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Mi distesi sul pavimento 4a par. La lezione


di sexitraumer
10.07.2009    |    20.675    |    0 6.7
"Avevo addosso solo la sottile canotta di cotone..."
Quella sera stanca dal lavoro al bar me ne tornai a casa un’ora prima a causa di un certo stress, dopo aver chiesto il permesso al padrone del bar, che naturalmente me lo diede. Suonai al citofono convinta che ci fosse in casa almeno quel coccolatissimo fannullone di mio fratello Carlo. Aprii con le mie chiavi. Lo trovai nella sua stanzetta che se ne fregava del resto del mondo. Non era nemmeno venuto ad aprirmi. Mi ricordai del computer di mio fratello Carlo: ovviamente non capiva perché non riusciva ad avviarlo. Lo sentii dire, dopo non poche bestemmie, che lo avrebbe riformattato. Dal suo punto di vista era l’unico sistema per tornarne in possesso. Gli dissi fermamente e senza urlare, quando i nostri erano usciti ed ero sicura che fossimo soli, che ero stata io a cambiare la password.
“E perché me l’hai cambiata?”
Alzai un po’ la voce, ma senza urlare veramente:
“Tu con quale diritto hai frugato nella mia borsa per vedere il cd con la mia amica? Te ne avevo dato il permesso forse? Guarda che quelle foto non puoi mostrarle ai tuoi amici segaioli come te moccioso! Se scopro che le hai messe sul web...tanto le navigazioni le so fare anch’io, non ti credere! Guarda che come te la do, ti posso fare, anzi ti faccio un culo come nemmeno t’immagini!”
Carlo per tutta risposta continuava ridere come ad ironizzare sentendosi sicuro di sé. Era un vero cretino, ma in realtà era colpa mia. Gliene avevo perdonate troppe. In quei momenti (in cui mi faceva arrabbiare) mio fratello Carlo usava troppa superficialità. E non potevo nemmeno accusarlo di maleducazione, dato che io nel “mal educarlo” avevo una parte non trascurabile.
“Hai fatto un’esperienza saffica, vero? Ehi! Poi ho visto anche le foto col prete!”
Non gli risposi niente. Carlo cercava di saperne di più sia del sesso con il prete, sia di quello con la mia amica Ilde, dato che gliene avevo già accennato. Solo perché gliela davo si credeva anche padrone?! Un bell’imbecille! Magari però l’imbecille ero stata solo io. Non volevo menarlo. Ormai non ne ero più capace; mi limitai a rimproverarlo con un tono molto poco amichevole. Cercai in tutti i modi di non farmi scappare un sorriso auto ironico dato che non credevo troppo nemmeno io alle mie parole od alle minacce che volevo fargli. E poi col mio progettino Carlo non avrebbe mai più avuto la possibilità di guardarmi nella borsa.
“Non sono affari tuoi! Hai fatto una cosa grave! Se mi rifai una cosa del genere, di guardarmi nella borsetta senza permesso torni alle pippe, e magari spiffero tutto a mamma!”
“E se ti caccia di casa dicendo Adv che sei stata tu? Posso sempre dire che mi avevi provocato!”
“Io un lavoro ce l’ho! Sei tu che resti veramente solo, gnokko! Non te la darò in eterno! ”- E per meglio sottolineare il concetto gli mimai il segno della sega maschile. Restò colpito, perché per dei lunghi istanti cadde in un certo mutismo. Poi mi fece:
“Va bene. Hai vinto tu! Scusa! Adesso mi dici qual è la nuova password?”
Io la password non gliela volli dire. Carlo doveva scegliere se perdere tutti i dati che non aveva conservato anche su memorie esterne, o aspettare che a me piacesse di sbloccarglielo. Era maschio ed orgoglioso, oltreché maleducato. La lezione ci voleva; solo che io ero la meno indicata per dargliela. Tanto dentro di me lo avevo già perdonato. Non ne volle sapere di aspettare. Lui non sapeva cosa fosse accettare una punizione o almeno rendersi conto di aver veramente sbagliato. Procedette alla formattazione. In fondo il computer era suo. I nostri genitori erano assenti per il momento. Rimase sempre davanti al suo pc portatile curando ogni passaggio. Mentalmente calcolai che tra la riformattazione e la re installazione dei suoi programmi più “i suoi files” se ne sarebbero andate un paio di orette. Decisi di andarmene nella mia stanza di sempre; mentalmente avevo già deciso che l’avrei lasciata presto (e definitivamente speravo) a quel segaiolo di mio fratello. Mi rimirai distesa sul letto l’assegno che mi aveva firmato la Bonanno che di nome faceva Federica. Per noi era sempre stata solo la Bonanno. Che bella la carta degli assegni! La cifra era generosa. Avrei potuto andarmene diversi mesi prima del previsto. Anche Carlo si sarebbe dovuto adattare alla nuova situazione. Non l’avrebbe presa bene. Ed io al nord con me non lo volevo portare assolutamente. Ero soddisfatta: stavo ottenendo tanto con poco. E potevo permettermi anche atti di generosità come convincere quella bella (ma stagionata) donna a darla al suo ex alunno di meno di qualche decennio prima. Mi cambiai per la casa limitandomi a togliermi i jeans. Restai “libera” con una canottiera attillata e le mutandine. Mi infilai sopra di esse un paio di vecchi shorts da calcio della nostra squadra del cuore. Quei vecchi pantaloncini avevano il pregio di esaltare le mie coscette ancora adolescenti. Ero troppo felice! Stavo finalmente per andarmene. Intanto che armeggiava col computer, io ormai mi ero riposata una mezz’oretta, per