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Aymone 2a p. ( con Filomena assaporandosi )


di sexitraumer
28.10.2009    |    17.305    |    0 7.3
"Gelosa, mi toccò, e mi disse: “Toraldo, devo andare a far pipì, mi fareste indicare da Olivina la strada?” Feci quanto chiesto da mia moglie e, ..."
Dunque il piccolo Aymone aveva appena lasciato l’età infantile per entrare nella pubertà, una fase che con me fu breve, perché mi sembra di ricordare entrai come niente nell’adolescenza: a quell’epoca la chiamavamo l’età adulta. Non era troppo ben educato; teneva la sua mano destra dentro i pantaloni, toccandosi continuamente il pisello; anche a tavola! Noi fingevamo di non notarlo, ma Olivina lo riprese fulminandolo con lo sguardo un paio di volte. In quel paio di volte in cui cascò nel vizietto del tocco Filomena puntualmente lo accompagnò in giardino a lavarsi le mani prima di ritornare a tavola con noi. Povero Aymone! Si vedeva che era innamorato o almeno infatuato di Filomena che però era non molto più grande di lui, e a quanto vedevo fino a quel momento non lo ricambiava né incoraggiava. Immagino che Aymone avrebbe voluto lasciare la tavola per sfogarsi, suppongo, magari con una manovella; ma sua madre, donna di polso, non gliene diede il permesso fino alla fine del pranzo. Anche Ranuccio, arrivato dallo studio ed unitosi a noi, aveva notato il disagio del figlio, e sorridendogli con sufficienza, onde calmarlo un po’, gli diede un paio di monete di rame che il ragazzetto prontamente mise in tasca dopo essersele girate tra le mani. Per lo meno aveva finito di toccarsi le intimità. Olivina riprese suo marito senza badare a noi e parlando in tono fermo e basso, tale che Aymone poteva ascoltare senza tuttavia che sua madre Olivina si rivolgesse a lui direttamente:

“Lo state viziando troppo, Ranuccio!”
“Perché moglie?”
“Non va a comprarsi i dolci con quei soldi! Li mette da parte…”
“Bene, vuol dire che risparmia, perché vi turbate tanto moglie?”
“Non mi avete fatto finire signor marito, Aymone che vi ricordo, è anche vostro figlio, con quegli spiccioli usa pagare un suo amico, che in cambio lo porta a vedere come si spoglia una puta con il cliente. L’altro giorno li ho seguiti! Usano spiare la puta al lavoro da un passaggio segreto da un muro rotto in un vicolo qui vicino!”
“Havvi un passaggio segreto qui nel vicolo, mia gentil consorte?”
“Non fate il finto tonto signor marito! Voi ben conoscevate quel vicolo e chi l’abitava…quando eravate perso nel vino e nel gioco! Ma oggi, ringraziando Iddio che non bevete, sapete cosa fa oggi vostro figlio? Anzi cosa fanno?”
“No, moglie. Cosa fanno?”
“Si fanno tutti e due manovella vedendola nuda di nascosto! Spero solo che oggi o domani non se la facciano l‘uno con l‘altro onde simular imperocché son soli la mano di donna. Adesso capite marito?!”
“…”
“Mi aspetto che abbiate a parlar chiaro al nostro Aymone!”

Mio cognato rimase senza parole. Intervenne prontamente Filomena che disse:

“Padrona Olivina, non dovete aver timore!”
“Che vorresti dire Filomena?!”
“La puta che osservava vostro figlio fu ieri portata in carcere per esser giudicata di furto. Oggi non possono spiare più nessuno per un pezzo padrona! Mi son fatta promettere che giocheranno con la palla appena qui fuori dalla corte!”

Quest’ultima frase, mi accorsi, Filomena la pronunciò facendo in modo che il suo giovin viziato sentisse; mia sorella Olivina, da donna intelligente qual era fece finta di non dare troppa importanza al tono di Filomena e proseguì a voce normale:

“E tu come lo sai?”
“L’arrestarono ieri in piazza del mercato gli armigeri; venne colta in flagrante per aver ripulito un ricco viandante veneziano in pochi istanti, con pochi mirati tocchi delle sue fini vesti. Io, ch’ebbi ad ammirar quell’uomo, ero poco distante, e stavo acquistando il cappone per vostro conto padrona! Trattasi sì di puta quando è onesta; ma è particolarmente destra con il furto dei sacchetti di moneta…”
“Uhm. Lo faccio filare dritto quello lì! Senza aspettare voi signor marito! A costo di schiaffeggiarlo ben bene il nostro Aymone!…un giorno di questi gli faccio le guance in guisa d‘anguria!”

Tutto poteva finir lì; l’avvertimento Aymone l’aveva recepito; purtroppo mio cognato Ranuccio s‘interessò ancora alla loquela della sua consorte, suppongo onde passar per marito impegnato:

“Ma perché ?! Insomma cosa fece?”
“Marito mio Ranuccio! Spiar sempre le pute siccome fissazione vi sembra niente?! Già dicevan male di voi signor marito quando giocavate ai dadi nella pubblica piazza; eravate sulla bocca di tutti! Bevevate ed andavate a far amicizia con quelle donnacce! Quando avevate vostra moglie ben più giovane a casa! Volete lo stesso destino per nostro figlio?!”
“Moglie mia! Non fatevi di bile! Gli parlerò… ma non mi sembra gran peccato che guardi come son fatte le femmine! Non è più un infante! E poi qui si stava mangiando di certa armonia, sembrava, tutti in famiglia!”
“VI ricordo che voi ed Aymone siete la mia famiglia! Da quando la gilda mi diede permissione di messa in ope di questa nostra lavanderia qui dentro, voi e Aymone indossate sempre vesti pulite, vi sembra poco?! Dite a al nostro virgulto che certi passatempo havvi a lasciarli ai popolani che veston poco più che stracci! Ma mi sa che dovrò provvedere io ad educarlo! Ci son altri modi di spender moneta!”

Stavolta il tono di Olivina era un po’ più alto; può dirsi che parlò a padre perché figlio intendesse; se Aymone aveva anche un quinto della pronta intelligenza di sua madre Olivina avrebbe recepito l’avvertimento. Ciò che Olivina non gradiva non era che il loro figlio spiasse le pute, bensì che pagasse ai pari suoi per poterlo fare! E comunque cari moderni che accogliete le mie confidenze mia sorella Olivina, ci ripensai giorni dopo, voleva più che altro darsi un tono con mia moglie Francesca. Era questione di gestir solo l’apparenza; la sostanza importava poco.

“No, padrona, non occorre! Il suo amico invece lo feci allontanare io stessa quando vidi che cercava di ottenere i favori di un’altra di quelle donne con le monete di Aymone! Non punite vostro figlio! Fu solo ingenuità, non persisteva Aymone vostro nella malignità!”
“Uhm.”
“Cosa padrona?”
“No, niente. Sta bene così Filomena! E voi Francesca scusateci se vi demmo quest‘assaggio di vita cotidiana!”
“Ma vi pare Olivina! Siamo stati tutti bambini tempo addietro.”

