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Gay & Bisex

Una botola per Paolo


di Honeymark
05.07.2015    |    10.171    |    3 8.7
"Ci disse che il viaggio doveva continuare e che la prossima tappa era Pattaya..."
Questo racconto è stato scritto per Paolo, di Bologna.
Gli era piaciuto il racconto «Una frusta per Giò» e si era offerto di mettersi al posto della bellissima donna frustata.
Detto fatto, ecco il racconto con la sostituzione di persona.
Ricordo ai lettori che è un racconto sadomaso.

Una Botola per Paolo

Io e mia moglie Marika eravamo in vacanza a Bangkok, quando accadde un fatto increscioso a un nostro collega di viaggio. Si chiamava Paolo, era di Bologna ed era un po’ timido. Si era confidato con mia moglie e lei aveva intuito che gli piacevano gli uomini e che avesse preferenze sadomaso passive, cioè maso. Nulla da ridire, i gusti sono gusti e, dato che legava solo con lei, stava sempre con noi.
Ma poiché la fortuna è cieca mentre la sfiga ci vede benissimo, si andò a ficcare in un vero e proprio guaio.
Aveva preso un’auto a noleggio dio sa per far cosa e, ignaro forse che in Thailandia si viaggia sulla sinistra, al primo incrocio combinò l’incidente dell’anno: 15 automobili fracassate di cui quattro taxi in attesa di clienti, cinque motociclisti buttati a terra (al ritorno lo avremmo chiamato scherzosamente «motociclasta» storpiando il significato della parola), tre negozi sfondati e un vigile addetto al traffico buttato con le gambe in su.
Insomma lo hanno arrestato. Poi hanno chiesto al nostro gruppo se c’era qualche amico disposto d andare a parlare con le autorità che lo detenevano, ma solo io e mia moglie fummo disposti ad andare a vedere cosa potevamo fare.
- E’ stato processato per direttissima – ci hanno detto. - ed è stata condannato alla botola.
- In cosa consiste?
- Vede, il vostro amico ha fatto solo danni. Ed è assicurato. Per cui una piccola detenzione o una forte multa non servirebbero a nulla. Invece una punizione corporale, come si usa da noi, farà benissimo.
- D’accordo, ma in cosa consiste?
- Vi abbiano chiamato perché il giudice ha decretato che la pena venga scandita da un’amica del condannato e che alla punizione partecipi un amico.
- Si spieghi, per favore. Cos’è che dovremmo fare?
- In pratica - spiegò, - se accettate, la signora starà al piano di sopra e, guardando in faccia il condannato, ordinerà a chi sta al piano di sotto, cosa devono frgli.
- Piano di sopra? Di sotto?
- Sì, il condannato viene infilato in una botola in modo che rimangano fuori solo la testa e le braccia. Il corpo lo vedono solo gli aguzzini che stanno al piano di sotto e devono applicare la pena dettata dalla testimone giudiziale. La sua signora in questo caso.
- Non dovrà mica mia moglie a decidere la pena, spero… - Commentai.
- No, c’è una scaletta massima di 40 interventi successivi previsti dalla legge e il giudice stabilisce quanti step debba subire.
- E il povero Paolo, quanti se ne è guadagnati?
- Venti.
- Ossignore, la metà…
- Beh, non ha fatto quel che si dice un… graffietto a un’automobile.

Quella sera ci presentammo tutti due alle ore 20 alla casa di pena Day Punishment Depoh.
“Tutto in un giorno”, recitava spudoratamente lo slogan del carcere. Come un “day hospital” al contrario.
Mostrammo i documenti, guardarono negli elenchi, dopodiché portarono Mia moglie Marika da una parte e me con altra gente da un’altra.
Ci portarono in un’anticamera, dove ci controllarono col metal detector e poi ci fecero passare in una stanza buia dove eravamo soli, in quattro. Chiusa la porta, ci vennero a prendere due valletti, un ragazzo e una ragazza sui vent’anni. Entrambi thailandesi, a torso nudo, vestivano come schiavi orientali abiti trasparenti, mostrando quasi tutto.
- Ci trattano con i guanti… - Dissi a un collega.
- Rappresentiamo il braccio duro della legge.
- Ostia…

Intanto Marika era stata accompagnata nella sala della botola. C’erano una decina di sedie, cinque a destra e cinque a sinistra, ma il suo posto era centrale, davanti a tutti. Lei, “esecutrice di pena”, aveva anche un tavolino, sul quale appoggiò i fogli che le avevano dato. Aveva anche un microfono per dare le disposizioni al piano di sotto e un piccolo monitor solo per lei, in modo che potesse seguire cosa accadeva dove non vedeva.
Due metri più avanti della postazione di Marika c’era una botola, chiusa.

