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incesto

4a p...i due promiscui amanti


di sexitraumer
12.01.2009    |    27.338    |    0 7.5
"Olivina, da donna pratica, pensava a ben altro..."
Il giovane barone Edoardo aveva potuto sverginarsi alla fine. Poté scoparsi nientemeno che Donna Ester, colei di cui aveva avuto un ovvio qual timore reverenziale in passato, e con cui aveva dovuto mantenere certe distanze persino l’anno prima. Quelle distanze erano state annullate dalla sorprendente disponibilità di Donna Ester nel bel mezzo di una baronal manovella...ma Edoardo, che adesso cominciava ad aver le idee più chiare su come, o perché si prende una donna, desiderava di più. Sapeva che una donna si poteva prenderla anche da dietro; non solo per godersene il sesso da una posizione meno usuale ma egualmente pratica; Edoardo per istinto immaginava gusto che si poteva provare a trovarsi il pisello grosso e duro piacevolmente incastrato nel secondo buchino delle donne. Un ingresso che indipendentemente dall’accoglienza che poteva dare andava per lo meno esplorato, poi preso, e trafitto col proprio spadone carnale; se ostacolava un po’ tanto meglio! La cosa sarebbe stata solo più eccitante...Edoardo aveva scoperto il piacere della dominazione di una donna sottomessa al proprio piacere. Nemmeno lontanamente immaginava che non aveva sottomesso nessuna; tantomeno Donna Ester. Era stata lei a concedersi graziosamente a lui, l’ormai non più sbarbatello erede della baronia ...tempo prima era stata scopata dal signor barone oggi vecchio, ma non ancora cadente... il saggio di un pisello giovane non poteva non gradirlo. Lo sperma di quel ragazzo era stato per lei, sua ex governante, un piccolo souvenir. Edoardo però non le aveva nascosto che avrebbe voluto anche il suo culo. Restava da decidere il come e il quando, e per assicurarsi una serena vecchiaia nel castello, gli avrebbe dato anche quello. Il calcolo di Donna Ester, quella altera governante che nemmeno il prestante messer Vezio osava corteggiare troppo da vicino, era stato semplice: farsi piacevolmente ricordare dal baroncino adesso sarebbe stato un investimento per i successivi sette-dieci anni in cui di corteggiatori non avrebbe potuto trovarne più; tuttavia sarebbe rimasta al castello del futuro barone Edoardo per soddisfare ogni sua più perversa voglia che non avrebbe potuto praticare con la futura consorte. Nemmeno la sua piacevole e curata vagina, ormai non più giovane, era più molto elastica; tuttavia quest’ultimo particolare non era detto che il giovane baroncino lo sapesse valutare; Donna Ester quando seppe cosa fare con il suo corpo e la sua fica prese ad averne la massima cura. Praticamente era una delle poche donne del palazzo a lavarsela, anzi a lavarsi regolarmente. Edoardo da parte sua considerava suo diritto spiare qualunque donna del palazzo baronale, con l’eccezione di sua madre e delle sue sorelle. Circa queste ultime la madre si era raccomandata con Donna Ester; non si era affatto sicuri che Edoardo nell’età post puberale le avrebbe lasciate stare. Certo non pensava minimamente a far loro violenza conscio della sorveglianza su di loro. Alle undici del mattino Donna Ester aveva appena terminato di far compagnia alla baronessa che era uscita insieme al marito lasciandole le figlie da guardare, e mentre camminava nel salotto imboccando porte e corridoi reggendosi la gonna, Edoardo nascosto dietro una pianta le aveva teso un innocente agguato: furbamente aveva preso un foglio di carta pergamena, e dopo averlo arrotolato e trattenuto la chiusura con un nastrino di seta rossa, lo aveva lasciato in terra dove Donna Ester lo avrebbe sicuramente trovato. L’intelligenza in crescita del giovane Edoardo gli aveva fatto intuire che il potere di Donna Ester era basato anche sulla capacità di essere informata; e chi poteva informarsi meglio di un’impicciona che sapeva leggere? Del resto Donna Ester s’impicciava di tutto...quella donna, benché di bassa statura, manteneva una postura ben eretta e le sue forme procaci la rendevano una femmina desiderabile. I suoi capelli castani impeccabilmente pettinati e composti facevano sfigurare la madre del baroncino. Vedendo il foglio a terra la donna si fermò e si chinò per raccoglierlo; non aveva ancora rialzato la schiena che si sentì palpeggiata la natica destra da una mano spuntata chissà da dove... già! Chissà da dove...decise sul momento di ignorare quei tocchi intuendo da chi provenissero. Tanto lo sapeva benissimo. Prese a guardare meglio quel foglio che, dopo averlo aperto srotolandolo, si avvide che non conteneva niente di scritto. Tuttavia Donna Ester non era una sprovveduta. Sapeva che si poteva scrivere anche con il limone. In apparenza la pergamena sarebbe rimasta bianca o meglio giallo pallido; tuttavia avvicinando il foglio ad un candelabro le cui candele fossero acceso ad esempio, le scritte sarebbero comparse senz’altro. Il palpeggiamento continuava, e la donna continuava ad ignorarlo, nonostante ora sentisse che la mano del barone erede cercasse più in profondità. Si mosse risoluta, e raggiunto rapidamente un candelabro acceso vi avvicinò la pergamena sperando di veder comparire chissà quali segreti della baronia. Edoardo e la sua mano impertinente erano stati bellamente ignorati. Nel foglio predisposto da Edoardo non vi era scritto alcunché. Dopo averlo ri-arrotolato se lo mise dentro il seno, e finalmente voltandosi vide il giovane ex baroncino che la guardava. Nel salutarlo gli fece, cosa per lui ancora nuova, un’aggraziata ancorché rapida riverenza. Neanche a dirlo Edoardo ne approfittò per un fugace sguardo allo spacco del seno. La donna esordì ferma e decisa:
“Dato che mi ero accorta della vostra presenza in cosa posso servirvi Vostra grazia?”
“...”
“Barone Edoardo difettate ancora della favella forse?...non sarebbe la prima volta...”
“...no...io...”
“Allora se per voi va bene avrei da fare...posso congedarmi da vostra grazia?”
“No. Rimanete...”
Edoardo si mosse, andò dietro di lei, e presi i fianchi alla donna cominciò a sbattere il proprio bacino contro l’importante culo della governante, che riceveva quegli interessati colpi al suo bacino con indifferenza. In realtà il bozzo dai pantaloni di Edoardo aveva ancora a crescere. E onde farselo crescere il baroncino poco meno alto di Donna Ester continuava a sbattervi contro fino ad affannare. Era il momento che Donna Ester intervenisse nella cosa:
“Vostra grazia che foga che avete!... Gradite prendermi qui? ...Ora?”
“Sì signora! Qui, ahnnnffff... ora! Voglio...non so come dirlo,...ecco mettervelo nel culo...uh!...uh!...uh!”
“Capisco Vostra grazia!...Ehm...sentite niente Vostra grazia?”
“No...ahnnn,....ancor no...ma che culo abbondante avete signora!”
“Oh grazie! Ma finché vi tenete le braghe come pensate di prendermi?...se non mi alzate la gonna su cosa sbattete?”