Sorrisi divertito a mia sorella. Certo era strano che Filomena che prima aveva litigato (secondo la sua versione) con Aymone per certi suoi “tocchi”, e adesso si affannava a difenderlo. C’era qualcosa che non mi tornava. Per un piccolissimo istante vidi Filomena guardare Aymone con affetto. Negli occhi di Filomena per un ineffabile momento vidi…vidi amore per Aymone. Mia moglie Francesca mi riportò al mio vero mondo materiale. Gelosa, mi toccò, e mi disse:

“Toraldo, devo andare a far pipì, mi fareste indicare da Olivina la strada?”

Feci quanto chiesto da mia moglie e, chiesto a mia sorella del posto, la accompagnai di persona fino al luogo all’aperto della casa dove, mia sorella la locandiera Olivina Tresoldini, autorizzava le deiezioni naturali ai clienti. Pensavo ad Aymone. Quel bell’ometto non la contava tutta. Guardava Filomena come me le fresche (e non solo d’acquisto…) schiave negre del castello ai miei tempi. Filomena era certamente bella di viso, ma aveva poco seno. Abbastanza alta e certo più di Aymone. Mia moglie Francesca purtroppo si era accorta che avevo guardato Filomena. Le avevo fatto del male involontariamente. Però io guardavo Aymone per la curiosità che mi suscitava, non Filomena! Mentre ritornavamo al tavolo conversavamo sottobraccio come piaceva a mia moglie:

“Vi piace dunque così tanto quella Filomena?! Invero sembra giovane e alta! Ma non è troppo magra?! Vi guardai, signor marito, guardarle il poco seno. Le mie, ed è tutto dire ricordarvelo, son ben più grosse! Ben vi andò a sposarmi, non trovate?!”
“No, moglie mia! Cioè sì ! Son contento dei vostri seni moglie mia, però pensavo…”
“Pensavate?!…”
“Pensavo, ecco, che Aymone e Filomena nascondono qualcosa. Uno dei due sicuramente. Non è sembrato anche a voi Francesca?”
“Perché?”
“Non so! Prima lo accusa per averla toccata! Poi s’affretta a difenderlo!”
“Signor marito?!”
“Ditemi Francesca!”
“Mi accompagnereste a Messa al vespro? Vorrei pregare il Signore perché ci mandi una creatura tutta nostra, e non vorrei pregar da sola … capitemi signor marito! Stanotte vorrei provar di nuovo!”
“Un’altra Messa Francesca?”
“Un’altra! Così imparate a guardar il seno d’altre femmine dell’età di Filomena!”

Francesca accompagnò la sua richiesta da un bacio. Non avevo scelta. Dovevo accompagnarla o mi avrebbe rinfacciato lo sguardo verso i seni acerbi di Filomena tutta la vita. Avendo fatto del male a mia moglie guardando Filomena non potei dirle di no circa la Messa. Solo ora cari moderni, che sono uno spirito disperso nel tempo senza più un suo spazio, mi sembra di valorizzare quale fortuna potei avere con una moglie quale Francesca. Timorata di Dio ed innamorata del proprio marito fino a perdonare che guardassi le altre donne. Oppure quella domenica pomeriggio mia moglie non mi mollò un istante per timore che volessi far amicizia, o addirittura comunella con Filomena che, da parte sua, si prese circa Aymone incombenze che dovevano essere più di Olivina sempre indaffarata, e di suo marito quasi sempre apatico sia nel giorno di riposo, che in quelli del travaglio suo di notaio. Meditavo alla prima occasione di proporre ad Olivina qualche ora per noi due solamente, ma fino a quel momento mancò l’occasione. Alla Santa Messa mia moglie pregò con convinzione; io invece, per non indurle sospetto o tristezza mi limitai alle preghiere come comandate dal prete che amministrava il culto. Alla fin della funzione la consorte mia mi chiese un ducato, ed ottenutolo, andò ad accendere un cero con l’offerta inginocchiandosi a pregare ben oltre la fine della Messa. Poi finalmente, mentre il sole era all’imbrunire, si fece il segno della croce ed uscimmo che c‘era un bel fresco grazie al vento di ponente. Mentre discendevamo gli scalini della Chiesa Madre Francesca mi disse di aspettarla che aveva dimenticato una cosa là dentro. Aspettai che tornasse. Ci mise poco. Mentre andavamo via noi incontrammo Olivina, Ranuccio, ed Aymone che andavano alla Messa della sera. Mia moglie Francesca dopo i rituali saluti esordì:

“Cara cognata, è per voi gran fastidio se stasera io ed il mio signor marito ce ne restiamo per conto nostro alla locanda nostra? Io sarei invero stanca, e vorrei andar a dormire presto questa sera…”
“Se proprio insistete Francesca, fate pure! Ci si può sempre veder l’indomani! Per voi va bene fratel Toraldo ?”
“Il desiderio della consorte mia per me è un ordine! Passate tutti una buona serata.”

Ci lasciammo così per quel giorno. Chissà forse l’avevo proprio combinata io guardando troppo la lavorante. Che volete?! L’abitudine! Mia moglie, dal canto suo, ottenne la nostra intimità. Mi chiese di mangiare a cena nella locanda ed io accondiscesi. Poi dopo la cena frugale, se confrontata col cappone di Olivina, salimmo in camera nostra. Chiudemmo la porta dietro di noi, e la moglie mia si prese il pitale onde vuotar la vescica. Io andai alla finestra per non disturbarla, poi la vuotai io. Francesca già si stava spogliando mentre io avevo ancora le mie vesti, per cui ne approfittò, e mi chiese:

“Signor marito, intanto che mi preparo per la notte, andreste voi a vuotar il vaso?”

Già, il vaso! Certo andava vuotato, che di urina ne aveva abbastanza. Metterlo sotto il letto non avrebbe funzionato. Si sarebbe sentita comunque. Mi accollai quest’incombenza, e dopo un paio di minuti tornai da lei col vaso vuoto. Mia moglie Francesca mi attendeva nuda sul letto. Sul comodino aveva una boccetta; credetti fosse profumo. Esordì:

“Spogliatevi nudo Toraldo! Non voglio vedevi con le vesti addosso sopra di me.”

Mi spogliai come richiesto da mia moglie. Ci vollero dei minuti nei quali Francesca mi fece dono della sua intera nudità appena rischiarata dalla luce di quattro candele che il locandiere ci aveva fatto trovare già accese. Purtroppo il calore notturno e quelle candele attrassero anche gli insetti come le zanzare. Mia moglie era stata già punta e potevo vedere i suoi rossi eritemi sul suo magnifico corpo dalle fattezze mediterranee. Le dissi:

“Copritevi o le zanzare vi mangeranno viva cara moglie.”
“Come comandate signor marito!”

Un lenzuolo di bianco cotone coprì il suo corpo; io feci per andare a spegnere le candele così anche gli insetti sarebbero andati altrove, ma mia moglie mi fermò:

“No, non ancora, caro...mi serve ancora un po‘ di luce. E mi servite voi qui con me!”

Mi coricai andando subito sotto le coperte per non farmi mangiare dalle zanzare.

“Ed ora che vi siete steso spostatevi qui, più accanto a me.”

Mi distesi accanto a lei. Francesca devota mi chiese di nuovo con insistenza di farmi il segno della croce, poi mi prese il pisello con gentilezza sistemandolo più verso la pancia, e presa la boccetta, mi bagnò le palle con quel poco liquido senza colore che conteneva. Le chiesi:

“Cosa fate Francesca ? Mi state forse profumando lì?”
“No, signor marito! Sto bagnando le vostre maschie pendenze con quest’acqua che presi dal catino della Chiesa!”
“Acqua … Acqua Santa forse?!”
“Iddio mi perdoni per il furto! Sì, signor marito! Fu una piccola sottrazione però…invero solo poche gocce! Queste!”
“E cosa vi aspettate da ciò?”
“Voglio restare incinta signor marito! Di voi! Voglio darvi quel bambino che tanto bramate!”

Pensai, veramente sei solo tu che lo brami; per me se viene, viene…approfittai dei pochi elementi di teologia che mi aveva trasmesso il mio precettore, Don Grico, per rimproverarla con garbo. Purtroppo la brama di fare un figlio le aveva fatto compiere un gesto discutibile assai. Quasi quasi quando torno lo dico a suo zio; il mio aio appunto, Don Grico De’ Greci…

“Siete stata una donna sciocca Francesca! Moglie mia, voi dite di aver fede, ma se avete fede non avete bisogno di far feticcio con l’acqua! Avete pregato ?! Tanto bastava. Ma arrivare a questo !…Eppoi voi non siete né prete né suora, cosa vorreste mai benedire?”
“L’ho fatto perché vi amo, mio Toraldo ! Certo avrei preferito che vi foste confessato oggi a in chiesa. Domani mi andrò io a confessare per questo peccato! Ora però, punitemi voi, come si conviene! Fatemi vostra signor marito! E che non una goccia del vostro seme vada dispersa! Son pronta! Se dovete picchiatemi pure per quell‘acqua. Ma prendetemi!”

Francesca la cosa la stava prendendo fin troppo sul serio. Io tutta questa fretta d’aver figli non l’avevo; ma nemmeno me la sentivo di ferire la consorte mia così motivata…mi alzai rapidamente e andai a spegnere quelle candele; poi tornai sul letto immediatamente e piazzatomi sopra di lei mi misi a far l’amore e la congiunzione con mia moglie. Riuscii purtroppo a guastare quella calda intimità: durante l’amplesso non le feci mai mancare carezze, lingua, abbracci e tanti, tanti baci. Tuttavia nel momento culminante mentre mi aspettavo a darle il mio seme invocai involontariamente il nome di Olivina nello stesso istante in cui baciavo mia moglie. Lei proseguì con i suoi di baci desiderando tutto il mio seme; poi più tardi mentre scarichi parlavamo al buio me lo fece notare; io non potei far altro che invocare il mio diritto al sonno. Il buio facilitava la nostra conversazione. In realtà ben poco ne avevo di sonno per il mio imbarazzo:

“Signor marito?!”
“Ditemi,…”
“Poc’anzi, mentre mi prendevate, mi avete chiamato Olivina ! É il nome di vostra sorella invero, o no?!”

Magari mia moglie sperava che le dicessi che si chiamava così anche qualche mia vecchia fiamma; io però mi limitai a dirle:

“Mi sono confuso. Perdonatemi Francesca. Forse la stanchezza per la giornata…”
“Dal vostro membro duro non direi che foste stanco signor marito. Lo sento ancora grosso! Uhm come è bello toccarvelo marito mio. Son così lieta che lo abbiate così grosso! Uhmmmmm quanto è bello! Lasciate che ve lo tocchi ancora!”

Me lo toccò fino a farmi una salda presa, poi mi diede un suo bacio sulla guancia abbracciandomi. Non ce l’aveva con me, ma nemmeno rinunciava ad interrogare tenendo il mio pisellone in ostaggio:

“Mi siete piaciuto molto signor marito. Visto che feci bene a bagnarvi i pendenti? Se non doveste riposar un poco, io lo farei di nuovo; ma dubito che possiate darmi ancora tanto seme. Preferisco che me lo diate domani mattina, dopo un buon sonno. Dormite bene Toraldo che al risveglio me ne aspetto tanto. Buona notte.”

Mi diede un altro bacio, che ricambiai. Mia moglie era un’illusa. La mia erezione è stata sempre poco o quasi per niente problematica. In vita mia ebbi pochi mancamenti invero. Mi ero appena voltato per dormire che mi chiese di nuovo:

“Signor marito!”
“Che c’è?”
“Su Olivina, che vi dico col cuore mi piace come fosse sorella anche a me, c’è qualche cosa ch’io havvi a conoscer? Non so ditemi, un qualcosa ch‘io non havvi a nominare in presenza sua?!”
“Mia sorella e basta. Si sposò prima di me. Tutto qui! Potete parlar liberamente. Non è donna che si fa turbar dalla favella altrui.”
“La vedevate spesso vostra sorella dopo i suoi sponsali?”
“No, due volte l’anno, venivo io qui! Lei la locanda non può lasciarla, o va tutto a scatafascio…”
“Però oggi signor marito, e ve lo devo proprio ricordare o non posso prender sonno, oggi stavo dicendo, vi vidi guardarla nelle sue femminili fattezze…guardarla come si guarda una donna prima di prenderla…vorrei esser guardata io da voi soltanto come avete guardato lei…”
“Abbiamo bevuto troppo moglie mia! Colpa del vino! Se voi di ciò mi perdonate, io altrettanto per la vostra petulanza. Dormiamo ?!”
“Signor marito, fate buon sonno!”

Quella notte dormimmo. Mia moglie mi lasciò in pace. L’indomani in tarda mattinata ci recammo di nuovo da mia sorella onde trascorrer con loro la giornata. Quando arrivammo Olivina stava dando disposizioni a Filomena, era lunedì, e la lavorante aveva un buon aspetto dovuto al fatto che si doveva esser fatto il bagno alla tinozza. Olivina le stava dicendo:

“Recati al mercato e compra ciò che ti ho detto…! Prima però vai a prendere Aymone dalla scuola. Tuo fratello se la sente di far qualcosa oggi?”
“Ancora no padrona Olivina! Lavorerò io per lui, state tranquilla.”
“Sì come no! Senti, son’io che ho troppa fretta forse! Ma sì, che si riposi ancor qualche giorno!”
“Olivina!”
“Salve Francesca, desiderate mia cara?!”
“Posso andare con Filomena al mercato? Vi disturba se faccio compagnia alla vostra lavorante? Vorrei conoscer meglio il paese vostro intanto che state assieme con vostro fratello… avrete tante cose da dirvi…”
“Ma andare al mercato non è dovere degli ospiti o degli amici. Sono incombenze della lavorante. Perché volete recarvi al mercato?”
“Insisto cognata e sorella! Immagino poi vorrete parlare in intimità con vostro fratello da tanto che non lo vedete…”
“Lo vedo due volte l’anno mia cara Francesca. Comunque se volete accompagnare Filomena fate pure! A Piacer vostro.”
“Grazie Olivina, comprerò anche qualcosa per voi. Voi signor marito mi dareste un po’ di denaro, vorrei comprarmi qualcosa dal mercato…”

Mia moglie mi chiese del denaro, ed io prontamente le diedi tre ducati. Più che sufficienti per una spesa al mercato e per comprare qualcosa per Olivina come promesso da mia moglie.

“Grazie signor marito! Filomena…?”
“Ai vostri ordini signora! Ditemi.”
“Vogliamo andare? Posso chiedervi il vostro braccio ragazza?”
“Prego mia signora, allora noi andiamo padrona Olivina.”
“Andate, andate. A più tardi.”

Una volta soli mia sorella Olivina mi fece:

“Fratel Toraldo, lasciate che ve lo dica, siete stato fortunato a trovar una donna quale la vostra Francesca. Bella e garbata. Vi rende felice?”
“Grazie sorella, vedo che vi piace. Sì, non ho lamentele.”
“Beh, dire che non si hanno lamentele è ben diverso dal dire che si è felici; qualcosa che non va? Stamattina vi vedo un po’ giù. Vi mancavo forse così tanto?”
“No, va tutto bene.”
“Oh, sì lo vedo dai vostri occhi…fu per i tre ducati? Beh, nemmeno qui navighiamo nell‘oro e perdonatemi se non vi ospito io direttamente. Qui le poche camere buone devo affittarle o le banche ci calano addosso siccome avvoltoi!”
“No, son provvisto di denaro, per tutto il tempo che staremo qui. Solo che Francesca ieri mi riprese…”
“Riprese?”
“Con molto garbo, ma mi riprese. Invocai il vostro nome durante il momento culminante del nostro coito stanotte, ma non me ne volle comunque.”

Mia sorella rise garbatamente del mio racconto di stanotte:

“Tutto qui fratello Toraldo ?”
“Perché questo vostro sorriso?”
“Perché non siete il primo fratello che s’innamora della propria sorella Toraldo! Vi state dando pena per niente. So io cosa ci vuole per tirarvi su. Vorreste seguirmi nei miei appartamenti privati Toraldo ? Ehi Roberto ! Puoi alzarti oggi ? O vuoi restare tutta la mattina a leggere la Bibbia?!”

Da cinque metri di distanza Roberto con la gamba zoppicante, aiutandosi col bastone si fece avanti. Riusciva a muoversi abbastanza bene su distanze non lunghe. Di solito accompagnava lui a scuola e a dottrina Aymone; adesso con la gamba sinistrata faceva solo lavoro sedentario come aiutare al pomeriggio la nonna Pantalea, un’altra delle vicine di Olivina, a filare la lana con il telaietto a mano. Doveva solo stare seduto e tenere le braccia aperte per quanto serviva. Andò subito a sedersi al tavolo da cui Olivina trattava con i clienti. Lui stesso disse:

“Padrona andate pure, resto io qui; e se vengono clienti vi chiamo con il campanaccio.”
“Grazie Roberto.”

Il campanaccio, con un sistema di corde e carrucole che non saprei descrivervi, trasmetteva il suono fino agli appartamenti privati di mia sorella. Giunti che fummo nelle sue spartane camere private potei veder ch’erano due: soggiorno e camera da letto, entrambe tre metri per quattro, una con finestra sulla corte quella del soggiornino. Mia sorella Olivina per lei e suo marito aveva ridotto l’arredamento all’essenziale: letto a due piazze, due sedie, ed un tavolino scrittoio con cassetto a chiave. Al muro due dipinti: uno di fiori vari su vaso, e uno del paesaggio lì intorno. Mia sorella sollevò e si rimboccò la gonna verso la vita e vidi che mutande non ne portava, neppure il filo dietro. Si stese sul letto su un fianco lasciando intravedere le sue rotondità con qualche cuscino sui fianchi e qualche buccia d‘arancia sui glutei. Mi disse:

“Toraldo ! Chiudete la porta e tirate la tenda!”

Lo feci prontamente, poi attesi altre sue disposizioni:

“Ora calatevi le braghe e stendevi accanto a me seguendo il mio corpo, e se ancora vi piace, il mio posteriore. Prendete il vostro membro, appoggiatelo al mio culo, e tenetelo appoggiato. Avete compreso come vi voglio?”
“Sì sorella, perfettamente sovrapposto a voi secondo le spalle; posso baciarvi il collo?”
“Potrete fare poco a poco ciò che volete. Terrete il vostro membro tra le mie rotondità! Prima però starete ad ascoltare. Ah, a proposito! Se doveste sentire il campanaccio io dovrò andare nel mio ufficio. Voi sgattaiolerete non appena ne avrete l’occasione senza indugio. Coprirò io la vostra fuga, ma solo per pochi secondi. Avete inteso?”
“Sì Olivina.”
“Alla seconda ora dopo la mezza torna mio marito. Siate vigile!”
“Sì, pciù, pciù.”
“Grazie dei baci, ma ora statemi a sentire: l’altra settimana volli scoprire cosa facesse Aymone che da qualche tempo io e mio marito lo vedevamo sempre con la mano destra nel suo pisello…”

…mia sorella mentre io potevo scaldare il mio pisello in progressivo indurimento tra le sue forme calde e tonde in basso iniziò il suo racconto su suo figlio, mio nipote. Mi disse che Aymone scoprendo il sesso ed il piacere di toccarsi non si accontentava più di spiare a distanza Filomena durante il bagno o durante le sue deiezioni. Si poteva dire che Aymone avesse saputo tutto delle intimità di quella sfortunata lavorante orfana di genitori adottata da Olivina su richiesta del convento che ospitò suo suocero. Si poteva dire che Filomena da quando aveva sviluppato quella sua splendida statura ed i suoi lunghi capelli era diventata il chiodo fisso di Aymone, che nel contempo aveva appena lasciato l’età infantile. Una volta, ad esempio, essendosi accorto che Filomena stava facendo il bagno da sola alla tinozza Aymone si avvicinò in punta di piedi e si piazzò con passo felino due braccia dietro la sua schiena. Filomena non era nuda. Come si conveniva ad una donna divenuta adulta prendeva il bagno in camicia da notte; tuttavia l’acqua di cui la veste era intrisa faceva ben risaltare le natiche sode e le dritte spalle della ragazza. Aymone vedendo quelle natiche ben formate non seppe resistere; si tirò fuori il pisello e cominciò a menarlo. Mia sorella seppe poi da Aymone che Filomena se ne era accorta che poteva esserci qualcuno in stanza. Alla lavorante glielo diceva una sorta di sesto senso. In cuor suo credo fu più che contenta che non fosse suo fratello Roberto, purtroppo non bello e con le spalle strette, e poco torace. Roberto era sfortunato con le ragazze e probabilmente quando si sposerà dovrà sceglierne una non carina, come lui. Al contrario Aymone era un bel biondino con un volto dolcissimo; aveva ereditato la sua statura dal padre Ranuccio, e l’armoniosità del suo corpo da sua madre Olivina. Crebbe tra l’affetto di Olivina e quello della nonna, la signora Lucia, vedova Tresoldini. Adesso che insidiava Filomena era alto non più di un metro e mezzo (ma sarebbe cresciuto) ed anche il suo bel pisellino con i primi peli del pube non avrebbe potuto superare quattro o cinque dita eretto. Una donna come la puttana che usava spiare all’opera dopo aver pagato il suo amichetto svelto non avrebbe saputo cosa farsene di così poca dotazione…Filomena però era una donna ben diversa; da qualche tempo permetteva che Aymone l’accompagnasse al mercato sì da vantarsi con i suoi amichetti di cotanta compagnia femminile. In questo Aymone era molto, ma molto fortunato. Filomena si era voltata all’improvviso e congelò con lo sguardo il piccolo Aymone colto sul fatto di farsi manovella in presenza non di una dama, bensì di una femmina comune, popolana, nondimeno bella per la sua età: quattro anni più di Aymone. L’ironia venne usata da Filomena per romper quell’imbarazzo; mio nipote aveva perso le braghe essendosele lasciate cadere:

“Hai perso qualcos’altro oltre la dignità Aymone?”
“Ahn! Ahn! Ahn!”
“Sei patetico Aymone! Da qualche tempo non hai più nessuna educazione! Basta con le manovelle! Te le fai tutto il giorno! Guarda che diventi cieco!”
“E allora?! Ahn ! Non vedrò altre bellezze, - ahn!- dopo la tua! Ahnn!”
“Come sei galante…!”
“Spogliati! Uh! Ahnnn! Sto per venire! Fammela vedere come ce l‘hai…”
“Ma va! Senti, non odori molto di pulito! Vieni qui nella tinozza con me!”
“No! Ahnnn! Spogliati! Voglio vederti la fessa!”

