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La favola di HairlessNeve e dei 7 (O)nani(sti) - Parte 1


di honeybear
02.10.2013    |    7.045    |    1 9.1
"Il cacciatore ne bevve quanta più poté, soddisfatto..."
PREMESSA
Questo racconto, come anticipato nell’ultimo pubblicato ‘La favola di Cappuccetto Orso’, continua il mio personalissimo, spensierato e divertito (e spero divertente) omaggio all’amato mondo delle fiabe.
Buona lettura e buon divertimento a tutti!
Baci, Honeybear

LA FAVOLA DI HAIRLESSNEVE E DEIi 7 (O)NANI(STI)
Una volta, nel cuor dell'inverno, mentre i fiocchi di neve cadevano dal cielo come piume, un Re si stava trastullando con il suo enorme membro, seduto accanto ad una finestra dalla cornice d'ebano.
E così, socchiudendo gli occhi mentre stava per venire, sentì uno dei fiotti di sborra calda inumidirgli le labbra e la barba intorno. Il resto schizzò copioso sul manto di pelo nero che ricopriva il muscoloso torace.
Alzandosi, si avvicinò allo specchio appeso al muro, per rimirare compiaciuto gli effetti del lavoro svolto. Quella meravigliosa crema chiara, creava un tale contrasto con il rosso delle labbra ed il nero della barba, ch'egli, mentre iniziava a ripulirsi ingoiandone ogni singola goccia, pensò:
"Ah… Magari avessi un figlio bianco come la neve, rosso come il sangue e dal pelo nero come il legno della finestra!".
Fu accontentato pressoché in tutto, poiché nacque realmente un figliolo con quelle caratteristiche. Lo chiamarono HairlessNeve. 
(S)fortunatamente la Regina morì nel darlo alla luce.
Per questa ragione, il Re decise di non risposarsi, preferendo scegliere nella cerchia di Corte, un compagno con cui giocare nei momenti di solitudine. Il prescelto fu un giovane uomo di nome Grimildo, estremamente bello, con un corpo scultoreo che sembrava fatto di marmo tanto era glabro, liscio e levigato. In quel candore, risaltavano i suoi occhi neri, del medesimo colore dei capelli e del pelo pubico che, dalla base del grande uccello circonciso, saliva a disegnare un delicato e sottile triangolo scuro. L’uomo tuttavia era superbo e prepotente, e non poteva sopportare che qualcuno lo superasse in bellezza.
Possedeva uno specchio magico, che in genere consultava mentre cavalcava ferocemente uno dei tanti servitori di colore superdotati che si prendevano cura di lui quando il Re era lontano. E chiedeva:
“Dal muro, specchiettooohhh… Ooohhh, dillo: nel regno chi è il più bellooohhh? Ooohhh…”

E lo specchio rispondeva:
“Nel regno, Messere, tu sei quello!”
Ed era contento, perché in genere la risposta arrivava mentre l’uccello d’ebano che lo stantuffava, si svuotava copiosamente dentro di lui o nella sua bocca (la cui gola poi, con un certo impegno, deglutiva tutto quel seme), e poi perché naturalmente, sapeva che lo specchio diceva la verità. Così, pago di tutta quella felicità anche lui veniva. E lo faceva sul petto e sul torace di una delle divinità greche che l’avevano appena scopato o sul suo corpo, obbligando poi lo schiavo di turno a ripulire per bene.
E intanto HairlessNeve cresceva, diventando sempre più bello. Compì vent’anni ed era bello come la luce del giorno: alto, ben proporzionato e glabro quanto il compagno del padre; in una parola… Divino! Ancor più di Grimildo che, impegnato a farsi inculare dell’ennesimo servitore, per l’ennesima volta chiese allo specchio:
“Dal muroooohhhh, specchiettoooohhh, sì… Sì, fammelo sentire tutto… Tutto! Specch… Specchiettooohhh dillooohhh: nel regno chi è il più bellooohhh?”
Lo specchio rispose: “Grimildo, il più bello qui sei tu, ma HairlessNeve lo è molto di più!”
Grimildo allibì e si fermò a mezz’aria sopra l’enorme cazzo d’ebano che lo stava impalando: un odio feroce lo pervase inducendolo a stringere il buchetto ormai dilatato, fin quasi a strozzare l’enorme arnese che lo stava penetrando alla base della cappella. L’effetto, mentre diventava verde e giallo d'invidia, fu quello di farsi riempire da un getto di sborra tanto potente da non riuscire a contenerlo dentro di sé.
Mentre l’amante di turno si prodigava a ripulirgli per bene le gambe, Grimildo realizzò che da quel momento la vista di HairlessNeve l’avrebbe sconvolto, tanto lo odiava.