Noi invece eravamo entrati in una grande sala, con una pedana quadrata nel mezzo e otto sedie a due metri di distanza dalla pedana. In una parete c’erano degli scaffali con degli strumenti che non volli guardare.
Sopra la pedana, una botola, chiusa.
- Manca poco, - ci disse il valletto. – Mettetevi comodi.
Eravamo in tutto in quattro, oltre ai due valletti, anche se i posti erano otto. In quel caso due donne e due uomini.
Ci eravamo appena seduti, quando si avviò una musica di sottofondo, dopodiché una registrazione ci dava il benvenuto e ci invitava a fare quello che ci veniva dettato dall’alto. Ci ringraziavano nel nome dello Stato per il servizio che avremmo reso al Paese.

Sopra avvisarono Marika che sarebbe entrato il condannato e le chiesero se aveva qualche dubbio.
- No, - rispose. - Credo di aver capito.
- Mi raccomando, - precisò il carceriere. - deve leggere ad alta voce al microfono la pena che il condannato deve subire. Step by step. Deve capirlo il condannato, ma devono capirlo anche gli operatori al piano di sotto, i quali partiranno quando lei darà il via.
- Chiaro, grazie.
Prima fecero entrare il pubblico, formato da gente del posto.
Poi introdussero Paolo, che era pallido come un lenzuolo. Indossava una specie di camicia da notte gialla, larga e lunga fino ai piedi. Non era legato, ma accompagnata da due omaccioni in divisa.
Marika e Paolo si guardarono in faccia, sapendo che non avrebbero potuto rivolgersi la parola.
Lo tennero in piedi dietro alla botola, mentre Marika gli leggeva la condanna con una certa emozione. Il testo non scendeva nei dettagli, ma precisava solo che ci sarebbero stati 20 gradi di punizione.
- Step Numero Uno! – Disse Marika ad alta voce davanti al microfono. – Si apra la botola.
Noi al piano di sotto avevamo sentito tutto e alzammo gli occhi al soffitto, che sarà stato alto due metri e mezzo, forse meno. Non troppo basso per un’abitazione, ma non certo alto per una sala così grande.
Sentimmo rumore e vedemmo scendere dal soffitto la luce della sala superiore: avevano aperto la botola.
- Step numero due! – Disse a voce alta Marika. – Il condannato sia introdotto nella botola.
I due robusti poliziotti presero Mirco per le braccia, lo sollevarono di peso e lo portarono alla botola. Poi, con calma ma con navigata precisione, gli infilarono i piedi nella botola e poi lo fecero scendere fino alle braccia. La botola non era un semplice buco sul pavimento, ma fatta apposta per quello scopo. Quando l’avevano aperta avevano sistemato delle imbottiture su in modo che potesse restare appoggiato alle braccia a lungo senza soffrire troppo. La pena doveva essere più umiliante che punitiva.
Noi, da sotto, vedemmo entrare il corpo fino alle braccia di un giovane uomo nudo.
Restammo tutti senza fiato col viso all’insù, affascinati sia gli uomini che le donne. Pare impossibile, ma la visone di un uomo nudo, sapendo che era a nostra disposizione senza che potesse vederci, era comunque qualcosa di arrapante in tutti i luoghi, in tutti i sessi e in tutti i tempi.
La dominazione è proprio trasversale.
- Se fosse stata una donna, - mi spiegò la ragazzina di servizio, - l’avrebbero fatta scendere con mutandine, calze e reggicalze, lasciando che foste voi a denudarla.
- In effetti, - dissi pensandoci - deve essere uno spettacolo!
- Infatti – sorrise maliziosa. – Ma anche sosì… Lo guardi.
Sapevo che a anche Marika che vedeva il piano di sotto con una telecamera collegata al suo piccolo monitor.
- Step numero tre, - disse ancora Marika. – Gli operatori possono socializzare con il condannato. Possono toccarlo, pizzicarlo, palparlo.
Dalla voce, Marika sembrava eccitata, ma sarebbe piaciuto anche a me vedere la faccia di Paolo, senza che lui potesse vederci. Avrebbero dovuto mettere un monitor grande anche per noi al piano di sotto…
Ma la sua reazione la immaginammo non appena qualcuno di noi iniziò ad accarezzarlo e poi a palparlo. Dapprima sembrava volesse lasciarci fare, ma di fronte alla indiscrezione delle nostre mani e le nostre dita scalciava come un cavallo, tanto che i due inservienti, abituati anche a questo, presero il disgraziato per le caviglie e gli tennero le gambe ferme. Uno di noi lo pizzicò violentemente al culo, le due donne gli palparono l’uccello (era moscio), poi i due uomini cominciarono a palpargli le cosce a salire, seguiti poi anche da noi.
Accarezzai e palpai a lungo la base interna del culo, che è la parte che mi piace di più nelle donne. Ma, anche se era un maschio, la rotondità delle sue natiche era davvero invitante e non riuscivo evitare di tenerlo per il culo a piene mani.
- Step quattro. – pronunciò Marika con voce leggermente alterata dall’eccitazione. – Vengano allargate le gambe per le caviglie in modo che gli operanti le possano vedere sesso e ano.
