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La Masseria - Il ricatto


di Membro VIP di Annunci69.it Mariselle
18.10.2015    |    47.082    |    51 9.5
"Risposi e avvertii subito un tono strano, nessun preambolo, ne convenevoli, chiese dove mi trovavo e di mia madre..."
LA MASSERIA – Il Ricatto

Il volo sembrò breve perché mi addormentai, sognai me stessa da bambina, indossavo un vestito giallo, ero con mio padre su un calesse ed il cavallo che ci trainava aveva la sella.
Avvertii un buon profumo e mi svegliai, era la hostess che mi indicava la cintura, dovevo allacciarla perché stavamo atterrando.
Ero in attesa delle valigia che avevo imbarcato e mi chiesi del sogno, cosa significasse, mi ero addormentata ripensando ai tanti colpi di scena di quella vacanza.
Pensai a mio nonno e a ciò che era successo, non si era fatto scrupoli, nonostante avesse capito del mio errore, anche se ero stata io a provocarlo.
In aeroporto, mentre eravamo al bar seduti, mi osservava le gambe e continuava a ripetere dei grandi valori della famiglia e di quando gli dispiacesse, ma il suo sguardo era diverso.

Presa nei miei pensieri, mi sentii toccare un braccio, mi voltai, era Eleonora accanto a me in attesa del bagaglio, anche lei viveva a Milano ed abitava non molto lontana da casa mia, ci conoscevamo da bambine, era originaria della mia stessa città, avevamo viaggiato sullo stesso aereo.
Era una ragazza piacevole, molto simpatica e cordiale, viso carino, molto elegante nel vestire, ma non bella, aveva fascino, ma era piccoletta con delle gambe tozze.
Ci dirigemmo verso i taxi, la sentii dire: “Uauu come è bello camminare accanto a te, tutti ci guardano, difficile passare inosservate, sei una bellissima donna, alta, bionda, gambe lunghissime. Mia nonna diceva, altezza mezza bellezza ed è ciò che a me è mancato”.
La guardai con tenerezza e le dissi “Sapessi quante volte vorrei passare inosservata, a volte è difficile doversi difendere e non parlo solo di contatti diretti, ma anche di semplici sguardi, è duro essere sempre al centro dell’attenzione”.
Aggiunse “Si, però sono convinta che la vita è anche più semplice, per una bellissima donna, credo sia difficile dire no, si è tentati nell’ammirare questa meravigliosa creatura e poi si è sempre circondate da gente, uomini che ti corteggiano e donne che ti ammirano, quasi a dirti, dai falli svenire” rideva.
Salimmo sullo stesso taxi e pensai a quante difese deve avere una bella donna, a quante provocazioni deve saper reagire e del continuo dubbio che si ha: piaccio per chi sono o vuole solo portarmi a letto? Mi ama realmente e vuole costruire un futuro insieme o ha solo un fine? Quanta solitudine accompagna spesso una bella donna, la gente ignora questo, gli uomini interessanti e forse i migliori, desistono perché credono tu sia già impegnata o timorosi di tanta bellezza, i più scaltri possono invece avere obiettivi a volte amari.
Lasciammo prima lei, ci salutammo con l’intento di rivederci per una serata insieme, poi finalmente arrivai a casa.