Edoardo smise di sbattere ed ebbe l’idea di alzare la gonna alla donna e messosi sotto di essa iniziò a cercare a naso il culo della sua un tempo governante. Donna Ester non portava mutande. Lo sapeva poiché usava spiarla da mesi; e questa donna da parte sua fingeva di non saperlo. Sentito sulle guance il calore di quelle abbondanti natiche cominciò ad appiccicarvi il proprio viso baciandole con rapidità. All’improvviso aveva preso a leccare le natiche dappertutto forsennatamente. Donna Ester non aveva né ristretto né allargato le gambe, e si godeva quella lingua affamata con femminea malizia. Essendoci per terra un tappeto pensò di inginocchiarsi portandosi dietro Edoardo che gradì il cambio di posizione continuando a leccare senza emergere dall’ampia gonna di lei. C’era qualcosa che doveva ricordarsi, ma non ricordava cosa e non gliene importava granché in quei piacevoli momenti. La sua lingua aveva preso coraggio verso gli ovvi sapori che avrebbe potuto incontrare, e stava stimolando la donna proprio nell’ano ampiamente inumidito dalla saliva colante abbondantemente dalla bocca dell’ometto. Innamorato di quel culo accogliente cominciò ad infilarci la lingua ed il naso alternativamente. Quel tondo culo che tante da volte da bambino lo aveva turbato oramai era incredibilmente suo. Il migliore dei balocchi. Caldo e morbido. Le natiche non potevano più definirsi vellutate però...certo era sempre un signor culo di una signora femmina di quel palazzo. Donna Ester si godeva l’interesse di lui per quella parte del suo corpo; compiaciuta di sentire la lingua calda e salivosa esplorarla ben bene. Al giovane maschietto il cazzo si era drizzato alla fine. Si abbassò le braghe aderenti di seta azzurra, e inginocchiato cercò il buco con la punta del pisellone avendo cura di scappellarlo, gesto per lui nuovo da un paio di anni almeno. La gonna di lei, benché ampia, lo disturbava alla testa quando cercava di erigersi per la congiunzione. Decise di uscire allo scoperto rivoltandogliela sulla schiena di lei. Ora avrebbero potuto vederlo tutti, con i gambali del vestito sgualciti sotto le proprie ginocchia. Nella frenesia di poter inculare quella donna non gliene importava un fico secco. Il discreto dardo di carne di Edoardo avrebbe colpito il piccolo quasi floreal bersaglio dal colore roseo di Donna Ester. C’era anche un po’ di pelo, ma la cosa non lo disturbava. L’esaltazione del barone erede era all’acme. Stava sperimentando un piccolo, e non di meno intrigante potere sulle donne. La sua cappella rossa si sfregò più volte contro l’ano della governante delle sue sorelle più piccole, la quale aspettava con i gomiti a terra di gemere per la trafittura del ragazzo che aveva educato ferreamente anni prima da bambino. Ora si augurava che il ferro quel ragazzo lo avesse almeno per un po’ nel pisello. La durezza permaneva, come pure la propria tensione, alla radice delle baronali pallette. Ancora pochi istanti, e si sarebbe di nuovo congiunto con l’oggetto delle sue vecchie curiosità infantili. Diede un rapido sguardo all’ano della donna davanti a sé; valutò come, e fin dove, si apriva sostando una delle natiche con la mano sinistra. Ripeté più volte il giochetto dell’esplorazione esterna; in fondo lo divertiva. Quel pertugio era gradevole alla sua vista di maschio a cui l’erezione stava prendendo il posto del turbamento. Decise di provare ad entrare: con la destra reggeva il suo cazzo eretto accompagnando la spinta, e spingendo forte all’improvviso dovette indovinare l’angolo giusto tra il glande e l’ano di lei poiché entrò. I lobi della sua cappella vennero subito stretti dalle pareti dello sfintere roseo di Donna Ester. In due secondi la cappella del giovane Edoardo vi scomparve dentro. Tanto valeva continuare ad avanzare. Donna Ester rantolava. Troppo dolore non doveva averlo provato dato che il cazzone del figlio del barone non era poi così grosso...tra qualche anno però sarebbe stato molto diverso, e sodomizzare la sia pur pratica Donna Ester sarebbe stato tutt’altro che facile. Tuttavia per allora un’altra avrà preso il suo posto. Ora metà del cazzo del giovane Edoardo era dentro il tratto finale dell’intestino di Donna Ester. Non era caldo e scivoloso come la vagina di quella stessa donna che aveva potuto provare la precedente occasione. La cavità anale, scoprì, era tiepida, avvolgente, meglio se stretta; e tranne la voce di sofferenza della donna, non gli stava facendo provare molta soddisfazione. Donna Ester avendo intuito la morbosa curiosità del neo ometto per le curve posteriori delle donne aveva preso ad incoraggiarlo:
“Ahi!....ahnnnn, uh!....Ahnnnn, ahnnnn che male!....sì! Sì!....uhi! Dai che va bene! Però muovetevi dai!...”
“Come dite signora?...uhm!...ecco! Ah! Ah! ...uh!....mhmmmm,...eccolo! Dentro di voi signora!”
“Uh! Continuate a muovervi Vostra grazia! Non restate fermo! Se volete farmi godere bisogna che vi muoviate...uhnnnn, muovetevi!...Ahnnnn, ahi! Ahi! Com’è duro!...”
“Vi piace?...vero che vi piace?!...”
“Sì, mi piace! Mi piace, duro mi piace! Inculatemi ! Fatemi il culo Vostra grazia! Fatemelo tutto!”
Il culo o meglio l’ano ed il colon retto di Donna Ester sapevano il fatto loro. Il cazzo del giovincello restava duro, anche se non molto grosso. Duro e dritto dentro i visceri di colei che fu la sua educatrice. Ad ogni colpo sembrava che quel culo volesse tenerselo il cazzo di Edoardo. Lui, da parte sua quando sentiva la cappella sotto stretta si muoveva d’istinto di più. Il diametro non elevato del suo cazzo giocava a suo favore senza arrecare troppa sofferenza alla donna. Poté vedere con i suoi occhi il suo cazzo completamente ingoiato dai visceri di lei: un primo trionfo. Donna Ester volendolo poteva rivelarsi anche diabolica. Nella mente del giovin signore vi era un insoddisfatto desiderio di calore sul proprio glande, meglio se poteva percepirsi in punta, ma per quanto avanzasse con i suoi colpi di reni non riusciva a trarre granché piacere. Ciò lo metteva un po’ a disagio senza tuttavia che la cosa incidesse sull’erezione. In realtà a venir tratto, e all’interno in avanti, era il suo batacchio ancora duro, adeguatamente masturbato dagli intestini della confidente di sua madre la baronessa. Scoprì essere questo il piacere di inculare. Chissà che non ci fosse un recondito quanto banale desiderio di congiungersi con sua madre...tante erano le immagini di nudità che passavano davanti alla sua mente; però lo riportavano sempre alla bellezza di Donna Ester percepita e gradita fin da bambino.
“Non siete calda...uh! ...ahnnn! Che succede?...perché non vi riscaldate signora? Ahnnnn! Io sto battendo...uh!...uh!...ahn!”
“Se mi volete calda...uhhhhh! mi dovete amare tutta Vostra grazia! Prego ancora! Ahi! Che cazzo che avete!...ahn!...fatemi godere signorino! State andando bene...ahnnn!...uh! Continuate...la spada vi cresce bene signorino! Uhhhh! Continuate !”
“Continuate voi signora! Che stavate dicendo?...uh! Non vi sto amando forse?!...”
“Mi avete presa! Se volete amarmi dovete farlo con calma, con più calma, su di un letto...ahn!...mi dovete baciare, carezzare, e baciare ancora sì che il mio fiore lo potete amare...il culo lo potete solo prendere...uh!...E voi lo avete preso!”
