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IL GIRONE DELLA M - ATTO PRIMO - "L'ORTAGGIO"


di CUMCONTROL
06.12.2013    |    12.799    |    4 7.1
"Aveva cura di lasciare spalancata la mia bocca con l’altra mano, come dal dentista..."
Capitolo I
L’ORTAGGIO

Bene signori cari, ecco il mio secondo racconto.

E’ stata intenzione dell’autore quella di frammentare la narrazione in episodi, perché davvero lunga e non vorrebbe – l’autore - tediare il lettore nella estenuante lettura di un testo davvero esageratamente lungo ed articolato.
Se il racconto precedente attiene a quello che potremmo definire il Girone della Sborra, questa nuova stesura sarà pertinente ad un secondo Girone, concentrico al primo e che si è voluto chiamare Girone della M.

Nei fatti novellati nel presente testo l’autore intende rivolgersi non già a lettori che di sè mostrano l’ano sbottonato senza recondità che non lasciano spazio all’immaginazione; non già a peni dal glande prepotente.
Il redattore è consapevole di recare torto forse ai più, nel proferire quanto si va enunciando. Tuttavia non è nelle intenzioni. In altri termini ci si rivolge a chi il sesso lo vive nella forma molecolare del proprio cervello. Quel sesso che per intenderci nasce dalle regioni antichissime dell’organo cerebrale e che sovraintende alla nostra stessa natura animale, ancestrale, primordiale. Quel sesso che fa del cervello il primo organo sessuale dove a reclutarsi non sono solo gli organi bassi dei propri genitali o della propria ampolla rettale, ma al contrario manipola in una sola amalgama le nostre viscere, le visioni ritratte da bambino, le gonadi, i rapporti genitoriali, gli affetti primari, le insolenze di chi non ci ha voluto bene e l’ardore sentimentale di un qualcosa di eterno da ricercare sempre, e comunque.

Sin da bambino i miei primi impulsi sessuali che nel fanciullo procurano i primi interrogativi erano subordinati ad una natura masochista dei propri pruriti. Ricordo che rimasi esterrefatto e stranamente eccitato quando vidi un film da solo nella mia cameretta che narrava le vicende di un uomo, sorta di mago, che si concedeva a scommesse insolite. Ad esempio rimasi sorprendentemente eccitato quando vidi la scena del bell’uomo, in una vasca da bagno cui stava sdraiato mentre operatori ben istruiti gli riversavano a turno ogni sorta di immondizia. Giaceva così, sotto una coltre di rifiuti solidi galleggianti in un bagno di liquame, attorniato da un pubblico pagante e operatori di camera per la visione plurima in tv.
A dire il vero non saprei riferire se la visione del film fu reale o frutto di una macchinazione perversa del mio già deviato cervello in quelle veglie fanciullesche.

Crescendo mi accorsi che la mia natura andava perfezionandosi, eccitandomi nella visione di film nei quali un uomo seminudo veniva frustato a sangue. Più il martirio era prolungato, e persino sopra le righe, ed io più mi ci immedesimavo. Quando i frustatori esausti e sudati dovevano persino darsi il cambio per la troppa stanchezza apportata dal loro operato, io mi ubriacavo d’estasi personificandomi nelle vesti dell’infelice ..e provavo persino pena per quei frustatori intenti in un lavoro davvero difficile della flagellazione. Io non ne sarei capace.
Riferiremo che l’esperienza della frusta fu dal narratore un’esperienza realmente vissuta sulla propria carne e non si esclude che i “fatti della sferza “ siano presto oggetto anch’essi di una memoria scritta. Ma non ora amici cari, non ora. Qui è di merda che si parla. Tuttavia l’ampio preambolo che si sta leggendo è un passo dovuto se si intende comprendere la natura intrinseca dei protagonisti della cronaca trascritta.
Tra gli omosessuali vi è una forte tendenza al masochismo. Ma non mancano i sadici, e quando ci capita di averne uno vero sopra di sé, bè allora non sappiamo cos’altro chiedere alla nostra vita, non credete?
Mi sono sempre chiesto come faccia un sadico ad esserlo tale e come si possa trarre un qualche profitto nel recare distruzione ad un infelice..Un mio sadico amico - che conosco da diverso tempo e con il quale ho instaurato una intensiva corrispondenza sull’argomento - ebbe a riferirmi che per nella flagellazione e nell’umiliazione del prossimo occorre sempre evitare lo sguardo del masochista per non incorrere nella compassione e dunque per non fermare i giochi che tanto gli tirano il cazzo.
Ops, perdonerete l’uso improprio del termine.. :-)