Immaginammo cose avesse dovuto provare il giovane sotto tortura a sentirsi dire una cosa del genere. I due valletti andarono a legarle a ognuna delle caviglie un elastico di quelli che si usano per i portapacchi delle auto. Poi andarono a fissarli in due anelli posti ai lati della pedana. In questa maniera le gambe venivano tenute larghe senza forzare troppo. Infatti, Paolo poteva tenere le gambe strette, ma alla lunga non ce la faceva e doveva lasciarle andare e mostrarci tutto. Fantastico, le avevano proprio studiate tutte…
- Step numero cinque, - disse, dopo aver calcolato il tempo necessario. - gli operanti possono toccare il sottoposto nelle intimità e divertirsi come credono.
Ci buttammo sul poverino e io cercai subito il buco del culo, mentre le due donne si misero a lavorargli l’uccello. Era evidente che lo volevano vedere rizzato e lui temette proprio l’erezione cominciando a dimenarsi per la vergogna. Riusciva a muovere le gambe, ma poi doveva lasciarle allargare alla nostra mercé. Una scena che avrebbe fatto resuscitare l’uccello di un gay morto.
Pian piano si lasciò sopraffare dalla necessità di sopravvivere e potemmo goderci le palpate in tutta serenità. Le due donne riuscirono così a farglielo andare in erezione e cominciarono a masturbarlo stando attente a non farlo venire.
- Gli step numero 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 sono disposizione degli operanti, che potranno frustarlo due volte a testa con il gatto a nove code. Un colpo sul culo e una sul pene.
Stavolta i valletti dovettero organizzarci, altrimenti avremmo fatto casino. Ci diedero un gatto a nove code a testa, poi il ragazzino ci fece vedere come dovevamo colpirlo. Il ragazzo si inginocchiò per poter dare un gran passante col gatto al culo del povero Paolo. Sentimmo l’urlo soffocato al piano di sopra e vedemmo le natiche sbattere come per scrollarsi di dosso il colpo ricevuto.
- Non cominciate prima che io dia l’ordine, - disse Marika dall’altoparlante. – I colpi vanno contati e contabilizzati.
Il ragazzino prese il microfono, che non avevo notato, poi disse al piano i sopra che era un colpo fuori dal conteggio.
- E’ solo per mostrare come devono fare, signora. – Disse lui. – Ne dovrà ricevere un altro davanti da parte della mia collega, dopodiché può riprendere la conta.
- Capisco, - rispose Marika dall’altoparlante. – Fate il vostro lavoro.
Intanto la ragazzina si era già portata davanti all’uomo pendente col cazzo all’insù. Quando il collega le fece cenno di sì con la testa, caricò il braccio e diede un passante di gatto sul cazzo di Paolo, che per fortuna – appunto - era in erezione.
Sentimmo il lamento e ci gustammo le sforbiciate che dava con le gambe tenute larghe dagli elastici.
- Ora può cominciare la conta, signora. - Disse il ragazzino al microfono. – Quaggiù siamo pronti.
- Il primo vada in postazione. – Ordinò Marika.
Una donna si portò davanti senza chiedere a nessuno, ma nessuno obiettò. Il valletto la sistemò al posto giusto e poi si allontanò.
- Via! – Era l’ordine dall’altoparlante.
Lorenza caricò la frusta e colpì anche il cazzo con un passante magistrale che riecheggiò nella sala.
- Ahhhhhh! – Era l’urlo della vittima che arrivava a noi ovattato.
Io vidi il culo sobbalzare. Le natiche sbattevano come se volessero applaudire il gatto a nove code che lo aveva punito. Sforbiciò nuovamente le gambe, per poi tornare sopito a mostrare tutto. L’uccello non dava segni di afflosciamento. Al bastardo piaceva… La donna ripeté la frustatona tra le natiche e il rumore fu davvero agghiacciante al punto giusto.
La donna, quasi alterata dall’eccitazione, passò il gatto a me. Andai dove mi disse il valletto e con un certo cerimoniale diedi una sana palpata al culo, che scottava. Quindi mi misi in posa e colpii anch’io il culo con un passante poderoso. La reazione che ebbe fu fantastica. Anzitutto stavolta sentii chiaro il suo urlo, ma poi lo vidi sforbiciare le gambe come impazzito. Sperai di non averlo rovinato, ma mi avevano assicurato che in 24 ore sarebbe tornato normale. Mi portai davanti e, con un certo timore, gli colpii il cazzo vergognosamente in piena erezione. Provai una sensazione di potere vergognosa.
- Si proceda! – Gridò Marika dall’altoparlante con la voce alterata dall’eccitazione. – Avanti!
Toccò al maschio, che sembrava volersi vendicare perché lo colpì a due mani, guardando poi noi come per attendersi gli applausi. L’altro urlava e piangeva, ma l’erezione resisteva.
Per finire toccò alla seconda donna, che – visibilmente eccitata anche lei – andò prima a strofinargli il gatto per poi colpirlo con gioia malvagia da entrambe le parti. E’ così che si fa.