“Volete che mi fermi e, ahnnnn!...che vi lecchi la fica signora?”
“Finite qui prima! Mi state piacendo! Ahnnn! Io voglio essere soddisfatta tutta...Vostra grazia datemi il seme!...sarò felice di riceverlo anche qui dentro...uhhhhh!...forza!...dentro così!”
Il giovane Edoardo continuò a dare colpi di reni contro quel culo che aveva sempre sognato di toccare. Sentì un po’ di prurito viaggiargli sulla cappella, e ciò gli fece aumentare la velocità. Una piccola acquosa calda parte del suo sperma cominciava ad uscire, ed a lambire le pareti del retto di Donna Ester. La scivolosità però si accorse che era sempre la stessa. Non era lo sperma vero e proprio, cremoso e appiccicoso; piuttosto un’acquetta neanche tanto lattiginosa che preannunciava ben altra invasione in quel canale. Partì per la carica finale deciso a lasciare la sborra dentro quel gentil colon. Cominciò a respirare con più veemenza; la mente di Edoardo stava salendo la parabola del suo orgasmo; l’acme era vicina. Strinse di più i fianchi a Donna Ester e lei capì che il signorino era vicino a sborrarle dentro. Chi li avesse potuti vedere in quel momento avrebbe visto un ragazzo non tanto alto, magro, con i capelli a caschetto biondini molto spettinato e sudato per la tensione ed in gran parte svestito contro una donna di mezz’età che aspettava tranquilla carponi sul tappeto con l’ampia gonna rivoltata verso la schiena ed il proprio culo all’altezza di lui per soddisfare i maschi istinti invasivi del giovane. Un ometto pescato dal popolo nemmeno se avesse messo da parte denaro per un anno avrebbe potuto avere cotanta cortigiana. Le zinne di Donna Ester uscirono dalla camicetta per pendere verso terra dove di tanto in tanto i carnosi capezzoli gonfi per l’eccitazione sfioravano il tappeto. Anche i cuscini sui fianchi della cortigiana erano evidenti, ma non antiestetici. Poteva ben darsi che il baroncino Edoardo stesse maturando una passione per le donne tonde o comunque abbondanti in certe regioni del corpo. Evidentemente scambiava l’abbondanza per accoglienza considerando quanta attrazione avesse per quel culo di Donna Ester che guardava come fosse un animale da matare. Doveva ben aprire le braccia per continuare a tenerlo a sé, anche se ci sarebbe rimasto comunque. Pregustava ed aspettava il momento in cui avrebbe vinto lui con i suoi affondi travasandoci il seme dentro senza che questo nuovo bianco carnale balocco potesse opporsi. Tuttavia Donna Ester era anche donna; ed in quei momenti cercava di chiudere gli occhi, forse per abitudine, onde cercare un po’ di intimità. Erano in un salone piuttosto ampio con luce diurna. Avrebbe potuto vederli chiunque... il giovin signore era fortunato dato che nessuno stava passando in quei momenti. La servitù era usa non contrariare Donna Ester pur non essendole sottoposta. Naturalmente fino a quando Donna Ester restava nelle grazie del Barone padre di Edoardo e padrone del palazzo. La verità era che chiunque li avesse visti o avrebbe girato sui tacchi, o vi sarebbe rimasto a far masturbazione, magari dietro un tenda: signori baroni esclusi ben inteso! Un impulso a tre o forse quattro onde partì all’improvviso dalla base delle palle dure di Edoardo, che credeva di averlo gestito anche contraendo e rilasciando lo sfintere: la prima onda aveva lasciato le palle facendogliele dolcemente rilassare e di nuovo ricontrarre; ed il giovane la percepì espandersi dentro l’asta avvolta dal retto di lei fino alla punta del glande, che investita da caldissimo, denso sperma, gli diede sollievo ed un piacere istantaneo. Era il culmine. Iniziava anche la liberazione emotiva. Seguirono altre ondate, poi rapidamente più piccole, ma sempre intime; rapide ondatine che fecero riversare nelle viscere di Donna Ester una discreta quantità di sborra dapprima calda, poi tiepida. Nel riempire il culo della ex governante Edoardo non provò una particolare esaltazione. Tuttavia era contento di non aver dovuto buttare fuori lo sperma. Quel bel culo era lì per lui solo. Poté caricare la donna che più gli piaceva, e vedersene custodito anche il seme. Non poteva lamentarsi della sua posizione nel palazzo. Sparato l’ultimo schizzetto si accasciò esausto lungo la schiena lasciandosi andare. Donna Ester si mise a terra garbatamente a pancia sotto, e piano piano fece scivolare via Edoardo dalla sua schiena. Voltatasi compì un gesto istintivo: vide il pisello rimpicciolito di Edoardo che da parte sua si godeva supino il sonno post orgasmico: lo prese in mano con delicatezza; lo riscappellò con i polpastrelli della sua mano destra con leggerezza e abilità, e vedendo che sulla piccola cappella e sul prepuzio del giovane erede si stava raggrumando sangue, forse di entrambi, cacca di lei, e sperma di lui richiamò della saliva sulla propria lingua e facendo scendere questa saliva sulla parte sporca del glande massaggiò col palmo della mano, dolcemente, per diversi secondi. Poi a mò di completamento, avendo già lavato via la maggioranza dello sporco, sciacquò il tutto prendendo quel glande nella propria bocca una decina di secondi. Insalivò e leccò via. Finito quel dolce atto di affetto per il ragazzo che aveva educato da bambino diede dei baci al pisello ed alle pallette e dopo un’ultima carezza al glande gli rialzò le braghe sistemandogli il pisello. Poi si rialzò anche lei e ricompostasi la gonna andò in cerca di un servo che a sua volta andò a chiamare il valletto di Edoardo: Pierluigi, il quale giunto nello stanzone lo sollevò di peso, se lo caricò, e lo portò sul letto nella sua stanza. Edoardo dormì ignaro di quanto si diceva di lui e Donna Ester. La voce era grave e Donna Ester una fior di ingenua...: sfortunatamente erano stati visti dalla signorina Federica, la sorella mezzana; la seconda dei figli del Barone. Una ragazzina di dieci anni vide da fuori la stanza il fratello più grande in atteggiamenti intimi con la loro governante. Neanche a dirlo la povera ingenua informò la baronessa sua madre al ritorno dicendo di aver visto il fratello fare cavallo a Donna Ester che aveva la gonna alzata e il culo tutto di fuori sul tappeto del salone piccolo. Fortunatamente il pisello eretto del fratello non era riuscita a vederlo mai non essendo abbastanza vicina. La baronessa, ovviamente sorpresa, da parte sua convocò Donna Ester presso di sé per i necessari chiarimenti sull’accaduto. La baronessa, donna di polso, non disdegnava il sesso trasgressivo essendo neppure lei stessa esattamente una verginella, anzi ben conosceva dei tradimenti del marito, e li ricambiava come poteva, discretamente; ma per i figli suoi era un’altra cosa! Non poteva fare eccezioni di sorta. La piccola Federica cercando la propria governante aveva visto troppo , suo malgrado, senza volerlo. Per il suo bene le era stato comandato di non fare di nuovo il peccato di spiare, né di dispiacere a Gesù; per cui era stata mandata a pregare con l’altra sorellina tutti i pomeriggi nella cappella di famiglia sotto la scorta del buon prete del palazzo baronale. Si riunì quindi un piccolo consiglio di famiglia: il Signor Barone, la sua augusta consorte, la madre della consorte, una tale Donna