Mi immersi nello studio che servì a riprendermi, era stata un’estate diversa, carica di colpi di scena e di nuove realtà.
Nelle settimane successive, Fabio nonostante fossi stata chiara al telefono nel voler interrompere il nostro rapporto, continuava a chiamarmi ed insisteva nel vederci, anticipava al telefono, notti turbolente, poi davanti al mio diniego, diceva che aveva dei progetti e dovevamo vederci. L’ignoravo, ormai decisa ad interrompere il rapporto.
Poi iniziai a ricevere telefonate mute sul cellulare ed un giorno arrivò un sms con scritto: ”Sono la moglie di Fabio, tu chi sei?”
Risposi “Una collega di lavoro”
Ne arrivò un altro: “Collega? Chiamiamo le cose con il vero nome”.
Forse aveva trovato il numero tramite gli sms che ci scambiavamo per concordare quando vederci.
Quindi, decisi di affrontare la cosa di persona ed accettai d’incontrarlo, una sera a cena in un ristorante, disse che voleva festeggiare un incarico ricevuto, accettai, anche se era la prima volta che cenavamo insieme fuori.
C’incontrammo davanti al locale, mi rivolse tanti salamelecchi per come ero vestita, avevo scelto per la serata un abito blu corto, con sopra un trench nero, calzavo delle scarpe blu con tacco e calze nere. Collana e orecchini di perle diedero un tocco di sobria eleganza.
Entrammo nel locale mentre ci guardavano tutti.
Fabio invece di precedermi come avrebbe dovuto fare, mi cinse una mano sul fianco ed in questo modo arrivammo al tavolo, in una saletta appartata, seguendo il cameriere, dove finalmente tolse il braccio e mi porse la sedia. Il messaggio era stato chiaro ai curiosi presenti, questa donna è mia e continuando a guardarsi intorno e pavoneggiarsi, finalmente si sedette al mio fianco, mentre io davo le spalle al muro.
In tre mesi, da quando avevamo iniziato a frequentarci, ci eravamo visti poche volte, sempre a casa sua che era anche lo studio dove lavorava, poi ero partita per le vacanze estive. L’avevo conosciuto casualmente una sera in un bar di studenti, mi era piaciuto il suo approccio e di lì a poco avevamo iniziato la nostra relazione, improntata sul sesso, ma in effetti ci conoscevamo poco, quindi, rimasi meravigliata da questo suo modo di fare.
Il cameriere prese le ordinazioni e subito dopo Fabio iniziò a parlare, prima di se stesso, poi di quanto gli ero mancata, non faceva altro che ripeterlo, aveva dei programmi per noi due.
Sorridevo e notai subito il linguaggio del suo corpo diverso da ciò che diceva.
Mi stavo annoiando, era passato ai progetti, proponeva di vivere insieme, magari un figlio.
Lui ne aveva già uno, ma lo vedeva raramente, diceva che l’ex moglie non glielo consentiva, ma neanche lui si disperava.
Mangiai un ottimo branzino in salsa, eravamo alla scelta del dessert, ma prendemmo tempo ed il cameriere si allontanò.
Continuava a parlare di progetti, ad un certo punto, coperta dal tavolo, sfiorai la mia gamba con la sua, s’interruppe, mi tolsi la scarpa e con il piede strofinai delicatamente sul collo del suo piede, sentivo il contatto del mio collant sulla sua calza, Fabio assunse il suo sguardo voglioso, che ammiccava su un lato, prese respiro e disse, “Dai andiamo a casa”,
“No”, risposi ed abbassai la mano sotto al tavolo, toccandolo sui pantaloni.
“Cosa vuoi fare? dai andiamo” aggiunse.
“No, iniziamo qui” dissi,
Con un sorriso godereccio, nascosto dal tavolo, si abbassò la cerniera e lo estrasse.
Presi il tovagliolo, lo portai sotto al tavolo e delicatamente con una mano l’avvolsi attorno al suo membro.
Aggiunsi, “Adesso mentre ti tocco, ti racconto cosa farei con due uomini”.
Era il suo sogno, si inarcò, era combattuto “Dai, non qui, andiamo a casa”.
Iniziai ad aumentare la frequenza della mia mano sul suo membro, avevo avvolto parte del tovagliolo perché gli dava una sensazione migliore rispetto alla mia mano.
Sempre accorta nel guardarmi intorno, continuai con la mia mano coperta dal tavolo, eravamo di spalle e distanti da altri, anche perché il locale era poco affollato
Ripresi ad origliargli “Dai, immagina, ci stai guardando, ci sono due uomini, ed io sono stesa sul letto con autoreggenti e scarpe col tacco, ho le gambe divaricate, mentre uno mi lecca, me la mordicchia con le labbra e l’altro mi chiede di prenderlo in bocca”
Avevo un tono che era quasi un bisbiglio, modulavo la voce mentre aumentavo e diminuivo l’intensità con la mano, quando il racconto diventava frenetico, aumentavo il movimento, poi rallentavo il tono e diminuivo.
Continuai, mentre lo sentivo contorcersi sulla sedia, guardai intorno mentre tutti ci ignoravano, aumentai l’intensità della mano e venne.
Lasciai la presa mentre la sua mano tentava di trattenere la mia, la ritirai e mi ricomposi.
Era stralunato, aveva il viso soddisfatto e mi chiese “E tu? Non hai voglia di venire? Perché l’hai fatto? Potevamo andare a casa”, mentre parlava, notai che la sua voce era cambiata, aveva perso tonalità.
“No, per me va bene così” ed aggiunsi: “Saresti disposto a ripetere tutto quello che mi hai appena detto?”
“E sarebbe?” disse
“Che vuoi un figlio, magari accasarci o vivere insieme”
Mi guardò, aveva la bocca impastata, non disse nulla, se non un gemito, fece una smorfia che sembrava un sorriso.
Continuai “Il nostro è stato solo un gioco e finita l’esplosione degli ormoni, come vedi, torniamo alla nostra realtà, ma adesso anche questo è finito, non mi cercare più, non mi chiamare, non ti risponderò”.
Lo vidi ondeggiare imbarazzato.
Mi alzai, presi il trench e fissando il suo sguardo incredulo, mi allontanai, attraversai la sala incrociando diversi occhi, uscii dal locale, raggiunsi la fermata dei taxi e ne presi uno.
Passammo davanti al ristorante, temetti di incrociarlo nel caso mi avesse seguito, ma nulla, non c’era, forse era ancora seduto nel tentativo di capire, quindi, mi rilassai compiaciuta sul sedile.
Non mi avrebbe più assillata con le sue telefonate e con i suoi falsi progetti, non conosceva casa mia, quindi, se avesse tentato qualche altro sporadico approccio telefonico, semplicemente non avrei risposto a lui e a sua moglie o ex, se era vero che era separato.

