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Lui & Lei

Sara e il professore - 3a parte


di alessandro1987
20.06.2016    |    17.198    |    2 9.5
"Si era anche reso conto di quanto fosse buffo, di come cercasse in tutti i modi di evitare una cosa che in realtà desiderava tantissimo..."
Non erano passati che pochi giorni, e subito si presentò una nuova ghiotta occasione al nostro professore, i compiti di matematica erano stati infatti corretti e riconsegnati e, come prevedibile, furono un mezzo disastro.

«Allora, ragazzi», cominciò, «Sarete d'accordo con me, se vi dico che serve un bel ripasso dell'argomento». La classe tacque, il docente riprese a parlare: «Non voglio spaventarvi, ma l'argomento è di quelli fondamentali, se non riusciamo a superare questo ostacolo poi ci ritroviamo con un bel buco l'anno prossimo, e non sarà facile rimediarvi».
Al professore piaceva quella classe, in fondo, e certo era ben intenzionato a dar loro tutto il supporto possibile. Ma, d'altra parte, non si era dimenticato di Sara, che con il suo votaccio era una candidata perfetta per delle ripetizioni... personalizzate.
«Allora, poiché mediamente siete andati maluccio, giovedì prossimo facciamo due ore in più, dopo l'orario normale, e cerchiamo di rivedere alcuni punti critici. Sia chiaro, sono due ore a cui gradirei molto vedervi partecipare, perché possono servire a tutti e credo ne trarreste vantaggio».

A che scopo insistere sulla presenza dell'intera classe? Era stato un colpo di genio, si intende. Infatti non sarebbe stato facile inventare una scusa per trovarsi soli con Sara, e che cosa aveva allora pensato il nostro professore? Di organizzare due ore per tutti, e di proporre, poi, per gli studenti con un voto dal quattro in giù, altre due ore, in modo da farlo sembrare un semplice approfondimento per i più somari. E dove starebbe il genio? Beh, è il docente stesso a dare i voti ai compiti degli alunni, e indovinate un po' chi era stata l'unica persona a prendere un voto così basso? L'uomo non le aveva certo abbassato il voto, quel quattro era meritatissimo, ma aveva però alzato il voto di alcuni altri compagni di classe.

Il professore quindi continuò: «Poi, per quelli di voi che sono andati particolarmente male, non ricordo bene chi siano, ma diciamo dal quattro in giù, ecco, queste persone dovrebbero venire qui da me, alla fine dell'ora, così stabiliamo insieme una data per altre due ore di recupero, apposta per loro».
Alla fine dell'ora, con la faccia un po' demoralizzata, ma non troppo, Sara raggiunse la cattedra.
«Su su», iniziò lui.
«Che cavolo, sono stata la peggiore della classe, e pensavo di aver capito l'argomento!»
«Dai, non ti buttare giù, vedrai che lo rimediamo. Ora, visto che siamo solo io e te, dimmi pure una data che ti faccia comodo, la prossima settimana, e cerchiamo di trovarci un paio d'ore, va bene?»
«D'accordo, facciamo venerdì prossimo?»
«Perfetto! Quando finisci l'orario normale?»
«Una e un quarto»
«Va bene, allora, venerdì prossimo, facciamo verso le due. L'aula ancora non te la so dire, ma in caso tu aspettami vicino alla segreteria così andiamo insieme, d'accordo?»
«Ok, allora a venerdì prossimo», disse la ragazza.
«Ah ah, no veramente noi abbiamo lezione già domani, o vuoi sparire dalla circolazione per un po'?», disse lui, scherzando.
«Ma prof! Non è giusto che mi prenda anche in giro...»
«Su dai, sei diventata seriosa tutta di colpo? Lo sai che mi piace scherzare»
«Allora a domani, professore»
«A domani Sara, buona giornata a te, e rilassati, non pensarci troppo, vedrai che è una cosa da nulla»
La ragazza uscì dall'aula, per raggiungere i compagni, e il professore volse, allegro, lo sguardo su quel bel culo, stretto in jeans attillati, che forse presto sarebbe diventato suo.

Il venerdì della settimana successiva arrivò in un lampo. L'aula prescelta era l'auletta al secondo piano, un'aula vuota, con banchi vecchi e una cattedra malandata, ma perlomeno si sarebbe potuti stare in pace.