Filomena sempre con il Rosario tra le mani, e Donna Ester adesso finalmente conscia di averla fatta grossa in stato di contrizione al centro della stanza in piedi che teneva gli occhi bassi dopo essere stata oggetto di due rapidi ceffoni da parte della baronessa. L’accusa l’avrebbe compresa anche un cieco: essersi lasciati sorprendere in mostra di sesso animalesco dalla baronal bambina per propria colpa, dato che i due “promiscui amanti” non ritennero ripararsi da sguardi indiscreti. Tutto non può mai prevedersi; prima o poi l’eccesso di sicurezza di Donna Ester l’avrebbe in qualche modo tradita. Aveva infatti trascurato le porte di accesso mentre accettava le molestie del giovane Edoardo, e rispondeva ad esse con maliziosa condiscendenza. Donna Ester era abituata a farsi obbedire, e credette che da parte loro sarebbero rimaste nelle loro stanze in attesa del ritorno dei genitori. Le aveva perse semplicemente di vista mentre si sarebbe dovuta occupare ormai solo delle bambine. Presto per l’erede Edoardo sarebbe arrivato un precettore si sperava severo; crescendo stava diventando anche un po’ insofferente ai doveri, come quasi tutti i rampolli del suo rango... Le porte dello stanzone restarono aperte per tutto l’atto sessuale... Si fece avanti la Baronessa vestita semplice di un abito avana lungo che la faceva sembrare quasi una eremita per la collana con crocifisso d’argento che portava sul collo. Indossava anche una cuffia a caschetto bianca con dei merletti semplici che le copriva il capo, ma lasciava intravedere i suoi capelli biondi ed i suoi orecchini ad ornamento dei delicati tratti del suo volto. Era una donna graziosa la baronessa, di un sembiante umile, e non per questo insignificante. I suoi occhi chiari ispiravano pace. Certo non era bella come la sua ormai ex confidente (da cui era stata delusa od anche tradita per la fiducia che le riponeva), ora degradata ad una specie di imputata. Lei ed il marito tennero un silenzioso bisbigliato conciliabolo; poi dopo dei lunghi angosciosi minuti nei quali mai una volta il signor Barone guardò in viso la governante dei suoi figli, la baronessa si avvicinò serenamente a lei, che non osava guardarla in viso, e le disse con voce ferma:
“Avete due alternative Ester: la prima fate i bagagli, e ve ne andate entro il tramonto per non fare mai più ritorno; la seconda: accettate la punizione che vi verrà inflitta davanti a tutta la servitù, e a nostro figlio che, ve lo ricordo, siete stata voi con le vostre malizie a spingerlo a quel comportamento! Sono perfettamente al corrente che vi lasciate guardare in istato di nudità da lui da diversi mesi! Mi sono giunte anche alcune voci che abbiate già avuto a giacere assieme nel vostro letto...confermate Ester ?”
“Sì illustrissima baronessa. Ebbi a far del sesso con il pupillo vostro. Ormai, consentitemi, è un uomo!...”
“...ma se non ha nemmeno la peluria sotto le labbra...!”
“Non rimanete ingannata dall’apparenza. È ormai un uomo...le sa fare le cose da uomo...la cosa non la dico a mia discolpa! Mi ha saputa ama...”
“E le bambine?!...non dovevate badare alle bambine?...”
“...Oh mio Dio!...Oddio le bambine!...Credevo che rimanessero in stanza, dove le avevo lasciate...”
Ironicamente la baronessa la interruppe dicendole sprezzante:
“Immagino! Dunque a voi la scelta!...”
“...perdonatemi Signora,...io non so come sia potuto succedere, non volevo che la bambina ne avesse nocumento...sono stata una sbadata, perdonatemi signora, vi supplico!”
Le giustificazioni erano ormai inutili. La baronessa non mollava la presa.
“Attendiamo la vostra scelta Ester! Non fateci attendere oltremodo...”
“Accetto la punizione! Tenetemi con voi mia signora! Alla mia età non saprei dove andare...la mia vita è sempre stata qui...farò qualunque cosa vogliate...sarò la vostra schiava! Non cacciatemi mia signora! Sono una donna sola!”
Sentita la scelta la Baronessa diede disposizione ai servi presenti:
“Benissimo!...Pierluigi! Svegliate nostro figlio, “l’uomo” e fatelo scendere qui immantinente!...voi Roberta andate a chiamare Messer Vezio, e ditegli di venire qui con la frusta lunga!...quella di corda!”
Pierluigi andò di lena con il viso angosciato a prelevare il signorino dal suo ozio pomeridiano: lo prese letteralmente, e lo portò di forza senza mollarne mai la presa al cospetto della madre che gli comandò con uno sguardo severo dove mettersi e non gli rivolse più la parola. Il signor Barone non ritenne opportuno intervenire o contraddire sua moglie. Dieci minuti dopo venne l’attempato Messer Vezio che ora, se lo voleva, poteva rifarsi di tanti rifiuti in passato ottenuti da quell’ambiziosa femmina sua quasi graziosa coetanea. La baronessa comandò la presenza di tutta la servitù della casa e dopo che tutti i servi compresi quelli delle cucine accorsero, disse a Messer Vezio:
“Datele non meno di trenta frustate sulla schiena nuda! Le risparmio le parti intime che sciaguratamente ebbe a mostrare poc’anzi per rispetto alla decenza, e a quel Rosario cui tanto tiene la mia timorata e cristianissima madre...due servi la tengano per le braccia!”
Due servi, di cui uno di mezza età, si fecero avanti. Messer Vezio prese la parola:
“Ester compiacetevi di toglier la camicia, e prendete posto contro il tavolo! Avanti!”
La baronessa chiese l’approvazione finale al marito:
“Voi approvate signor marito?...”
Il signor Barone fece cenno di assenso silenziosamente. Donna Ester, dopo essersi inchinata al vecchio signor Barone, da tempo suo occulto protettore, si denudò la schiena come comandato dalla baronessa senza guardare in faccia nessuno della servitù, poi si diresse a capo chino verso il tavolo poggiandovi i seni sopra e la testa di lato. I suoi occhi guardavano verso il muro di tufo bianco. Due servi le tenevano ben ferme le braccia aperte. Restava coperta in basso dalla sua ampia gonna. A Pierluigi venne comandato di assicurarsi che il giovane Edoardo, che non si era nemmeno pettinato, non distogliesse lo sguardo. Nel qual caso era autorizzato su espresse istruzioni della madre a prenderlo a schiaffi se ci avesse provato. Una dozzina di servi, salvo i due le reggevano le braccia, era presente in un semicerchio a meno di tre metri dal tavolo. C’era pure la nuova nera Lia che quell’esperienza l’aveva già fatta con il nerbo che però era molto più duro. La baronessa comandò l’inizio della punizione con voce calma senza alcuna enfasi:
“Prego Messer Vezio! Procedete! E contate ad alta voce...che tutti odano, e nessuno osi distogliere lo sguardo!”
Messer Vezio impugnò la frusta con presa sicura, e diede il primo colpo dicendo “uno”. Donna Ester ricevette il colpo poco sotto la scapola destra, e riuscì a tenersi il dolore tagliente e rapido. La sua schiena venne graffiata dalla ruvidità della corda. Venne vibrato il secondo che le fece fare una smorfia di dolore al viso e tremolare la schiena. Il suo seno sembrava comprimersi nel tentativo di respirare tra un colpo e l’altro. Messer Vezio in un certo senso era umano dato che diede a Donna Ester il tempo di due respiri tra un colpo e l’altro. La baronessa con decisione comandò:
“Colpite più forte Messer Vezio!”