Mi domandai se fosse finito, ma dal conteggio mancavano ancora degli step… Cosa avrebbero escogitato?
- Step numero 13 – Tuonò Marika nel pieno dei suoi poteri. – Il condannato sia sodomizzato con un cero.
Ebbi l’impressione che Marika avesse pronunciato la frase con un malcelato piacere sadico.
La ragazzina portò il cero su un vassoio e lo diede al suo collega. Il quale lo bagnò con una spugnetta intrisa d’acqua.
- Acqua? – Osservai. – Ma non scivola abbastanza!
- Vero, ma se usiamo il lubrificante poi gli esce.
- Ha ragione.
Guardai il culo - giocoforza disponibile - di Paolo e provai un senso vergognoso di piacere sordido generato dall’idea che l’amico sarebbe stato sodomizzato davanti a noi…
E’ questo il piacere del sadico. Io non ho mai fatto nulla di sadomaso senza il consenso della sottoposta, mentre adesso mi trovavo ad assistervi nel vero senso del significato. Mi domandai se fosse etico provare quel senso di piacere e giunsi alla conclusione che se ero fatto così non era colpa mia. Quindi mi assolsi con magnanimità e mi misi in modo da potermi godere la scena.
La inserviente impugnò l’uccello di Paolo per tenerlo fermo, mentre il suo collega, dopo aver bagnato con l’acqua il cero, si apprestava a infilarglielo. Tenuto per il cazzo, Paolo rimase buono come un cagnolino, lasciando che l’altro gli introducesse la punta. Non fu una cosa facile, perché il diametro alla fine del cono della punta sarà stato di quattro centimetri. Ma il ragazzo ci sapeva fare e piano piano gli allargò il buco del culo fino a fargli contenere la punta intera. Ovviamente al pendente sembrava di essere impalato e rimase ancora grottescamente fermo, impalato come si dice, domandandosi quanto gli sarebbe dovuto entrare. Ma non dovette pensarci molto.
Il ragazzo infatti aveva preso un mazzuolo di legno, l’aveva portato alla base del cero appena introdotto e, con particolare abilità, diede un primo colpo al cero. Paolo sobbalzò, ma il cero era entrato per 5 centimetri senza far danni. Cominciò a scalciare sconciamente, e verosimilmente a urlare al piano di sopra, finché non ricevette un secondo colpo di mazza che lo fece entrare di altri 5 centimetri. Stavolta l’urlo lo sentimmo anche noi, sia pure filtrato, e cercò di allargare di più le gambe, come per sopportare meglio il palo introdotto. Il valletto diede un ultimo colpo e poi ripose il mazzuolo. Dapprima le natiche del poveretto si misero a tremare come se volessero mangiare il cero, poi cominciò a sbatterle, come se volessero applaudire la riuscita della punizione.
- Step 14 – tuonò mia moglie dall’alto. – Sia acceso il cero.
Non fu un’operazione da poco, perché la punta con lo stoppino era dentro e i due ragazzi dovettero lavorare non poco per recuperarlo dalla base dopo i colpi dati. Poi, finalmente, riuscirono ad accenderlo.
- Pausa caffè. – Disse inaspettatamente Marika dall’altoparlante.
- Che significa? – Chiesi al ragazzino.
- E’ passato il tempo massimo per cui uno resiste penzoloni alla botola. Dopodiché va fatto riposare. Ma già che ci siamo riposiamo anche noi.
Andarono a una consolle e avviarono il meccanismo che alzava la pedana. Dopo una cinquantina di centimetri il disgraziato pendente riuscì ad appoggiare i piedi. Ma il cero non lo spensero, per cui doveva muoversi facendo attenzione a non bruciarsi. Insomma, per lui era un riposo precario e doloroso.