«Ciao Sara, hai già mangiato?» iniziò lui.
«Sì, sì, avevo un panino»
«Brava, siediti qui, anzi no, vengo io da te», e, nel dirlo, si alzò e andò a sedersi sul banco a fianco della ragazza.
La cosa già era riuscita a provocargli un certo turbamento, ma poteva mascherarlo tranquillamente, quindi non se ne preoccupò. Certo, la visione di quella ragazzina giovane, anzi, giovanissima, quelle gambe sottili, il seno sodo che si intravedeva dalla maglietta, erano sicuramente una valida ragione di turbamento per il nostro professore. Ma si sforzò di essere professionale.
«Allora, ti sei riguardata il compito?»
«Sì, ma non ho ancora capito come fare a risolvere il quarto esercizio! E le giuro che ci ho perso un sacco di tempo!»
«Semmai ci hai "speso" un sacco di tempo, non è certo tempo perso, quello», disse lui, sforzandosi di apparire severo e serio, serio almeno quanto il durello che aveva nei pantaloni.
«Sì, ok, ma non l'ho capito lo stesso»
«Tranquilla, ora ti rispiego tutto, un passo alla volta»

Iniziò a illustrare i vari passaggi, ma la testa vagava da tutt'altra parte. Mentre parlava, sfruttando il fatto di essere seduto al fianco di Sara, le lanciava delle occhiate assolutamente oscene. La ragazza non poteva accorgersene, intenta com'era a seguire i ragionamenti, con gli occhi fissi sul foglio. Ma lui poteva bearsi di quelle forme, giovani e prorompenti, così vicine e pure così inattaccabili.
Di tanto in tanto guardava con gli occhi spiritati l'orologio, sentendosi sfuggire tra le mani del tempo prezioso, tempo che doveva essere fatto fruttare il prima possibile. L'occasione di cambiare discorso arrivò, con una telefonata.

Squillò un cellulare, era di Sara. Lei si affrettò a metterlo silenzioso, e poi si scusò. Ma dopo pochi minuti entrambi lo sentirono vibrare, a quel punto il professore, con malizia, sbottò «Non facciamoli attendere, questi fidanzati!»
La ragazza arrossì, sorridendo, ma poi prese il telefono e rispose, era la madre. La chiamata durò pochissimo, giusto il tempo di chiarire dove fosse finita.
«Non hai detto a tua mamma che avresti avuto 2 ore di ripetizione con me?»
Eh, mi devo essere scordata»
«Povera mamma, e io che credevo fosse il tuo ragazzo!». Il rinnovato riferimento a un ipotetico ragazzo, spostò finalmente la conversazione.
«Ma no, nessun ragazzo, figuriamoci»
«Beh, non è mica un delitto, avere un ragazzo»
«Sì ma, ecco, i ragazzi...», esitò
«Tranquilla, non ti volevo mettere in difficoltà! Torniamo alla matematica». Ma non finì la frase.
«No, intendo, i ragazzi, cioè, quelli come me, della mia età, non mi piacciono».
«Ah, no?», disse lui, ben contento della piega che aveva preso il discorso.
«No, sono stupidi, e poi sono stronzi»
«Ah ah, dici che i ragazzi più grandi invece non lo sono? Secondo me ti sbagli»
«Non so se lo siano, ma, secondo me, gli uomini più grandi sono più affidabili»
«Oh, senti questa, che cerca "l'uomo affidabile", alla sua età!»
«Beh, non credo ci sia nulla di sbagliato, a me piacciono così», e, nel dirlo, mise sù un broncio infantile, che la metà sarebbe potuto bastare per causare un'erezione poderosa.

Al professore, già eccitato dalla situazione, questa cosa ingolosì parecchio, e infatti tornò all'attacco.
«Sai, magari hai ragione tu, sicuramente gli uomini più grandi hanno più esperienza»
«Esperienza, in che senso?», chiese lei.
Lui capì di avere spinto un po' troppo, quindi cercò di rimediare.
«No dico, esperienza con le donne», ma la frase non suonò affatto come un rimedio.
Sara arrossì lievemente, ma capì bene ciò che il professore intendeva dire, chinò il capo, come a pensare a cosa dire, e per qualche interminabile secondo tra i due non vi fu alcun dialogo.

Il professore, forte della sua erezione, evidente a chiunque avesse abbassato lo sguardò sui suoi pantaloni, riprese ancora.
«Dai, Sara, si scherza, non c'è nulla di male ad apprezzare gli uomini più grandi, anzi, è segno di grande maturità»
«Il fatto è che io, con i ragazzi, mi mostro per quella che non sono, come se fossi una donna esperta, ma in realtà non sono niente».
La frase fu detta di colpo, tutta insieme, e lasciò sbigottito il professore, per la sua onestà e il suo candore, ma subito lui intervenne, guidato dalle sue voglie.
«Vuoi dire, cioè, se ho capito bene quello che intendi, che non sei "esperta"?» La frase di per sé non sembrava aggiungere nulla, se non fosse stato per l'accento che lui mise su quell'ultima parola.
«Sì...», rispose lei.

Il professore gongolava incredulo, «Ahah, sì, figuriamoci, ti ho vista succhiare un cazzo fuori da scuola, altro che, vuoi giocare a fare la santerellina con me?!», pensava nella sua testa. In effetti, non sembravano parole molto credibili, messe in bocca a Sara. Eppure lei sembrava sincera, la questione meritava un approfondimento. Ma come chiederle ulteriori dettagli, senza risultare un perfetto pervertito? O meglio, senza risultarlo ancor più di così? L'argomento non era esattamente adatto al suo ruolo di docente, epperò qualcosa andava pur fatto.

«Senti, nessuno nasce "imparato", come si suol dire, ci sono cose che si imparano con l'età, non devi sentirti a disagio per questo, sai?» Il tono era quasi paterno, mascherava perfettamente le reali intenzioni dell'uomo.
Lei fece per dire qualcosa, ma stavolta, prima che potesse aprire bocca, con la coda dell'occhio vide la patta dei pantaloni del professore, ormai allo stremo. Il professore se ne accorse, e per un istante andò in panico, ma la cosa in realtà lo favorì, si sentì infatti rispondere.
«Professore, ha una macchiolina sui pantaloni!»
Il nostro eroe rimase interdetto, ma poi, guardando, proprio lì dove faceva capo quella vistosa erezione, c'era una macchia, tra l'inguine e la coscia destra.
«Oddio, pensò, devo essermela fatta a pranzo, che coglione, e però, questa stronza adesso ha sicuramente visto che ce l'ho duro, e io tecnicamente dovrei pure cercare di dare una pulita ai pantaloni, ma se mi alzo la cosa diventa talmente ovvia da sembrare ridicola, che cazzo faccio, faccio finta di niente?»
La ragazza lo anticipò «Non si preoccupi profe, ho le salviette nello zaino se vuole»
Lui però la fermò «No, tranquilla, non è necessario, una macchiolina, non c'è problema», cercando di far passare sotto silenzio il suo evidente problemino di rigidità.

«Professore, le posso chiedere una cosa?», riprese Sara.
«Si, certo, dimmi pure»
«Ma, per caso... le è venuto duro?»
L'insegnante si raggelò, non si aspettava una reazione così esplicita, anzi, sperava che tutto passasse inosservato. Si era anche reso conto di quanto fosse buffo, di come cercasse in tutti i modi di evitare una cosa che in realtà desiderava tantissimo. Però la sua erezione era decisamente ovvia, e con una domanda simile non poteva certo mascherare alcunché.
«Eh...», fu tutto ciò che riuscì a dire, insieme a uno sguardo tra il rassegnato e l'eccitato.
Lei, capendo l'imbarazzo, riprese a parlare molto dolcemente.
«E' colpa mia?»
«No, cioè, non ti preoccupare troppo, succede, sono un uomo dopotutto», ma non suonò molto convincente.
«Lo sa che sembra molto grosso?», aggiunse lei, trovando evidentemente piacere in quella situazione.
La frase uscì fuori dal nulla, come il commento di una bambina sul nuovo giocattolo, certo Sara fu spudorata, ma spontanea. Viceversa il professore rimase di sasso, la situazione aveva preso una piega fin troppo positiva, ma non sapeva bene come avrebbe potuto sfruttarla.
In effetti, il suo cazzo si era piegato su un lato, costretto dai calzoni, e poggiava ora sulla coscia destra, risultando quindi ben evidente, sotto il tessuto, in tutta la sua lunghezza. C'è poi da dire che era sicuramente un bell'arnese, con i suoi venti centimetri di lunghezza, che in quella condizione erano poi parecchio visibili.
Il professore posò lo sguardo tra le sue stesse cosce, e, nel vederlo, ebbe una immensa voglia di toccarsi, ma si controllò, non poteva lasciarsi andare in quel modo.