cui riassettai un po’ per casa. Pulii i pavimenti della mia stanza e del bagno, tanto Carlo se ne stava nella sua stanza impegnato col pc. Forse non si era reso conto della bestialità che aveva fatto frugandomi nella borsa. E che diamine! Una lezione, per quanto piccola, ci voleva! Ogni tanto mi affacciavo per vedere che faceva Carlo. Stava sempre al computer tra i suoi cd a selezionare e rimemorizzare. Ormai che gli dicessi la nuova password era inutile. La riformattazione era finita, ed il suo pc era nuovamente “vergine”. Ne aveva nascosti un po’ dappertutto i suoi cd. La mia “lezione” durò solo tre giorni, dato che per il resto della serata e fino a questi tre giorni “in bianco” lo ignorai senza permettergli neppure una palpeggiatina sfuggevole, di quelle che le sorelle non incestuose sopportano lo stesso. Lo salutavo appena e mi facevo vedere a bella posta a parlare a bassa voce con nostra madre escludendo lui. Oppure fingevo che mi servisse una cosa ma non l’accettavo da Carlo; me la facevo dare da nostro padre o da nostra madre o il più delle volte me la procuravo da sola. I nostri genitori l’avevano capito che io e Carlo avevamo litigato; ma a meno di un cedimento emotivo di Carlo non avrebbero mai sospettato minimamente il vero motivo. In loro assenza né parola, né saluto, solo porte chiuse davanti a lui. A tavola non coglievo mai spunti di conversazione iniziati da mio fratello Carlo. Il terzo giorno dopo, di ritorno dall’ateneo visto che il bar era chiuso per riposo settimanale, pensai di fare la pace con Carlo dato che lui non lo sapeva, ma la pacchia di una sorella che gli si concedeva, a prescindere dalla lezione, sarebbe presto finita. Andai in camera mia a cambiarmi come tre giorni prima, con gli shorts attillati. Notai che la mia canottierina aveva degli strappi da usura (no, non era stato Carlo a dispetto; era vecchia e lisa): poco male alla sua eccitazione non avrebbero di certo nuociuto. Anche se per decoro dopo l’avrei buttata via. Mi sentivo sicura di me. Andai da Carlo e sulla porta della sua stanza mi mostrai col mio pseudo abbigliamento succinto. Lo guardai in attesa che staccasse gli occhi dal computer e si voltasse verso di me. Vidi che stava (ancora!) installando diversi programmi con i cd originali e non. La metà dei suoi programmi era di origine pirata. Finsi di avere gli shorts fuori posto di lato dopo averli abbassati da destra e credo di ricordare che all’uopo ne rovinai anche l’elastico. I peli del monte lì sopra erano già visibili. Scostato anche il lembo destro dei pantaloncini e delle mutandine, fingendo di rialzarmeli, gli mostrai le labbra esterne della vulva con un gesto volutamente maldestro; erano appena visibili dal cosciale del pantaloncino e dalle mutandine il cui bordo avevo scostato egualmente, e Carlo poté finalmente intravedere la peluria della passerotta. Un bel richiamo per qualunque maschio intravedere del pelo - quel pelo ! - tra le cosce. Non è che gli avessi sorriso. Non gli avevo detto: vieni qui ti ho perdonato. Carlo questo lo capì dal fatto che mi ero presentata davanti a lui dopo un silenzio di tre giorni e passa circa. Ancora non volevo sorridergli. Certo come a scendere al suo livello mi ero presentata davanti a lui trasandata a bella posta. Per essere sicura di essere notata lasciai i miei capelli liberi di fluttuare dovunque si trovassero sulla parte vestita del mio corpo. Notò le lacerazioni della canottierina di filo di scozia. Una di quelle lacerazioni era vicino l’ombelico. Lasciai che il pantaloncino si riadattasse al mio bacino andando verso di lui di un paio di passi a coscette scoperte; e nel frattempo mi sollevai la canottierina scoprendogli solo il mio ventre. Il luogo più materno del mondo era tutto per i suoi occhi. Dalle clavicole non ebbi bisogno di lasciar cadere un’asola per scoprire almeno uno dei miei non troppo evidenti, ma reattivi seni. Si alzò immediatamente dalla sedia, e venne verso di me inginocchiandosi. Ovviamente non era per scusarsi. Strusciò le guance più volte contro la mia pancia, e subito dopo mi abbassò gli shorts ed un istante dopo le mutandine sempre più irrilevanti. Che volete che vi dica? Non gliel’avrei dovuta dare dopo la maleducazione del cd! Da quando, pochi secondi prima, andai sulla porta per mostrargli il mio corpo non ebbi il tempo di ripensarci. La sua bocca famelica si impossessò subito della mia sorchetta. Mi smascherai da sola. Il mio demone non esisteva; non era mai esistito; ora lo ammetto: semplicemente ero io che lo volevo all’opera! Quale migliore prova dell’esistenza del diavolo se non il nostro desiderio di vederlo a lavoro?! Volevo proprio che mio fratello Carlo mi leccasse lì. Il suo viso nel mio ventre era stato gradevole. Con un uomo qualunque non ci sarebbe stato nulla di male. Ma quello valeva fuori, in quella società che tacitamente non disapprovava troppo la mia leccata di vulva ad Ilde, una donna come me, a patto che rimanesse tra quattro mura. Quella stessa società si sarebbe astenuta, a condizione di non saperlo, se avessi offerto le mie più intime carni a mio fratello per puro e semplice divertimento personale; ben inteso sempre tra le classiche quattro mura! In