Lei capisce lo sforzo, si avvicina e si china, mi dà un bacio leggero sulla guancia.
Mentre si rialza, abbandono lo sguardo affascinante dei suoi occhi verdi per leggere il cartellino identificativo fissato sul taschino del camice. Niky… E non riesco a leggere altro.
Grazie Niky! Hai fatto più tu in mezz'ora, che tutti i miei amici, che lo staff medico del reparto, e forse anche della mia donna che in queste ultime ore si è eclissata. Grazie a te ho superato l'agghiacciante paura del giorno che sta per iniziare e di quello che mi aspetta.
Lei si gira sorridente per un ultimo saluto, mi fa un cenno della mano, mentre i miei occhi s'inumidiscono di gratitudine.



Avvertenza:
Il racconto è di pura fantasia. I ringraziamenti a te, NIKY, che mi sei stata particolarmente vicina, sono invece assolutamente veri.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.7
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per PER NIKY:

Altri Racconti Erotici in Lui & Lei:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni