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Due più - 1a parte


di sexitraumer
23.01.2010    |    47.253    |    2 6.4
"Se parlo rompo quell’incantesimo furtivo nel quale scende nel più puro infantilismo per cadere nell’incesto; ecco che preme con l‘indice sopra il mio ano come..."
Clack! Trinn! Clack! Quasi le tre del pomeriggio. Ho appena sentito un rumore familiare; era lo scatto della serratura della porta di casa, qui in città. Oggi è una fredda e grigia giornata di dicembre; non sembra vero che solo tre mesi prima ci si godeva tutti una magnifica estate, naturalmente al mare. Era mio figlio Massimo che era appena rientrato a casa dalla scuola dove frequenta il penultimo anno di liceo. Chissà se aveva avuto qualche possibilità con le sue solite compagne. Non lo trovavano granché bello, e forse lo consideravano anche un po’ coglione. Ora va nella sua stanza a posare lo zaino dal peso “militare”, poi in bagno a liberare la vescica ed a togliersi le scarpe per mettere le ciabatte, quindi solo allora fingerà di dover venire in cucina; e qui si ricorderà di salutarmi. Sono sicura che oggi è uno di quei giorni suoi “particolari” nei quali è più taciturno, e privo di senso dell’umorismo. Purtroppo il padre, mio marito, è partito per il lavoro ed in casa, salvo le visite di mia madre sua nonna, ci capitava di restar soli. Troppo soli. Ed io di giovedì sto a casa perché è il nostro giorno di riposo settimanale. Ora sto sciacquando i piatti ed indosso, sopra la gonna ed un maglioncino di lana, un grembiule para acqua. Eccolo, viene e sempre taciturno mi bacia sulla guancia. Ci salutiamo silenziosamente. Si siede sul tavolo e aspetta che io abbia finito. Ci vogliono ancora una decina di minuti nei quali fissa il vuoto davanti a sé. Non sono stata esattamente una buona madre, ma un po’ di normalità volevo viverla anch’io. Come ogni madre gli chiedo di parlarmi della giornata scolastica:

“Che hai fatto oggi a scuola?!”
“Niente.”
“Ti hanno interrogato?!”
“Non c’era interrogazione.”
“E su cosa ti dovevano interrogare?”
“Ti ho detto che non c’era.”
“Va bene ma ti vedevo nervoso ieri; tutto qui!”
“Credevo alla prima ora latino, ma ha preso un altro; poi mi aspettavo filosofia alla quarta ora; ho studiato durante l’ora di religione; poi però la professoressa, nessuno sa perché, non è proprio venuta. Meno male!”
“Non avevi studiato, vero?!”
“No. Non mi andava.”
“Uhmmm! Ok, sai credevo avessi preso un votaccio, hai una faccia…”
“Tutto bene. La prossima volta un sette te lo porto, tranquilla! E se non mi rimandano quest‘anno mi cambiate il motorino. Diglielo a papà: mi sta cadendo a pezzi.”
“A proposito: ha telefonato papà. Ha detto che è arrivato e va tutto bene. Ricordati di chiamarlo stasera. Gli ho detto che te l’avrei ricordato.”
“Ah! Uhm!”
“Uhm che?”
“No, volevo dire: va bene.”
“Sei taciturno! Non mi dire che è per Rolando che ci ha dato buca ieri?!”
“No.”
“E allora?”
“Uhmmm niente! Così!”

Non vuol parlare e capisco il perché. Il “suo momento” sembra proprio oggi; me lo dice l‘istinto. Sta solo aspettando che io mi tolga il grembiule di tela gommata. Non è capace né di dirmi cosa vuole in chiaro, ma lo so per averlo già provocato in passato; tanto meno è capace di farmi la benché minima violenza improvvisa. Finisco con le stoviglie, e me lo tolgo riappendendolo al chiodo di plastica dietro la credenza, verso la porta. Lo sento alzarsi, gli do le spalle, lui trema; prima parlava a scatti dando risposte brevi e mal volentieri. Comunque aver scampato due interrogazioni lo ha reso più civile nel rispondermi; fingo di non guardarlo e resto eretta in piedi: ecco! Lo sapevo! Lo sapevo, perché si stava dominando da settimane. Mi sta toccando la natica destra; ora me la liscia muovendo il palmo circolarmente, poi me la prende. Tre o quattro prese rabbiose. Lui respira garbatamente. Sto zitta, so che devo star zitta. Se parlo rompo quell’incantesimo furtivo nel quale scende nel più puro infantilismo per cadere nell’incesto; ecco che preme con l‘indice sopra il mio ano come a ficcarcelo dentro nonostante gonna e mutande. É proprio aggressivo. Mi ritrovo il cotone della biancheria intima che cerca di farsi strada attraverso lo sfintere. Se parlo lo metto di fronte a sé stesso! Sé stesso! Per me che lo conosco, dico che è un confronto che proprio non sopporta, a meno che non ci sia qualcuno a condividere il peccato con lui, o meglio ancora, più di lui. Solo che il suo amico di triplette con me ieri non si presentò. Lui si era dominato fino a ieri in queste settimane sperando in un’orgia liberatoria che andava avanti dalle diciassette (l’ora in cui finiva di fare i compiti) fino alle due di notte! So già cosa devo fare: mi appoggio al cornicione della porta, e guardo il corridoio ignorando i suoi tocchi sempre più intromissivi, invasivi, ben poco sarebbe dire maleducati. Più toccava, maggiore voleva che fosse il mio imbarazzo a mano a mano che si spingeva “sempre più addentro”. Vi ero avvezza da meno di quattro mesi. Tuttavia sapevo di arraparlo fingendomi sdegnosamente “violata”.

“No! Ti prego! No! Ahnnn! Toccarmi così no! Ahnnn!”
“Uhmmm! Sìiiii! Uhmmmf! Calda! Bene! Calda, sì!”
“Uhnnnn! Ahnnnn! Uhmmm! Ahnnn!”

Sì, sono calda perché in casa i termosifoni sono accesi. Non mi devo mai voltare verso di lui. Chiudo gli occhi. Gli piace vedermi in godimento. Mi sta stringendo il seno con la sinistra. Mi scappò un sì quando sentii proprio la stretta alla zinna sinistra. Ampliai il respiro per eccitarlo. Non era difficile farlo dato che mi aveva infilato la mano sotto il maglione sentendo il calore materno del mio seno.

“Sì! Ah! Stretta! Sì! Ahnn! Ahnn! No, anche lì no! Mi bagno, mi sporco! Ahnn! No!”

Quei no erano completamente falsi. Il suo frugare lo apprezzavo eccome. E questo mio figlio Massimo, che era un incestuoso sui generis ma non scemo, lo sapeva. Ecco come mi aspettavo, mi ha appena ficcato la mano destra sotto la mia gonna. La sta muovendo in maniera che una donna normale definirebbe molesta. Mi sta cercando la vulva tra le cosce, come se non sapesse dove sia. Fare la figura del bambino inesperto lo divertiva. Ora mi ficca tutte le dita che può sotto il bordo destro delle mutande, e finalmente trova l’oggetto di quel piacere che a lui non è più proibito dalla scorsa estate. Lo lascio frugare. I suoi tocchi peccaminosi dopotutto me la bagnano ancora gradevolmente, anche se la mia fica non è più quella per la quale fui sposata da mio marito. Ce l’ho più spessa, e non si bagna molto. Spesso rimuovo la mia paura della menopausa. Lo lascio fare due o tre minuti, poi mi stacco e raggiungo il tavolo grande del soggiorno; mi appoggio di petto sulla sua fredda e lucidissima superficie dopo essermi allentata la gonna. Il mio naso sente l’odore inebriante dell’antipolvere che ho passato proprio stamattina mentre lui, il mio monellino chiavatore, era a scuola; le mie guance possono sentire la piacevolezza della superficie liscia del tavolo. Ho ancora le mutande. Teoricamente in casa potrei non portarle; ma quello del loro abbassamento è un passaggio irrinunciabile. Le farò abbassare a lui dato che ci tiene. Ci mette tre secondi, viene dietro di me e mi allenta del tutto la cerniera. La gonna mi cade, prontamente afferra le mutandine da dietro, e me toglie via lasciandole scivolare sotto le cosce fino al pavimento. Neppure dieci secondi, e la sua lingua mi sta sfrucugliando di saliva tra lo spacco delle natiche, due sode mozzarelle bianche ancora formosette e per sua fortuna profumate dato che stamattina di corpo sono già andata, e mi sono abbondantemente lavata. Tre o quattro pennellate, ben a fondo, che gli servono a decidere quale buco privilegiare questa volta. Mi allarga le gambe solleticandomi tra le cosce prima dietro, poi più all’interno. La sua lingua salivosa mette l’imprimatur del suo passaggio sulla mia pelle. Anche la mia eccitazione cresce. Sento il sangue circolare tra le mie gambe a V invertito. Sento i suoi capelli che riconoscerei tra migliaia. La sua testa vuole di nuovo passare da dove uscì nascendo; la sua lingua trova le grandi labbra, ma le lecca male. Se ne rende conto che i suoi colpetti vanno quasi a vuoto, e cambia posizione sotto di me. Si volta, così può leccarmela con più efficienza fino a fare un tutt‘uno tra le mie grandi labbra e la sua bocca affamata del sapore del sesso. Dalle sue slinguate mi accorgo che era in astinenza da almeno un buon mese. Potesse se la mangerebbe. Ma sì prenditela tutta! In fondo se riesci a dominarti per una mesata, vuol dire che vuoi apprezzarla meglio dopo. La sua lingua entra dentro di me, tra le mie rosee carnosità che non riuscivano ad avvolgere la sua lingua se non per qualche intenso sfiorato istante di solletico, ed ecco che comincio a sospirare, mi lecca proprio dentro. Chissà quali sapori cerca questa volta. Le gambe o le natiche, non so, mi tremolano, e faccio fatica a tenerle larghe. Sono tese per il solletico ed il godimento che mi sta procurando. Se solo leccasse come il suo amico coetaneo sarei già andata in sbrodolo. Lui invece va più veloce, e per niente leggero. Non di meno la mia fica “lo sente”. Mi spiaccica anche il naso dentro, poi riprende a leccare. Forse ha già raggiunto l’erezione. Si ferma, e si rivolta. Ora m’introduce un dito nel culo, prima l’indice, poi il medio, e comincia a saggiarmi di ficco. Sento invece da piccoli sbattimenti sull’altra natica, la sinistra, che la sua cappella e la sua asta si stanno indurendo sfioro dopo sfioro. Devo dire che anche con l’esplorazione anale se la cava abbastanza bene. Se mi mette dentro tutte e due le dita so già come andrà a finire: rapporto anale. In fondo col suo cazzo adolescente non mi fa poi tanto male. Solo che se entrasse nella fica godrebbe lui e farebbe godere anche me. Così forse gode solo lui. Come se io che mi concedo a lui senza esservi obbligata non avessi i miei diritti! Che ingenuo viziato. Ecco il secondo dito. Ora sono dentro tutte e due, e mi sta scavando per abituarmi al dolore che fingerò di provare per sostenergli l’erezione e dargli qualche emozione. Eccole! Hu! Comincio a respirare più corto. I miei “ahnn” lo arrapano, com’è giusto. Devo respirare con veemenza. Continuerà così due lunghi noiosi minuti e poi finalmente m’inculerà sbattendomi fino alla sua eiaculazione…

Come si è arrivati a tutto questo?!
Beh, continuate a leggere allora.

Ciao a tutti! É ora che mi presenti: mi chiamo Marika, oggi ho poco meno di settant’anni, ma più di una ventina di anni addietro ero una discreta quarantenne e qualcosa, e gestivo una macelleria in un posto di mare presto divenuto un’ottima ed affollata località marina di vacanza grazie alla bellezza unica della baia di colore azzurro, storicamente un approdo della gloriosa marina di un imperatore cinquecentesco, ed uno sviluppo ventennale del suo entroterra. Dove prima c’erano sterpaglie incolte poco prima di ordinati filari di olivi, oggi c’è del “grazioso cemento” che ha fornito a tanta gente (coi dindini da parte) una casa al mare; più o meno a tre km dalla spiaggia. Avevo (ora non più dato che è andato a vivere e lavorare in Inghilterra con la moglie) un figlio di nome Massimo che sul finire degli anni 80 aveva circa sedici anni. In un’estate di quel decennio ormai quasi alla fine venne a trascorrere da noi le vacanze estive un suo compagno di liceo della città il cui nome era Rolando. Mio figlio era biondino come me, ed a quell’età era alto circa un metro e settanta con un corpo snello e regolare; il suo amico Rolando era moro, più verso il castano stando ai suoi capelli. Tornando a me, personalmente a quarant’anni mi ritenevo una discreta femmina; certo non da copertina di rivistina porno, - non avete idea quante ne avesse all’epoca mio figlio Massimo e fin dai tredici anni! - ma facevo col mio metro e sessantuno una buona figura, anche perché mi mantenevo magra ed asciutta. Il mio punto di forza erano i miei boccoli biondi sfumati al nero che a lavoro presso il banco della macelleria portavo raccolti alla meglio da un fazzoletto che me li proteggeva dal sudore. Piacevoli per le pochissime persone alle quali usavo sorridere erano i miei occhi chiari che diventavano vitrei quando ero arrabbiata con qualcuno; devo confessarvi che a rendermi vitrei gli occhi bastava anche il mio solo disprezzo di qualcuno. La mia figura fisica non era niente di eccezionale; ero magra, ma non secca. Di seno portavo solo una terza e presto sarebbe evoluta in una seconda. Meditai di rifarmelo con una quarta, ma i soldi non me lo consentirono visto che volevo mandare mio figlio all’università a qualunque costo! Per lui sognavo una laurea in legge, o in scienze politiche, e che non dovesse emigrare lontanissimo come mio marito; i miei rimasero dei sogni… già i miei soltanto, poiché mio marito era un operaio di una società di trivellazioni petrolifere e lavorava in Nord Africa, rientrando in Italia venti giorni ogni quattro mesi. il suo lavoro ci faceva pagare il mutuo della seconda casa, ma ormai eravamo diventati per forza di cose quasi degli estranei. Quel giorno di metà luglio di una ‘ntina di anni fa mio marito era ancora in Nord Africa e prima di settembre non ci avrebbe raggiunto. Stavamo ospitando Rolando nel nostro bicamere e servizi sopra il negozio già da una settimana, e mi ero accorta guardando distrattamente il metallo riflettente del porta stoviglie, che Rolando mi guardava le gambe mentre lavavo i piatti sul lavello integrato con la cucina americana del soggiorno-ingresso. Beh, si vede che Rolando le donne le guarda! - pensai. Il pareo avana di cotone sottile che mettevo in casa avvolto fino a mezza coscia in diagonale però rendeva omaggio anche ai miei glutei lasciandone intravedere per meno di metà le forme ancora non cellulitiche. Devo essere onesta: un po’ di merito (un po’ tanto) ce l’aveva anche l’elastico del costume da bagno che indossavo. Lavati i piatti sarei scesa un paio d’ore io sulla spiaggia prima di riaprire per il pomeriggio. Sulla spiaggia per quelle tre ore al giorno che scendevo potevo permettermi il bikini. Per lavare i piatti e parare le inevitabili schizzate d’acqua fresca del risciacquo indossavo una t-shirt bianca senza reggiseno sotto. I miei capezzoli erano piccoli ma la loro formetta era visibile. La t-shirt però non era affatto trasparente. Può darsi che fissare le fattezze fisiche della padrona di casa non sia una cosa molto educata, ma nel momento in cui mi sono vista guardata ho sentito una strana sensazione di imbarazzo sottoforma di solletico al mio seno o poco sotto, e giurerei di averla percepita anche fin sopra la nuca ! In realtà mi sarei anche voluta liberare l’ano con un rilassantissimo peto ma ci avrei perso di dignità con l’ospite. Ero a disagio. Una parte di me voleva che la smettesse di guardarmi; mentre dentro di me, in una parte neanche troppo remota della mia mente, il fatto che mi avesse guardata o continuasse a farlo mi faceva piacere. Però ve lo dico da donna e madre, voi maschi quando guardate le gambe di una donna le avete già fatto la tac! In pochi secondi già avete stabilito come vorreste prenderla, scoparla, sbatterla… Il viso di Rolando già arrossato dal sole sulla spiaggia grazie alla peluria della barba non fatta di quella mattina era quello di un delinquentello ingenuo ipnotizzato dalle mie gambe opache. Quando si accorse che avevo capito che mi guardava verso il basso anche se gli davo la schiena finse di guardare alla tv che però era spenta… Povero Rolando! Ovviamente non era in grado di esercitare alcuna azione a distanza; anche se ho solo il diploma di ragioneria non credo a certe stronzate tipo X-files! Sapete, eravamo distanti circa un paio di metri ed eravamo soli, dato che mio figlio Massimo dopo pranzo era andato un attimo al giornalaio. Si stava attardando, il che voleva dire che quello sotto a noi non aveva ciò che cercava lui. Poco male! Che mio figlio durante i suoi anni di crescita mi avesse guardata o spiata nemmeno ci pensavo. Qui però ero sola con un ragazzetto poco abituato ad interagire correttamente con gli adulti o almeno con i più anziani. No, non era colpa della gaffe gestuale, ad occhi, dell’amico di mio figlio, no! Ero io che oltre che una donna ero anche una femmina. La cosa che più mi stava intrigando era che avevo il doppio della sua età e conoscevo appena sua madre avendola incontrata un paio di volte a scuola. Pensai di tendere un’esca a Rolando: mi tolsi il grembiule perché vedesse bene i miei piccoli seni filtrati dalla maglietta sudata non appena mi fossi voltata verso di lui. Mi mossi di un passo verso di lui e gli dissi:

“Rolando, me lo faresti un favore?”
“Dica signora!”
“Con tutta quest’acqua che ho sentito scorrere devo andare in bagno, vorrei, insomma, asciuga tu i piatti! Va bene?”
“Certo, subito, signora! Dia pure a me!”
“Ecco!”

Gli misi in mano uno strofinaccio asciutto, andai in bagno e chiusi la porta dietro di me. Il buco della serratura era di quelli larghi, e la chiave la tolsi a bella posta dopo aver dato un giro. Iniziai a togliermi il pareo svolgendolo velo dopo velo, e rimasta in maglietta e tanga ad un metro dalla porta, mi tolsi anche quello offrendo i peli della mia fica alla linea di vista dello spione Rolando. I suoi piccoli passi non li avevo sentiti, ma avevo sentito che non si stava appoggiando sulla parte metallica della cucina americana. La parte metallica, forse a causa di qualche vite allentata faceva un suo rumore caratteristico quando si lavorava appoggiati ad essa. La testa di Rolando era quasi sicuramente china dietro la porta del bagno. Ero felice d’indovinare cosa gli piacesse di più: la mia fica o le mie chiappette bianche…certo gliele avrei “offerte” solo pochi secondi.
Mi voltai per andare verso la tazza ed urinai avendo cura di non guardare verso la porta. Oddio! Imbarazzarlo non mi sarebbe dispiaciuto di certo. Adesso però volevo solo eccitarlo. Non c’era bisogno che accendessi la luce dato che dalla finestra entrava quella pomeridiana. Il tozzo rettangolo che era la base della stanza da bagno era illuminato da un gioco di penombre che partendo dalla finestra semiaccostata proseguivano riflettendosi sugli oggetti, sui sanitari, e le loro pertinenze. Finito di urinare mi alzai dalla tazza, e voltai il culo verso la porta. Se mi stava spiando si stava godendo con gli occhi lo spacco del culo, e l’inguine pelosetto come la mia topa biondina. Quel mese non sarei passata, già lo sapevo, dall’estetista per la depilazione sotto. Stavo risparmiando tutti i soldi che potevo per non far mancare del cibo di una certa qualità al nostro ospite. Un po’ l’avevo fatta apposta: allargai un po’ le gambe e bagnata della carta igienica mi pulii le intimità dalle gocce di urina in special modo l‘interno delle mie cosce. Poi mi voltai di tre quarti verso lo specchio e diedi dei colpetti di spazzola alla passerotta per rimetterne in ordine un po’ il pelo. Mi tolsi la maglietta ed a seno scoperto che stava ancora su da solo andai verso uno stipetto e ne estrassi il sopra del bikini. Ero completamente nuda; il giovincello segaiolino non lo sapeva, ma quella visione sarebbe durata pochi secondi ancora, e poi basta. Indossai ben eretta perché mi vedesse bene prima il sopra, poi il sotto, e quindi riavvolsi sopra il mio corpo il pareo senza mai voltare gli occhi verso la porta. Lo spettacolino porno-casalingo per Rolando era quasi alla fine. Di più non mi andava di concedergli per il momento. Rapidamente infilai le chiavi nella toppa e velocemente le rigirai ad aprire. Aprii e Rolando non c’era; era andato rapidamente e con passi da gatto nell’altra stanza accanto, e stava leggendo fingendosi interessato un quotidiano sportivo sgualcito di tre giorni prima… povero ingenuo! Non si era accorto che aveva lasciato una traccia inequivocabile: una macchiolina biancastra sull’infisso di laminato della porta. Sarà stata di un cm buono; il resto, ne ero sicura, lo avrei trovato nel suo costume, dato che glielo lavavo volentieri insieme a quello di mio figlio Massimo. Essendo Rolando nostro ospite non lo rimproverai. La sega e lo dico con tutto l’orgoglio possibile gliel’avevo fatta fare! Feci garbatamente capolino dalla porta, e dissi al “lettore”:

“Rolando, io scendo sulla spiaggia che alle cinque devo riaprire…”
“Dica signora!”
“Quando torna Massimo prima di scendere, ricordatevi di chiudere bene. Io a casa ritorno solo alle otto.”
“Va bene signora!”

Poi “parlai a nuora perché suocera intendesse” dicendogli:

“Senti Rolando finché c’è il sole, dillo anche a Massimo, finché fanno giornate buone, scendete sulla spiaggia!”
“Sì signora, senz’altro signora.”
“Rolando! Sei un bravo ragazzo, lo dico anche per te: quindici giorni passano presto. Non passate troppo tempo a leggere giornali o riviste. Con tutte le donne che trovate sull’arenile!”
“Sì signora!”
“Rolando sole e mare! Che fra tre mesi è inverno!”

Non aggiunsi altro. Era per fargli capire che sapevo che leggevano assieme i porno di mio figlio Massimo. Tutti questi pensieri mi passavano davanti rapidi come cacciabombardieri e sapete perché? Perché sotto la pineta tre giorni prima vidi Massimo, Rolando, ed un altro loro coetaneo dai capelli rossi, magrolino, di nome Giovanni riparati (credevano loro) da qualche duna di sabbia intorno a loro e da qualche cespuglio. “La loro duna di sabbia!” Stavano facendo una curiosa gara: chi veniva prima, o magari chi resisteva di più, ad eiaculare davanti al giornale porno che purtroppo il mio Massimo, gran consumatore di questi, aveva messo a disposizione. Rolando fu il primo a macchiarne le pagine; gli bastò, sembrava incredibile, un solo minuto; poi fu il turno di Giovanni che v’indugiò diversi istanti, e poi ci sparò anche il suo di seme! Cazzo, piccoletto il roscio, ma quanta ne aveva! Quindi mio figlio Massimo che subì un curioso “scherzo”: Rolando glielo prese in mano, glielo strinse due o tre secondi, poi lo mollò allontanandosi quasi temendo una reazione (inesistente) di mio figlio; quindi se la rise per il suo gesto imbecille; mentre mio figlio incurante di quella presa cercava di godere inginocchiandosi “a tutta manetta” sulle quelle stesse pagine in cui doveva esserci, potei vedere nascosta dai rami di un cespuglio, un bel figone in bianco e nero già sborrato; “di meglio” fece Giovanni che si avventò sul pisello eretto di mio figlio, e glielo prese in bocca un paio di secondi per poi sputarlo subito dopo; sputò anche della saliva con la lingua di fuori; vidi, nascosta dai pini e dalle frasche, qualcosa di bianco uscire dal pisello di Massimo. Come se non lo sapessi: stava sborrando, e con mio grande rincrescimento avevo visto che aveva sborrato per il brevissimo tentativo di pompino (nemmeno un inizio! Ma glielo prese in bocca) da due soldi di Giovanni; ad ogni modo finì con le proprie mani sparando le sue gocce su quel sesso inesistente. Poi si accasciarono sulla duna di sabbia della pineta interna rimettendo i loro piselli dentro i costumi ridendo tutti e tre. Che spettacolino da mezze seghe del cazzo! Mentre mio figlio Massimo rimetteva il porno voluminoso in una busta di plastica e lo sotterrava religiosamente nella “loro duna” pensai in quell’istante: ecco perché Vanja lo respingeva: - ma dico Vanja! Se Giovanni ha queste tendenze, fagli leccare o almeno toccare la patacca, o salvati almeno tu e trovati un altro! Ma tu guarda questi qui! Tre mezzi frocetti! La loro era stata solo una goliardata deviata, e probabilmente ne avevano fatte altre; la goffaggine del brevissimo assaggio-pompino di Giovanni però mi suggeriva che quella era la prima volta che osavano tanto - Ma porca ma…Mio marito non c’era! Con chi mi confidavo?! Con il medico scolastico?! Col preside?! E che c’entravano loro al mare?! Cosa potevo fare ? Tre giorni dopo, come se niente fosse mai stato, Rolando stava fissando il mio corpo ancora ben conservato mentre lavavo le stoviglie. Ero indecisa. Quasi quasi lo sputtano, e lo rimprovero. No, lasciai perdere: poi avrei dovuto telefonare a sua madre per gli imbarazzanti chiarimenti del caso. Neanche il mio Massimo ci avrebbe fatto una buona figura! Stiamo un po’ a vedere come se la giostra: dal momento in cui mi accorsi che Rolando “mi guardava” ammetto di averlo provocato a bella posta. Perché?! Diamine! Ero donna! Una donna vera, di carne! Quei tre ragazzi imbecilli volevano sperimentare alcuni aspetti del sesso, ed avevano deviato infrociando. Ed io ?! Beh, anch’io avevo voglia di deviare dal solito tran tran. Lo meditavo da tempo. Avevo dentro di me una certa voglia repressa di scopare. Qui al mare col caldo quando non erano in casa i ragazzi prendevo un robusto ortaggio, e me lo cacciavo dentro pensando a mio marito, ma mi bagnavo appena. Farlo stesa sul letto cambiava di pochissimo anche se potevo muoverlo più comodamente. La fica mi si gonfiava solo quando m’immaginavo la faccetta delinquente di un ragazzo che mi desiderava, e quel ragazzo era lì, con me, da soli. Rolando! Tu nemmeno te lo immagini: Ieri per esempio voi i due ragazzi eravate usciti tutti e due verso le nove di sera per il cazzeggio notturno tra la piazza a fare niente fino al belvedere, pacchetto di sigarette comprato di nascosto, e ritorno e rifare niente lo stesso; anche se con una birra media, una vaschetta di patatine, e tanti altri imbecilli come voi con cui parlavate del vostro ultimo porno! Fumo, birra, e patatine! Già, e la mia di patatina?! Ovviamente prima di settembre non avrebbe preso troppa aria, tanto meno della carne dura. Era condannata ad aspettare mio marito e la sua “voglia cosmica” di sesso (già consumato a pagamento con qualche araba). Mi dissi: - beh, sono sola, adesso prendo quel piccolo cetriolo e quella carotona! Via il tanga del costume. Lo lasciai cadere in terra, un po’ per depressione; un po’ per ribellione. Volevo sentirmi libera! Ero rimasta col solo sopra e la canottiera prendisole nella stanza davanti. Dall’ombelico in giù ero nuda, quasi completamente nuda come mi vorresti tu quando mi guardi piccolo delinquente. La peluria della mia passera illuminata dal debole chiarore che entrava dalle finestre; le luci in casa le tenevo alcune accese; altre spente. Ora volevo quasi piangere! Se voi uomini credete che una penetrazione risolva siete fuori strada. E di parecchio! Avrei tanto avuto voglia di una carezza lunga fatta con una mano maschile desiderosa del mio sesso. Conoscevo la risposta: dovevo usare la mia. Presi a toccarmi con la sinistra, e nel frattempo camminavo per la stanza davanti massaggiandomela. Cominciavo a sentire calore e prurito. Anche il cuore un po’ aumentò i battiti! Bello, provavo ancora delle emozioni. Esaltata momentaneamente andai davanti alla credenza e presi l’oliera. Un po’ di gocce sulle labbra d’ingresso, poi dentro con le dita delicatamente più in dentro tra le pareti d‘ingresso del mio sesso, onde continuare la masturbazione. - Ahnnnn! Uhmmmm!- Quindi ecco che procedo ad umettare ben bene la carotona. - Rolando! Sognami pure, tanto tu cazzeggiavi con quel cretino di Giovanni e con quello sfigatino di mio figlio! - La carota era bella larga! Per questo l’avevo presa. Volevo che la mia fica stretta la sentisse ben bene! Portai il tutto sul mio letto, e mi inginocchiai sul materasso. Mi strusciai la carotona ben oleata una ventina di volte, fino a sentire la voglia di penetrarmi con qualcosa. L’appoggiai all’ingresso della vagina dalla punta, e cominciai a cacciarmela dentro lentamente. Chiusi gli occhi e pensai a mio marito. Mi arrivava un po’ di piacere. Con gesti sapienti e mirati della mano destra stimolai la mia vagina interna una ventina di volte, e cominciai a gocciolare. Che bello! Sgocciolare di piacere; mi concentrai su mio marito, aprii gli occhi per vederne la foto sul comodino, poi li richiusi. Il mio basso ventre non volle saperne di quelle sensazioni a fascio di corrente che mi piacevano tanto, ma per quelle ci voleva un vero cazzo, con un vero uomo che mi cercava la lingua! La mia fica rilasciò un rivoletto di piacere argenteo. Questo sì, non lo vedevo da tempo! Peccato che se lo prendesse prima la carota, poi il lenzuolo. Volevo aumentare le mie sensazioni. Cambiai posizione. Prima mi distesi di schiena, poi sollevai il culo con la carota dentro la patacca . Era il momento del cetriolino. Lo oliai in punta prendendo quel che restituiva la carota, ma pensai dopo il solletico di un paio di tentativi che non avrebbe funzionato granché nell‘aprirmi il didietro. Allora siccome la carota il suo dovere ormai l’aveva fatto, la tolsi dalla mia vagina bagnata, e la deposi accanto a me. Poi presi il cetriolino e lo introdussi dentro di me! La fica era a posto. Dolcemente a posto con un ospite duro, e gradito per quanto era liscio in confronto alla carota. Bene era il momento del male: ritornai alla posizione del culo sollevato stesa sulla schiena, e afferrata la carotona dalla base larga, appoggiai la punta sopra il mio ano cercando a cauti tentoni la sua piccola apertura. Dopo averla trovata v’introdussi la punta di quella carota per due centimetri forse, quindi decisi di spingere dentro con rabbia. Ecco una madre di famiglia trasformata in una lubrica erotomane! AHI! Benvenuto dolore! Sempre meglio della solitudine senza sesso! - Ahnnnnnnn! Hounnnn! Che male! Huuuuu! Dentro tutto! Sì! - mi mancò il respiro per istante. Mi si contrasse e mi si paralizzò lo stomaco. - Dai! E che cazzo! - Ma non era un cazzo; era solo una carota ben cresciuta! - Ora caro Rolandino ipocrita avevo dentro la carota nel retto ed il cetriolo nella fica. Le movenze della carota per fortuna facevano tremolare un pochino anche il cetriolino. Se volevo dei movimenti ampi invece li potevo muovere solo alternativamente. Decisi di mettermi su un fianco per assorbire meglio il dolore (era sempre un carotone nel culo per almeno metà della lunghezza) a gambe chiuse con i due buchi ben tappati. Tanto mossi il carotone in tutti i modi infischiandomene del dolore finché dopo sei o sette minuti di masochistica esaltazione, la mia fica con pochi momenti di doppia penetrazione ed autostimolazione, non urinò per il sollievo. Tre colpi di carota nel culo, e tre schizzi di urina sopra la coperta. Lacrimai anche dagli occhi per lo sforzo solitario. Nessuno che mi baciasse per consolarmi di quei dolori fortemente erotici ed esaltanti ad un tempo. A malincuore tolsi il cetriolino per liberare tutta la vagina. Godetti, e mi sentii in colpa per mio marito: nel momento in cui schizzai la prima scarica stavo pensando a te Rolando con quella tua faccia incazzata che fai quando non ti riesce una cosa, una faccia indurita dall‘ignoranza nello studio, esaltata dai tuoi ormoni che ti davano il tuo cazzetto adolescente duro. Volevo che quel cazzetto duro trattasse il mio culo come un mestolo tratta la minestra e le tue braccette rendessero il mio bacino percosso come un flipper! Sbattuta, volevo solo essere sbattuta! Meglio se da un ragazzo giovane e forte con la faccia non troppo gentile. Volevo un maleducato, non un drogato! Un maleducato che riuscisse a farmi sentire sporca. Ero più calma. La mia masturbazione era finita. Toccava riprendere il controllo. Tolsi il carotone dal mio culo. Ci volle quasi un minuto poiché dolore non volevo sentirne più. Il suo colore arancio era diventato giallastro e marrone. Avevo catturato anche non poca merda. Lo deposi sul comodino. Mi alzai velocemente dal letto. Tolsi il lenzuolo sperando di non dover togliere pure il materasso. Avevo avuto fortuna! L’urina non era scesa oltre il secondo lenzuolo di cotone. Ripresi il cetriolino senza curarmi del carotone, e me lo reintrodussi nella vagina; col cetriolo dentro camminai fino al bagno, dove deposi i lenzuoli a terra in attesa di lavarli. Tornai a passi lenti a prendere il carotone per continuare la masturbazione e dopo un bacio ad esso lo gettai nella pattumiera. Ora dovevo finire di pensare a me. Avevo lasciato non poco sudore sul sopra del costume e sulla canotta. Me li tolsi entrambi. Completamente nuda decisi di dare una bella pulita al canale vaginale continuando quella seconda masturbazione in bagno sotto la doccia. La continuai sfinendomi fino a quando la mia povera fica non aveva più nulla da emettere. La stimolai in tutti i modi rimpiangendo di non avere uno stimolatore clitorideo. Solo allora mi permisi di aprire l’acqua. Rimasi a occhi chiusi sotto la doccia venendo risvegliata solo dall’acqua fredda. Chissà per quanto ancora mi sarebbe toccato masturbarmi fino a farmi male se non avessi preso una certa decisione! Il mio pensiero andò di nuovo all’ospite:- Perché sei così timido Rolando? Sai solo prendere in mano il cazzo a mio figlio ?! Avevo sperato che non si masturbassero tra di loro, ed invece mi avevano delusa. Solo il pensiero di mio figlio omosessuale mi faceva orrore, non crediate! Mio marito lavorando in Nord Africa non li poteva sorvegliare, ed in questo ero sola. No, Rolando non aveva voluto approfittare di una quarantenne stressata. Era più timido di quanto mi aspettassi. Tempo dopo mio figlio Massimo ebbe a dirmi che, a prescindere dalla faccia, Rolando diventava un bambino timidissimo se preso di contropiede. La loro professoressa d’inglese se lo girava quanto e come voleva nell’umiliarlo quando non aveva studiato abbastanza…io però non ero certo la sua insegnante. Semmai meditavo d’insegnargli ben altra materia. Umiliandolo una sola volta gli avrei fatto tenere le giuste distanze; così avrebbe fatto una madre normale! Io però alla menopausa ancora non ero; e qualche ormone in circolo ce l’avevo. Poi il fatto che mio figlio si fosse portato un amico per compagnia poteva fare al caso mio. Mi avviai per scendere al mare un paio d’ore. Strada facendo, più o meno verso la piazza con la Chiesa incontrai mio figlio Massimo. Pensai di non disturbarlo dato che stava cercando di socializzare in piazza con una ragazzetta graziosa, pulita, e ben vestita; così avevo visto da una cinquantina di metri; poi avvicinandomi di più potei vedere meglio: mio figlio Massimo stava facendo (o aveva già fatto) amicizia con una ragazzetta di fuori di circa 12-13 anni che in quel momento era con sua madre che era anche una mia cliente alla macelleria. Quella donna non mi piaceva sotto diversi profili: andava in vacanza con i figli due mesi l’anno lì da noi senza il proprio marito con il quale, pur restando coniugata, litigava moltissimo nei quindici giorni che quel pover uomo stava con loro. La signora in questione urlava i suoi monologhi ad alta voce. Istruiva processi immaginari dove il marito era il cattivo, l’imputato, e lei la parte offesa, la testimone d’accusa, il pubblico ministero, ed il giudice ad un tempo! I figli erano due ragazzi all’apparenza normalissimi. Il grande sempre con il suo cinquantino era sempre in giro con gli amici; devo dire che “il grande di casa” non lo conoscevo, dato che al negozio non si faceva vedere. La spesa nella mia macelleria la faceva solo sua madre; il ragazzo ch’era d’indole timida non incrociava mai il mio sguardo. Né io gliene davo occasione guardando male sua madre. Mio figlio Massimo che lo vedeva sulla spiaggia conoscendolo di vista mi diceva che con le ragazze ci parlava, e con tante pure! Aveva una conversazione brillante e colta. Ma appena ci provava con qualcuna che fosse anche un po’ carina, questa gli faceva capire che non era la ragazza per lui. Complessivamente un coglione! Ed era anche oggetto di scherzi infami da parte dei bulli del posto. E la fidanzatina?! Bah! Era meglio che la ragazza se la portasse da dove veniva lui senza aspettare di trovarsela qui. L’errore che commise, mi disse mio figlio Massimo che conosceva abbastanza bene i suoi “amici” e appena di vista lui, fu di credere che gli amici suoi di qui lo avrebbero aiutato a ben figurare con le ragazze delle Nostre Parti. Che imbecille! Quelli, salvo un paio, erano invidiosi marci dei suoi successi negli studi, della sua cultura da secchioncino del cazzo (qualità questa che condivideva con sua sorella), e del fatto che avesse dei genitori giovani. Se c’era qualcosa in cui questi amici erano bravissimi era l’esatto contrario: farlo sfigurare e sabotarlo quando aveva una qualche minima possibilità con qualche ragazza che veniva da fuori come lui. Massimo, a pranzo con Rolando, mi raccontò di quanto ad esempio un viziato drogatello (di un paese qui vicino) tale Davide, in due o tre giorni disse tante di quelle nefandezze su di lui da spingere due ragazze di fuori una forse di Torino, e l’altra che io ricordi, foggiana a non spartire troppo con lui. La piemontese poi pareva lo schifasse proprio, e sinceramente non ne comprendevo il motivo visto che il ragazzo, benché ingenuo, era un tipo curato; per lo meno dal racconto di mio figlio che, pur non avendo neppure lui la ragazza, faceva l‘esperto sociologo. Il fratello della ragazza in quelle valutazioni credo fosse cieco e sordo. Non si rendeva conto che a lasciar andare in giro da sole sua madre e sua sorella non faceva una gran figura neppure lui come membro della sua “mezza famiglia”. E per proiezione neanche la sua comunque garbata sorella poteva trovare né amiche, né un ragazzo finché la loro sconclusionata madre non la lasciava un po’ andare rilassando la sorveglianza. Sua sorella stava quasi sempre con sua madre sia sulla spiaggia, sia la sera alla piazza a sorvegliare discretamente il figlio maschio con i suoi coetanei perditempo squagliasoldi dei propri rispettivi padri. Di rado veniva invitata da una comitiva di coetanee. Studiosi tutti e due e mai rimandati secondo quanto diceva orgogliosamente la madre quando cercava di fare conversazione con me presso il banco del negozio. Io da parte mia non ricambiavo i suoi tentativi di confidenza anche perché il mio di figlio un rimando l’ha sempre beccato, e quasi tutti gli anni. Poi, se quella donna voleva fare la spesa da un’altra parte era liberissima! A me non era simpatica. Mio figlio era bene che non avesse a che fare con la figlia di lei. Era quattro anni più piccola e sua madre non le avrebbe permesso di frequentare un maschio da sola. Ed era ovvio: qui le puttanelle che la davano fin da dodici anni non erano poche; ma una d’importazione, anche se decisamente non zoccoletta, proprio no! Questo era il motivo per il quale non incoraggiavo mio figlio Massimo a corteggiare quella ragazzetta. Se l’avesse messa incinta entro la minore età (di lei soprattutto) non avevo la benché minima voglia di aver a che fare con sua madre, donna logorroica e lamentosa. E credo, nemmeno quella ragazzetta con me! Trovai opportuno interromperli. Salutai, e mi rivolsi alla ragazzetta:

“Buon giorno! Hai conosciuto il mio Massimo, vedo.”
“Buon giorno! Veramente, mi ha cercata lui signora. Io qui sto aspettando mia madre.”
“Beh sai, lui ha sedici anni, e tu?!”
“Io ne ho dodici!”
“Dodici eh?! Senti, ma tuo fratello ti lascia sempre da sola? Sulla spiaggia non lo vedo mai con voi. Che fa ?”
“Sta sempre con gli amici. Lui ha il motorino! Io non so guidarlo, e poi io faccio compagnia a mia madre signora.”

Punzecchiai un po’ quella secchioncina che a vederla sembrava un’orfana:

“Vostro padre non scende quest’anno?!”

La ragazzetta non mi rispose niente. Io con materna sufficienza affondai:

“Insomma, ma da solo nella vostra città che fa?!”
“Lavora.”
“Lui lavora e sta solo, e voi state qui! Da soli! Vi conviene?!”

Certo ero stata una bella indiscreta (ma con quella mezza famiglia lo era un bel po’ della spiaggia). Tra noi del posto parlavamo di quella donna che andava in vacanza portandosi i due figli senza il marito. Il fatto che sua madre urlasse quando c’era il marito certo non aiutava nemmeno i figli. Quella sua repulsione per il suo pagatissimo marito mi dava il voltastomaco; soppesando il reddito possibile suo marito guadagnava le stesse cifre del mio; solo che il mio era costretto a lavorare in Nord Africa; il suo invece nella pubblica amministrazione, quella alta. L’avessi avuto io un marito come il suo! Avesse mai avuto mio figlio anche una sola delle opportunità che avevano avuto i suoi! La ragazzina era attenta intelligente, quasi radiografica quando ti guardava, era sempre sulle sue. Poi al contrario di mio figlio era studiosa e questo un po’ di fastidio da invidia me lo dava. Il grande comunque era un mezzo ingenuo che sembrava non percepire la viziosa assurdità della loro situazione. La ragazzetta invece si dimostrava più sveglia:

“Ma questi non è che siano fatti suoi signora!”
“Uhm.”

Distolsi lo sguardo da quella ragazzina che “mi aveva risposto” senza esitare, e dovetti parare penosamente lo smacco rivolgendomi a mio figlio Massimo:

“Tu vai a casa, che Rolando ti sta aspettando. Immagino farete una partita a carte prima di scendere!”
“Si vado !”