quei secondi in cui il “desperado” Carlo mi passava la sua lingua sul sesso, premendola facendomi pure un po’ di male, mi sentivo libera e felice di aver trasgredito. Per me il muro della stanza, i poster, i quadretti colorati cominciavano a perdere di significato. A mano a mano che Carlo mi leccava la clitoride cominciavo a non distinguere più i contorni. Si era accorto di aver premuto troppo. Aveva iniziato ad essere più delicato. Guardavo nel vuoto verso la finestra. Metà della persiana era abbassata. Non c’era pericolo che ci vedessero, anche se da qualche parte dentro di me volevo che qualcuno ci vedesse. Nondimeno “vedevo” me stessa in piedi colla canottierina rimboccata verso l’alto con i fianchi, i reni ed il culo in bella evidenza con mio fratello che inginocchiato di fronte a me mi leccava delicatamente (come aveva sempre saputo fare) la mia fica di donna adulta. Chiunque lo avrebbe potuto vedere entrando nella stanza di mio fratello. Che gliene fotte ai vicini o ai parenti se mio fratello conosce il sapore della mia intimità? La società non perde niente lo stesso. La voglia soddisfatta di aver trasgredito mi faceva bagnare là sotto. Chissà quanti uomini incontrati o incrociati nell’autobus nella vita di tutti i giorni vorrebbero provarmi, assaggiarmi, prendermi proprio lì dopo avermi notata. Ed invece uno dei pochi a potermi prendere era mio fratello minore. Questo pensiero pose fine alla mia visione del sesso che stavo vivendo e praticando. E Carlo ? Ormai era il momento di fargli capire che era stato perdonato sul serio. Gli feci delle tenere carezze sulle guance e sui suoi capelli. La lingua di mio fratello andò avanti ed indietro lungo il mio spacco con i movimenti sicuri di una persona che si sentiva a casa tra le mie cosce. La sentivo piena quella lingua; non solo la punta. Ora volevo che mi leccasse le cosce interne, ma non glielo chiesi. Aspettavo, per vedere se se ne ricordava da solo. Interruppe la leccata per sputare un po’ di peli che gli erano finiti in bocca per la sua foga di prendersi odori e sapori della mia vulva, di sfamarsi letteralmente del mio sesso. La sua era una fame con cui mio fratello Carlo sfogava tre giorni di ansia nascosta o repressa di non potermi più prendere per la mia arrabbiatura. Le labbra di Carlo erano in comunione totale con la mia vulva. La leccava e baciava con tenerezza, ed io cercavo di ri-baciarlo con essa, muovendo il bacino verso la sua faccia che poi trattenevo per la nuca con gentilezza. Poi Carlo riprese a passarvi sopra la lingua. Il solletico che provavo insieme all’umidità della sua saliva mi stavano facendo impazzire. Per contro anche Il sapore della mia fica credo che lo facesse impazzire. Anch’io cominciavo a godermela. La mia mente, mentre lui mi assaporava la vulva ed il suo albume, richiamò lo stesso sapore, quello della vulva della mia amica Ilde. Mossi il bacino davanti a lui per lasciar cadere del tutto shorts e mutandine che mi erano rimasti tra le ginocchia e poi erano scesi fin sotto caviglie; ma non potevo ancora allargare le gambe convenientemente. Adesso che erano a terra Carlo era libero di passarmi la lingua liberamente su tutto il pube. Il suo carnalissimo arco di trionfo era tutto per lui, che era quanto di più lontano ci fosse da un condottiero del sesso. Mi cercò sia dentro il buco, che all’esterno, fin sotto l’inguine. Poi mi voltò dopo avermi afferrato le natiche in un paio di secondi senza esitare questa volta mi infilò la lingua anche lì. Proprio nell’ano. Quant’era bello sentirselo esplorato in quel modo umido e piacevole. Era pazzo del mio culetto. Lo era sempre stato! Non mi sto vantando quando dico che il culo di sua sorella maggiore che cresceva formosetto era sempre stata una delle sue prime attrazioni erotiche, ben prima della passera. E grazie! - direte voi: Si vede prima! Da ragazzino (ma quasi pubere) mi spiava, e se non esagerava, facevo finta che non me ne accorgevo. Un paio di volte lo sgamai che mi spiava dal buco della serratura in bagno per vedermi se mi spogliavo dapprima, per poi infilarmi il costume da casa, prima di andare a nuoto. Era bello cucinarselo con la (falsa) minaccia di dirlo ai genitori. Godevo un mondo a farlo sentire scoperto! Quel rimedio si usa sempre e solo con estranei; solo che questo mio fratello Carlo era troppo scemotto per saperlo. Questo succedeva più o meno dieci anni prima. Mentre gli osservavo ora la testa appiccicata alla mia vulva, con la sua operosa lingua che si dava da fare, osservandolo riesco per brevi istanti ad immaginarlo ancora ragazzino che timidamente e ingenuamente cerca di scoprire il sesso con me, che invece ho accettato di concederglielo solo da qualche recentissimo annetto. In passato per mostrarla, ogni tanto gliela mostravo, solo ogni tanto però! Anche quando aveva i primi peli ma la congiunzione era fuori discussione. La sorveglianza di mamma era efficiente. E poi appena lui provava, quando eravamo raramente soli, a tirarselo fuori sperando forse di stimolare la mia curiosità scappavo via. La minaccia di dirlo alla mamma funzionava sempre, dato che io ero la sorella maggiore, e lui che invece era il minore tendeva a sopravvalutare