Era una bella serata di fine ottobre e preferii farmi lasciare a qualche isolato da casa, volevo continuare a piedi per rilassarmi e camminare mi fece bene.
Milano ha un fascino particolare, è molto attiva e frenetica e per capirla devi viverla, abitavo in centro, zona Brera, mi piaceva questo magnifico borgo medievale pieno di storia, a pochi passi dagli affari, amavo passeggiare a piedi tra i suoi vicoli.
Arrivai nel cortile, guardai verso le finestre di casa mia e contemplai la magnificenza della costruzione.
Mio padre aveva acquistato tre anni prima questo appartamento, era in uno stabile molto grande degli inizi del novecento, il vecchio intestatario l’aveva diviso in due, in pratica da un appartamento ne aveva ricavati due. La porta d’ingresso dava su un piccolo pianerottolo modificato con due porte che portavano a due appartamenti indipendenti. Era stato così diviso dal figlio dell’ultimo proprietario, in uno vi abitava suo padre, colonnello in pensione ottantenne, mentre nell’altro la badante di turno.
A sentire gli inquilini c’era stato un susseguirsi di badanti, varie versioni, chi raccontava di badanti violente e chi di un colonnello con le mani troppo lunghe che spesso rimanevano incollate alle parti intime di queste donne. Le reazioni erano due o veniva invitato a desistere, prima con le buone e poi forse con modi più spicci da corpulente donne dell’est, oppure la tizia ci stava, però questo terrorizzava il figlio, impaurito da un eventuale raggiro per accaparrarsi i beni.
Il figlio del colonnello per controllare tutto ciò, aveva fatto installare un impianto di video sorveglianza in tutte le stanze, di entrambi gli appartamenti e stranamente non ci fu dichiarato all’atto dell’acquisto.
Prima delle vacanze estive, a causa di un guasto, avevo fatto effettuare dei lavori di rinnovo dell’impianto elettrico ed il tecnico scopri quest’impianto con le telecamere ben mimetizzate, alcune parzialmente distrutte forse da qualche badante stanca sia del padre che del figlio. Lo feci riparare e collegare al mio cellulare, si rivelò un ottimo deterrente per evitare spiacevoli sorprese di furti o intrusioni varie.

A metà novembre arrivò mia madre, era solita venire a Milano per stare un po’ con me ed associare la sua passione per la moda e gli acquisti. Voleva sempre avere il privilegio d’indossare per prima una firma, sempre con gusto, raramente un capo di abbigliamento non le era ben intonato. Aveva due grandi fortune, un marito che le passava tutto ciò che voleva (con grandi limiti secondo lei) e un bel fisico, nonostante i suoi 50 anni. Bruna, occhi scuri, alta 1,80, corpo sinuoso e ben fatto con belle forme ed anche lei con delle bellissime gambe. Ci somigliavamo molto, solo che io avevo occhi e capelli chiari.
Arrivò e come suo solito si stabilì nell’appartamento accanto che era stato acquistato per mio fratello, ma che era rimasto vuoto.
In questo modo si rendeva autonoma, io potevo studiare e seguire le lezioni, mentre lei liberamente poteva impegnarsi nelle sue attività, poi la sera se ne avevamo voglia andavamo a cena in qualche locale, altrimenti restavamo a casa a chiacchierare fino a tarda notte.
Arrivò, parlammo tanto, era molto contenta di poter partecipare ad una sfilata di un noto stilista, che era riuscita nel farsi raccomandare dal negozio della nostra città e quando ricevette la telefonata che l’avrebbero attesa nel backstage ne fu felicissima.

Due giorni dopo il suo arrivo, ero in ospedale in corsia per il tirocinio, sentì squillare il cellulare nella tasca del camice, aveva un squillo strano che non capivo, mi allontanai e notai che era l’antifurto, il cellulare mi avvisava che qualcuno stava entrando in casa. Mi allarmai, poi digitando come mi aveva insegnato il tecnico, vidi sullo schermo che la telecamera inquadrava mia madre. Non le avevo detto nulla, la mattina eravamo uscite insieme e avevo attivato dal mio appartamento l’antifurto anche per il suo. Mi era sfuggito e avrei dovuto spiegarle che doveva aprire casa mia e disattivarlo. Ma fino a quando non forzavano la porta del mio, non suonava alcun allarme ambientale, si attivano semplicemente le telecamere tramite avviso sul mio cellulare.
Vidi mia madre che non era sola, c’era un uomo con lei, intravidi una specie di divisa, con un logo sul taschino della giacca, mentre lei girava la serratura, quest’uomo era letteralmente coperto da scatole e buste, di sicuro acquisti del dopo sfilata di mia madre.
Ero contrariata, non mi piaceva che portasse degli estranei fin davanti casa, io non l’avevo mai fatto.
Mia madre era sul pianerottolo, con questo tizio, era giovane, carino e sembrava molto imbarazzato, forse un commesso del negozio.
Poi vidi un altro uomo alle spalle, robusto, palestrato, olivastro, con uno strano modo di fare e mi allarmai.
Mia madre li fece entrare in casa e si diressero in cucina, il tipo olivastro, parlava senza molto interesse, mentre continuamente si guardava intorno in modo curioso.
Mi impaurii, ebbi un brutto presentimento, iniziai a sbottonarmi il camice, volevo andare a casa, poi desistetti, vidi l’assistente che arrivava e con il quale a giorni avrei dato un esame, non potevo andarmene.
Mi appartai e continuai a guardare, erano seduti, mia madre iniziò a preparare del caffè, mentre il tipo olivastro chiese del bagno, spostai l’inquadratura sulle altre telecamere, prima del corridoio, poi del bagno. Nel tragitto diede un’occhiata alla camera di fronte, poi lo vidi urinare, quindi lavarsi velocemente, si ricompose e tornò in cucina, continuamente inquadrato nel mio cellulare.
Sentì una sua esclamazione, non mi ero accorta che mia madre, stava avendo un rapporto orale con il ragazzo biondo. Il tizio olivastro, approfittando della posizione supina di mia madre, si avvicinò da dietro, le sfilò la gonna, spostò l’elastico del perizoma e prese a toccarla prima sulle natiche e poi al centro.
La cosa m’imbarazzava molto ed ero contrariata, non mi piaceva ciò che stava facendo in casa nostra, avevo un brutto presagio e volevo capire, quindi, continuai a guardare.
Vidi mia madre girarsi, mentre tentava di toccare il membro del tizio olivastro, che invece si svincolò e trovai molto strano il gesto.
Lei era ormai completamente nuda e supina, il biondo riuscì a penetrarla da dietro, mentre lei tentava di aprire la cerniera dei pantaloni al tipo olivastro che continuava a fare resistenza.
Il tipo olivastro dava le spalle alla telecamera mentre mia madre supina, era posseduta da dietro dal biondo, la vidi guardare il membro del tipo olivastro e dire cose incomprensibili, poi lui si girò e capii, non aveva erezione.
Quindi, vidi mia madre che tentava di farglielo diventare duro, mentre il biondo continuava con forza nella sua penetrazione ed a volte, per il piacere generato, distoglieva mia madre che si abbandonava nel godimento.
Poi il tipo olivastro finalmente riuscì ad averlo duro e subito la penetrò, generando il piacere della doppia penetrazione.
Continuarono nel loro amplesso, ero imbarazzata, ma continuavo a guardare, mia madre era sola con due sconosciuti in casa nostra e poteva accadere di tutto, nello stesso tempo pensai che era la prima volta che osservavo una donna penetrata contemporaneamente da due uomini.

Dalla corsia mi chiamarono, mi aggregai al gruppo di colleghi, quindi distolsi lo sguardo dal cellulare e tenni l’auricolare con volume basso per mantenerne il controllo, mi tenni a distanza mentre il primario stava riassumendo l’anamnesi di un paziente che avremmo visitato il giorno successivo, chiese quindi di appuntarci eventuali domande e ci congedò.
Affiancata dai miei colleghi ci dirigemmo verso l’uscita, mentre ascoltavo le effusioni di mia madre con i suoi compagni di giochi.
Sentii squillare l’altro cellulare che tenevo in borsa, era un numero che davo a tutti, rispetto all’altro riservato solo ai famigliari e pochi intimi.
Guardai il numero memorizzato, era Carlo un cugino di mio padre, primario di pronto soccorso dell’ospedale della mia città pugliese, probabilmente voleva chiedermi qualche favore su Milano.
Risposi e avvertii subito un tono strano, nessun preambolo, ne convenevoli, chiese dove mi trovavo e di mia madre.

Ero in taxi, osservai nuovamente mia madre sul cellulare, dovevo chiamarla ed avvisarla che da lì a poco sarei arrivata a casa, dovevamo prepararci e raggiungere l’aeroporto alla ricerca di un volo.
Quindi, presi l’altro cellulare e composi il suo numero, non rispondeva, sentivo il suo cellulare squillare a vuoto attraverso la telecamera, dove vedevo lei godere con il tipo olivastro, che la stava penetrando in modo forsennato, mentre lei si dimenava nei suoi continui orgasmi ed ovviamente non si preoccupava di rispondere al telefono.
Eravamo bloccati sulla tangenziale, attesi, vidi i due rivolgere i rispettivi membri sul seno di mia madre, vidi prima il biondo venire, subito dopo il tipo olivastro anche lui venire sui capezzoli.
Attesi qualche minuto, quindi, ricomposi il numero, erano ormai tre volte di seguito che la chiamavo inutilmente, ora poteva rispondermi.
La vidi spazientita guardare la sua borsa, poi lo prese, osservò sul display e mi rispose, dopo aver fatto gesti con la mano di stare in silenzio ai due presenti.
Aveva un po’ di affanno e disse subito che era appena salita a casa a piedi perché l’ascensore era bloccato, poi, finalmente mi fece parlare, le dissi che nel giro di mezzora sarei arrivata a casa, dovevamo preparare i bagagli e correre in aeroporto per il primo volo disponibile, dovevamo tornare a casa, alla masseria, c’era stato un incendio nella stalla, c’erano notizie confuse, pare nessun ferito. La sentii spaventata, la invitai a restare calma perché sarei arrivata in breve tempo e poi avremmo raggiunto l’aeroporto mentre nel frattempo avrei chiamato per ottenere più informazioni.
Chiusi la telefonata e riguardai sul cellulare mentre i due si rivestivano, osservati da mia madre, poi sentii il tipo olivastro dire, che se voleva poteva organizzare un’orgia con quattro suoi amici.
Sentì mia madre rispondergli con un tono fermo e gelido, di non farsi idee sbagliate, era solo un caso se l’avevano fatto in tre.
Continuò nel dire “Non ho problemi sessuali da soddisfare, è nato tutto per caso, mi è piaciuto l’approccio, avevo voglia e l’abbiamo fatto, ma tutto finisce qui”.
Aggiunse “Ho visto che ti guardavi intorno con curiosità, lascia perdere, non è casa mia, non ti fare fantasie inutili, dimentica questa casa, non mi sottovalutare, stammi lontano, sappi che ho visto di tutto, anche il ricatto che sono costretta a subire, quindi immagina quanto sono incattivita”.
Mi raggelai, mia madre ricattata, e da chi?
Il tono mi era sembrato serio, non fandonie inventate per darsi il tono della cattiva.
Sul pianerottolo li congedò, chiudendosi poi la porta e correndo in camera per rivestirsi e prepararsi.
Perché aveva detto quella frase? A chi si riferiva?
Per un momento quella frase riuscì a distrarmi dall’ansia generata dalla notizia dell’incendio

Riuscimmo ad imbarcarci sul primo volo disponibile, avevo avuto poche notizie, ma più gravi e inquietanti. Si era sviluppato un incendio nella stalla grande. Era crollato un soppalco che aveva investito mio padre, mio fratello e un operaio mentre tentavano di liberare gli animali.
Erano ricoverati tutti e tre in ospedale, non in pericolo di vita, ma ustionati e con qualche frattura, mio fratello era anche rimasto intossicato dal fumo ed era ricoverato in una camera iperbarica.

Arrivammo e trascorremmo diverso tempo in ospedale nell’assistere ed accudire i feriti, mio padre aveva il volto completamente bendato, tranne occhi, naso e bocca. Una V con la mano servì a tranquillizzarci, come del resto fecero i medici quando andammo a consulto. Anche mio fratello già smanettava con un joystik alle prese con il suo gioco preferito. L’operaio, era arrivato dopo ed aveva subito la carica dagli animali che fuggivano dalle fiamme, qualche contusione e frattura, ma nulla di preoccupante.

In piena notte io e mia madre rientrammo, sollecitati dai miei nonni che invece vollero rimanere.
Raggiungemmo la masseria dove la cuoca preparò del brodo caldo che si rivelò prodigioso, anche a causa del freddo, visto che eravamo a novembre.
Mentre cenavamo osservavo mia madre e ripensavo alla sua frase.
Era vero che qualcuno la ricattava? In passato sarei stata incredula, ma adesso sapendo di mio padre, figlio adottivo che intrecciava un rapporto con sua madre, aveva un significato quella frase? Mi chiesi se mia madre sapesse della relazione tra mio padre e mia nonna.
In aereo aveva avuto quasi un attacco di panico, poi in ospedale dopo essersi rassicurata, era stata distaccata, distante, in particolare con mia nonna. Ero li ad osservarle attentamente, non avevano mai avuto un bel rapporto, lo realizzavo adesso, raramente le avevo viste dialogare, era sempre mio padre a mediare.
Quando si nasce in un ambiente dove i rapporti tra persone sono impostati in un certo modo, si è abituati a vederli così, per come sono, poi è la maturità o eventi particolari a metterli in vista e adesso era quello che mi stava accadendo.

Andai in camera, ero stanca, chiusi la porta, mi spogliai e andai in bagno, per istinto stavo chiudendo la porta che dal bagno comunicava con la camera di mio fratello, poi pensai che era in ospedale e quindi potevo lasciarla aperta.
Mi affacciai nuda sul ciglio della sua stanza, entrai, mi avvicinai alla sua scrivania, notai il suo cellulare che lampeggiava, guardai meglio aveva la batteria scarica, c’erano numerose chiamate senza risposte, tra le quali alcune mie. Cercai il carica batterie per collegarlo, glielo avrei portato in ospedale.
Notai anche il computer che emetteva una luce, era acceso ma in standby, cliccai e si riavviò.
Comparve la schermata, presi il mouse per spegnerlo, aveva un sistema operativo più recente e diverso dal mio, non lo conoscevo, puntai il mouse sul basso per cercare l’icona, non la trovavo, le guardai attentamente, lo schermo era molto grande, conteneva numerose cartelle create da lui, ne trovai una a me nota, il simbolo mi ricordava qualcosa, poi ricordai, era la stessa icona che avevo sul cellulare per collegarmi alle telecamere di casa. Mi sembrava un sacrilegio entrare nell’intimità di mio fratello, era molto riservato sulle sue cose, non l’avevo mai fatto.
Ma fu più forte di me, cliccai e sul monitor apparve la schermata di un video, guardai meglio, era collegato alle telecamere che inquadravano in tempo reale la masseria e le stalle. Doveva essere un nuovo gioco di mio fratello, aveva montato le telecamere per controllare gli accessi della masseria e forse aveva assistito in diretta all’incendio ed era corso alla stalla lasciando il pc acceso.
Chiusi la cartella, ma ne scorsi un’altra, portava il nome di una nota clinica milanese che conoscevo di fama, incuriosita l’aprii. Conteneva numerosi fogli scannerizzati, guardai meglio erano vecchi documenti ingialliti sembrava una cartella clinica. Attratta, iniziai ad aprire le pagine, sulla prima capeggiava il nome di mia madre, portava la data di 20 anni prima.
Cosa ci faceva mio fratello con quella cartella? Mentre continuavo a chiedermi del perché iniziai ad aprire le pagine.
Era di un reparto di ginecologia, per un attimo pensai alla nascita di mio fratello, ma era nato in Puglia, forse, pensai, a delle complicanze successive al parto.
Iniziai ad aprire e chiudere le varie pagine, analisi cliniche, visite specialistiche, prescrizioni, continuavo nell’ aprire e chiudere.
Poi fu un attimo, avevo letto qualcosa che pensavo di routine, ma il termine che colsi, mi colpì, riaprii il documento, rimasi pietrificata.
Avevo letto il termine freddamente, da medico, quindi non avevo collegato quel termine alla realtà di mia madre e della mia famiglia.
Richiusi il documento e con calma e massima concentrazione, tornai indietro.
Riaprii l’intestazione della cartella clinica, ripresi a riaprire uno ad uno tutti i documenti, in ordine d’inserimento, in tutti cercavo nel frontespizio il nome di mia madre e la data, li scorrevo e leggevo attentamente. Con calma e con tutta l’attenzione possibile in quel momento, arrivai all’ultimo che avevo letto, ritrovai il nome e cognome di mia madre e di nuovo la data di esecuzione, poi lessi il referto e la procedura che era stata eseguita.
Non era possibile, non poteva essere vero.
Staccai lo sguardo, ero incredula, ripresi a scorrerlo, dal foglio leggevo che mia madre a causa di un sospetto tumore all’utero aveva subito una isterectomia, l’asportazione dell’utero, ovaie e tube.
Dovetti prendere respiro, continuai a leggere, poi distolsi lo sguardo, mia madre da quel momento non avrebbe potuto più concepire un figlio e questo accadeva due anni prima che nascesse mio fratello.
Avevo gli occhi pieni di lacrime.
Cosa significava?
Perché non ne sapevo nulla?
Mio fratello di chi era figlio?
Anche lui come mio padre era figlio adottivo? Continuavo a chiedermi perché non ne sapessi nulla, cosa c’era di strano nel raccontarlo?
Sembravamo la famiglia invidiata e perfetta, ma nascondevamo inquietanti e strane realtà.
Ero straziata, piangendo, tornai nella mia camera e mi sdraiai sul letto.
Mi svegliai che era notte, faceva freddo, ero nuda coperta da un plaid che avevo trovato sul letto.
Avevo mal di testa e gli occhi gonfi.
Con addosso il plaid, mi diressi alla finestra della mia camera, c’era luna piena, in lontananza s’intraveda il mare, con i colori dell’inverno, dagli infissi filtravano degli spifferi di vento, che rendevano suggestiva la visione, oltre che a generare freddo.
Sentii un brivido, non sapevo cosa fare, avevo paura di scoprire altre realtà, ma volevo andare a fondo e capire, quali altri retroscena celasse la mia famiglia e da chi fosse ricattata mia madre.
Tornai nella camera di mio fratello, mi sedetti alla scrivania, riaprii la cartella clinica e rilessi nuovamente tutti i documenti.
Rilessi tutto, si sospettava un tumore all’utero e procedettero nell’asportazione totale, anche perché mia madre aveva riferito di avere dei precedenti in famiglia, con esiti fatali e questo maturò l’idea di un intervento radicale.
Fu dimessa dopo sette giorni, senza prescrizioni ulteriori, se non antibiotici e l’appuntamento per un controllo successivo.
Lasciai acceso il computer come l’avevo trovato e cancellai dalla memoria la cache di navigazione per eliminare le tracce del mio passaggio.

Decisi di affrontare le realtà urgenti che incombevano e mi resi utile in tutto ciò che serviva, accompagnavo a casa o in ospedale la moglie dell’operaio, che era ormai fuori pericolo. Mi davo il cambio con i miei nonni e mia madre per accudire, mio padre e mio fratello, al quale, non volli portare il cellulare per non far capire che ero entrata nella sua camera.
Difatti, fu mia nonna a portarglielo dietro sua richiesta.

Una sera, io e mia madre, uscimmo dall’ospedale e un vento con pioggia mista a neve, quasi ci congelò. Volle guidare lei, la lasciai fare, mentre parlavamo di convenevoli, la sentii dire, “Spero li dimettano presto, mi angosciano questi luoghi e vedere tanta gente malata, non so come sia per te futuro medico questa realtà quotidiana di sofferenza, ma io più ci sto lontana e più sto meglio”.
Risi divertita della sua conclamata paura e colsi l’occasione per dirle: “Ok, mamma comprendo, ma questi luoghi ti fanno anche capire, come la prevenzione possa aiutare a vivere meglio e proprio qualche settimana fa mi chiedevo, tu prevenzione ne fai? Mammografia? Pap test? Controllo dell’utero? Menopausa? Ginecologo?”
Senti un sussulto ed il motore della macchina emise un rombo strano, poi capì, aveva sbagliato marcia, dalla quarta era passata in terza invece di mettere la quinta, la macchina ebbe uno scossone, poi mise la quinta e si riprese. L’errore l’aiutò nel prendere tempo per rispondermi “Faccio tutto in un ambulatorio privato in città”, poi aggiunse: “Per questa sera preferisci il brodino della cuoca, tanto per rimanere in tema di ospedali o vuoi che mi fermi al forno per delle calde focacce?” rideva, ma ciò le diede modo di uscire dall’imbarazzo e cambiare discorso.