E invidia e superbia crebbero come le male erbe, così da non dargli più pace né giorno né notte.
Decise allora di chiamare un cacciatore. Al suo ingresso nella stanza, Grimildo gli si avvicinò con fare lascivo. Lo guardò intensamente, poi iniziò a strusciarglisi intorno finché non si fermò alle sue spalle, infilando una mano nel bavero della casacca di velluto porpora, accarezzandogli i peli del petto e facendo trotterellare le dita su quel morbido tappeto.
Il cacciatore, ebbe un sussulto quando sentì le dita stringere. Il capezzolo s’inturgidì e reclinò il capo lateralmente mordicchiandosi le labbra e sospirando.
Non distolse gli occhi dallo specchio. Mai.
Nemmeno quando la perfida arpia appoggiò l’altro braccio sulle sue spalle e, avvicinandosi ad uno dei lobi, iniziò a mordicchiarglieli. Nel riflesso, vide la lingua incunearsi ardita e delicata nell’orecchio. Reclinò il capo sbuffando mentre il massaggio ai pettorali si faceva più intenso. I bottoni della blusa si aprirono e il lacci della camicia si sciolsero, rivelando un petto gonfio e villoso che proseguiva in un addome scolpito alla perfezione.
Alla vista di quello spettacolo, il favorito del re non resistette e, postosi di fronte al cacciatore, si mise in ginocchio per liberarlo dai pantaloni, lasciando così ad un cazzo taurino, l’opportunità di meritarsi l’agognata libertà. L’asta lunga e nodosa, si dipartiva dall’intrico dell’abbondante pelo pubico, nero come la pece, e culminava in una cappella rubizza. Lo sguardo di Grimildo s’illuminò e diede inizio ad un sapiente gioco di lingua: il miglior pompino mai praticato al cacciatore.
Mentre si picchiettava la mostruosa verga sulle labbra, per favorirne l’erezione, gli ordinò: “Porta… – e la fece sparire in bocca in un battibaleno, aspirando l’aroma acre di quel setoso pelo – …HairlessNeve nel bosco… – la sfilò, per leccarla, insalivandola abbondantemente. L’asta frattanto s’irrigidiva facendosi d’acciaio - …Non lo voglio più vedere! Uccidilo… – il ritmo del pompino accelerò furiosamente, mentre il cacciatore ansimava e gemeva dal piacere… - E mostrami i polmoni e il fegato come prova della sua morte!”
Il cacciatore venne nella bocca di Grimildo che lo avvicinò a sé facendogli leccare quel rivolo di sbroda calda che gli colava lungo dal labbro. Si baciarono prima di congedarsi per obbedire alla missione assegnatagli.
L’uomo dunque, condusse la sua giovane preda lontano nel bosco; ma quando estrasse il coltello per trafiggere il suo cuore innocente, ebbe un sussulto. HairlessNeve, girato ingenuamente verso un albero, si voltò e, piantando i suoi occhi di carbone in quelli del cacciatore, sembrava implorarlo:
‘Ah, caro cacciatore, lasciami vivere!’
Il bestio vacillò. Deglutì, avvicinandosi lentamente verso il giovane. Lo afferrò per le spalle sfilandogli la blusa che, cadendo a terra, andò a fare compagnia al mantello, mettendo in mostra i pettorali scolpiti allo stesso modo della tartaruga disegnata dagli addominali. Sulla pelle marmorea e diafana come l’avorio, spiccavano, rossi come ciliegie, i due grossi capezzoli su cui il cacciatore iniziò a far scorrere la fredda lama d’acciaio. HairlessNeve fu percorso da un leggero brivido. Osservò tranquillamente l’arma passare e ripassare da un capezzolo all’altro, salirgli alla giugulare e, più su, lungo le labbra per poi scontornargli l’addome. Si fermo a giocare con il laccio dei pantaloni che, con un colpo deciso, fece saltare, lasciandolo definitivamente nudo con un’erezione imponente che fioriva dalla corvina aiuola inguinale. Nuovamente si fissarono negli occhi, per un istante che parve infinito:
“Correrò nella foresta selvaggia e non tornerò mai più…”
Ma la vista era tanto bella che il cacciatore disse:
“Non prima che io ti abbia infilzato… Certo non sarà il cuore…” aggiunse leccandosi le labbra mentre faceva voltare il ragazzo piegandolo leggermente verso di sé con il suo bel culetto liscio a proprio favore.
Riprese a far passare la lama. HairlessNeve, voltò leggermente la testa, per controllare ciò che faceva. Sorrise passandosi la lingua sulle labbra già umide. Il cacciatore lo imitò. La lama si scaldò presto a contatto con la pelle ed il cacciatore prese a farla roteare intorno all’ano del giovane che, abbracciato al tronco, prese a dimenarsi e a gemere.