quest’aspetto. Sapeva che avrebbero creduto più a me che a lui; i nostri genitori naturalmente; Il tribunale dei minori se investito di una segnalazione in proposito avrebbe pensato tutt’altro. Se degli estranei dai loro balconi ci avessero intravisto nel silenzio del pomeriggio quando abitavamo in paese, quando colta da pietà per il suo repentino impacciarsi, gli feci una piccola sega in terrazza dopo avergliela mostrata due minuti (fiscali!) per aver perso una scommessa, e avessero segnalato la cosa a chi di dovere, come sarebbe andata a finire?! No, non era successo. Noi avevamo una casa soprelevata. Era difficile notarci. Gli altri dormivano, al pari dei nostri genitori, in attesa che la sirena delle quattro annunciasse la fine della siesta pomeridiana. Che bello! Saremmo presto scesi in strada a giocare con gli altri amichetti, tenendoci per noi questo segreto. Ora molti anni dopo mio fratello me la stava leccando ed insalivando facendomi anche trasalire con il respiro per le sensazioni che la vulva mandava al mio cervello, e la mia eccitazione cresceva ancora di più a pensare che anche Giuliano, un nostro amichetto d’infanzia biondino e, ma sì! proprio carino - provò a baciarmela quando una volta, nelle fondamenta di un condominio in costruzione, facemmo tutti e quattro il gioco della bottiglia e toccò a me! Si faceva ruotare una bottiglia, e a chi si fermava toccava mostrarlo, o mostrarla come nel mio caso: mi alzai in piedi, sollevai la gonnellina, e mostrai ciò che dovevo a quel parlamentino di amichetti seduti; prima videro le mutandine e poi dopo averle convenientemente scostate, anche la mia paperina glabra per i loro occhi curiosi. Solo un paio di secondi e non di più! Mettevano a fuoco, vedevano, e poi via! Seduta di nuovo, con la gonna a coprirmela bene. Nessuno di loro era cattivo. Questo non era piacere morboso. Era la mia e nostra lealtà verso gli amichetti ed il gioco in sé...Giuliano che me la voleva baciare scattando con la testa in avanti provò ad avvicinarsi troppo, ed io, che per istinto me l’aspettavo, scattai all’indietro! Mio fratello che era più piccolo rise. E Roberto, il suo amico e vicino di casa lo trattenne, ma gli diede anche due pacche sulle spalle a mo’ di congratulazioni; per aver comunque provato immagino. Giuliano pronunciò molte imprecazioni; provò anche ad offrirmi le sue figurine, ma io nisba! Era giusto così. Nessuno di loro avrebbe mai cercato di farmi violenza. Per loro testimonierei ancora oggi in un’aula di tribunale...Io e Giuliano siamo sempre stati amici finché abbiamo vissuto al paese. Siamo anche usciti la sera quando divenimmo più grandicelli, anche se anni dopo non mi innamorai mai di lui. Poi noi siamo andati a vivere in città, ed abbiamo separato i nostri destini. Oggi lui fa il vigile urbano nel paese vicino a quello in cui eravamo nati; si è sposato con una donna di lì, ed hanno già una bambina. I nostri genitori non erano fessi. Parlavano anche con gli altri genitori loro colleghi. Domande di riscontro a me ed a lui, a quel fratello minore che amavo proteggere: ma io ero la più brava a mentire “per salvarlo”. Adesso che il mio ricordo ha compiuto la sua parabola mentale continuavo ad osservare Carlo molto più grande fare ben altro alla mia topina ben insalivata. Io avrei preferito che continuasse a leccarmela. Uno dei pregi di Carlo era proprio quello. Saperla leccare. In questo aveva una sua abilità innata. Ero pronta a bagnargli la faccia. Appoggiavo il volto all’angolo dell’armadio. Ero diventata una specie di tremante creme-caramel per il godimento. Mio fratello con le sue guance tiepide ed innocenti (senza troppa peluria) a scaldarsi tra le mie cosce era riuscito ad indurmi un tremorino su di esse. Avevo paura che le mie gambe cedessero. Ignorai in quel momento che nella stanza di Carlo c’era anche un letto. Non mi stesi per stare più comoda. Rimasi in piedi. Era più facile dare “al mio amante” qualche goccia del mio piacere non appena fosse discesa. In quei momenti di vera intimità tra noi due la mia vagina cominciò a colare un pochinino, non appena Carlo prese a ri-dedicarsi ad essa; scaldò la mia vulva col suo respiro veloce del suo naso ed io contenta mi toccai un capezzolo strizzandolo e rilasciandolo per ri-strizzarlo di nuovo. Io ero caldissima, e la passerina mi venne quando mio fratello Carlo le fece incontrare un po’ di aria fresca allontanando momentaneamente il viso per respirare. Ne approfittai per spostarmi fuori dalla stanza; volevo dell’aria fresca come quella dell’ingresso di casa. La stanza di mio fratello era piccola ed io avevo la febbre dal piacere, ma morivo anche dal caldo. Carlo mi aveva seguito fuori denudandosi della maglietta. Era nudo solo di sopra. Mentre tremando mi appoggiavo al mobiletto con la specchiera, mio fratello Carlo aggredì il mio ano con una bella nasata; allargava le natiche da padrone e leccava, leccava. Quel naso nel culo era stato rivelatore di dove volesse entrare mio fratello. Ora mi apre, pensavo. Trovai tremando la forza di dirgli:
“Ab-bas-sa i panta-loni che te lo p-r-r-endo in mano! Uhmmmm! Ormai dovrebbe essere quasi duro. Caa-aar-looo voglio afferrare qualcosa di ma-masch-io!”