La ragazzetta, notai, si difendeva bene anche da sola. Il mio Massimo la ammirava ed era naturale, e le andava dietro senza che il fratello di lei se ne curasse; ma quella piccola donnina ancora in fieri non faceva per lui: non era la tipa in cerca del primo paletto di carne sulla spiaggia come talune amichette con certi pruritini della comitiva della romana. Come lo sapevo?! Scambiavo qualche informazione di circostanza con le altre madri, compresa la madre di questa se era inevitabile, anche se con questa in realtà stavo ben attenta a non solidarizzare. Poi eccola, arrivò la madre che era appena uscita dall’emporio. La salutai velocemente senza sorriderle come usavo fare anche a bottega e me ne andai per la mia strada. Già, lo devo proprio ammettere: il fatto che sua figlia mi avesse tenuto testa mi sorprese. Ma oggi a distanza di molti anni posso dirvelo: per quanto sconclusionati fossero loro ( e lo erano), al mio confronto erano dei santi! Io avevo ben altro figlio, con ben altri problemi ed ahimé ben altri amici! Non riesco a spiegarmelo, ma quella faccia da delinquente di Rolando mi era piaciuta evidentemente. Più di una madre avrebbe storto il naso vedendolo la prima volta. Più di una madre avrebbe detto ma questo ragazzo che fa con mio figlio o mia figlia? Tiene ‘na faccia! Forse era per questo che non ce l’avevo con lui per le seghe tra le dune. Gli sconclusionati, mio marito che non c’era, mio figlio, la sua devianza alle dune; tantissimi pensieri che si succedevano nella mia mente. Mentre guardavo il mare da sola cominciavo ad immaginare che al più presto avrei provato ad interrogare Rolando se poteva gradire del sesso con me. Poi cambiai idea, e pensai ad un colpo di mano, una sorta di fatto compiuto. Mi tolgo le mutande, pensai in quei momenti di noia, mi piazzo sopra la sua testa piano piano, e gli metto la fica in faccia sulle labbra mentre dorme la notte nella stanza davanti, poi se non è veramente frocio... Già ma con Massimo?! Beh forse devo mandarlo a fare qualche commissione così resto sola con Rolando. Chissà! E se gli metto un bigliettino sotto il cuscino?! No. Escluso ! Si trattava sempre di una prova scritta a futura memoria. Metti che poi lo mostra agli amici per vantarsi…un’alternativa mi solluccherava: entro in bagno, o meglio gli chiedo di aprirmi mentre si fa la doccia, e me lo faccio; questo però presupponeva o l’assenza di Massimo, o la sua collaborazione; queste erano le alternative che prospettavo a me stessa un po‘ alla carlona. No, molto alla carlona! Stavo trascurando la possibilità che con la fica in faccia nel sonno lui, il delinquentello che si era autoinvitato in ferie con noi, mi denunciasse per violenza carnale! Ah, la legge! Risi dentro di me quando pensai per un istante ad un curioso trio: io scopata, o meglio doppiamente penetrata dal suo amico Rolando, e devianza per devianza, da mio figlio Massimo. Doppio sparo di calda sborra; sborra peccaminosa. A mio marito non l’ho mai confessato, ma una doppia sparata di sborra, magari contemporanea, nei miei due pertugi, era sempre stato uno tra i miei desideri nascosti, e fino a quel momento rimasti insoddisfatti. Non gli parlavo i questo né mettevamo annunci sui periodici per coppie. Ora con tutti quei problemi che mi si paravano davanti quel che più sentivo dentro di me era che un bel bonifico di sperma nella mia fica non entrava da tempo. Un travaso vero e proprio senza profilattico! Mio marito di sicuro qualche prostituta araba se l’era già dovuta fare viste le durissime condizioni di lavoro in Nord Africa. Qui però c’ero io, e tanta altra gente che cercava di divertirsi; e prima di entrare in menopausa del tutto volevo divertirmi un po’ anch‘io. Fino a quel momento c’era un patto tacito con mio marito: io non chiedevo a lui; e lui non chiedeva a me. Trassi il dado: ma sì trasgredisco! Tanto d’inverno la macelleria la tengo chiusa! Qui fra due mesi c’è il deserto, e siamo tornati tutti in città! Ormai ero decisa a trasgredire. Di questo ero più che sicura! Ma la fica per primo a chi dei due l’avrei data?! All’ospite o solo al familiare? O meglio, ad entrambi?! Scacciai il pensiero, ma mi si riproponeva sempre. La cosa migliore, riflettevo, era parlarne con Massimo: allontanarlo per una commissione impegnativa, o dirglielo chiaro che volevo farmi il suo amico; il che richiedeva anche una sua complicità con il padre mio marito. Ma perché si comportasse veramente da complice - qui era il punto! - bisognava coinvolgere fisicamente anche lui. Mentre mi scaldavo un po’ al sole delle quindici tutti questi pensieri mi scorrevano in testa confrontandosi e contrastandosi tra loro, ed il necessario coinvolgimento del mio Massimo fu la conclusione logica di quella successione di pensieri. Oltretutto avrei fatto capire a lui ed al suo amico il piacere dell’incontro fisico con l’altro sesso. Il piacere del contatto vero, carnale, non la contemplazione del giornale porno. Altro che la sega alle dune! I miei occhi erano chiusi dietro i miei occhiali. Non mi stavo muovendo, né toccando (anche se ne avrei avuta una certa voglia). Me ne ero appena accorta: i miei ultimi pensieri erotici li avevo letteralmente sognati in un caldo dormiveglia pomeridiano, ed ora il rumore delle onde, ed il venticello appena freschetto mi stavano risvegliando del tutto dalla mia semicoscienza. Avevo dormicchiato una mezz’oretta, forse tre quarti d’ora. Avevo ancora un’ora di tempo se volevo farmi il bagno nel nostro azzurrissimo mare e riasciugarmi il costume. Naturalmente avrei evitato di bagnarmi i capelli. Volevo tenermi almeno un po’ la messa in piega. Decisi di entrare in acqua, e di farmi questo benedetto bagno visto che il mare era una tavola. Il solo caldo ascetico sarebbe stato un controsenso. Restai in acqua una mezzoretta circa a smaltire la calura della mattina. Quell’anno la nostra casetta non aveva ancora il condizionatore, nonostante la paga di mio marito più che ottima decisi per economia di non comprarlo per la casa (tanto per tre mesi che ci dovevamo stare) e viceversa per ovvi motivi di metterlo nella macelleria. A distanza di tanti anni riflettendoci meglio penso che anche il caldo di casa nostra sia stato in parte uno dei complici della mia “quasi disperata” tripletta con incesto. Incesto sì! Perché alla fine rimase coinvolto pure mio figlio Massimo. Finito il bagno uscii dall’acqua, ed andai a comprare un gettone per la doccia di risciacquo, quindi risalii verso il paesino di mare. Erano le cinque meno dieci quando riaprii il negozietto senza passare preventivamente da casa. Mentre curavo la carne dal bancone vidi Massimo e Rolando che si dirigevano verso la piazzetta dei perdigiorno, lì davanti alla chiesa, dalla quale forse sarebbero discesi sulla spiaggia. Speravo tanto che non stessero diventando veramente dei mezzi froci. Sarà stato che Massimo era ancora di una certa magrezza, senza prestanza fisica; mentre Rolando secondo la mia esperienza passata con quella sua faccetta da imbelle con peluria aveva qualche possibilità in più con le ragazze; speravo che di riflesso anche il mio Massimo potesse beneficiarne o almeno imparare dal suo amico. Tutta la mia fiducia crollò con quella duna. Rolando era un cretino, come il mio Massimo. Ero agitata dentro. Non scopavo più da tempo, e sentivo che la vecchiaia non avrebbe tardato. Essere chiamata da sola a gestire la sessualità di mio figlio mi stressò ancora di più. Quel ragazzo lo dovevo riportare da questa parte finché ero ancora in tempo! Quanto al pompino tentato del suo amichetto Giovanni promisi a me stessa di dimenticarlo al più presto. Il mio corpo però taluni gesti li faceva per conto suo: curiosamente mi capitò di mettere al loro posto delle salsicce, sia macinate che a pezzi, e toccandole cominciai a provare del piacere ad afferrarle. Lo feci praticamente con tutte anche se non era necessario. Era chiaro che stavo sfogando una mia rabbia repressa: quella che avevo era voglia di cazzo. In quei momenti stavo pregustando il piacere che una donna prova a sentirsi indurire un cazzo, anzi il cazzo, del maschio tra le mani. Intanto meditavo su come avrei provocato Rolando, e come avrei potuto fare in modo di sistemare le cose con Massimo che all’inizio avevo pensato di non coinvolgere, anche se andò diversamente. Vidi un uomo fuori dal negozio, fermo all’altra parte della stradina interna davanti al muretto esterno delle villette di fronte, accendersi una canna o comunque una sigaretta di quelle fatte col tabacco da pipa. Ecco l’dea, l’illuminazione! Quello che ci voleva era proprio una canna, ed addio complessi inibitori; per Rolando, per Massimo, e per me stessa che ne avevo ancora parecchi. Uscii dal negozio chiudendo la vetrata e feci cenno all’uomo con la canna. Indossava una maglietta senza le maniche, di quelle mimetiche, e portava i capelli a spazzola e non pochi tatuaggi sui bicipiti; nonché qualche collanina ed un solo orecchino. I suoi occhiali da sole erano alla moda e gli donavano parecchio. I suoi occhi, per quel che traspariva, non erano cattivi. Poteva avere una trentina d’anni. Questi venne verso di me che lo aspettavo sotto i porticati tra dei negozi ancora chiusi, ed io subito gli chiesi:

“Senti, scusa mi diresti una cosa giovane ?”
“E sarebbe?”
“Quello che ti stai fumando è uno spinello?”
“Boh.”
“Senti stai tranquillo, non voglio darti grane, anzi!”
“Signora io stavo solo fumando. Non è vietato all‘aperto.”

Stava per andarsene, ma lo fermai:

“Volevo sapere se era uno spinello, e quanto costava…”
“Io non li vendo!”
“Non volevo comprarlo da te! Non sono una piedi piatti tranquillo! Allora quanto l’hai pagato?”
“Perché lo vuoi sapere signora?”
“Insomma che è un segreto?! Ne vorrei uno anch’io. Tutto qui!”
“Vuoi tirare un po’ con me?”
“No. Come ti viene in mente! Vorrei comprarne uno per me, me sola! Capisci?!”
“Ah! Peccato! Una tiratina con te signora io l’avrei fatta!”

Quello si aspettava che lo invitassi io stessa a scopare. Se volevo far sesso trasgressivo l’occasione ce l’avevo davanti a me! Com’è strana la vita! No. Io volevo qualcosa di veramente trasgressivo con l’amico di mio figlio, non con un drogato qualunque! Lo insultai garbatamente visto che ci aveva provato con la sottoscritta.

“Delinquente! Sono una madre di famiglia cosa credi?!”
“Allora ciao signora, eh!”
“Senti non volevo offenderti! Ma ora mi dici quanto l’hai pagato?!”
“Mezzo centone!”
“Cinquantamila lire dici?”
“Se vuoi la mariuana sì. Se ti fumi merda sintetica anche meno. Dipende da tu che vuoi.”
“Quella buona di roba! Solo fumo però! Capito?!”
“Stì cazzi! Ma io non la vendo. Poi diciamo che se vuoi essere carina con me posso sempre comprartela io. Questa però la fumo, ma non la vendo, uso personale! Chiaro?!”

Sbeffardamente mi sparò un anello di fumo davanti al viso. Lo ignorai non volendo dargli troppa soddisfazione. Oltretutto dava risposte maleducate. E continuava a provarci!

“Ti ripeto che sono una donna sposata, e ti stra-ripeto che non sono una poliziotta. Non vedi che ho il camice della macelleria. Guarda ho il negozietto qui!”
“Ma insomma non ho capito che vuoi signora.”

Continuava a fumarsi quel suo cannoncino indifferente:

“E dagli! Voglio comprarmene uno per stasera, per me! Chiaro adesso?!”

Il drogato mi sparò un altro anello di fumo sul viso ridendosela. Lo avrei preso a schiaffi volentieri visto che ormai ci provava spudoratamente. Poi sorridendomi mi disse:

“In piazza la sera c’è sempre una 126 verde ferma all’angolo. Se non ci stanno i carubba in giro avvicinati, e con la scusa di aggiustare il parcheggio dici ai due ragazzi dentro cosa vuoi. Poi loro ti danno un appuntamento nel posto che ti dicono loro, e te la portano. Si paga a cash. Niente credito. Per uno spinello di solito, insomma, a me fanno mezzo centone. A te non so signora! Magari te la fanno provare a gratis, o te ne danno due.”
“Uno basta e avanza. Dico che mi mandi te?”
“Sto’ cazzo! E chi t’ha detto come mi chiamo ?!”

“Vieni dentro il negozio!”
“Allora ci stai !”
“Che hai capito?! Entra con me, e aspetta dietro il banco!”

Lo portai dentro la bottega dicendogli di aspettare al banco come un cliente. La cassa la tenevo io sola, e naturalmente era chiusa. Quel cafone voleva della carne, e della carne avrebbe avuto: tagliai, decisa e rapida tre fettine di ottimo filetto di vitella, le incartai, e gliele diedi guardandolo negli occhi.

“Porta queste a tua madre.”

Gli diedi quelle fettine di ottima carne gratis, poi cercai cinquantamila lire dal borsello e gliele mostrai in evidenza. Gli dissi:

“Io sono una madre di famiglia. Da quelli col 126 vai te, e poi me lo porti. Lo fai preparare, aspetta, ecco lo voglio un po’ più lungo del tuo, - come puzza cazzo!- Così, capito?! Sai voglio smezzarlo con mio marito. Diciamo una sorpresa. Poi me lo fai incartare, e me lo sistemi sotto la serranda del negozio. Alle nove di sera conto di trovarlo. Posso fidarmi giovane?”

Continuai a fissarlo tenendo davanti a lui le cinquantamila; lui intanto si lasciava bruciare tra le dita quel suo spinello che si consumava:

“…”

Non protestò ed accettò le cinquantamila. Il patto fu stretto. Ora era vincolante anche per lui.

“Allora vai! E buon appetito! Ed esci adesso, che la tua canna puzza mica poco. Ah! Un ultima cosa giovane!”

Lui si voltò di nuovo:

“Se vorrai venire a far compere qui nel mio negozio niente cannone acceso! Quando mi vedi fuori dalla bottega con altre persone, con mio figlio, o mio marito non mi salutare!”
“Si capisce! Ok, vecchia. Grazie della carne.”
“Prego! Dì a tua madre che può venire a far compere qui se gli fai restare da spendere per mangiare!”

Mandai via quel giovinastro. A me, mio figlio Massimo, ed al suo amico Rolando ci attendeva una serata mica poco pepata. Passai il resto del pomeriggio nella macelleria, e servii i clienti con la mia solita “serenità”. Alle venti andai a casa a cucinare per i ragazzi che quando arrivai avevano appena finito di lavarsi. Mio figlio si stava vestendo, e sperai che non si fossero lavata la schiena e toccati tra loro ulteriormente data la gran quantità di porno che mio figlio Massimo teneva sotto il letto, e che io facevo finta di non trovare. Durante la mia doccia evitai di pensarci, e prima di entrare in bagno diedi a Massimo disposizioni perché apparecchiasse per tutti e tre. Una cena a cui stavolta avrei partecipato anch’io. Una volta che i due ragazzi si accomodarono e iniziarono a mangiare, io che saltavo il primo per motivi di dieta, andai in camera mia per cambiarmi. Mi tolsi tutto e rimasi nuda. La porta chiusa era solo accostata di due o tre centimetri liberi; insomma cercavo di rimanere entro la linea di vista di Rolando. Non so se mi rivide nuda, ma mi limitai ad indossare solo una veste di lino chiaro senza maniche e senza niente sotto. Vedendo che erano le nove uscii dalla mia camera, e dissi a mio figlio:

“Massimo, il secondo è già pronto. Servilo tu che io devo uscire un attimo.”

Uscii per scendere presso il negozio. Lo spinello doveva essere già arrivato. Mi chinai e guardai sotto lo spessore non aderente del labbro esterno della serranda. Feci scorrere le mie dita e trovai un involto di carta. Lo presi, lo svolsi rapidamente, e trovai lo spinello che avevo ordinato. Salii di nuovo a casa, e mi accomodai a tavola a mangiare il secondo insieme ai ragazzi. Mentre finivano di mangiare presi delle birre fresche dal frigo e invitai i ragazzi a bere. Poi servii loro del melone bello fresco che Rolando gradì moltissimo. Mezzoretta dopo sparecchiai il tavolo avendo cura di mostrare le carnali curve del mio culetto a Rolando. Doveva essere ben visibile nonostante la lunghezza della veste di lino fino alle caviglie. Decisi di rivolgermi ai ragazzi:

“Rolando! Vieni accanto a me. Aiutami a lavare i piatti”
“Sì signora.”

Avevo una discreta scollatura che lasciava intravedere con decenza il mio seno naturale ancora abbastanza su, anche se piccolo. Rolando aveva indossato una maglietta per la cena. Iniziai con la prima parte del piano (quale piano?! Quello che avevo elaborato durante le scale…):

“Rolando, togliti la maglietta che ti si bagna! Ed io domani il bucato non lo faccio.”
“Massimo, vai al supermarket che è ancora aperto, e compra una confezione da sei birre, muoviti che alle dieci chiude. E prendi il fettato che vuoi tu per te ed il tuo amico. Vi servirà per il pranzo di domani che io non ci sto. Devo andare al paese dalla nonna.”

Il ragazzetto eseguì e rimase a torso nudo e jeans accanto a me. Mio figlio uscì di casa per andare al supermercato. Rimanemmo di nuovo soli. Mentre lavavamo i piatti con le mie braccia nude sfioravo le sue trasmettendogli il dolce calore del mio corpo di donna. Il mio unico profumo in quel momento era il fresco bagnoschiuma di un’ora prima. Nel prendere i piatti mi voltavo e mi chinavo di pochissimo verso di lui per porgergli la vista del seno e gli offrivo pure un bel respiro perché lo vedesse gonfiarsi. Con dolcezza e disinvoltura senza accusare gli dissi semplicemente:

“Rolando!”
“Sì, signora.”
“Tre giorni fa vi ho visti a te e Massimo, col vostro amico Giovanni, sotto la pineta.”
“Signora, io…”
“Lascia stare. Siete ragazzi. Inesperti su cosa rischiate.”
“Ma lei non lo dir…”
“No, non lo dirò a tua madre. Te lo prometto.”
“Beh, sa, non succederà più. Io non so come…”
“Rolando! Aiutami ad asciugare qui.”

Rolando fu servizievolissimo. In pochi secondi asciugammo piatti e stoviglie. Poi gli dissi:

“Vai dietro il letto di Massimo e prendi tutti i suoi giornali porno!”
“Li devo buttare via signora?!”
“No. Ti ho detto solo di prenderli. Prendili e mettili sul tavolo adesso che è libero.”
“Sì signora!”




- continua -



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