Filomena diede un buffetto a mò di schiaffo al giovincello maleducato che cominciava ad usare parole volgari per la sua età. Non era proprio uno schiaffo. Più che altro un avvertimento:

“Ma bravo! Hai preso a spiar le donne di malaffare vedo! Si chiama fiore. La devi chiamare fiore!”
“Se è per questo la chiamano anche topa, micina, e bernarda, se non ti piace fessa! Alzati la veste Filomena! Solo un po‘ che la vedo la,…topa!”
“Aymone! Niente parolacce con me! Guarda, stai sudando ! Togliti la camicia che oggi la lavanderia la teniamo chiusa! E io non te lavo né te la stiro l‘altra!”
“La chiamo come mi pare Filomena! Dai fammela vedere, che vengo! Ahnnnn!”
“No! Aymone, spogliati tu! Faremo il bagno assieme!”
“Il bagno assieme a te Filomena?! Io e te?”
“Sì, dai vieni! Ma togliti la camicia prima, che si bagna tutta e non venire! Diamine! Contieniti!”
“Prendimelo in mano Filomena, ahnnn! Per favore prendimelo in mano!”
“Uffa, e va bene! Dà qua!”

Aymone avvicinò il pisello alla mano di Filomena che lo afferrò e con decisione accelerò la masturbazione. La mano calda della ragazza ebbe l’effetto bramato da Aymone. Lo fece venire sulla sua mano che si chiudeva ed apriva sul suo glande che buttava bianco seme. La spossatezza post orgasmo di Aymone lo rese arrendevole. Filomena gli sfilò la camicia e lo fece entrare nella tinozza iniziando a lavarlo amorevolmente. La qualcosa il viziatissimo Aymone gradiva moltissimo. Quando finì di lavarlo usando la sua stessa spugna sul suo corpo realmente nudo gli disse di voltarsi e di sedersi: i due, benché separati dall’età invero abbastanza rilevante e dalla statura dei loro corpi erano seduti l’uno di fronte all’altra. Dal racconto di mia sorella mi ero fatto un’idea: Filomena doveva essersi affezionata al piccolo Aymone, poi però doveva essersi anche innamorata del giovin signorino. Filomena si chinò verso di lui ed iniziò a baciarlo sulle labbra; cosa per lui abbastanza nuova e piacevole. In quell’occasione gli insegnò ad esplorare la bocca di una donna con la lingua cercando l’altra lingua per incrociarle tutte e due assaporandosi più volte. Aymone imparò a baciare e deliziare una donna usando la lingua in tutti i modi tranne parlare. Leccava, coglieva, incrociava con una donna autentica. Quei baci che Filomena a torto riteneva innocenti erano invece ben peccaminosi: del piacere che provava con Filomena Aymone non lo disse neanche ai preti in confessione. E ciò aveva aiutato la loro relazione. A mano a mano che Aymone ricambiava l’amore di quei baci che lui dava ogni momento meno dilettantescamente la fiducia in lui di Filomena cresceva. Poco prima non volle mostrarle il proprio fiore. Aymone fu costretto ad immaginarselo per quanto la veste zuppa d’acqua lasciava intravedere. Adesso invece Filomena apriva la camicia da notte per scoprire il suo seno destro ancora acerbo e poco formato. Aymone suo malgrado aveva chiuso gli occhi per meglio vivere quella bagnata intimità nella tinozza e non vide quel seno col piccolo capezzolo già inturgidito dai loro baci pieni del disìo di sé stessi. Aymone suggeva a quella calda e sconfinata fonte amorosa e nel frattempo Filomena cercava le palle del suo signorino onde carezzargliele e saggiarne la durezza. Aymone schiacciò completamente tutto il suo volto contro quell’accogliente petto. La mano di Filomena carezzava l’inguine, il pisello, e le pallette ad Aymone. Ormai Filomena era ben disposta verso di lui e si lasciò sollevare la camicia da notte non appena il ragazzetto ebbe la necessaria libertà di movimento. Mentre quel camicione si avvolgeva ridicolmente rimboccato sotto il seno, Filomena pensò di toglierselo del tutto. Ora finalmente era nuda. Nudi tutti e due come si addiceva a due veri amanti! L’acqua della tinozza a malapena copriva i loro bacini. Aymone piegandosi abilmente in avanti cominciò a baciare il ventre a Filomena come fosse un esperto. Filomena gemeva, ed a tratti lo stomaco si contraeva quando lui, il signorino, le sfiorava la pelle bagnata con le labbra e alternativamente di sorpresa e poi di nuovo con le labbra… la vulva di Filomena già bagnata dall’acqua di rose della tinozza si era gonfiata un pochino. Il pelo tratteneva le gocce d’acqua lasciandole scendere lentamente quando si alzò in piedi onde permettere ad Aymone di leccarle il fiorellino del clitoride in via di scappucciamento. Purtroppo non poteva in piedi allargare le gambe oltre l’estensione della tinozza se voleva tenere i piedi in acqua; per cui tenendo la testa di Aymone appiccicata alla sua vulva lo guidò lentamente a riscendere. Si risedette più comoda facendo uscire i polpacci dalla tinozza, così allargando le cosce per far muovere comoda tutta la testa di Aymone, che adesso veniva trattenuta all’interno di quella carnal conchiglia premuta sulle guance dalle sue cosce calde per l’eccitazione, e bagnate di profumata acqua tiepida che aveva preso ormai l‘odore dei loro corpi. Aymone muoveva la lingua istintivamente onde cogliere i vari sapori che poteva percepire da quella generosa giovanissima e carnosissima vulva tutta per lui. La lingua di Aymone era piccola davanti a quella vulva quasi adulta; questo però non era uno svantaggio: onde leccarla tutta Aymone doveva passarla di più per non perdersi nemmeno un centimetro di quell’oggetto di lubrico e sottile piacere…

“…oh! Fratel Toraldo! Sento che vi è diventato proprio duro! Uh! Che fate? ”
“Proseguite Olivina! Proseguite! Il vostro racconto m’interessa assai. Uhm! Uhmmmm! Ahn!”
“Sento che state spingendo! Aspettate che me lo allargo di più, se no mi fate male Toraldo!”
“Uh! Sì ! Uhmmm! Eccolo Olivina! Ve lo do! Hah! Hah! Proseguite vi prego!”