Se li doveva essere già slacciati mentre mi leccava dietro: inguine ed ano. Ci eravamo spostati di poco. Le mie parti basse mio fratello le aveva equiparate ad una grassa mortadella. Ora gli avevo afferrato il cazzo duro, e me lo stavo strusciando sulla natica sfiorandogli la cappella. Avevo addosso solo la sottile canotta di cotone. Gli lasciai libero il pisello, e mi appoggiai meglio al tavolino dell’ingresso, e subito iniziai a sentire la sua piccola mazza di carne indurita e fiera cercare tra le chiappe, sbattendo ed avanzando verso il mio pertugio posteriore. La specchiera dell’ingresso gli mandava l’immagine del mio volto rassegnato alla sodomia. Avevo gli occhi chiusi; li chiudevo per istinto. La sua cappella la sentivo calda e dura ed invadente. Un tocco, due, tre. Il bacino di Carlo andava avanti ed indietro. Trovò l’obiettivo. L’aveva appena appoggiata sul mio sfintere. Mio fratello minore mi teneva per i fianchi. Chissà quante volte aveva scaricato dal web quella scena! Chissà all’università o al bar in quanti avranno sognato di prendermi così! Si sporse in avanti per leccarmi un po’ dietro l’orecchio, ed io ricambiai voltandomi un poco e leccandogli la lingua, che era rimasta a mezz’aria. Scambiammo un poche gocce di saliva ed a labbra ben aperte, liberi tra di noi; ci davamo anche del piacere con dei semplici brevissimi baci sfiorati per via della nostra posizione che Carlo non voleva di certo mutare visto che ero in suo potere. Normalmente mio fratello minore potevo metterlo io in quella posizione! Ora per mia gentile concessione facevo sentire potente lui, e sottomessa io. Poi non appena riprese a leccarmi l’orecchio sinistro infilandovi la lingua dentro, dopo un istante si staccò dal mio viso, e preso il suo cazzo in mano per dirigermelo dentro, ed alla fine come era ovvio, mi trafisse con un solo colpo ben assestato. Che male! Sentii come se mi avessero tagliata. Pensai: fanculo stronzo! Porcaccia miseria che dolore! Che infame che sei, Carlo! Ma se fai così - mi chiedevo tra un susseguirsi di dolorini taglienti mentre iniziava ad incularmi – quando la trovi una donna? Quanto ci resta con te? E se te lo taglia come fece quella donna moglie di quel marine?! I miei dolori erano dovuti solo ad una sua educazione interiore di merda! Un vero superficiale! Se entri piano non è meglio?! Quel cretino di mio fratello credeva di avermi lubrificata con la sua saliva. Altro che lubrificazione! No! Più bello pugnalare maschio imbecille! Tutte queste cose non gliele dissi per non turbarlo o mortificarlo nel momento della sua stupenda erezione. Fortuna che il suo cazzo non era grossissimo. Certo mio fratello Carlo aveva mirato bene! O aveva solo avuto fortuna. Un istante cui seguirono tre lunghi secondi di dolore. Lo avevo esaltato talmente tanto che mi aveva infiocinata deciso. Non fece piano. Entrare ben addentro, di prepotenza, era quello che gli interessava. Almeno un po’, anche per la ferita fisica alla mia dignità di donna, dovevo protestare:
“Ah! Ahi! Ahi!...Sì! Mannaggia così fa male! E fai più piano no?! Ahn!”
“Ahnnn, come...?!”
“Uhnnnn, uhi! Entra, dai! Più educato però! Il culo è mio! Almeno all’inizio fai piano! Ahnnn! Ahi! Ahnnnnn!”
“Uhmmmfff! Ce lo metto tutto Daria! Stavolta tutto!”
“Ahi! Uh! Sì! Dentro tutto! Ahnnnn! E prendimi! Fatti sentire! Ora sento solo il cazzo!”
“Ahn! Ahn! Fa ancora male Daria?”
“Muoviti che passa! Dai, ahn! Ahn! Fatti il mio culo ! Ahi! Che cazzo duro che hai! Ahi!”
Mentivo. Il dolore, essendovi abituata, era sopportabile. Però i miei lamenti lo esaltavano sessualmente. Quando sentii le sue pallette gonfie sbattere sul mio inguine capii che l’asta era entrata tutta. Allora Carlo diceva il vero. Ce l’aveva messo dentro tutto. Fortuna che tanto lungo non ce l’aveva, se no me lo sarei sentito fin dentro lo stomaco. Alzò la presa sulle mie zinnette già gonfie (finalmente!) e continuò a ad andare avanti ed indietro con il mio retto sottomesso e domato ostaggio del suo cazzo. Continuavo ad incoraggiarlo:
“Non fare caso a me Carlo! Ahnnn! Devi godere tu! Tra poco i nostri, ahi! I nostri vecchi tornano...non ci mettere mezz’ora come quella volta, ahi! a scuola!”
“Ahn, ahn, Ahn! Accidenti hai il culo freddo Daria!”
“Sì hai ragione! Ahnnn! Scaldalo tu! Col tuo batacchio! E spremile le mie zinne! Prendile, che mi piace! Ahn! Ahn! Ahi! Che male!!”
Godi Carlo! Godi! Ahi è duro! Uhm! Ehi! Continua a muoverti, non fermart...ahi! Uhn! Sì prendimi anche lì!”
Non appena Carlo lasciava un po’ la presa sui miei piccoli seni, chiudeva a forbice l’indice ed il medio sui miei capezzoli, tirandoli subito dopo col pollice e l’indice. Così tre-quattro volte! Adoravo che me li tirasse. Spremere le zinne gli piaceva, e soprattutto piaceva anche a me farmele maltrattare senza troppa violenza. Ah se ci fosse stata Ilde a leccarmi la fica, ero così esaltata che sarei prorotta in un orgasmo nella sua bocca bisex. Ma come potevo proporre ad Ilde ciò che neppure lei osava immaginare? Mio fratello minore che mi inculava a piacimento! Chi mai poteva ottenere tanto! Chiesi a mio fratello di farsi un po’ più indietro senza uscirmi dal culo, che ormai aveva accettato il suo cazzo senza resistenza alcuna. Non mi aveva neppure lubrificata un po’ quel superficiale di mio fratello! Non era colpa sua. Muovendosi e trascinandomi di poco indietro mi fece godere un pochino. La sensazione dentro il mio colon era stata momentaneamente piacevole! Pensavo mentre mio fratello si soddisfava delle mie carni che avrei dovuto compiere prima o poi un bell’atto di coraggio: ci sarei riuscita a farmi sfondare col mio cazzone personale di lattice da Ilde? Era un’idea masochistica che in quel momento mi fece colare un pochino la topina trascurata da mio fratello. Riuscii a massaggiarmi la passera che, nonostante la veloce sodomia che mi facevo praticare da mio fratello, in tre minuti di massaggi circolari delle mie dita venne. Un minutino dopo rilasciò del liquidino trasparente che finì per terra ignorato da Carlo che continuava a sbattermi dietro come una locomotiva. Carlo mi disse:
“Uh che bello! Uh! Ehi! Sento del prurito! Cosa sarà? Ehi ma tu non sei sgombra! L’hai fatta stamattina?”