Ci portarono dei caffè e qualche dolcetto secco. Bevemmo serenamente mentre l’altro porgeva il culo indietro salterellando per non bruciarsi.
- Che succede adesso? – Chiesi al giovane inserviente.
- Ci sono gli ultimi stadi, quelli che contano di più. E quelli che vi divertono di più.
- In cosa consistono?
- Ultima fase, - tuonò mia moglie dall’alto. – Pausa finita, si rimetta il condannato in posizione.
Il ragazzo andò alla consolle e riportò la pedana all’altezza iniziale. Gli elastici tennero nuovamente le gambe allargate, il cero illuminava il culo di Paolo come se fosse una lucciolona.
- Che facciamo adesso?
Il ragazzo fece cenno al piano superiore. E difatti arrivarono subito le nuove direttive.
- Totale altri 5 step, - disse Marika, - a conclusione della punizione. Un colpo di mazza a testa, seguendo le istruzioni degli assistenti.
L’amico condannato si dimenò, avendo compreso prima di noi cosa sarebbe stato il colpo di mazza. Quello che non avevo capito era perché 5 step se eravamo in quattro. Ma quello che mi avrebbe meravigliato di più erano le “istruzioni” degli assistenti che avremmo dovuto seguire. Il quinto colpo di mazza infatti era dato da loro. E in una maniera che mi lasciò allibito.
La ragazzina inserviente andò davanti al condannato e iniziò a lavorargli il cazzo. La scena era di un erotismo unico. Si provi a pensare di vedere un uomo nudo che pende da una botola del soffitto, con le gambe tenute morbidamente allargate da due elastici rossi, un cero di notevoli dimensioni che gli sporge dal culo e una ragazza sui vent’anni che, a torso nudo, gli lavora l’uccello.
Prima lo ha passato con una morbida spugnetta, così si è messo in buona erezione. Poi gli ha abbassato il prepuzio, lo ha guardato da vicino e infine se lo è infilato dolcemente in bocca fino a farlo scomparire. Solo le palle erano rimaste fuori.
Noi stavamo guardando lei, quando l’altro ragazzino sui vent’anni ci chiamò per farci vedere cosa avremmo dovuto fare.
Prese in mano la mazza e diede un colpo formidabile verso l’alto alla base del cero.
L’uomo sobbalzò violentemente e le ragazzina venne penetrata col cazzo in maniera decisamente profonda.
Noi eravamo rimasti a bocca aperta, mentre dall’alto si udivano scendere urla strazianti del povero disgraziato.
La ragazzina si sfilò il cazzo dalla bocca e ci sorrise.
Il ragazzino ci spiegò che la cosa non faceva danni.
- Il cero è trattenuto nel retto da almeno 10 minuti, quindi si modella secondo la curvatura del retto, - disse. – Lui ha l’impressione di essere sfondato, ma in realtà è solo un’impressione.
- E l’uccello in bocca?
- Una commissione ha stabilito che deve essere tenuto in bocca perché così non ha contraccolpi.
- Ma la ragazzina che lo tiene…
- …Prova una sensazione fantastica, - disse sorridendo, come se lo avesse già provato anche lui.
La ragazzina ci sorrise maliziosamente annuendo.
- E dato che adesso lo farete anche voi…
- Cosa, il colpo di mazza?
- Sì. Ognuino di voi deve dargli un forte colpo di mazza e ognuno di voi dovrà tenerlo in bocca come ha fatto la mia collega.
- Che cosa? – Esclamai. – Voi siete pazzi, io non accetterò mai di prendere…
- Guardi che l’ha accettato per iscritto. Se non accetta dovrà essere sottoposto anche lei alla pena della botola, sia pure per una sola decina di step.
- Oh miodio…