Il mio cazzo divenne duro e ben grosso. Appoggiatolo al culo di mia sorella Olivina glielo misi subito dentro, non appena lei stessa allargò il suo ano onde render facile la mia entrata nel suo retto:

“Sì, dunque! Ahi! Ahi!…Uhhhhhhh! Ecco siete dentro! Uhi! Allora come vi stavo dicendo…”

…Aymone passò molti minuti a leccare quella fica, finché Filomena non si mosse. Rimise dentro le gambe, si voltò e si mise alla pecorina cosicché Aymone potesse continuare a leccarla anche dietro. L’inguine, l’ano, e la vulva di Filomena assaggiate da dietro dal giovanissimo amante che a guisa di cagnolino deliziava la sua femmina peccando entrambi di comune sorte in quella tinozza. Ad ogni colpo d lingua tutto il suo culo tremava e rinculava verso la lingua di Aymone. Aymone stava diventando uomo. Forse gli odori che promanavano non erano tutti gradevoli, ma restava lì a leccare senza mai staccare le labbra o il viso da quelle curve fresche e sode. Fra poco avrebbe dovuto compiere il dovere suo, di maschio amatore. Tuttavia al giovane figlio di Olivina piaceva usar la lingua su quelle calde superfici già bagnate; più leccava e meno la sua sete poteva trovar soddisfazione. Eccitato passava le sue labbra timide e la sua lingua ad ogni colpetto meno incerta su quelle sode curve di femmina adolescente decorate dalle goccioline dell’acqua della tinozza .

“Deciditi Aymone! Ahnnnn! Se lecchi ancora così,- ahnnnn! - mi fai goder di lingua! Ahnnnnn!”
“Slurp, yum, uhmmmmf, yum, uhm!”
“Ahnnnn! Dai Aymone! Ancora…uhnnn! No, basta! Sul serio, dai! Non leccare ancora!”
“Te lo metto dentro Filomena!”
“Vulva o culo Aymone? Ahnnn che leccata! Ahnnn! Attento con la lingua, che ti bagno sul serio! Uh! Che vuoi ? Pipì?!”
“Vulva ! Mi hai già bagnato! La sento, uhmmm, la salatina! Come sei buona qui sotto! Uhmmmm!”
“Lì son vergine Aymone! Prometti che poi mi sposi?”
“Sì, dai!”

Tra i suoi stessi rantoli di godimento Filomena trovò il modo di ridere di sufficienza delle dichiarazioni amorose di Aymone.

“Tu non mi sposerai mai Aymone! Mamma tua, - ahnnn! - te lo impedirà! Ahnnn! Sei troppo giovane!”
“Ma che dici?! Lo sa che me la mostri…,e poi crescerò!”

Filomena lo sapeva che Aymone non l’avrebbe mai sposata. Però di quel visino biondo e luminoso del ragazzetto era innamorata, e gli disse di voltarsi: Aymone eseguì e furono di nuovo uno di fronte all’altro. Filomena prese la testa di Aymone tra le mani e lo baciò. Gli diede uno di quei lunghissimi baci che toglievano quasi il respiro. Poi dopo tre minuti nei quali se lo era letteralmente fagocitato, di modo che la sua bocca non si staccasse dalla propria, interruppe quella calda prigionia, allargò le cosce e gli disse:

“Entra! Te la dono! Meglio a te, che a qualche contadino! E poi usi quella lingua così bene amore mio! Dai, mettilo dentro! Metticelo tutto! Anzi dallo un po‘ a me!”

Aymone presentò contento ed orgoglioso a Filomena la sua seconda erezione. Il suo batacchio era lungo sei dita poté valutare la lavorante di Olivina e due dita più o meno era lo spessore di quella maschia carne non più infantile. Amorevolmente glielo prese in bocca al volo dato che vide che aspettando s’ammosciava. Lo deliziò con una breve fellatio dedicata più che altro alla sua cappella rosa scuro. Il cazzo di Aymone svettava di nuovo. Il ragazzetto lo tirò fuori da quella caldissima bocca con cui si era baciato, e lo abbassò per entrare nella vagina di lei. Fu goffo, forse avrebbe preferito prenderla animalescamente prima, quando la ragazza lo interruppe con quel breve dialogo. Premette due volte venendo alla fine accolto da lei. La ragazza per un secondo sentì del dolore mentre Aymone le lacerava l’imene, poi iniziò ad avanzare più sicuro andando avanti ed indietro guidato dai sospiri e respiri di lei. La soddisfazione di Filomena però non era piena; Aymone abbracciato si muoveva poco e piano. Lei gli chiese di uscire spingendolo indietro e subito disse:

“Usciamo dalla tinozza, se no, non ci riuscirai !”

Uscirono, lei voltandogli le spalle gli mostrò ancora una volta il suo corpo tutto, dalla schiena al culo che lui di nuovo baciò e leccò, quindi dopo poche leccate intime del ragazzetto lei si stese per terra, sul pavimento di pietra, nuda senza pensarci due volte dando la sua schiena al muro; allargò le cosce ed Aymone poté vedere con i suoi occhi il sangue virginale di lei che le aveva macchiato di rosso l’entrata della fica e le cosce interne. Alla vista di quel sangue si chinò immediatamente a leccarlo volendo cogliere da quella curiosa prima scoperta tutti i sapori possibili; Filomena gradì quell’interesse per il suo corpo carezzando di nuovo Aymone sulle guance; poi gli disse:

“Non lasciarmi così! Devi finire il tuo lavoro da uomo! Penetra di nuovo, che vedo che ce l’hai ancora dritto ! Dà qua!”

Pochi colpi della mano calda di Filomena ed Aymone poté di nuovo entrare in lei. Stavolta prese a muoversi con più libertà ed abilità, e con i suoi ondeggiamenti prima di raggiungere il suo orgasmo portò Filomena al proprio. Se ne accorse per la prima volta di che bella doccia calda faceva sulla sua cappella, custodita tra quelle morbide e adattabili pareti, la vagina di una ragazza disposta al sesso che respirava intensamente ad alta voce. Non era come la puta che aspettava indifferente che il maschio venisse. Lei, la sua Filomena, voleva ch’egli, Aymone, venisse. Istintivamente Filomena aveva completato quel coito introducendo di soppiatto l’indice nell’ano di Aymone che aveva ben altro dito dentro di lei. Non se l’aspettava dato che lui era l’uomo, ma gradì quel gesto invasivo di lei. Completarono la cosa baciandosi a bocca aperta facendo mulinello con le loro lingue. Si sentiva desiderato; una sensazione di ricchezza dopo quella di possesso che aveva potuto provare deflorandola… Adesso Aymone si apprestava a provare un’altra sensazione: quella che si prova nell’istante dello sparo dello sperma nelle profondità invitanti della sua lei. Per un ineffabile istante, mentre Filomena aveva potuto vedere quanto rossa era diventata la sua faccia ad occhi chiusi per lo sforzo, quel bel biondino di Aymone credette di essere un elefante da guerra che s‘impenna sui nemici, un leone all’attacco, uno scattantissimo cervo, una possente aquila regina del cielo...La sua mente ormai avulsa dalla materialità esterna, financo dall’abbraccio amoroso di Filomena, visse in un istante diecimila altri istanti di altre potenti entità condensati sul momento in cui il suo sperma lasciava la sua uretra provocandogli con la sua alta temperatura il massimo del piacere in quella fremente, bagnatissima, e bollente catacomba di carne … scese lo sperma di Aymone; mille e mille e ancora mille piccolissime copie di Aymone invasero l’utero di Filomena che chiuse l’abbraccio chiudendo le gambe. Entrambi ebbero per un attimo l’illusione di aver fuso le menti, oltre che i loro corpi. Quell’illusione fece loro annullare le differenze di età, e la paura della disapprovazione sociale. Il resto del mondo semplicemente non esisteva … Aymone si rese conto che era solo un piccolo uomo bisognoso di sonno. Il suo dovere di maschio lo aveva fatto. Anche la sua temperatura che prima aveva quasi spaventato Filomena che lo aveva baciato più volte sulle tempie stava calando. Per come lo potei immaginare io, che ero suo zio, che avevo ascoltato il racconto di mia sorella discreta testimone diretta da fuori quella stanza, dormì tra le braccia di Filomena il sonno del giusto, congiunto con lei. Mentre io, nei momenti in cui mia sorella mi stava finendo di raccontare, avevo il mio grosso cazzo piacevolmente incastrato dalle pareti del retto purtroppo appena tiepido di Olivina.