Io affannavo aspettando che sborrasse, ma risposi:
“Ahnnn! Ahi! sarà che haiiii, beccato ahn! Dicevo hai beccato, uh!...qualche vaso sanguigno! Oppure la cacca! Non sono sgombra Carlo ! Uh! Che male! Mi piace! Oggi è proprio duro! Uh!”
“Prude ancora uhm! Ahmf! Uh! Che culo! Uhmff! Mi hai fatto incontrare, ahnnn, la merda! Mi prude la cappella!”
“Dai, fotti! Non pensarci! Ahi! Sempre carne è! E a te la carne piace!!”
Le lancette sull’orologio a pendolo all’ingresso si muovevano indifferenti. Non c’era pericolo che suonasse. Il gong era stato sistematicamente disinserito. Erano già trascorsi venti minuti dal mio appoggio all’ingresso, e mio fratello ancora non riusciva a godere. Ormai sudavamo entrambi. Gli spasmi del mio colon retto ero costretta a subirli, anche se dentro di me mi esaltavano. Sentire le sue pallette sbattere sul mio inguine mi dava piacere. Sentivo l’impegno che vi stava mettendo mio fratello Carlo. Ero divertita che stavamo scopando “osservati” dal nostro lontanissimo avo ritratto nel quadro dell’ingresso. Era stato un ufficiale dell’Esercito del Regno di Napoli; si era unito a Garibaldi prima ed al Piemonte poi, dopo lo sbarco dei mille. Un uomo probo. Un neo italiano. Da piccoli nostra madre andava orgogliosissima del suo bis-bis nonno. Un uomo vissuto nel secolo XIX. Era ritenuto il capostipite della famiglia di nostra madre. Se penso che la nostra prima scopata io e mio fratello la facemmo pochissimo tempo fa sotto il ritratto di un vecchio Presidente della Repubblica lasciato abbandonato nella presidenza della scuola. La sodomia da un pisello non troppo grosso come quello di Carlo la apprezzavo. Secondo il mio istinto tra dieci minuti, ma anche meno, sarebbe arrivata nostra madre. Lo spronai a concludere sussurandogli con un tono passivo, quasi da ragazzina:
“Fatti una corsa dai! Ahi! Martella, ahi! Martella veloce!”
Mio fratello Carlo aumentò la velocità di brutto, al massimo che poteva. Tra orecchie e resto del corpo direi che aveva raddoppiato la velocità con cui mi sbatteva, senza tuttavia sconquassarmi. I nostri respiri erano si erano sovrapposti, ed andavano sincronizzandosi. Stavamo godendo liberamente insieme. Questa è la vera libertà! Che ci frega di quello che dice la gente fuori? Avevamo anche commesso anche una bella disattenzione a trombare in corridoio. Bisognava sperare che i nostri vicini non fossero in casa. Chi ti abita di fianco mica era detto che si facesse gli affari suoi. Ma ormai era tardi. Chinai la testa di fianco per arrendermi alla sua forza sessuale. Mio fratello sbatteva, sbatteva, ed io il mio retto cominciavo a non sentirlo più. L’intestino dentro, quello sì che mi si muoveva. Carlo non parlava più. Respirava solamente a scatti, come a scatti sbatteva il suo cazzo dentro i miei visceri stressati. Cominciavo a sentire il bruciore dello sfintere eroso dall’attrito con la sua asta di carne ancora dura. Cercavo di non pensare al fatto di come se lo lavava male al lavabo. L’ansia dell’attesa del suo orgasmo mi angosciò: e se mi prendo un’infezione adesso che il mio buco dietro mi brucia? Col sangue le infezioni si trasmettono. Mio fratello Carlo non aveva alcuna malattia, ma il pisello usava lavarlo male. Ma se mi ammalo?! Perdo il lavoro? Mi ritirano la tessera sanitaria? Improvvisamente Carlo smise gli affondi ed i respiri rumorosi. Era il momento che attendevo con ansia. Venne banalmente, silenziosamente. Sentii il cazzo contrarsi ed espandersi un pochino, e ricontrarsi: pulsante, lo sentivo pompare dentro il liquido tiepido di cui a malapena riuscivo a sentire la densità; il calore quasi per niente. Era così teso il mio colon che tanto valeva che mi pisciasse dentro. Quella era un’idea; ma non avevo voglia di metterla in pratica. Contai quattro colpi poi Carlo invece di accasciarsi sulla mia schiena, staccò il pisello tirandolo all’indietro. Se ne uscì senza troppa difficoltà lasciandomi china, stanca alla specchiera dell’ingresso, sporca di sperma, e sangue rettale. Provai a toccarmi timidamente ed a grattarmi vicino l’ano per il prurito, ma il dolore da irritazione mi fece desistere. Ero stata ben aperta, anche se non slargata; sia pure per qualche fuggevole istante. Mi voltai alzando la schiena, e vidi che anche la sua cappella era rossa e lievemente insanguinata. Gli feci una carezza baciandolo sul viso sudato per la tensione dicendogli:
“Mi dispiace per la cacca. Devi abituarti anche a questo se ti piace inculare. Beh, vatti a lavare svelto! Che poi devo entrare io! Dai, veloce che mi prude tutto! E qui bisogna sgombrare; tra poco tornano!”