Io non amo il dolore fisico ma apprezzo di buon grado ogni forma di degradazione compiuta in capo alla mia persona. Nella maturità dei miei anni questa mia natura degenerata ho voluto esportarla al di fuori dai confini del rapporto di coppia. Mi piace dare spettacolo del mio essere niente.

Ebbi la fortuna di incontrare Riky su una chat per soli uomini. Entrai in casa sua per la prima volta speranzoso di trovare l’uomo dei miei sogni, che mi infondesse amore e tenerezze, e baci languidi e appassionati. Vi uscii da quella casa felice come non lo ero mai stato.
Mi trattò come un cucciolo, mi baciò arditamente e l’amore che si consumò tra le sue lenzuola fu davvero amore. Mi concesse il suo culo. Stava sdraiato di schiena sulle lenzuola e le gambe ben divaricate. Mi concesse di venirgli nel retto umido e poi mi accasciai su quel petto villoso, col mio pene ancora dentro di lui, e quasi mi ci addormentai su quel tappeto di pelo umano mentre mi accarezzava il capo.
Per qualche tempo il nostro rapporto fu tenero e totalizzante. Voi vi chiederete cosa ne fosse stata della mia natura masochistica. Ebbene signori cari, nel masochista vi sono impulsi intermittenti uguali e contrari. Quelli dell’amore sublime … e quello dell’amore per la propria autodistruzione.
Quando queste due pulsioni coincidono allora ecco che la fusione dei due impulsi ci rende invincibili. L’alchimia è compiuta. Belzebù si accomoda.

In principio, io non presentii affatto la natura cinica e dissoluta del mio Riky, né credo lui sospettasse la mia natura contraria e ugualmente dissoluta.
Ma gradatamente scoprimmo le essenze dei nostri esseri.
Lo conobbi nel mio ruolo di attivo. Nel mentre fu lui ad avere il sopravvento. Confesso che ai tempi ero davvero imbranato ma lo amavo così tanto - e tanto era il terrore d’esser lasciato – che gli concessi di praticarmi ogni cosa ad esclusione dei favori retroattivi.
All’epoca ero un discreto fottitore. Ma non l’avevo mai preso in culo, né m’ero cimentato nell’arte oratoria della fallatio. Per me, per la mentalità di allora, far pratica di questi esercizi equivaleva a compromettere la mia presunta virilità. Ma non vi erano solo ragioni di ordine di principio: prenderla nel culo mi procurava dolore. Prenderlo in bocca il sommo disgusto del precum e della borra.

Riky fu sorpreso quando gli confessai che non ero in grado di prenderlo in bocca ma ciononostante mi cimentai comunque. Non apprezzava il mio operato. E come mai si potrebbe apprezzare uno che s’infila la minchia in bocca (ops) che non succhia e se ne guarda bene dall’adoperare la lingua?
Così una sera s’infuriò e prese a spingere di reni verso la mia gola. “Te la rompo sta gola, te la rompiamo in gruppo eh? Cosa dici…” mi diceva. “Ma sta gola va allargata amore, va allargata….devi sopportare”.
Mi sottopose ad estenuanti esercizi mattutini, a digiuno, cui io dovevo starmene li seduto sulla scomoda sedia della sua cucina, sotto il lampadario, con una zucchina tremenda ben piantata in gola. Riky maneggiava con incuria quella zucchina, tenendola nel pugno come fosse un pugnale e stantuffandomi per una buona mezz’ora. Io me ne stavo lì, con il collo reclinato a guardare il lampadario e le mani ben salde alla seduta, con occhi fuori dalle orbite e una gola saccheggiata da una grossa zucchina. I conati di vomito si tramutarono in fiotti di schiuma, e lo vedevo toccarsi il pacco sulle mutande allo sgorgare della bava dopo un colpo di tosse soffocante.

