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Gay & Bisex

Il giocattolo dello zio - Parte 1


di honeybear
02.04.2013    |    54.725    |    12 9.6
"Riaprii gli occhi e vidi la mano dello zio che mi tappava la bocca: “Devi imparare a controllarti! La prossima volta che hai intenzione di venire devi..."
Abito in un piccolo paese della Brianza dove, nella mentalità contadina che in parte ci contraddistingue, il grande sogno di ogni uomo è quello di lavorare la terra: seminare il campo, coltivare un piccolo orto che alla fine diventerà quello della casa che i legittimi eredi condivideranno con le future consorti.
Mio padre non faceva eccezione alla regola.
Con i fratelli, ed un certo numero di sacrifici, era riuscito nell’intento di acquistare un piccolo appezzamento che, devo ammettere, dava i suoi ottimi frutti. I prodotti della nostra campagna erano l’invidia del vicinato!
Nella stagione primaverile lo zio Antonio, saltuariamente mi chiedeva d'aiutarlo con qualche lavoretto in cambio di una mancia che, da buon ventenne, regolarmente mi bevevo il sabato sera con gli amici.
Quel giorno passò a prendermi come sempre intorno alle 17,00 per andare ad annaffiare il frutteto. Giunse sotto casa che ero appena sceso; prontamente salii in auto. Appena seduto ebbi l’impressione che mi guardasse in maniera diversa da come era solito fare. Anche il saluto che ci scambiammo mi suonò diverso. Ricacciai indietro quegli strani pensieri e chiesi di accendere la radio. Nell’allungare il braccio verso la manopola, il suo braccio muscoloso fece lo stesso. Mi sfiorò leggermente con le sue mani ruvide:
“Scusami” lo zio sorrise maliziosamente e la sua mano scese tra le mie gambe allargandole leggermente e passeggiando per un breve istante con le dita nella zona intorno alla zip. Il suo viso rimase fisso sulla strada, l’espressione immutata; l’altra mano sul volante.
“Zio…” balbettai. Ero confuso e frastornato: l’avevo sempre considerato una specie di supereroe. Granitico e massiccio, un quarantacinquenne prestante dal fisico robusto e possente coperto da un generoso strato di pelo nero che strideva nettamente con la testa rasata seppur adorna di una barba ben curata. Un fisico da lavoratore integerrimo e instancabile. Un buon padre di famiglia.
Rimasi immobile. Lui approfittando della sorpresa e per nulla turbato dal disagio causatomi, passò e ripassò sulle mie parti intime con maggior decisione:
“Che c’è t’imbarazza? - con la mano risalì lungo il mio ventre per darmi un buffetto sulla guancia ed allungarmi una leggera pacca sulla spalla prima e dietro la nuca poi - Uno zio avrà pure il diritto di dimostrare al suo nipote preferito quanto gli vuole bene!”
Non sapevo cosa rispondere. La sua mano tornò scendere fermandosi ancora una volta tra le mie gambe per poi spostarsi verso il ginocchio e di nuovo sulla patta che infine serrò in una presa tanto stretta e rude da far smuovere quanto contenuto: il mio sesso cominciò ad indurirsi. Lui se ne accorse perché il sorriso appena accennato si allargò. Negli occhi una strana luce.
“Io…” iniziai a farfugliare ma il tono di voce poco deciso, mi fece desistere immediatamente. Guardai fuori dal finestrino imbarazzato e, credo, rosso in viso.
“Va tutto bene... Non c’è nulla di cui preoccuparsi…” mi rassicurò. Inconsciamente iniziavo a subire sia il fascino di quell’uomo per me non più così famigliare come credevo, sia della situazione che non sapevo come affrontare. Mai fino ad allora avrei pensato che potesse capitarmi una cosa del genere: il padre dei cugini con cui praticamente ero cresciuto mi stava facendo provare una serie di sensazioni che difficilmente avrei potuto spiegare. Tantomeno ai miei genitori. A suo fratello!
Un brivido mi percorse la schiena mentre provavo a riacquistare la ragione. Dovevo uscire da quella situazione equivoca piuttosto velocemente. Speravo che, una volta in campagna, il suo gioco sconveniente terminasse.
Il cancello si aprì automaticamente:
“Bene il sistema che avete installato tu e papà funziona” fu il mio tentativo di dissimulare mentre scendevo dall'auto. Feci per chiudere lo sportello ma lui in un attimo mi fu addosso, schiacciandomi contro la fiancata mentre le sue mani mi cingevano d'assedio.