Il capo della servitù non poteva fare altrimenti. Colpì molto più forte e Donna Ester cominciò a urlare dal dolore con un sonoro “ahi”. Era vicina a piangere. Tre, ...quattro, ...cinque! Ogni colpo era separato da sei o sette secondi. La schiena della cortigiana cominciava ad accusare i segni dei colpi. Pochissime ore prima Edoardo l’aveva apprezzata vellutata e ora era piena di ecchimosi a strisce rosse. Donna Ester piangeva e urlava ad ogni colpo. Edoardo era ipnotizzato dalla scena di quel sangue nella schiena di lei. Al dodicesimo colpo Donna Ester perse i sensi. Non li riprese che al quindicesimo quando, accortasene la baronessa, ad un servo venne comandato di farla rinvenire con dell’acqua fresca che le venne gettata sul viso di sghimbescio sul viso da una brocca. La schiena ormai sanguinava tutta dalla vita fino alla base del collo dove purtroppo era giunto qualche colpo di quei duri grossi nodi di corda, comunque non piombati, all’estremità. Al ventitreesimo colpo Edoardo cedette emotivamente e scattò. Rapidamente si liberò dalle mani di Pierluigi sulle sue spalle, e andò a mettersi davanti al corpo di Donna Ester stupendo tutti per il suo coraggio. Aprendo le braccia fece scudo come poteva a quella donna che aveva provato ad amare alla maniera sua, di rampollo viziato, e che ora vedeva umiliata innanzi a tutti, mentre a lui veniva risparmiata una punizione per una colpa che invero era anche sua. Un servo provò a scostarlo ma tirò calci a più non posso. Messer Vezio aveva compreso, e si fermò guardando la baronessa in cerca di istruzioni. Quanto al giovin signore guai (e calci) a chi osava spostarlo. Aveva il viso tesissimo, i capelli sudati che aderivano alla testa, e gli occhi vitrei. Sudava freddo e teneva lo sguardo fermo e deciso. Forse Edoardo era diventato grande, e non se ne era nemmeno accorto. Sua madre capì, e fece cenno a Messer Vezio che poteva bastare. I servi aiutarono Donna Ester ad alzarsi ancora singhiozzante; quest’ultima passando davanti alla baronessa la guardò in viso, e piangendo ancora s’inginocchiò, e cercando di baciarle la veste la ringraziò. I due che le avevano retto le braccia raccolsero la tovaglia dal tavolo sporca di sudore, lacrime e qualche goccia di sangue. La baronessa comandò che Donna Ester stessa pulisse con le sue mani quella tovaglia, quindi che si allontanasse; ed i servi la accompagnarono nei suoi alloggi seguiti da Edoardo che però venne trattenuto da sua madre. Quando lo ebbe davanti di fronte a lei come un soldatino gli vibrò due schiaffi: uno di dritto, ed un man rovescio sulle guance.
“Voi avete colpa almeno quanto lei! Vi serva di lezione!...e da stasera non avete il permesso di mangiare a tavola con noi fino a nuovo ordine. Ora andate dove meglio credete.”
“Sì madre!”
“Ah, un’altra cosa: dite alla vostra amica che non potrà occuparsi più delle vostre sorelle. Prima di un mese ne troveremo un’altra. Nel frattempo se ne occuperà il nostro prete. Io non voglio vederla per tre settimane da oggi! Mangerà con il resto della servitù. Voi siete libero di incontrarla, anche se ve lo sconsiglio, ma al chiuso se proprio lo volete! Ora che vi credete uomo riferite questo alla vostra nuova amica Edoardo!”

Quello stesso giorno lontano dal castello, nelle campagne della baronia Olivina e Toraldo si stavano godendo la loro galeotta intimità. Protetti dalle ormai alte piante di grano avevano mangiato volentieri nudi dei panini col formaggio e un po’ di salame fatti Olivina, e portati all’uopo assieme a del vino. Avevano preso il sole nudi. Sperimentavano un piacevole senso di libertà che apparteneva solo a loro. Erano sempre stati convinti che la loro nudità reciproca fosse un loro diritto inalienabile. Olivina dopo il parto aveva perso un bel po’ della sua magrezza. Tuttavia ciò non dispiaceva a suo fratello Toraldo che continuava ad apprezzare le piacevoli forme carnali di sua sorella con due belle zinne i cui punti di forza erano i suoi carnosissimi capezzoli color nocciola. Il tempo per loro due sembrava adeguarsi alla loro percezione; decidevano loro quando ne sarebbe passato e quanto. Il loro segreto era stato di “essersi amati sempre con una certa moderazione” facendolo tutt’altro che sempre! Quindici anni prima nelle campagne del manso loro assegnato Olivina, in un momento di distrazione del loro padre, lasciò che suo fratello le guardasse il seno in crescita consentendogli di toccarlo, poi di carezzarlo, e quindi di succhiarlo. Quella galeotta mattina in campagna segnò Toraldo quando sentì la prima volta il sospiro di sua sorella e vide per la prima volta quanto poteva gonfiarsi un seno di una ragazza in eccitazione. Certo, se lo avesse lasciato fare, Toraldo si sarebbe preso anche di più; ciò però non successe: sorprendentemente Toraldo sapeva per istinto quand’era abbastanza. Uno dei meriti di Toraldo fu di aver saputo aspettare, cosicché quando sua sorella a 18 anni già compiuti riuscì a trovar marito, gli concesse un’ultima notte di intimità tutta per loro ad ora tarda consentendoli di sodomizzarla onde lasciarle intatto l’imene per il giorno a seguire, quando lasciando la propria magione si recò nella vicina baronia, e sposò l’aspirante notaio in tirocinio Ranuccio Tresoldini di Giuseppe Maria agiato notaio. Nelle loro due vite separatamente condotte si presero alcune “licenze intime” di poche ore inserite maliziosamente tra le licenze vere quando si scambiavano visite parentali. Questa era una di quelle licenze. A giudicare dall’altezza del sole alle loro spalle doveva essere più o meno l’ora terza o più forse la quarta pomeridiana...Olivina nell’abbracciare suo fratello di lato gli riprese in mano il cazzo tenendoglielo con dolcezza. Ebbe a dirgli:
“Fratel Toraldo! Qui fra poco il sole tramonterà volete fare l’ultima volta, e poi torniamo al paese?”
“Sul serio volete ?”
“Sì mio carnale vero compagno...allora?”
Olivina era seduta accanto a suo fratello; per quanto potevano saperne non v’era nessuno che potesse in qualche modo turbare il loro incontro.
“Uhm...ebbi un’idea mentre mi parlavate, volete sentirla?”
“Son tutt’orecchi fratello...dite!”
“Cammineremo carponi, restando sotto le spighe, fino a quell’albero di olivi con il tronco largo; quello qui davanti a noi!...nel mentre della camminata io resterò dietro di voi sorella, cercherò di leccarvi le intimità, in guisa di cane per tutto il tragitto; poi voi vi farete cagna per me, e vi prenderò come più m’aggrada...”
“Devo confessarvi che l’idea mi solletica alquanto...tuttavia fratello Toraldo vorrei che prima mi toccaste e baciaste i seni, fatemi sentir la lingua sui capezzoli or che siamo qui fermi; altrimenti non riuscirò ad eccitarmi per darvi le mie carni migliori...prendete il seno fratello. Voglio respirare per voi.”