Lei però aveva tutta l'aria di volersi lasciare andare, infatti parlò ancora per prima.
«Professore, le posso chiedere», fece una pausa.
«Cosa?»
«Ecco, le posso chiedere, di farmelo vedere? Solo un attimo...» Nel dirlo abbassò ancora lo sguardo, forse pentita del suo stesso coraggio.
«Farti vedere cosa?», rispose lui, fingendo platealmente di non capire.
Lei di nuovo gettò un'occhiata in direzione dell'oggetto del dibattito, ma a parole non rispose.
L'uomo mostrò di aver capito e, senza dire una parola, fece per aprirsi i pantaloni.

Afferrò la sua cintura marrone, e l'aprì, con gentilezza. Poi prese tra le dita il grosso bottone sopra la cerniera e, in un sol gesto, lo sollevò dal suo incarico. Infine si abbassò la cerniera, ultimo tassello di quel processo.
A quel punto i boxer neri del docente svettavano fuori dai calzoni, ormai aperti. Lui lì abbassò, con fermezza, scoprendo finalmente quel cazzo disperato. Prima la punta, poi, subito dopo, tutto il resto, divenne visibile agli occhi della ragazza.
Durante l'intera operazione nessuno parlò, ma ora, con quel cazzo dritto e quelle palle gonfie davanti agli occhi, la studentessa decise infine di commentare.
«Che grosso prof! Lo sapevo!»
«Ah ah, che cosa, sapevi?», rispose lui, al solo scopo di nutrire il suo ego maschile.
«Che ce l'aveva grosso! E lungo!»
«Ah!, e così tu, a lezione, invece di studiare!», disse lui, scherzando, visibilmente soddisfatto della reazione.
«Ma no prof, dai! Però è davvero lungo... e anche le palle sono grosse»
«Quelle sono così perché sono eccitato, mica rimangono in quello stato sempre»
«Sono dure? posso toccarle? disse lei, spudorata»
«Beh... sono dure sì, se proprio vuoi posso fartele toccare, ma devi fare piano, capito?»
«Capito!», e, nel dirlo, avvicinò la sua graziosa manina lì sotto, arrivando a tenere tra le dita uno dei due testicoli, per saggiarne la consistenza.
«Ha ragione, è dura!», esclamò lei, con espressione di curiosità soddisfatta.

Il professore aveva divaricato le gambe, e non capiva più nulla di ciò che gli accadeva intorno. In qualunque momento sarebbe potuto entrare qualcuno, e la sua carriera sarebbe allora finita. Ma, in quei secondi, l'unica cosa che riusciva a vedere era la sua ragazzina preferita, Sara, con le mani sulle sue palle, intenta ad esaminarle.
Lei, con le dita, risalì per tutta la lunghezza del pene, e lo toccò, con delicatezza, fin sopra la cappella.
L'uomo in quel momento ebbe un attimo di lucidità: «Sara, mi devi promettere che questo discorso rimane tra di noi, vero?»
«Ma sì professore, non ho intenzione di parlarne a nessuno»
Lui non poteva certo avere la certezza che la ragazza dicesse la verità, ma voleva crederci, doveva crederci se voleva raggiungere il suo scopo.

«Senti, Sara, facciamo uno scambio alla pari, ti va?», chiese il professore.
«In che senso?», rispose lei, interrompendo la sua opera manuale.
«Beh, tu hai visto qualcosa di me, qualcosa di intimo, ora tocca a me vedere qualcosa di tuo, non trovi?»
«Mmm, d'accordo, e cosa dovrei fare quindi?»
«Beh, ad esempio, potresti farmi vedere il sedere, no?»
Lei fece per voltarsi, ma lui intervenne per fermarla. «No, non qui, vai alla cattedra, mettiti davanti alla cattedra»
La ragazza, ubbidiente, si portò di fronte alla cattedra, in piedi.
«Ok, ora, abbassati i jeans», ordinò lui.
Di nuovo, senza esitare, lei si abbassò, lentamente, i pantaloni. Il professore rimase senza fiato per tutto il tempo. Vedeva affiorare, piano piano, un sedere meraviglioso, coccolato da delle mutandine bianche. Era sodo, eccome, e di pelle chiara, liscia. Una pesca. La ragazza aveva ormai completato la svestizione, e rimaneva lì, in piedi, con quel culo e quelle gambe snelle, affusolate, da far perdere la testa.