Non appena finii la frase suonò impetuoso il citofono. Lasciai intenzionalmente fare tre scatti; nell’attesa del terzo mi chinai raccogliendo le mutandine da terra senza rindossarle; in un istante con quelle mutandine usate riuscii a pulire da terra la mia goccia di piacere caduta dalla vagina; Carlo ne approfittò per baciarmi l’ano e leccarmelo un pochino curioso di quelle mie macchiette. dissi a mio fratello:
“Ecco vedi è mamma! Chissà se fosse arrivata cinque minuti prima! Hai goduto in tempo! Vatti a lavare! Dai! Che ti lecchi più?! Siamo sporchi! Finiscila!”
Aprii il portone con l’interruttore, ma dopo pochi secondi il citofono suonò di nuovo; se non era nostra madre, chi era? Allora chiesi al citofono mentre mio fratello Carlo, fregandosene dietro di me mi baciava ancora le cosce; no, non mi stava ripulendo. Continuava ad assaggiarmi tra le cosce. Io ero tutta un prurito; mi sentivo sporca e sudata e lievemente dolente dietro:
“Sì?”
“Bzzzzz. Signorina sono De Robertis, l’amministratore! Era per dirvi che vi ho lasciato nella buca i cedolini per la quota di acqua di questo bimestre. Questo pomeriggio non mi è riuscito di parlare con sua madre. Glielo dica.”
“Ok, grazie. Quando torna glielo dico. Ci sono i cedolini in buca. Ok!”
“Buona sera!”
Riposi la cornetta del citofono e mi voltai verso Carlo che si apprestava a baciarmi chino anche l’interno cosce. Gli feci un rilievo seccata:
“Non ti basta mai! Ehi! Piano! Mica è ora il momento! Poi se volevi baciarmi o leccarmi lì lo dovevi fare prima quando mi leccavi la fica.”
“Andiamo sotto la doccia.”- mi fece mio fratello Carlo ancora esaltato. Io gli chiesi:
“Insieme?”
“Insieme sì! Dai vieni!”
“Fra poco arriva mamma zuccone!”
Carlo mi prese per mano, e mi condusse in bagno; poi dopo avermi fatto entrare nel quadrato doccia entrò anche lui, e dopo essersi inginocchiato cominciò a leccarmi la fica interrompendo ogni tanto per massaggiare il delicatamente il meato urinario, poi riprendeva a leccarmela con velocità, e tenerezza. Il solletico mi fece urinare anche se riuscii a trattenermi per non sporcarlo. Dissi a mio fratello con la faccia davanti alla mia fica bagnata di urina:
“Scostati che mi scappa! Accidenti a te, e alla lingua del cazzo! Haaaaaa!”
“No! Resto! Falla!”- Ed appoggiò la faccia deciso contro la mia vulva tutta bagnata di urina e tesa per la mia trattenuta.
“Cosa?”
“La piscia! Fammela addosso dai! La voglio provare! Uhmmmmm!” – E prese a premersi il volto sopra la mia fica come se volesse rientrare da dove era uscito alla nascita.
“Sei impazzito! Dai, levati!”
“No. Tanto poi apriamo l’acqua! Dai, falla Daria, falla! Pshhhhh! Pshhhhh!”
Mio fratello non ne voleva sapere di togliersi. Mi stringeva anche le chiappe per tenere la presa. Non volevo pisciargli addosso. Lui invece la voleva. Provai a contrarre la vescica. Soffrivo. Carlo aveva capito, ma non demordeva. Aveva anzi preso a darmi dei teneri bacetti alla vulva e continuava a leccarmela solleticandola. In pochi secondi di quel trattamento avrei ceduto comunque. Chiusi gli occhi, e tenendogli la testa con tenerezza, rilasciai la vescica finché qualche lungo istante d’imbarazzo dopo dalla mia vulva non scese la calda fontanella dorata che aveva immaginato mio fratello.
“No, dai...ehi! Haaa eccola! Me l’hai fatta fare!”
Gli colpii la fronte, poi il naso e la faccia. Non ne avevo molta, ma la pressione con cui gliela schizzavo gliela stava facendo apprezzare. Gli carezzavo intenerita anche il suo visino infantile. In quei momenti vedevo mentalmente mio fratello più piccolo di quel che veramente era. Mio fratello Carlo aprì la bocca tirando fuori la lingua per un istante esitando. Gli bagnai anche quella, poi assaggiandola, rimase forse deluso perché la ritrasse. Tuttavia continuò a farsi bagnare viso e capelli. Se stava pensando ad un “battesimo” particolare, lubrico, pagano, direi che avevo avuto il tempo di imporgli nome, cognome e paternità! I suoi capelli già sudati per l’orgasmo erano intrisi della mia urina. Penso ne apprezzasse il calore, ma doveva subirne anche la puzza. Un minutino scarso dopo: fine del gioco! Lui si sedette esausto sul pavimento del quadrato. Ne approfittai per uscire io stessa dalla doccia per dar modo a Carlo di lavarsi; del resto aveva ancora il pisello sporco del sangue del mio retto, e di qualcos’altro marroncina di suo...io invece andai a sedermi sul bidet. Cercai di fare prima di lui per evitare di dover fare altro sesso. Mio malgrado ero io quella eccitata per la sveltina. La novità della pipì non l’avevo prevista. Mi lavai velocemente l’ano e la passera sopportando anche il dolore dietro che mi dava l’acqua fredda. Desideravo solo acqua fredda. Il calore era meglio smaltirlo tutto per non richiamare altra voglia di trombare. Autocontrollo. Il mondo non mi aveva mai impedito di farmi mio fratello! Dovevo impedirmelo io stessa. Margine di tempo non ne avevamo più. I nostri genitori sarebbero tornati da un momento all’altro. Mi alzai dal bidet mentre Carlo da dietro il vetro lavava i capelli con lo shampoo. Decisi di asciugarmi in camera mia; era meglio che Carlo non vedesse ancora il mio corpo nudo. Lasciai Carlo a finire di lavarsi sotto la doccia, e quando mi stetti per infilare le mutande pulite nella mia stanza sentii un suono familiare: lo scatto della serratura di casa. Mamma non ci aveva fatto la correttezza di suonare anche il campanello prima. Mamma entrando però fece solo capolino dalla porta d’ingresso, e disse:
“Senti io vado in garage ad aiutare vostro padre con le altre buste. Tu entra queste a casa!”