Toraldo, nudo a suo agio al pari di sua sorella, cominciò le cose con stile: dapprima iniziò con cortesia e leggerezza di movenze a baciare ben sfiorandolo tra labbra e lingua il collo di Olivina, certo di trovarvi il dolce calore ed odore della propria stessa carne. Scese con la lingua sul primo seno che trovò, quello destro, e prese a leccarlo con improvvisa veemenza. Il sole illuminava il seno di Olivina riportandolo alla prima volta in cui sua sorella glielo fece intravedere: un seno di pesca. Oggi era un dolce seno più grande e burroso che aveva già dato latte. Toraldo in quel delicato teporino fatto con il sole e la carne vellutata sulle proprie guance si sorprese ad invidiare il piccolo Aymone, suo nipote, primo figlio della sua amatissima sorella. Pensava: beato Aymone che l’ha potute succhiare quando voleva...in quel momento era lui a suggere il capezzolo, stavolta famelicamente, al punto tale che riuscì a percepire sulla punta della lingua il sapore del latte materno. Olivina forse era già incinta; sembrava ne avesse ancora...Dunque i seni di Olivina buttavano ancora...succhiava, succhiava, e sciabolava la lingua sul capezzolo talmente forte che sua sorella ne ebbe a perder quasi i sensi.
Un lungo silenzio seguì, e Toraldo continuò a succhiare più latte che poteva. La realtà non contava più. Era tornato neonato. Quel latte era suo. Olivina ripresasi dalla perdita di sensi, da quel lampo di luce che le aveva fatto chiudere gli occhi tenendoglieli chiusi, lo baciò sulla testa e sulle tempie per consentirgli di restare senza farlo staccare da quella dolce fontana apportatrice di vita. Poi dopo una decina di quei baci che Olivina dava spontaneamente senza pensarci gli chiese con dolcezza:
“Fatevi anche l’altro fratello! Uhnnnn!...Altrimenti mi farete del male a furia di questi succhi...ohi!...l’altro fratello, l’altro...non vedete....ahnnnn...che pende?...ahnnnnn...Questo ormai resta dritto da solo...ve lo do il mio latte! Lo gradite il mio latte vero?...”
“Uhmmmmffff! Sì lo voglio! Lo voglio"
Toraldo riaprì gli occhi riprendendo conoscenza con il pianeta Terra. Era felice di essere nel posto più bello che potesse esistere: un giovane seno di donna. Leccò abbondantemente anche la tetta sinistra, con rapidità con la lingua ampiamente estratta a lambire ogni punto della pelle bianca di quella tetta calda. Il capezzolo marroncino sinistro venne tosto raggiunto. Toraldo, avido di latte, succhiava e succhiava. Anche il seno sinistro si sollevò da solo. I capezzoli erano ormai entrambi turgidi. E le due zinne stavano su da sole come fossero un’armatura da torneo. Toraldo ne approfittò per girarci la testa più e più volte come fosse un bagno tra le onde marine. Olivina accompagnava i movimenti della testa con la mano sinistra; con la destra tentava di cercargli e di afferrargli il cazzo che come ebbe ad accorgersi Olivina stava acquistando durezza. Fece presa con la mano ed iniziò a masturbarlo con dolcezza. Poi si ricordò del giochino della camminata carponi. Lasciò che suo fratello si saziasse delle tette, poi staccandosi per un momento si mise alla pecorina per consentirgli la vista del culo, dell’inguine, e della peluria pubica che traspariva dalle sue cosce non proprio chiuse. Il tutto in pieno sole in quel campo di grano. Toraldo cercò con lingua lo spacco delle natiche, e facendola scorrere sopra e sotto, ed in avanti trovò l’ano di lei che aveva già conosciuto nel giardino della propria casa quando da adolescenti, lei le concesse il solo assaggio, in cambio della morbosa descrizione dell’esecuzione del brigante impiccato; la prima della vita di Toraldo. Stavolta il sapore non era innocente, ma grasso. Era così che la mente di Toraldo lo percepiva. Innocente ed al tempo stesso grasso. Cionondimeno ne veniva attratto egualmente. Il grano alto era un riparo morbido; tuttavia quel gentil culo di sua sorella aveva conosciuto il contatto con la nuda terra. A Toraldo non importava. Leccava, e faceva scorrere la lingua anche per solleticare l’inguine di lei. Ogni sei-sette leccate Olivina si muoveva a quattro zampe verso l’albero, e suo fratello Toraldo, da fedele cagnolino agganciato ai sapori intimi di sua sorella, la seguiva dappresso riprendendo una nuova sessione di leccamenti, fino a quando le loro ginocchia e le loro gambe e piedi non furono sporcati, ed immarronati dai solchi che lasciavano nella terra umida. Olivina allargò quelle gambe le cui ginocchia erano già sporche un po’ di più. Toraldo ora poteva leccarle anche la fica da dietro. Il gesto più piccantemente animalesco che a Toraldo piaceva non uno, ma dieci mondi...E se ad Olivina capitava ad esempio un peto, non gliene importava; continuava ad odorare lo stesso. Olivina, mentre si godeva la lingua di suo fratello dentro il suo pertugio riproduttivo con i lembi delle grandi labbra aperti dal solletico, si avvide che davanti a loro c’era una pozzanghera di fango. Il fango, Olivina che non disdegnava il sesso sporco, non lo aveva mai provato sulla sua pelle; aveva sentito dire ai cerusici del paese che i bagni di fango potevano anche far bene. Si voltò dopo aver sollevato meglio una coscia per far finire la leccata a suo fratello Toraldo, poi si distese all’indietro per far tuffare la propria schiena in quel fango che tanto la stava attraendo. Non era sterco o concime. Era proprio nuda terra imbevuta d’acqua. Allargò le cosce per dischiudere in piena luce la propria vulva al fratello amante. La vulva parve a Toraldo ancora profumosa di...campagna! Il pelo castano, un po’ rossiccio per via del sole, non gli dispiaceva. Peccato non avesse portato qualche petalo di rosa per profumarla meglio prima... Il sole che si apprestava a tramontare illuminava con gentilezza il rosa interno della vagina di Olivina. La spalancò. Chiese a Toraldo un altro trattamento alla lingua, ben addentro sottinteso. Suo fratello lo capì dal fatto che dal suo viso Olivina tirò fuori la lingua per indicargli il movimento. Toraldo non se lo fece ripetere: affondò la sua testa contro il bacino di lei, ed iniziò a leccare dentro, fuori, e sulla clitoride; poi ancora attraverso lo spacco, sì che sua sorella “gli sentisse la lingua” dentro la sua intimità. Prese il medio della sua mano destra, e lo ficcò, da pratico quale era, nell’ano di sua sorella, continuando la leccata della superficie interna della vagina con veemenza e decisione. Cercava di arrivare più a fondo possibile catturando tutto il sapore di carne umida che trovava con la punta della lingua. Il dorso della mano di lui si sporcò di fango anch’esso mentre le stimolava l’ano. Marroni dovevano essere diventati il collo, la schiena, le natiche tonde, le cosce, ed i polpacci di Olivina. Mentre Toraldo faceva ampiamente il suo dovere di linguista, Olivina tra un sospiro e l’altro gli disse:
“Uhhhhh! Non ci arriviamo più all’ulivo Toraldo...la finiamo qui! Dai! Qui nel fango! Sono sporca fratello! Sporcatevi anche voi! ...ahnnnn, ehi!...come la leccate bene!...Sì...iiiiii,...a...Ahnnnn...ncora! Uh! Anche con il dito...beeeee...neeee!...uhmmm, sìiii...prendetemi qui! Sì dai! Fratello ! Voglio il vostro membro! Lo voglio!! Che lingua!...Sporcatemi tutta fratello!”