Il professore, in estasi, si alzò, e si diresse verso la cattedra. Decise di sedersi sul banco subito dietro alla ragazza, a poca distanza da lei.
Sara, sentendo che si avvicinava, parlò: «Devo fare altro?»
«Sì, piegati in avanti»
Lei si piegò, arrivando ad appoggiare il busto sulla cattedra, mettendo così bene in evidenza la passera, visibile sotto le mutandine.
L'uomo allungò la mano, verso quel sedere splendido, e lo accarezzò. Le sue dita si muovevano rapide e vigorose, arrivando a sfiorarla tra le cosce. La ragazza reagì, divaricando leggermente le gambe. Il professore aveva però timore di andare oltre, e, volendo evitare di eccedere, tolse, a malincuore, la mano.

D'altro canto aveva pure una erezione da manuale, e il cazzo di fuori, e quel sedere da record così vicino. Si trovò, quasi senza accorgersene, a masturbarsi, guardandolo. Sara non si accorse di nulla, era messa a pecorina con lo sguardo rivolto alla lavagna mentre, alle sue spalle, il docente si segava furiosamente. L'uomo aveva lo sguardo fisso su quel culetto, sulle mutandine bianche, sulla passerina che si intuiva lì sotto. La mano si muoveva rapida su e giù, senza ritegno.
«Professore, cosa altro devo fare?»
«Nulla cara, rimani ferma così», gli tremava la voce.
«Ma che cosa sta facendo?», provò a chiedere lei, ma la risposta non arrivò, arrivò ben altro.
L'insegnante infatti, dopo pochi secondi, sborrò ripetutamente, andando a colpire il culo di Sara. Gli schizzi biancastri, densi, le stavano già colando dalle mutandine, mentre ancora altri potenti getti erano in arrivo. Lui si rese conto di ciò che aveva fatto, di ciò che in fondo aveva voluto fare, e forse si pentì, ma ormai era tardi.

«Profe...», iniziò lei.
«Questo non era nei patti, mi pare», e nel dirlo si alzò in piedi, e si girò verso il professore. Dal tono della voce si intuiva come non fosse arrabbiata, solo stupita di quanto era successo. Lo sperma le colava dalle gambe, rivoli bagnati le si raccoglievano attorno alle caviglie.
I due erano uno di fronte all'altro, l'uomo, con il cazzo in mano, ancora barzotto, la fissava, non sapendo bene cosa dire, e intanto ammirava quelle cosce sottili e aggraziate, e anche umide, grazie a lui. La ragazza invece, un po' spaesata per quanto era appena accaduto, non osava dire altro.
Fu lui a rompere il silenzio: «Quelle salviette, di cui mi avevi parlato prima, dove sono?»
«Nello zaino, la tasca esterna»
Lui le prese, e fece per pulirle le gambe.
«Voltati», le disse.
Lei si girò, docile, e, nell'asciugarla, l'uomo notò che le mutandine erano davvero bagnate, lì in mezzo, ma non seppe dire se per colpa dei suoi schizzi o per altro.
Ne approfittò per palparle per bene il culo, tamponando quella pelle deliziosa con le salviette. Scese con la mano giù fino ai piedi, e poté così ammirarla meglio.
«Sei davvero molto bella»
«Grazie», fece lei, diventata piuttosto silenziosa.
«Ora è meglio però se ti rivesti, anche perché le due ore sono finite da un bel pezzo», disse lui, sorridendo
«Sì, va bene». E si rivestì.
A quel punto, con la situazione tornata alla normalità, quantomeno agli occhi di un osservatore esterno che fosse giunto in quel momento, Sara ritrovò la parola.
«Beh, arrivederci professore, a domani»
«Allora a domani, Sara», rispose lui.