“Oh, siete venuto alla fine Toraldo! Vi piacque dunque così tanto la perdita della verginità di Filomena?”
“Mi piacete voi sorella! Ahnnn! Sono sempre stato innamorato di voi Olivina, fin da quando da piccoli, uh! Ahnnn! Uh!,- mi concedeste di baciarvi per scusarmi di quei tocchi ricordate? Ahnnn!”

Ancora congiunto ed eruttando poco sperma baciavo passando abbondantemente con la lingua e la saliva la guancia calda di mia sorella che continuava a parlare della prima scopata del proprio figlio. Ne era stata felice Olivina, per non aver dovuto ripetere l’incesto ch’ebbe con me col proprio figlio.

“Sì fratel Toraldo, ricordo che vi prendeste comunque le mie boccette…lì in campagna! Meglio sarebbe stato se nostro padre ci avesse visti sul serio!”

Mi ricordò lei stessa del suo seno da piccoli, e ne approfittai per una stretta a due mani adesso che eravamo adulti da due decadi!

“No! Ohhhhhh! Sono i miei seni che vi piacciono Toraldo! Ahnnnn!”
“Sì! Ecco! Aspettate ! Ancora un paio!”

Più le stringevo quelle zinne calde più sperma riuscivo a travasarle prendendolo chissà da dove; mia sorella Olivina m‘incoraggiava guardando la porta dal suo lato del letto; dovevamo sperare che Roberto non ci stesse spiando. Probabilmente il timore reverenziale per la sua padrona glielo impediva:

“Vi capisco fratel Toraldo! Scusate se non vi bacio! Buttate, buttate! Ahnnnn!”

Parlandole le alitavo sulle orecchie e sul collo:

“Ahhhnnn! Ma dite, poi venne Aymone dentro questa vostra lavorante?”
“Venne, venne, come tutti gli uomini! Oh, ne avete ancora sento…”
“No, Olivina, erano le ultime gocce, purtroppo…ahnnn! Uh! Ecco!”
“Ahhhhhhhh! Poco male! Risparmierete il resto per vostra moglie! Ahnnnnn, uhmmmm, Ahhhhh! Tutto dentro! Sì!”

Arretrai un poco onde vedere quanto cazzo era ancora dentro di lei. Un timido rivoletto di sperma e sangue tentava di uscire da quelle cavità muscolari. Rimasi fermo e silenzioso un mezzo minuto a contemplare la forma allargata dell‘ano della mia stanca amante, quando mia sorella Olivina mi chiese:

“Beh, ora compiacetevi di uscire fratello, non posso tenervi dentro all‘infinito!”
“Aspettate, ecco!”

Tolsi il cazzo ancora gonfio e svettante dal retto dilatato di mia sorella. Rimase circolare avendo preso per il coito contro natura la forma del mio batacchio. Era tutto marrone e rosso; mentre la mia cappella era sporca di deiezioni e sangue; mi si stava raggrumando sopra ed era molto denso; dovevo aver rotto non pochi vasi sanguigni a mia sorella, o forse erano gli anni di sesso rettale a farla sanguinare facilmente. Solo un cerusico avrebbe potuto pronunciarsi. Non prevedendo il morboso sesso con me (ch’ero venuto a trovarla con mia moglie Francesca) non si era sgomberata con la purga. Uscì qualche minuto, e tornò con un catino d’acqua ed uno strofinaccio bagnato. Me lo favorì:

“Pulitevi da solo fratel Toraldo! Ch’io mi devo nettar qui dietro!”

Mia sorella si toccò istintivamente voltando la testa onde esaminarsi; il sangue che aveva perso doveva averlo sentito anche lei; peccato che la sodomia fosse così ruvida; vidi il suo volto contrarsi un istante in una smorfia di dolore quando poggiò la punta dell‘indice sul suo sfintere esausto e arrossato all‘inverosimile:

“Ohi! Ohi! Brucia ancora! Meglio di no per ora…oh! Lasciate, viziato! Faccio io Toraldo!”

Mi pulì al meglio che poté il membro mio lordo delle sue cose di lì dentro, poi mi sciacquò sul catino avvolgendo dolcemente il glande con la mano bagnata di acqua comune; infine ahimè!-mollò quella tenera presa. Una bella sensazione vederselo pulito dalla propria amante. Olivina andò a buttare quell’acqua poi tornò di nuovo col catino, e richiuse ancora una volta la porta dietro di noi. Presi subito a carezzarle le natiche con dolcezza. Ma lei mi prevenne:

“No, fratel Toraldo non faremo altro sesso! Ora mi stendo di fianco rimboccando la veste come prima, e voi mi farete la cortesia di pulirmi con quest’acqua dalla cacca che mi avete tirato fuori. Vedete un po‘ voi! Io sono anche un po‘ stanca. Siete troppo vigoroso, anche da fermi! Invidio vostra moglie fratello!”

Così feci. La pulii amorevolmente usando il panno bagnato finché non vidi le sue tonde rosee natiche ed il suo tenero ano che riprendeva la sua forma di nuovo lindi. Certo la pelle di quelle natiche aveva un po’ di grasso ormai; soprattutto le bucce d’arancia; non me ne importava. Con mia sorella Olivina mi si è sempre intostato.

“Siete di nuovo pulita sorella! Ecco avrei finito… posso?!”

Mi chinai per baciarla e leccarla lì, ma Olivina si scostò, e mentre si alzava dal letto non so come fece ad intuirlo, ma non potei protestare, il campanaccio purtroppo suonò vigorosamente. Olivina si riassettò la gonna mentre io ero ancora sul letto.