Dalla vagina di Olivina stava scendendo un’acquetta tiepida e salata a rivoletti come non accadeva da tempo. Suo fratello, che era un ottimo linguista, faceva quasi sempre in tempo a catturarla sulla propria lingua, per poi rimescolarla alla propria saliva, e riumettargliene la clitoride ed il meato urinario, che succhiò e subito dopo leccò leggero più volte, provocando dell’ulteriore godimento alla sorella che lo ricompensò rilasciandogli altre piccole quantità di liquidino d’argento. In buona parte in quel liquido femminile c’era per lo più urina, ma a Toraldo non dispiaceva. Tutt’altro a giudicare dalla sua lingua sempre a cucchiaio...
“Basta con la lingua Toraldo! Voglio il cazzo! Dentro! Ora!”
Il cazzo di Toraldo, grosso ed in indurimento era pronto: due colpi con le mani, e quando la cappella venne fuori tutta nel volgere di due secondi, entrò battendo sulla vulva già larga; quindi scivolò dentro sua sorella. La vagina cedette subito. Il cazzo di Toraldo venne ingoiato in un solo colpo di reni di lui. La sua cappellona era al caldo nelle bagnatissime pruriginose profondità di Olivina, i cui capezzoli sfregandosi contro quelli di suo fratello, fecero scoccare una corrente nervosa in entrambi. Toraldo si muoveva ben agile poiché ben ospitato nella vagina calda e scivolosa di sua sorella. Olivina era cieca dal piacere. Più Toraldo affondava, più ad Olivina si dilatavano le pupille. Non ricordava da tempo un sesso così intenso tra loro due. Chiuse i propri occhi per aumentare l’intimità con il fratello, e tirata entrambi fuori la lingua, cominciarono a sciabolarsela l’una contro l’altra in un reciproco vortice di fame di lingua e carne. Toraldo baciò in bocca sua sorella più e più volte dando e chiedendo saliva. Poi Olivina tornata consapevole di dove si trovava disse tra gli affanni ed i respiri:
“Non godetemi in fica! Non posso,...ahnnn, permettermi, ahnnn,...un bambino con voi fratello, uh!...ahnnn, ahnnnn...sì! Che cazzo che avete!”
“Quando volete,...ahnnnn,...godere...uhhhhh!...uscite, mi volto, e...me lo mettete al culo!...ahnnnn!”
Toraldo era generoso: cercò di trattenersi il più possibile nonostante le sue movenze. La sua prostata stava facendo un enorme sforzo. Chiavava sua sorella per fargli sentire il cazzo duro il più a lungo che poteva. La vagina di lei era sempre più bollente, mentre un dolore interno informava Toraldo che la prostata di più non poteva dare. Era la prima volta che gli accadeva. Forse era bene che si decidesse a godere. Non sapeva se sarebbe riuscito ad aspettare l’orgasmo di lei...le palle le sentiva dure ed una correntina interna lo stava stimolando. Provò a stringere ancora il proprio inguine per provare a trattenersi ma senza troppo successo. Sentiva la sborra viaggiargli dentro. Uscì dalla vagina di sua sorella, e questa prontamente si voltò: allargò le cosce; il roseo ano era alla vista di Toraldo. Ci ficcò per cautela due dita, e vedendo che venivano accolte le tolse dopo un rapido massaggio; prese la mira e deciso vi accompagnò il proprio cazzo turgido perché entrasse. Il roseo buchino si allargò all’incedere della cappellona viola di Toraldo. Olivina, libera di sfogarsi all’aperto, mandò un forte urlo di sfogo, seguito da gemiti di dolore, e di piacere, che eccitarono ancora di più Toraldo...; la natura si mosse dopo alcuni minuti di sesso duro da sopportare: dopo non pochi colpi un proiettile di caldo, bianchissimo, denso sperma invase il retto della sorella in ogni dove. Olivina con la schiena e le natiche piene di fango lo accolse felice ed esaltata di essersi sporcata, di venire sporcata dal fango e dallo sperma abbondante di suo fratello; alla faccia dell’inquisizione, delle leggi dell’imperatore, degli usi della baronia; ma Olivina non era ancora paga...si massaggiò la vulva rapidamente ancora non soddisfatta per godere a propria volta...disse:
“Ora che avete sborrato...vi prego uscite dal culo... e finché è ancora grosso, e rimettetemelo dentro nella fessa, davanti!”
Toraldo eseguì. Uscì dal retto di sua sorella che avendo dato era rimasto largo, rosso, e imbiancato dal generoso gettito di sperma; lei voltandosi verso di lui gli prese il cazzone, glielo pulì dalla sborra con la lingua aspirandolo anche dall’uretra, e ripulitolo alla meglio, allargate di nuovo le cosce, supina prese il cazzo dentro la seconda volta. Lo incoraggiò baciandolo in volto nonostante fosse abbondantemente sudato, e dopo un abbondante colpo di lingua sulla guancia di lui gli disse maliziosa:
“Battete Toraldo! Battete! Voglio godere io ora...”
“Sì!...ma mi fa male Olivina! ...ahi! Non ce la faccio...”
“Ma si che ce la fate! Su!”
Toraldo si sforzò nonostante le palle gli facessero male; temette che il cazzo i cui vasi spugnosi erano allo spasmo gli si aprisse in quell’ambientino acido della vagina di lei ancora da far godere; sopportò, prese fiato, e quando dopo un paio di minuti tornò duro, riprese a muoversi dentro di lei mettendosi a battere di nuovo avanti e indietro, dentro e fuori; la cappella gli prudeva al massimo; finalmente quando sentì un senso di scioglimento nella vagina di lei capì che finalmente era venuta...lui non aveva avuto abbastanza tempo per eiaculare. Non gl’importava. Aveva già goduto. Sua sorella soltanto doveva godere. Abbracciò il fratello con le braccia sporche di fango. Restarono congiunti un quarto d’ora. Il sole ormai non scaldava più. Tra poco sarebbe scesa l’umidità pomeridiana, e bisognava sbrigarsi ad andarsene prima a meno di non mettere nel conto un malanno. Olivina si alzò, e andò verso una cisterna in forma di buca che aveva visto nel podere e dopo essersi guardata intorno attinse dell’acqua con un secchio munito di corda lì lasciato all’uopo. Si versò sopra quell’acqua piovana non tanto calda né pulita per sciacquarsi dal fango. Il fratello la raggiunse al secondo secchio. Egli stesso ne attinse dell’altra, e finì di lavare sua sorella. Ci vollero dieci secchiate, e il pericolo di finire quell’acqua c’era. Per Toraldo, molto meno sporco bastarono due secchi. Fortuna che essendo domenica pomeriggio i contadini del manso non c’erano. Olivina si accorse che al fratello che le aveva fatto il lavaggio era tornato un principio di erezione. Evidentemente si era eccitato rimirandole il corpo ancora molto giovane, carnale e formoso e...bagnato. I suoi seni sciacquati con l’acqua fresca, e tornati puliti gli sembrarono stupendi così anche le natiche tonde e sode. Si inginocchiò su una gamba, e prese a prenderglielo in bocca. Un pompino fresco al fratello che si era sforzato così tanto per lei. Sapeva che non doveva lavorare poi molto. Toraldo era rimasto dentro di lei dopo il suo orgasmo. Il secondo schizzo era in fieri. La lingua e la bocca calda e salivosa di Olivina fecero tornare grosso e duro il pisello di suo fratello. Andava avanti e indietro con la bocca. La cappella del fratello era calda e amara sulla lingua di lei. Dopo averla colmata con la saliva cercava di ingoiarlo il più possibile. Voleva sentire i lobi del glande sulle tonsille. Si aspettava la sborra che però non venne ancora. Poi lo tirò fuori facendolo investire dall’aria e dal vento fresco, lo baciò dappertutto sul glande dando colpi di lingua rapidi anche sulla punta dell’uretra e dopo avergli carezzato delicatamente le palle tornò a riprenderlo in bocca dove trovava di nuovo un piacevole caldo. Sotto l’albero vicino a quella cisterna Toraldo stava di nuovo toccando il culo a sua sorella. Ora erano freschi e puliti. La tentazione tornò, mentre il sole arancione carezzava loro i corpi per l’ultima volta. La penombra dell’albero valorizzava il corpo di Olivina con delle gocce d’acqua sulla sua pelle. Toraldo le disse:
“Olivina, ...ahnnnn...mettetevi contro...ahnnnnn...l’albero! Vi voglio prendere ancora!”