C'era qualcosa di non detto, nell'aria, la ragazza infatti era pensierosa.
«Professore, riprese lei»
«Dimmi»
«Se per caso avessi ancora problemi con gli esercizi»
«Si?»
«Ecco, posso chiederle, il numero di telefono? Così in caso le posso scrivere se ho dei dubbi»
«Ah beh, d'accordo, certo!» In effetti, la scusa era perfetta, il suo numero già girava in classe, tra alcuni alunni, e quindi la cosa non avrebbe destato sospetti.
Si scambiarono i numeri e si salutarono. Dopo pochi minuti, arrivò un messaggio sul whatsapp del docente.
"Arrivederci profe, e grazie :)"
"Figurati, grazie a te..."
Il professore tenne lo sguardo sul telefono, in attesa di un nuovo messaggio, che faticava però ad arrivare, Sara era infatti indecisa su cosa scrivere.
"Grazie di cosa? ;)"
Ahah, pensò lui, diventa molto più maliziosa per telefono, mettiamola alla prova.
"Grazie, per..."
"Per..?", scrisse lei.
"Per esserti lasciata... guardare"
"A me è sembrato un po' più di quello ;)"
"Dici? ma se eri girata, come fai a dirlo..."
"Ero girata, ma ho sentito qualcosa..."
"Hai l'udito fino allora :P"
"Ahah, già... l'udito :P"
Lui decise di chiudere la conversazione, pur intrigante.
"Beh, buona giornata Sara, a risentirci, per qualsiasi dubbio scrivimi :)"
"Buona giornata a lei professore, e ancora complimenti ;)"

La giornata era stata decisamente positiva, e il professore stava dirigendosi all'uscita quando, dal corridoio, eccoti sbucare Monica.
«Buonasera!», esclamò lei, con aria furba.
«Ciao Monica!»
«Ciao caro, che ci fai ancora qui? Non finivi lezione tipo alle 12, oggi?»
«Cos'è, mi controlli?» rispose lui scherzando, ma non troppo, in fondo.
«No figuriamoci», si schernì lei.
«Comunque ho fatto due ore di ripetizioni fuori orario, nulla di che»
«Ah sì? E con chi?»
«Con i soliti studenti, anzi non-studenti, visto che non studiano un tubo»
«Ah sì?», disse lei, sottintendendo qualcosa
«Sì, guarda, ho idea che dovrà dedicare altre due ore di lezione agli argomenti vecchi, perché altrimenti non se ne esce»
«Posso raccontarti una cosa?», lo interruppe lei.
«Sì, certo, dimmi»
«Oggi ho visto una cosa stranissima»
«Oddio, sarebbe?»
«In pratica, dopo l'ora di pranzo, ero andata in aula di informatica al secondo piano, per parlare con il tecnico»
«Si...»
«E, passando nel corridoio deserto, ho notato un'aula con la luce accesa»
«E?»
«E allora, pensando non vi fosse nessuno, mi sono avvicinata per spegnere quelle luci, e, grazie alla porta semiaperta, non indovinerai mai che cosa sono riuscita a vedere»
«Cosa?» disse lui, completamente ignaro.
«Ho visto, una studentessa, non so chi, piegata sulla cattedra, con i jeans abbassati, e dietro di lei, seduto ai banchi, un professore, che, a parere mio, le stava fissando il culo, e aveva il cazzo di fuori! Una cosa pazzesca, non credevo ai miei occhi!»

All'uomo si gelò il sangue nelle vene. Era stato scoperto, e proprio da Monica! Sentì la testa scoppiargli, ma non aveva assoluta idea di come rispondere.
La donna, senza scomporsi troppo, aggiunse poi: «Ma tanto io lo sapevo già, che a questo professore piacciono le ragazzine», e, nel dirlo, sorrise maliziosa.
«Mi sentirei però di consigliare, a questo professore, di fare più attenzione, perché non tutti capirebbero questa sua... passione. E poi le ragazzine non sono sempre affidabili, sai?»
«Ecco, io...»
«Suvvia, non ne farei una tragedia, lo so che voi uomini ragionate col cazzo, spero almeno ne sia valsa la pena», e subito continuò: «Ma certo che ne è valsa la pena, che sciocca, chissà come ti sei divertito eh?» E, nel dirlo, appoggiò la mano sul pacco dell'uomo, sorridendo.
«E comunque, professore, le ricordo che lei è in debito con me, e le conviene pagarlo, questo debito, altrimenti...», lasciò la frase in sospeso.
«Altrimenti?», chiese lui, incredulo.
«Beh, io sono una che si fa i fatti suoi, si intende, ma le voci tendono a girare, si sa»
«Ti farò sapere presto», tagliò corto lui, e la salutò.
«Una giornata perfetta rovinata da questa stronza succhiacazzi!», pensava il professore, allontanandosi a larghi passi verso l'uscita.










































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