“Bene debbo lasciarvi fratello! Un’ultima cosa: tenetevi il segreto per voi! ”
“La sodomia di oggi intendete?!”
“No. Non solo quella almeno: vedete, Aymone crede di aver fatto innamorare Filomena! Ma non è vero! Lei ama uno della sua età, un aiutante panettiere, un tale Luca, di ventun anni. Tra due anni sarà mastro panettiere, si metterà in proprio, e si sposeranno … promisi a Filomena il corredo per le sue future nozze in cambio dello sverginamento di Aymone! Che non vi sfugga giammai col ragazzo, intesi fratello?! Mio marito Ranuccio sa del mio patto con Filomena, anche se a lui i particolari non li ho detti, sapete fratello, ormai Filomena era di casa; ma se ne andrà presto ed Aymone si dovrà abituar pian piano.”
“Scusate ancora un attimo, ma allora quando… ecco devo capire: compraste la verginità di Filomena?”
“Siete dunque così tonto Toraldo?! Una fola! La verginità di Filomena già la tolse il suo vero fidanzato tre mesi fa; calcolai che finché non partorisce, un po’ d’imene lo dovrebbe ancora avere, e non mi sbagliavo: Filomena me lo lasciò intravedere riservatamente; allora ci mettemmo d’accordo, e con Aymone distratto dal suo culo di spalle, lei si punse il dito con uno spillo e se lo cacciò dentro mentre sanguinava; quindi si macchiò mentre mio figlio non guardava, ma leccava avido le sue natiche…”
“Terrò il nostro segreto anche con mia moglie Olivina! Promesso.”
“Io non dirò mai a vostra moglie di oggi tra noi due! Per non indurle sofferenza mentre desidera darvi un figlio. Voi, mi raccomando, non attenterete alla felicità di mio figlio. Questo è il patto! Mi raccomando Toraldo! Ne andrebbe della felicità di Aymone! Osservate il patto, e mi sarete sempre gradito. Qui e qui!”

Olivina mosse la sua mano destra con l’indice teso. Indicò a gesti la sua magione, ed il suo ancora bel culo, poi di fretta dato che il campanaccio aveva già suonato abbandonò subito la stanza. Io contai fino a trenta, poi uscii anch’io. Olivina mi stava coprendo la fuga intrattenendo Roberto, il fratello di Filomena fingendo di accertarsi della sua gamba, e delle sue forze. Raggiunsi furtivo la strada e finsi di dovermi recare alla fontana pubblica onde bere un poco. Tutto quello che dovevo fare era di bighellonare un poco in attesa che mia moglie Francesca e Filomena tornassero dal mercato. Potevo vedere che il paese di mia sorella Olivina era in espansione. Si costruivano case dappertutto. Azzardai una passeggiata andando in cerca del vicolo di cui parlava Olivina; era se non stavo ricordando male un vicolo senza uscita con il muretto finale rotto. Passeggiavo senza pensieri tra i vari vicoli, e non lo trovavo. In fondo non aveva nessuna importanza. La mia quieta passeggiata venne interrotta da un uomo di mezza età, calvo, più basso di me, di modesto vestire che dopo essersi tolto il cappello con un ampio sorriso mi apostrofò:

“Signuria non è delle nostre parti! Venne da fuori o mi sbaglio, messer…?”

Non vedevo nulla di offensivo negli occhi di quell’uomo; per cui mi presentai sottolineando il mio mestiere anche se non mi era stato richiesto:

“Messer Toraldo, ragioniere dell’intendenza del mio signor Barone!”

Mi tolsi il cappello come si usava tra gentiluomini; quest’uomo mi disse:

“Mi chiamo Michele messer forestiero, ed in piazza a non più di venti passi dal patibolo che han messo, possiedo un appartamento al secondo piano…”
“E allora ?”
“Secondo me signurìa è persona che qui venne a divertirsi. O sbaglio forse?!”
“Sbagliate allora! Venni qui con mia moglie onde recar visita alla sorella mia vostra concittadina qui maritata. Mia sorella è maritata col notaio Tresoldini, immagino lo conosciate.”

Michele negò muovendo gentilmente il capo; lui, per lo meno lui, il notaio Ranuccio Tresoldini non lo aveva mai sentito; tuttavia aggiunse:

“Bene a sapersi messere. I miei rispetti a voi tutti. Son lieto che siate così ben imparentato. Però volevo chiedervi se v’aggraderebbe affittar la stanza mia che dà sulla piazza dell’esecuzione domani! Posso farvi un buon prezzo: venti ducati per veder comodo seduto alla finestra cader ben tre teste sotto la scure del boia! Due son uomo e donna, condannati siccome spie del Sultano di Costantinopoli, l’altro un comun brigante amico de‘ pirati saraceni che rapiscono le donne nostre qui nelle campagne! Ma questi li hanno presi! Verranno messi a morte alla mezza!”
“Venti ducati ?! Per assister ad una decapitazione dalla magione vostra?!”

Michele gesticolò ampiamente con il dito formando numero con pollice, indice, e medio:

“Tre decapitazioni! Vi sembran troppi venti ducati? Avete detto voi di aver moglie al seguito! Mi siete simpatico messer Aldo! In verità posso accontentarmi di quindici ducati! Cosa son per voi, così ben vestito, quindici ducati! Non vi chiedo neanche l‘anticipo! So che posso fidarmi della parola vostra! Sembrate un così brav’uomo! Mi pagherete domani mattina, poi salirete le scale, e vi accomoderete! Siamo d‘accordo messere?”

L’uomo mi tese la mano in attesa di suggellare con stretta di mano il nostro (in realtà solo suo) accordo:

Non gli presi la mano; tuttavia dovetti precisargli:

“Toraldo ! Messer Michele, mi chiamo Toraldo!”
“Va bene Toraldo, allora?!”
“Non so che dirvi, dovrei prima parlarne alla consorte mia, che ora è al mercato! Verranno in così tanti?”
“Sì e vedranno ben poco poiché s’accalcheranno! Vi faccio dodici Toraldo, ma perché siete voi!”
“Messer Michele, io vi ringrazio! Ma non m’aggrada veder cadere teste!”
“Mi rovino: Dieci! Per voi e vostra moglie seduti alla finestra! Chiedete alla consorte vostra! Magari a lei piacerebbe veder l‘esecuzione! La donna dicono sia bella, bionda, e leggiadra; e poi ha solo venticinque anni! Non li condannano a morte tutti i giorni persone così…”
“Ci mancherebbe altro! Ascoltatemi! Datela ad altri messere! A me le esecuzioni pubbliche non piacciono. Alla moglie mia neppure!”
“Meno di dieci non posso farvi! Ci rimetterei!”

Continuavo a scuotere il capo:

“No, vi dicevo, date ad altri la stanza!”
“Proprio non v’interessa? Che uomo siete se non sapete assister ad un’esecuzione capitale?”

Michele cominciava a diventar un impudente, ma cercai di non prendermela per cui a voce ferma gli dissi:

“Che uomo io sia non riguarda voi messer Michele, ora vi lascio! Vi dedicai anche troppo del mio tempo! Vado in cerca di mia moglie!”

Michele non demordeva, mi trattenne per un braccio dalla manica, per cui dovetti alzar la voce:

“Se vi aiuto a trovarla vi va bene per nove ed un formaggio di pecora?”
“Me la trovo da me! Addio Michele! Offrite ad altri ciò che volevate offrire a me! Io non godo a veder mozzare teste di donna di venticinque anni!”

Prima scostai la sua presa, poi subito dopo, strinsi la mano per cortesia a Michele, e ritoltomi il cappello innanzi a lui mi allontanai; questi dopo aver borbottato qualcosa, non si sapeva bene a chi, finalmente se ne andò per la sua strada lasciandomi in pace. Ero lì con mia moglie e mia sorella non certo per assistere alle esecuzioni capitali ordinate dal viceré.



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Commenti per Aymone 2a p. ( con Filomena assaporandosi ):

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