Olivina si appoggiò contro l’albero, e offrì il culo fresco e pulito al fratello, che optò per la vagina infilandola da dietro. Questa volta, Olivina lo intuì, avrebbe pensato solo a sé stesso. Il cazzo era tornato una spada rossa, forse un po’ meno dura; nondimeno guizzante. Trafisse la tranquilla morbida vagina di sua sorella. Batté continuamente sei-sette minuti tenendo Olivina per le prima per i fianchi poi per le natiche, e alla fine, dopo aver trattenuto il respiro per un lungo istante, le travasò dentro il suo (poco) seme del secondo schizzo. Olivina se lo dovette tenere sperando che fosse solo acquetta tiepida che non sentiva densa, quindi pensò, poco fertile. Toraldo si accasciò sulla schiena di Olivina. Rimase un minuto, poi sua sorella scostò il bacino, e ruppe l’umidiccio contatto tra di loro. Gli fece cenno che dovevano rivestirsi. Il sole ormai se ne era quasi andato. I loro corpi si erano asciugati al contatto con l’aria ed il vento fresco della campagna. All’ora quinta inoltrata erano sul carretto, e si apprestavano a tornare al paese di lei, quando mancando un miglio, sentirono delle campane a ...:
“...Olivina! ...ma queste non sono campane a morto?!”
“...sembra di sì...ma non provengono dal nostro campanile!...queste vengono dal monastero, ne riconosco il suono!...chissà chi se n’è andato...”
“...”
“Olivina! Che avete?”
Olivina ebbe un presentimento; ma lo volle ignorare. Suo fratello non chiese che cosa volessero dire quegli occhi fissi di lei davanti al somarello che trascinava il loro carretto. Lasciarono cadere mentre sentivano le campane ad ogni tocco più lontane. Arrivarono a casa che stava quasi facendo buio, e trovarono la suocera di Olivina che piangeva consolata da Ranuccio, e da due frati che l’avevano accompagnata. Olivina per riguardo a Ranuccio usava chiamarla comunque “mamma” visto che con i suoceri aveva tutt’altro che un cattivo rapporto. Andò subito ad abbracciarla e le chiese:
“Che vi succede mamma?”- La donna continuava a piangere senza alzare lo sguardo, e quando Ranuccio intervenne per spiegare la cosa, disse:
“È morto papà! Un infarto forse, mentre studiava degli atti per i frati...oggi dopo pranzo verso le due...così hanno detto i frati che studiavano con lui...”
Olivina abbracciò subito suo marito offrendogli il seno e baciandolo in testa con tenerezza, e allargò l’abbraccio alla madre di lui baciandola più volte. Come moglie Olivina conosceva ampiamente i suoi doveri di moglie e di nuora. Olivina pensò che doveva essere successo più o meno quando stava parlando a suo fratello della sua avventura con Mastro Vanni. I frati si diressero verso Toraldo chiedendogli chi fosse. Parlarono. Volevano sapere dove avrebbero preferito far svolgere i funerali. I frati, gli spiegarono, erano comunque grati al vecchio notaio che, vivendo con la moglie presso di loro per non essere di peso ad Olivina e a Ranuccio, aveva preso ad occuparsi degli affari del convento tutti i giorni lavorativi, ed a insegnare materie come diritto privato, diritto romano, utrunque ius, e diritto successorio agli allievi frati che un giorno avrebbero affrontato quelle materie da soli...tutto sommato un buon affare per il notaio, e per il convento. Toraldo, un esperto della sola contabilità, si sentiva un estraneo tra quei frati eruditi che lo guardavano con uno sguardo umile ed al tempo stesso penetrante; gli sembrò, come sapessero già chi fosse; da parte sua Toraldo non seppe cosa rispondere limitandosi a dire che avrebbe spiegato tutto ad Olivina, ed a suo cognato non appena fosse stato possibile. Un pensiero, in quel momento di scudi emotivi abbassati, angosciò Toraldo: e se il podere dove aveva pasteggiato e giaciuto con sua sorella era di quelli di proprietà del convento? Erano stati visti? Sarebbero stati oggetto di delazione anonima all’inquisizione? Al momento della sodomia l’urlo per la trafittura carnale di sua sorella fu piuttosto forte...fin dove era stato udito? Non poteva nemmeno andarsene dal paese, dato che sarebbe dovuto restare almeno per il funerale. Olivina, da donna pratica, pensava a ben altro. Se prima il convento pagava il vecchio notaio anche con degli insaccati, che sua suocera poi le inviava per dar loro ciò che gli anziani coniugi erano troppo vecchi per digerire, adesso sarebbe stata più dura e non poco. Olivina su quella fornitura di carne grassa ci contava più per sé stessa, il marito, e soprattutto per il loro figlioletto Aymone, che per gli ospiti paganti della locanda. Sua suocera sarebbe tornata da loro; una bocca in più da sfamare, e una fonte di reddito in meno mancando l’assistenza in natura del convento. Forse Olivina avrebbe dovuto fare del sesso galeotto ed improvviso un mestiere ?...come fece con Mastro Vanni il banchiere chiedendogli formaggio e cacciagione oltre la cancellazione di due rate del mutuo? Il carretto con il feretro del notaio Tresoldini giunse in quei momenti, condotto da un umile e lindo carretto trainato da un cavallo, e condotto da due frati. Quattro persone, i due frati discesi, Toraldo, e Ranuccio si caricarono la bara scoperta a braccia, e la introdussero nel bianco salone di tufo della locanda, che un tempo fu l’ampia magione del notaio, per la veglia di uso. Tre lanterne ad olio rischiaravano un po’ l’ambiente trasmettendo a chi entrava una sensazione di piacevole familiarità. Ranuccio uscì per andare a prendere il piccolo Aymone che aveva giocato tutto il pomeriggio con i suoi cuginetti dopo la dottrina in parrocchia. Olivina sistemò due sedie davanti alla bara e si sedette tenendosi per mano con la vedova sua suocera. Quest’ultima notò che Olivina aveva il seno sinistro, visibile dal decolleté, sporco di un qualche cosa; probabilmente era il fango che non aveva visto sciacquandosi. L’anziana donna glielo carezzò con i polpastrelli delicatamente, e tolse via quella macchietta. Le due donne vegliarono.












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