Poi le sessioni d’esercizio s’intensificarono. Dopo pranzo e prima di andare a letto. Al mio rientro da lavoro, lui non mancava di porre una zucchina sul tavolo, in un involto di stoffa, a monito di ciò che sarebbero stati i miei primi doveri.
Rientrava anche lui dal lavoro, poco dopo. Lavava le mani e poneva la sedia sotto il lampadario. Una volta si mise a fumare distrattamente mentre conficcava con violenza la mia zucchina, di tanto in tanto si voltava a guardare il notiziario, sospendeva per un attimo il gioco mollando la presa. Io nel mentre con la lingua lasciavo risalire appena la zucchina di modo da poter respirare. Me egli se ne accorse. S’allontanò cristonando alla ricerca del posacenere ma non trovandolo tornò da me e pose il suo mozzicone tra le mie dita quando con entrambe le mani prese a dare la stura contro la zucchina, sconquassandomi la gola. “devi stare fermo, cazzo… fingi di ingoiare, così ti va più dentro”.
Avevo esaurito le mie bave e in assenza di lubrificazione tentai di fargli capire di essere fuori limite, di provare dolore alla gola. Vidi tra i sui occhi una luce malvagia, un sorriso compiaciuto che richiuse subito per non mostrare del tutto quella sua natura depravatamente sadica. Allora sfilò l’ortaggio, prese a lubrificarmi la bocca a suon di sputi. Ma la saliva si sa è un composto vischioso e compatto, pertanto va spalmata con cura perché assolva alla sua funzione di lubrificante. E così fece col spalmarla accuratamente con l’indice ed il medio della sua mano sulla base della lingua, ed attorno al palato. Aveva cura di lasciare spalancata la mia bocca con l’altra mano, come dal dentista. La differenza con un dentista stava che il mio lui caricava la sua gola e sputava, sputava forte nella sua sputacchiera…Mi sollevò la lingua e diede sputi sotto di essa perché io avessi riserve opportune di saliva per lo stantuffo della zucchina. Quando la bocca fu satura di saliva, l’eccedenza tenacemente aggrappata sulle sue dita, fu mollata sulle mie labbra e sui miei baffetti con opportuno strofinio.
E poi giù, giù di zucchina.

Un giorno venne a trovarci il suo amico, Federico. Mentre il mio lui si cimentava ad affondare l’ortaggio in gola, e assicuro che ci metteva tutto il suo impegno, suonò il citofono. Mollò la presa, mi guardò fisso negli occhi e mi ingiunse di stare fermo. Aprì la porta e tornò al suo lavoro. Io urlavo quasi a bocca spalancata e le mie mani afferrarono i suoi polsi per placare la sua foga, ma mi tirò il primo dei suoi sganascioni..Poi entrò Federico.. “ma che cazz---’” disse perplesso e fissò lui con aria preoccupata.
“Dai, non stare li impalato.. vieni a darmi una mano”..
Senza mollare la presa, Riky si mise comodo sedendosi a cavalcioni sulle mie gambe mentre Federico si apprestò a levarsi il giubbotto e a levare le mie mani dai suoi polsi lasciando così il mio Riky l’agio di lavorare.
Io assistevo alla sua bella capigliatura che andava scompigliandosi a mani bloccate mentre lui quella sera ci dava proprio dentro.
Poi tirò fuori l’ortaggio, contò fino a dieci e poi di nuovo giù, la zucchina in gola, issata e stantuffata per altro minuto. Federico tenne così forte i miei polsi che nella contorsione perdemmo l’equilibrio. Caddi su un fianco e con me anche Federico, mentre il mio lui riuscì a tenersi in piedi. Federico allora pose la sua scarpa contro la mia tempia schiacciandomi al pavimento mentre Riky, piegato e a due mani, continuava imperterrito a stuprarmi la gola col suo ortaggio.
Riuscii a divincolarmi. “Basta ti prego, basta”.. implorai… “Dai basta così” disse Federico che molò il suo piede.. Vidi il mio Riky in affanno che si persuase di non proseguire ad oltranza quel suo stupro ad opera della zucchina.