I giorni trascorsero in un continuo viavai tra la masseria e l’ospedale, i miglioramenti erano evidenti, ma per la complessità delle ferite, in particolare le ustioni, queste prolungavano la degenza, notai anche molto nervosismo da parte di mio padre, era insofferente, non riusciva a controllarsi, lo vidi più volte urlare con mia madre, che reagiva impassibile.
Una sera dopo cena, tornai al computer di mio fratello, ero tormentata, volevo capire se mi era sfuggito qualcosa.
Riavviai la schermata, riaprii la cartella clinica, cercai: nomi, riferimenti, conoscenti, qualcosa che potesse creare collegamenti, ma non trovai nulla.
Richiusi il programma, decisa nel lasciare nuovamente il computer in standby così come l’avevo trovato, poi posai lo sguardo sull’icona che conoscevo, quella delle telecamere.
Fu un attimo, ripensai all’incendio, le telecamere montate da mio fratello forse avevano ripreso la causa dell’incendio, quindi, potevano aver registrato l’evento e potevo visionarlo per capire cosa era successo.
Aprii il programma e trovai numerosi file video, con giorno e ora, cliccai su uno, ma invece di aprirsi mi comparve la richiesta di password. Feci diversi tentativi, inserii probabili nomi che poteva aver inserito mio fratello, ma nulla. Non capivo il motivo di questa password, cosa nascondeva? Il mistero aumentava.
Trovai l’icona per visionare le telecamere in diretta, in tempo reale. Cliccai su una di queste, era installata all’ingresso del viottolo che portava alla masseria, era un’immagine fissa, non si vedeva altro che la strada d’ingresso alla masseria.
Chiusi e ne aprii un’altra, si attivò anche il volume, si sentivano delle voci, si vedevano delle persone nella stalla delle capre, tra i recinti, si vedevano degli uomini, due erano nudi. Trovai strana la cosa, a quest’ora c’erano persone nude nell’area della masseria.
Mio nonno controllava continuamente le stalle, cosa ci facevano li a quell’ora?
Cliccai per ingrandire l’immagine, si vedeva una donna nuda piegata a metà mentre veniva penetrata da dietro e nello stesso tempo aveva un rapporto orale con un altro uomo. C’era un terzo uomo che guardava e si masturbava. Ingrandii ancora l’immagine, l’uomo da dietro era un uomo di colore, lo conoscevo era un operaio stagionale che saltuariamente veniva assunto alla masseria, da come penetrava lentamente e dai movimenti si vedeva che era superdotato, questo provocava attenzione da parte degli altri, tutti attenti ad osservare questi lenti movimenti, mentre la donna da dietro con la mano aperta indicava di fare piano, forse a causa della grandezza del membro, focalizzai poi l’uomo che stava subendo il rapporto orale e riconobbi il figlio del fattore, colui che mio nonno mi aveva consigliato di tenermi alla larga, si vedeva che stava godendo mentre con il movimento del polso spingeva la testa della donna verso il suo fallo.
Riuscii poi a girare la telecamera e vidi che il terzo uomo, era l’unico vestito, ma aveva il pantalone abbassato e si toccava mentre godeva della scena, era di spalle alla telecamera ma di fronte al terzetto.
Sentii un flottio, poi capii aveva iniziato ad urinare sul corpo della donna, lo sentii parlare, mi mancò il fiato, era mio nonno, rimasi gelida, inerme, non riuscivo a muovermi, ero bloccata, sentivo la mano sul mouse paralizzata.
Urinava a tratti, tentava a distanza di prendere in pieno la donna e rideva insieme agli altri uomini.
Poi fu un attimo, sentii un’altra voce, mi alzai di scatto, aprii la porta, in un attimo corsi verso la scalinata, scesi per la rampa saltando i gradini, persi le scarpe, corsi fuori, avevo solo una camicetta e la gonna, sentii una sferzata di vento gelido in pieno volto, mentre sulla ghiaia a piedi nudi correvo in direzione della stalla, entrai, non si vedeva nulla, non capivo dove fossero, la stalla era molto grande, mi rigirai su me stessa per capire la direzione, rimasi ferma in silenzio, sentivo il mio affanno, sentii delle voci, riconobbi la risata di mio nonno, intuì la direzione, ripresi a correre, girai per la mangiatoia, vidi un covone di fieno, c’era un forcone lo presi a volo con una mano, mi diressi verso il gruppo, mio nonno era di spalle, arrivai e con le punte del forcone andai diritto verso di lui, ma mi aveva sentito arrivare e si girò, schivò con un braccio, lo presi su una coscia quasi all’altezza dell’inguine.
Si mise ad urlare, sentii mia madre urlare “Ferma, cosa fai?”.
Avevo l’affanno, erano tutti immobili, puntavo ancora il forcone verso mio nonno, che aveva le mani alzate in modo di resa, mia madre continuava ad urlare, mentre piangendo urlai “E’ lui che ti ricatta?”
Mio nonno gesticolava con le mani sanguinanti ed aveva lo sguardo terrorizzato.
Mia madre mi tolse il forcone dalle mani.
La sentii dire “Ferma, calmati, loro non c’entrano nulla, per amor del cielo, cosa stai facendo”
Guardai lei nuda, poi gli altri, erano tutti spaventati, mio nonno era ferito ad una mano e sulla coscia e sanguinava, schivandosi era riuscito a non far penetrare le punte del forcone, l’avevo ferito di striscio, ma sanguinava, vidi mia madre dire agli altri di procurarsi l’occorrente per la medicazione.
Dopo quella frase, indietreggiai lentamente, poi iniziai a correre.
Quella notte avrei voluto correre tra i campi ed urlare tutto il mio dolore e la confusione che ormai regnava nella mia mente.
Raggiunsi la mia camera ero sudata, avevo i piedi sporchi e insanguinati, infreddolita mi stesi sul letto piangendo.
Dopo un pò arrivò mia madre, si era vestita, si sedette e rimase zitta.
Ricordo quella notte di tanti anni fa, come non mai, dopo un lungo silenzio, le chiesi di dirmi tutto, le chiesi la verità, senza preamboli, le dissi che sapevo alcune cose, ma volevo tutta la verità.
Dopo un pò, iniziò a piangere ed a raccontare.