Erano mani rudi e maschie, forti e decise. Le sentii scorrere furiosamente sul mio corpo: lungo i fianchi, sulle natiche e nuovamente in mezzo alle gambe che aveva spalancato dandomi un calcio. Il suo viso premeva sulla mia nuca; sentivo il naso all’attaccatura dei capelli e le sue labbra iniziarono a perlustrare ogni centimetro di pelle tra il collo e le spalle.
Ansimava di piacere e continuava a toccarmi mentre cercavo inutilmente di divincolarmi:
“Non vuoi bene allo zio… - mi sussurrò mentre mi allungava uno schiaffo per indurmi a stare fermo – Una troia come te dovrebbe volere un sacco di bene allo zio... E soprattutto dovrebbe ubbidirgli diligentemente…”
Quello schiaffo che, in altre occasioni, avrebbe anche potuto essere interpretato come un gesto goliardico, in quel preciso istante assumeva un altro significato.
Le sue mani continuavano a serrarmi come una morsa muovendosi lungo le spalle, giù fino alle braccia, per riunirsi davanti al mio petto che pizzicava attraverso il cotone della maglietta leggera.
Il suo pacco strusciava incessantemente sulle mie chiappe mimando un’inculata che sbatteva il mio bacino contro la carrozzeria dell’auto. Sentivo la sua erezione crescere e premere prepotentemente contro il mio culo. Il timore di ricevere un altro schiaffo e la strana eccitazione provocatami dai movimenti indotti dal parente, m’impedivano di realizzare che, più cercavo di resistergli, più accrescevo la sua eccitazione.
Mi afferrò per un braccio costringendomi a seguirlo nel capanno degli attrezzi. Mi scaraventò su un giaciglio di paglia per poi buttarsi sopra di me con tutta la sua possenza. Mi trovai di nuovo il suo respiro eccitato sul collo mentre le labbra ripresero a baciarmi mordicchiandomi il mento e i lobi delle orecchie.
Le sue mani cominciarono invece a rovistare nei miei vestiti: una mano s’infilò sotto la maglietta. La sentivo tormentarmi i capezzoli che s’inturgidirono all’istante. Li prese tra le dita uno per volta, massaggiandoli, strizzandoli:
“Zio, mi fai male” gridai. Per tutta risposta mi assestò un secondo schiaffo e proseguì nel suo gioco incurante delle mie rimostranze. Anche i jeans che indossavo offrirono ben poca resistenza a quella mano che sapeva esattamente dove posarsi. Mi prese l’uccello dalle mutande: non c’era bisogno di masturbarlo visto che la complicità nel suo gioco l’aveva reso marmoreo.
“Non male il nipotino!” un altro schiaffo.
Io cominciavo ad essere in qualche modo affascinato dal suo violento e focoso erotismo. Il dolore e l’umiliazione provati per le percosse subite e la violenza con cui mi toccava lasciarono definitivamente spazio ad una strana sensazione di piacere. Ne ebbi conferma di lì a poco quando, mentre lo zio continuava a toccarmi e provocarmi, con mia enorme sorpresa sentii il mio cazzo esplodere. Chiusi gli occhi per godere appieno di quelle incredibili sensazioni mentre sentivo che la stoffa dei vestiti si inumidiva. I miei mugolii mi sembravano tuttavia lontani, ovattati. Riaprii gli occhi e vidi la mano dello zio che mi tappava la bocca:
“Devi imparare a controllarti! La prossima volta che hai intenzione di venire devi chiedere il permesso!” sussurrò mentre, la mano che mi chiudeva la bocca, mi assestava un manrovescio.
“Sì zio”
Ero completamente suo. Non provavo più dolore a quelle violenze; solo un ardente desiderio di compiacere in ogni modo possibile i desideri di quel bestione mi stava sopra.
Sapevo e sentivo che non mi avrebbe lasciato andare: ora sarebbe stato il suo turno di godere.
Senza proferire parola seguitò a lavorarmi con le mani: mi sfilò completamente pantaloni e mutande e strappò con violenza la leggera t-shirt di cotone.
Rimasi completamente nudo sotto di lui. Il peso del suo corpo sopra il mio, il calore del suo pelo, il suo odore di maschio facevano di me una specie di schiavo in sua balia, un ubriaco che guarda con avidità l’unica bottiglia ancora piena. Mi sentivo attratto da lui e quel suo comportamento violento mi turbava a tal punto da non averne abbastanza: volevo provare altre emozioni. Volevo nuovi limiti da superare.
- CONTINUA -
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