- Forza, mettetevi al lavoro. – Disse il ragazzo mostrando la mazza di legno. - Chi vuole cominciare?
- Io, - disse l’altro uomo che era con noi.
Prese la mazza e si portò al culo del condannato.
- Chi glielo prende in bocca? – Chiese con soddisfazione-
- Io, - disse una delle due donne.
La quale si portò al cazzo i Paolo, che era sempre in erezione, lo studiò con avidità, gli scoprì anche il prepuzio, si infilò il glande e poi – golosamente – lo prese del tutto in bocca.
- Via! – Disse il ragazzo di servizio.
L’uomo con la mazza in mano diede un gran colpo in su.
Stooockkk!
- Mmmmmm…
Stavolta non era stata la vittima a mugugnare, ma la ragazza che aveva il cazzo in bocca. Era stata quasi sbalzata indietro.
Si sfilò se ci guardò con uno sguardo estasiato.
- Incredibile, - disse, leccandosi i baffi. - Una sensazione imperdibile…! Sembrava che mi sfondasse e invece sono rintonata da una botta di cazzo. Fantastico.
- Allora adesso provo io! – disse l’altra ragazza.
Diedero a me la mazza, mentre la donna si sistemava davanti al cazzo di Paolo. Una volta preso in bocca, mi fece segno di dare la mazzata in su. Allora lo presi con una mano per il culo e con l’altra sbattei la mazza con forza sulla candela. L’uomo scrollò le gambe come se fosse stato sfondato, mentre la donna gettò indietro la testa lasciandosi uscire l’uccello di bocca. Tra un colpo e l’altro, il cero era entrato di oltre cinque centimetri.
Passai la mazza alla donna, mentre l’uomo si portava col cazzo alla bocca. La donna diede un colpo di mazza da maestri e l’uomo che teneva in bocca il cazzo di Paolo credette di morire.
- Che meraviglia! – Disse scrollando la testa. – Proprio una meraviglia!
Ora toccava a me prenderlo in bocca e confesso che ero davvero agitato. Non ho mai avuto contatti fisici con un uomo e l’ultima cosa che mi sarebbe passata per la testa era di prendere un cazzo in bocca.
La ragazzina mi passò la spugnetta intrisa di acqua calda. Scoprii anch’io il glande e lo bagnai per bene. Poi restituii la spugnetta e andai ad accarezzare il cazzo eretto di Paolo. Gli accarezzai gli inguini e le palle. Andai a sfiorare il cero che fuorusciva dal culo e questo mi diede forza. Riportai le mani all’uccello, abbassai di forza il prepuzio e mi portai con la bocca al glande. Aprii la bocca e me lo feci scivolare tra lingua e palato, poi feci segno alla mia compagna di colpirlo.
Badabaaan!
L’uccello mi scivolò in gola e automaticamente andai a tenermi per le natiche di Paolo che si dimenava come la rana di Pascal.
Subito dopo sentii le pulsazioni del cazzo andare in crescendo e capii che stava per venire. Non so perché, ma rimasi lì ad accoglierlo. Mi venne in bocca in quantità industriale. Ero come intontito e l’amarognolo del suo sperma mi aveva come ipnotizzato. Lo tenni in bocca finché non lo sentii sgonfiarsi e uscire da solo.
- Signori, la sentenza è stata eseguita, - disse il ragazzo, andando a sfilare gli elastici dalle caviglie dell’uomo. - Il condannato verrà riportato fuori dalla botola, ma se volete frustarlo con il gatto a nove code, potete farlo finché sarà a portata di frusta.
I tre colleghi ne approfittarono, presero il gatto a nove cose e cominciarono a colpirgli le natiche e l’uccello, mentre veniva sollevato. L’ultimo colpo fu della donna che lo colpì da davanti mentre si sfilava del tutto.