Tre anni dopo, completata la specializzazione, entrai in un agenzia di viaggi per prenotare un volo aereo, la conoscevo bene, ogni giorno passavo li davanti per andare in facoltà, spesso mi soffermavo ad osservare su una bacheca esterna le varie offerte che promuovevano per le più disparate località turistiche.
Questa volta varcai la soglia, all’interno vidi dei divisori, in ognuno c’erano delle sedie e una scrivania, in uno di questi un ragazzo, appena mi vide si alzò e m’invitò a sedere.
Iniziò a digitare per il volo di andata, poi chiese “Quando pensa di tornare”, risposi, “Non lo so, non credo per adesso, forse mai, deve farlo di sola andata”, mi guardò distogliendo lo sguardo dal monitor ed aggiunse “Cosa significa? Vuol rimanere a vivere a Nuova Delhi?”
“Scusi ma a lei cosa gliene importa” risposi.
Da uno scomparto si senti una voce “Luca cosa sta succedendo?”
Vidi il tipo di fronte a me arrossarsi e rispondere “Nulla”,
Poi aggiunse bisbigliandomi “Per favore non urli, qui minacciano di chiudere, devono licenziare del personale, eviti che il prossimo sia io”.
Feci un cenno con la testa, poi dissi sottovoce “Ma scusi, lei s’impiccia sempre dei fatti dei clienti, quando partono o rientrano”
Mi guardò, rimase in silenzio, aveva l’espressione della persona intelligente, era timido non riusciva a sostenere lo sguardo, poi mi fissò e disse: “Sono anni che lei passa davanti alla nostra agenzia, saprei descriverle il suo abbigliamento, le sue scarpe e le sue borse, è la donna più bella che io abbia mai visto, ma questo adesso non è importante anche perché glielo diranno in tanti, la vedo sempre sola ed ha uno sguardo dolce e triste, quante volte avrei voluto fermarla e chiederle del perché di quello sguardo, cos’è che la tormenta”.
Rimanemmo in silenzio, poi aggiunse “Oggi lei entra e neanche il tempo di capire che è qui, di fronte a me e cosa fa? prenota un viaggio di sola andata per Nuova Delhi, tutto qui, sono almeno riuscito a dirle questo, prima che lei parta per questo viaggio senza ritorno”.
Ero spiazzata, non me l’aspettavo, rimanemmo in silenzio, lo guardai in volto era rosso, aveva detto tutto d’un fiato, da persona timida, faccia pulita del bravo ragazzo, capelli biondo cenere, occhi verdi, più o meno la mia età, gli consegnai i soldi, ritirai il biglietto, mi alzai e riuscii a dirgli “Buona fortuna Luca” e me ne andai.

Quel biglietto di sola andata è durato cinque anni, a febbraio dello scorso anno sono rientrata in Italia dopo una dura esperienza di medico in India. Credo di aver curato ed alleviato le sofferenze di tanta gente, così come l’India mi ha aiutata nel tentativo di ritrovare me stessa.

Mia madre dopo aver divorziato da mio padre, vive con me, è molto cambiata, è sempre una bella donna, ma ha perso i lustrini di un tempo, è più matura. Lavora in una comunità per ragazze madri, insegna loro a cucire abiti per se stesse e per i loro bambini.
Quella notte mi raccontò verità terribili.
Si era sposata felice e innamorata, ma dopo alcuni mesi scoprì la relazione che mio padre aveva con la mamma adottiva, reagì male ed iniziò a frequentare ed avere rapporti con qualsiasi uomo gli capitasse a tiro, da uno di questi fui concepita io. Chi consideravo mio padre, non lo era biologicamente e mia madre non è in grado ancora oggi di dire chi sia il mio vero padre naturale. La mia nascita fu accolta e coperta per non creare scandali, ma all’inizio non fu accettata.
Alcuni anni dopo, mio nonno durante un viaggio nella sua patria Irlanda fu arrestato e condannato a diversi anni di carcere per aver fiancheggiato delle azioni nella guerra in corso in quel periodo a Belfast tra cattolici e protestanti. Al suo ritorno trovò mio fratello, ma gli fu nascosto che era figlio di mio padre e della madre adottiva, cioè sua moglie. Ufficialmente era stata mia madre a concepirlo. Riuscirono a nascondere la gravidanza e ci pensò mio padre a farlo nascere, senza l’ausilio di estranei.
Con mio padre i rapporti si sono raffreddati, quasi scomparsi, lui sa che io so.
Anche con mio fratello ci sentiamo raramente, anche lui aveva scoperto la verità.

Ho dovuto modificare alcuni eventi per salvaguardare tutti, ma in fondo la mia storia è questa. Ho iniziato a scriverla sul mio tablet, in questo luogo magico, una elegante caffetteria, con una sala e dei tavolini, luci soffuse, ambiente discreto e piacevole, frequentato da coppie mature e persone anziane distinte, coppie di giovani ai primi incontri dove lo sguardo è seguito dall’accarezzarsi le mani. Lo frequento da qualche mese ed ho un mio tavolo che il cameriere si premura di chiamare “solito”, quando mi accompagna a sedermi.
Da questo posto a volte osservo un angolo della sala dove c’è un cavalletto con su un quadro di donna.
In quell’angolo, anni fa c’era una scrivania dove un giorno mi sedetti per acquistare un biglietto di sola andata, di fronte ad un uomo timido, l’unico a cui interessò capire il perché del mio sguardo triste.


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