“Bravo ragazzo… Così… Così! Fai attenzione…”
Il coltello cadde a terra mentre uno sputo di saliva s’infranse tra le pieghe del fragile anello di carne che una nerchia taurina, affrancta dall’inutile ingombro dei pantaloni, s’apprestava a violare. Il cacciatore spalmò la saliva con la cappella e s’insalivò il membro a sua volta. Sputò nuovamente e ripeté l’operazione fino a che non la puntò decisa sul buco. HairlessNeve prese un respiro prima di indietreggiare ed accogliere prontamente quello che, invece di un coltello, prometteva essere una spada ben tesa. Ebbe un sussulto mentre il cazzo del cacciatore procedeva spedito lungo quella guaina di carne, sfondandogli il culo facendosi largo tra le sue viscere. Soffocò un grido. Poi un altro ed un altro ancora: non era così facile abituarsi a quella presenza, inizialmente dolorosa e poi sempre più piacevole.
I colpi portati dall’uomo erano lenti e precisi. Gli affondi, inesorabili, sospingevano con forza in avanti quel corpo perfetto che due mani forti e rudi, appoggiate ai fianchi dell’altro, facevano riavvicinare fino a far scontrare le chiappe lisce e sode contro il pelo crespo dei coglioni.
Il cacciatore continuò a sbattere il giovane a lungo, come se non ne avesse mai abbastanza. Il ritmo della scopata accelerò fino a culminare in un urlo animalesco, la cui eco si diffuse per tutta la foresta. HairlessNeve si staccò, appoggiandosi al suolo a quattro zampe. Riuscì a mantenere lo sfintere chiuso. Osservò di traverso il cacciatore e gli sorrise. Questi si avvicinò ammiccante. Quando il suo viso fu sufficientemente vicino al buco del giovane, questi, lentamente, rilasciò i muscoli permettendo alla sborra trattenuta di zampillare. Il cacciatore ne bevve quanta più poté, soddisfatto. Il ragazzo, sempre mantenendosi a quattro zampe, si voltò e prese a ripulirgli con cura la cappella violacea e tutta l’asta che, lentamente, stava tornando a riposo:
“Un vero peccato doverti abbandonare qui… - gli sussurrò mentre finiva di masturbarlo - …La notte sta calando. Rivestiti in fretta o le bestie feroci faranno presto a divorarti"
“Ma tu comeeehhh…” l’eiaculazione bagnò il suo addome.
“Non preoccuparti!” Lo interruppe chiudendogli le labbra con un dito intriso del caldo seme.
Nel mentre pensava. Sentiva di essersi levato un gran peso dal cuore nel non doverlo uccidere.
Proprio allora arrivò di corsa un cinghialetto, lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò a Grimildo come prova.
Il cuoco dovette salarli e cucinarli, e il perfido li mangiò, credendo fossero quelli dell’odiato nemico.
Tutto questo, mentre il povero ragazzo vagava tutto solo nel gran bosco, in preda ad un’angoscia così forte d’aver paura del minimo alito di vento.
Si mise a correre e corse sulle pietre aguzze e fra le spine; le bestie feroci gli passavano accanto, ma senza fargli alcun male.
Corse finché gli ressero le gambe; era quasi sera, quando vide una casettina ed entrò per riposarsi. 
Nella casetta tutto era piccino, ma lindo e leggiadro oltre ogni dire.
C'era una tavola apparecchiata con sette piattini: ogni piattino col suo cucchiaino, e sette coltellini, sette forchettine e sette bicchierini.
Lungo la parete, l'uno accanto all'altro, c'eran sette lettini, coperti di candide lenzuola.
HairlessNeve aveva tanta fame e tanta sete, che mangiò un po' di verdura con pane da ogni piattino, e bevve una goccia di vino da ogni bicchierino, perché non voleva portar via tutto a uno solo.
Poi era così stanco che, dopo essersi completamente spogliato, provò a sdraiarsi in un lettino. Non ce n'era uno che andasse bene, purtroppo: o troppo lungo o troppo corto. Si risolse allora di allinearli: ci si coricò, sdraiandosi prono, lasciando a bella posta il suo portentoso e liscio fondoschiena. Si raccomandò a Dio e si addormentò.
Al buio, arrivarono i padroni di casa: erano i sette (O)nani(sti), che rientravano dopo la serata al locale dove si esibivano ogni notte.
Accesero le loro sette candeline e, quando la casetta fu illuminata, videro che era entrato qualcuno, perché non tutto era in ordine, come l'avevan lasciato.
Il primo disse:
”Chi si è seduto sulla mia seggiolina?”
Il secondo: “Chi ha mangiato dal mio piattino?”
Il terzo: “Chi ha preso un po' del mio panino?”