Quella sera tornammo in albergo e trovammo ad attenderci un funzionario dell’agenzia viaggi che aveva organizzato il nostro tour di gruppo. Ci disse che il viaggio doveva continuare e che la prossima tappa era Pattaya. Paolo però non era grado divenire e ci ha chiesto se potevamo stare con lui a Bangkok per il resto della vacanza, In cambio ci davano una suite per tre allo Sheraton, le visite alla città e i massaggi gratuiti tutti i giorni fino al ritorno del gruppo.
Accettammo e la sera dopo portarono Paolo con un’autolettiga all’ingresso riservato dello Sherathon. Lo accompagnammo nella suite che ci avevano riservato, con tanto di salotto, bar e sala da pranzo, due camere e due bagni. Ci sistemammo e ci portammo in salotto.
- Mi spiace avervi rovinato la vacanza, - ci disse Paolo, che sembrava stesse piuttosto bene, nonostante tutto.
- Ah, non parliamone neanche.
- Ti ringrazio per aver accettato di fare tu l’esecutrice di pena, - Aggiunse a mia moglie.
- E’ stato un piacere.
- Tu eri al piano di sotto, vero?
Annuii.
- Non ricordo bene tutto, - disse. - Voi potete riassumere cosa mi è accaduto?
- Te lo possiamo mostrare, - disse mia moglie, meravigliando anche me. – Mi hanno dato un filmato. Adesso ordiniamo la cena e poi ce lo guardiamo, OK?
L’indomani decidemmo di passare la giornata nel reparto salute dell’Hotel, massaggi e quant’altro. Paolo era diventato nostro amico e, volendo, il nostro schiavo, sessualmente parlando. La performance che avevamo visto insieme nel filmato ci aveva legati particolarmente.
Il massaggio nella jakuzzi per tre fu una cosa sublime. Dopo esserci lasciati andare tra le bollicine, vennero tre massaggiatrici che ci misero delle assi dietro la schiena, ci insaponarono e ci strofinarono con i loro corpi. Poi ci risciacquarono e ci fecero uscire per sistemarci su tre brandine da massaggi. Mia moglie in mezzo e due massaggiatrici a testa. Alla fine ci chiesero se volevamo il servizio con la lingua e mia moglie rispose di sì.
- Tre maschi, prego – Precisò.
- Tre maschi? – Chiese conferma la bella thai.
- Esatto.
Ci mandarono tre bei maschi orientali, che prima ci leccarono delicatamente il buco del culo e infine ci girarono per farci venire. Un’esperienza che senza mia moglie non avrei mai fatto.
- Domani tre donne, - promise mentre salivamo in camera, dove di avrebbero portato il pranzo.
Annuì felice anche Paolo.
- Ora però voglio provare quello che hai provato tu con lui, - mi disse Marika.
- Cioè?
- Gli metti un cero nel culo e gli dai mazzate fino a farlo venire nella mia bocca.
- Marika, forse è meglio che aspettiamo domani. Deve essere ancora dolorante…
- A me va benissimo anche stasera, - disse invece Paolo.
Ci procurammo il cero da impalamento e la mazza di legno, così dopo cena lo sodomizzai con la candelona e attendemmo che la cera venisse modellata dal calore del retto. Lo avevo tenuto sdraiato nel suo letto col cero inserito e mia moglie volle farsi un selfie con il culo violato.
Dopo un quarto d’ora lo feci alzare, gli legai le mani dietro la schiena e lo portai a spasso per la suite con una corda al collo. Era tanto per modellare meglio il cero. La cosa non gli dispiaceva perché aveva una mezza erezione.
Poi lo fermai in centro al salotto e dissi a mia moglie di inginocchiarsi e prendergli in bocca il cazzo. Lei gli allargò un po’ le gambe, poi gli accarezzò culo e palle. Quando l’erezione fu al massimo, scoprì il grande e se lo infilò in bocca. A quel punto presi la mazza e diedi un primo colpo al cero. Entrambi sobbalzarono. Diedi un secondo, poi un terzo colpo. Al quarto mi accorsi che lui stava venendo. Diedi ancora un colpo e lui pompò come una vaporiera lo sperma in bocca a mia moglie, la quale - inebriata – se lo lasciò versare lasciandosi andare nel più libero degli orgasmi spontanei.

Quando tornammo in Italia, restammo amici e, nei limiti della distanza che ci divideva, diventammo amanti. Ci amavamo e ci piaceva il sadomaso con il reciproco riversamento finale del nostro sperma.


FINE



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