“Aprigli la patta” disse Riky a Federico, e Federico slacciò i miei calzoni portandoli sotto le ginocchia. “Masturbati verme”.. e presi a masturbarmi così in terra, semivestito, menandomelo in fretta come un verme. Dal basso li guardavo mentre loro mi guardavano. Federico accese una sigaretta e la porse a Riky e poi gli disse “Dai che il cinema ci aspetta”… Li vidi andare nell’altra stanza, venni a sborra e dolcemente cacciai fuori la mia zucchina dalla bocca.
Andarono al cinema. Io rimasi a casa per pulire i cessi di casa.

Quando il giorno dopo a lavoro gli scrivevo sul telefonino dei miei dolori alla gola, egli mi rispondeva con un sorriso e mi diceva “bravo, amore”.

Quel suo dirmi amore mi legava stretto a lui. Divenni abile nell’arte della gola. Imparai a mandare giù la sua bianca proteina. Cinquanta milioni di spermatozoi tutti per me ad ogni tornata. Tale è il quantitativo di sperma immessa in una vagina ad ogni eiaculata. Ma nessuno di essi culminò in corsa nell’ovulo da fecondare. Corsero tutti oltre le tonsille giù verso il mio stomaco. Si lasciarono digerire e assimilare. I miei tessuti si nutrirono della sua materia. Da quando ebbi a praticar l’ingoio, vidi le mie unghie più luccicanti, la mia pelle più luminosa. Mi nutrivo di lui. Mi laceravo il cavo orofaringeo sotto i colpi d’ariete sospinti dalle sue reni, e curavo a medicina naturale il mio bisogno d’amore. A flaconi di sperma.

Poi il mio bisogno di cazzo in bocca divenne una necessità. Mi lasciava dormire come un cucciolo attaccato alla sua mammella. Di tanto in tanto gocce di urina inumidivano le mie fauci rinsecchite nel sonno.
Al mattino dovevo accuratamente svuotarlo, lavarlo con amore a colpi di lingua e lasciarlo destarsi per andare al lavoro.
Talvolta lo raggiungevo al lavoro pregandogli di succhiarglielò appena un po’. “Cazzi amore, sono al lavoro” mi diceva ma poi mi accontentava. Raggiungevamo il retro dell’ufficio e io mi inebriavo alla vista del suo pene molle da tenere solo per qualche minuto nel caldo umido della mia bocca.

Il suo membro fu per me occasione di letizia. Nei giorni neri trascorsi per problemi personali di cui non potrò riferire egli ebbe a consolarmi amorevolmente buttandomi il cazzo in bocca e pisciandomi dentro alacremente. Sulle prime non osai bere la bevanda limpida e paglierina, ma poi goccia dopo goccia apprezzai il suo tono.
Ogni giorno m’idatai più d’urina che di acqua, consapevole del fatto che il 95 percento del tonico è composto d’acqua.
Dal mio Riky mi approvvigionavo di azoto e cloruri. Mi rifornivo di utile fosfato, di zolfo, di ammoniaca antisettica e della sua preziosissima creatinina, del suo potassio a me utilissimo per il mio umore…
E poi il calcio, rilasciato dal suo piscio ed utile per le mie ossa. Ero felice quando al mattino o alla sera lo vedevo aprire il frigo e mandar giù acqua.
L’acido urico, ultimo componente dell’urina, mai fu per me un problema. Imparai a gustare il suo retrogusto.
E’ l’acido urico a diversificare il sapore del piscio da uomo a uomo. Questo lo dico per cognizione di causa, visto che dopo imparai a mandar giù il piscio di altri rozzi signori, cari al mio Riky per cultura ed estrazione sociale. Ma l’acido urico del mio Riky fu insuperabile. Amavo il suo piscio. Amavo l’umido delle sue scarpe. Amavo ogni sua secrezione lasciata a macerare tra gli indumenti da lavare.
Consapevole del fatto di non poter oltremodo disturbarlo nelle ore di servizio al lavoro mi sdraiavo sul divano sotto una coltre di calzini, mutande, scarpe e canotte e mi masturbavo. Mi masturbavo coi suoi calzini in bocca, con le sue mutande in bocca.
Fu così che una sera, in attesa del suo ritorno, leccando avidamente l’interno delle sue mutande giunsero alle mie papille gustative fragranze ignote.
Accesi la luce… capii cosa stavo leccando….
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