Il quarto: “Chi ha mangiato un po' della mia verdura?”
Il quinto: “Chi ha usato la mia forchettina?”
Il sesto: “Chi ha tagliato col mio coltellino?”
Il settimo: “Chi ha bevuto dal mio bicchierino?”
Poi il primo si guardò intorno. Vide che il suo letto era stato spostato e disse:
”Chi mi ha rubato il lettino?”
Ben presto anche gli altri si resero conto che era successa loro la stessa cosa.
Ma il settimo scoprì com’erano andate realmente le cose: nella penombra, scorse HairlessNeve addormentato.
Chiamò gli altri, che accorsero e gridando di meraviglia presero le loro sette candeline e illuminarono quello splendido corpo nudo.
“Ah, Dio mio! Ah, Dio mio! – esclamarono nel vedere il culetto marmoreo della divinità appisolata - Che meraviglia!”
Ed erano così felici che decisero di dare il loro personale benvenuto all’ospite.
Il settimo nano lanciò un’occhiata d’intesa ai compagni che, cogliendone al volo le intenzioni, la ricambiarono...
Insieme si recarono all’ingresso, per rovistare ciascuno nella propria borsa da lavoro, dopodichè tornarono davanti ai lettini allineati.
Il primo teneva dei lacci in mano. Afferrò con dolcezza le mani delicate del ragazzo per legarle ai piedi e alla testata del primo lettino.
Anche il secondo teneva in mano dei lacci. Afferrò con la stessa dolcezza i piedi del ragazzo, avendo cura di non svegliarlo. Spalancò a dovere le sue gambe e lo immobilizzò.
Fu la volta del terzo che, montato sopra il letto, versò un’abbondante dose di lubrificante che prese a distribuire con dovizia lungo il solco delle chiappe, soffermandosi a massaggiare a dovere il roseo buchetto.
HairlessNeve mugolò, sospirò e sorrise. Non si svegliò. Pareva sognasse…
Gli altri guardavano il compagno con invidia, mentre le loro manine scivolavano nei rispettivi pantaloncini. Volevano partecipare anche loro a quella festa. Così, dopo aver liberato sette invidiabili erezioni, decisero che si sarebbero alternati nel picchiettarle sul buchetto del dormiente.
Usarono una tale delicatezza nell’operazione, che nemmeno stavolta riuscirono a svegliarlo. Ciò avvenne solo quando il quarto avvicinò al buco un piccolo dildo rigido ed iniziò a profanare l’orifizio…
HairlessNeve dapprima si morse le labbra sorridendo, poi aprì gli occhi e s'impaurì sentendo di non potersi muovere e vedendo le sette erezioni dei nani dinnanzi ai suoi occhi.
Ma essi, lasciandogli il dildo nel culo, gli chiesero gentilmente:
“Come ti chiami?”
“Mi chiamo HairlessNeve” rispose strattonando le corde.
“Ti fanno male le corde?”
“No… Affatto…” sospirò.
“E il dildo che hai dietro?”
“Nooo… Affatto…” e sorrise maliziosamente.
Il quarto nano, rincuorato dalle risposte avute, tornò ad usare il sex-toy facendolo roteare e spingendolo avanti-indietro per diverso tempo nel culo del giovane. Il quale, ripagava del trattamento ricevuto, emettendo gemiti e gridolini che vennero prontamente zittiti quando il terzo nano gl’infilò l’uccello in bocca obbligandolo a succhiarlo.
I nani si alternarono anche in questo gioco, usando dildo(s) dalle dimensioni sempre maggiori. Così, quando a violentare il buco era il quinto nano, a scoparne la bocca era il quarto e via di questo passo. Gli altri nani aspettavano pazientemente il proprio turno masturbandosi vicendevolmente.
Ad HarilessNeve non venne concesso un attimo di tregua: giusto il tempo di prendere fiato per non morire soffocato… Il suo buco era ormai dilatato all’inverosimile a causa dei calibri accolti ed era rosso come una mela. Le mascelle cominciarono a dolergli a furia di spompinare cazzi. I nani lo compresero e, ancora una volta, posero rimedio alla situazione: a turno, alcuni lo penetrarono e, con pochi, decisi colpi, gli sborrarono nel culo. Gli altri preferirono invece continuare a scopargli la bocca allo stesso modo. Le sole cose che gl’impedirono, furono di rilasciare lo sfintere fino a che l’ultimo di loro non si fosse svuotato e di aprire la bocca fino a che non avesse deglutito l’ultima goccia del denso e caldo liquido che gl’inondava il palato.
A cose fatte lo liberarono. HairlessNeve si sedette allora sui lettini massaggiandosi le natiche bagnate e le mascelle.
- CONTINUA -
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