Ero ancora seminuda, ma non tanto da non sporgermi dalla porta in body e mutandine e prendere rapidamente le buste. Al pianerottolo non c’era nessuno; a meno che i vicini non spiassero dallo spioncino. Mio fratello Carlo era rimasto prudentemente chiuso in bagno. Dopo due minuti quando gli passai gli slip puliti dalla porta senza guardarlo, come una sorella normale, uscì anche lui. Gli dissi:
“Visto? Appena arrivata mamma! Pensa se tardavamo un altro minuto! Te e sta’ cosa della piscia! ”- A mio fratello sul momento non lo dissi, ma quelle leccate al meato che mi avevano fatta urinare le avevo apprezzate tantissimo.
“Uhm, sì ho visto!”
“Senti non avrei mai creduto che volevi assaggiarmi anche la piscia! Comunque se ti va di farlo in un posto strano ti faccio una proposta!”
“Sarebbe?!”
“Stasera tardi mettiamo a dormire i nostri vecchi col sonnifero di papà, poi quatti, quatti ce ne andiamo al pianerottolo della terrazza, e ci facciamo un’altra bella scopata, come quella nella nostra vecchia scuola, ehi, basta col culo! Me lo metti qui dentro stavolta! E me la fai godere! ”- Gli indicai la vulva. Carlo, disinvolto, me la massaggiò toccandomela bene anche se c’erano le mutande. Io non avevo voglia di bagnarmi di nuovo, per cui ignorandolo gli scostai la mano. Ero asciutta. Poi continuai:
“Se lo prendono a mezzanotte farà il massimo effetto alle due...noi ci muoveremo diciamo, verso l’una! Ti va?”
“Sì! Certo che mi va!”
“Allora occupatene tu allora! Come fregarlo a papà l’hai sempre saputo! Ah un’altra cosa!”
“Dimmi!”
“Ti devi sfogare bene stanotte! Da domani niente più seghe, niente porno col computer anche se l’hai riavviato! Tienilo spento! E niente sesso, nemmeno tra noi due! Una settimana di normalità, e astensione totale! Totale capito? Totale! Ho preso appuntamento con la Bonanno. Voglio che le dai una bella fiumana di sperma. Devi risparmiarti, per fare bella figura. Prometti!”
“Perché una settimana?”
“Perché dopo sette giorni senza sarai più in forma. Oggi ho visto che affannavi. Sono le troppe seghe che ti fai quando non te la do io...guarda che quella donna lo sa cosa spremere ad un uomo!”
“Va bene. Prometto! Stanotte però portati il dildo! Vorrei giocare anche con quello!”
“Ok.”
Ci lasciammo così. Separatamente ci preparammo per la cena insieme ai nostri genitori. I nostri vecchi nemmeno sospettavano di cosa eravamo capaci da qualche anno. La vera soddisfazione era apparire una famiglia come tante, unita e tranquilla nel focolare domestico. Nostra madre apparecchiava. Mangiavamo. Primo, e secondo; e da quando tenevamo spenta la tv mangiando in cucina eravamo più felici. Anche io e Carlo eravamo felici dato che tra di noi non ci dicevamo di no su niente. Forse eccezion fatta per la droga. Non ricordo di averne mai ceduta a Carlo; neppure lui me l’ha mai proposta, ma non potrei giurare circa qualche esperienza con i suoi amici. Io da Ilde non mi sono fatta coinvolgere con i suoi “cannoncini”. Momentaneamente soli a tavola Carlo mi chiese a bassa voce di distrarli tutti e due, che lui intanto provava a fregare il sonnifero a papà. Intrattenni i miei genitori con una conversazione sul mio lavoro, e ne approfittai per preannunciare ai nostri genitori che avrei presto lasciato la casa per andare a vivere da sola, pregandoli vivamente di non dirlo a mio fratello Carlo. Per lui sarebbe stata una bella botta. Fine della fica caritatevole anche se i nostri vecchi non la sospettavano minimamente questa motivazione singolare. Certo, questa notte non gliel’avrei fatta dimenticare. Dicendo loro che dovevo vedermi con un’amica per un libro di un esame intanto che Carlo “provvedeva” me ne andai a trovare Ilde a casa sua; volli chiederle della sua avventura:
“Roba tranquilla. Non era male! Un bel ragazzo! Proprio un bel ragazzo, che mi ha trattata con garbo. Se avesse saputo che sono anche una fior di puttana!”
“Il tizio?”
“Non lui! Era per un regalo al figlio per dargli il benvenuto nel mondo della maggiore età!”
“Ah...!”
Mi feci raccontare un po’ la cosa, poi qualche minuto dopo, non appena lei s’interruppe mi chiese:
“Dimmi che posso fare per te?”
“Mi aiuteresti a fare una cosa?”


- continua -




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