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Due schiavi per due Padroni.


di Honeymark
03.01.2016    |    19.267    |    8 9.5
"Io presentai i due schiavi, ma senza fare nomi..."
Avvertenze.
Questo racconto, che si divide in tre parti, è sadomaso: un coppia di Padroni, una coppia di schiavi e una coppia di assistenti. Tutti consenzienti.
Chi non ama il genere, non lo legga.
Come si vedrà, tutti e sei ci siamo divertiti, ma suggerisco di non fare le performance che leggete se non c'è almeno un esperto tra voi.
Certo mi piacerebbe sapere da voi cosa vi è piaciuto di più e cosa di meno.
E nella parte di chi vi sareste voluti trovare.
Buona lettura.
________________

Personaggi.

Marco – Padrone super partes
Bill – Schiavo e cuck
Susy – Schiava
Francesca – Padrona
Paolo – Padrone
Valentina – Schiava switch

Prima parte.

Capitolo 1.

Da qualche anno sono il Padrone di una coppia sub. Il processo di avvicinamento è stato lungo e laborioso, tanto che da solo merita un racconto a sé. Ma, detto in due parole, il tutto è cominciato con il marito cuck che si eccitava a vedermi montare sua moglie. Poi mi ha invitato a seviziarla mentre lui si faceva una sega. E infine, ha chiesto espressamente di essere sottomesso anche lui. A me piacciono le donne, ma – purché in scena ci sia almeno una donna – la dominazione è trasversale. Insomma, ero diventato il Padrone di una coppia di schiavi.
E’ bello, credetemi, avere una coppia marito e moglie che adora essere seviziata da te. Sono loro che dirigono il gioco, sia ben chiaro, però all’interno di quello che vogliono io sono autorizzato a liberare la mia fantasia e godere di quel senso di potere malvagio che ti dà l’autorizzazione a umiliare e a seviziare qualcuno.
Quello che li faceva impazzire era subire la stessa sorte, possibilmente urlandosi in faccia platealmente l’uno con l’altro per il dolore che avevano voluto subire da me, vergognandosi spudoratamente delle più profonde umiliazioni che mi avevano implorato. Dopo una seduta con me facevano sesso almeno per un mese o due divertendosi da soli. Ero la loro medicina, altro che viagra.
Poi, quando scaricavano le batterie, mi chiamavano di nuovo. Lei mi mandava una mail, mi invitava a casa loro e mi dava lo spunto. Io mi preparavo la scaletta e via. Una serata sadomaso tra adulti esperti e consenzienti è impagabile, almeno una volta nella vita dovrebbero provarla tutti. O da dominanti, o da sottomessi.
Un bellissimo rapporto, che non inficiava i rapporti normali con la vita e con i propri rispettivi amori. Anzi, nella vita normale loro due sono una coppia irreprensibile, ricca e potente.
Finché non giorno non mi presentarono una richiesta imbarazzante.

- Dobbiamo chiederti una cosa, – mi dissero alla fine di una cena in un ristorante del centro.
- Prego, – dissi.
Pensai che avessero da chiedere qualcosa che magari consideravo… immorale. Ha ha!
- Vogliamo metterci nelle mani di una coppia di aguzzini, – disse Susy.
- Una coppia di quelle giuste, – aggiunse Bill. – Ferocissima.
- Cosa? – Dissi, effettivamente meravigliato. – Io ho avuto un’amica giusta, lo ricordate, ma adesso non c’è più e non è così semplice...
- Lo so, – spiegò Bill. – Tu sei un caso unico e noi non vogliamo rischiare di sputtanarci facendo entrare nel gioco un’altra persona di qua.
- Infatti – continuò Susy, – la coppia non è di Verona, ma di Genova.
Rimasi senza parole. Non si riferivano a me. Avevano trovato altri padroni senza mai accennare nulla. Forse stavo per perderli. E’ ben vero che a questo mondo tutto ha una scadenza, ma non si è mai preparati abbastanza.
Incredibilmente, provai un certo senso di gelosia.
- Spiegatevi.
- Stiamo chattando in rete da qualche tempo con una coppia di dominanti liguri.
- E non mi avete mai detto nulla?
- Lo stiamo facendo adesso. – Disse Bill.
- Pensavamo che restasse un rapporto virtuale. – Spiegò Susy. – Poi però…
- Ma state scherzando? – Esclamai. – Non vorreste davvero mettevi nelle mani di due sconosciuti? Gente che non avete mai visto prima. Potrebbero uccidervi, che ne so…
- Sembrano a posto, anche se sono sadomaso hard, ma è qui che entri in ballo tu.
- Io? Io cosa?
- Abbiamo chiesto che tu possa partecipare come garante. – Disse Susy.
- Sarai sempre presente e interverrai se andranno oltre il concordato. – Precisò Bill.
Mi sentii incazzare.
- Cioè volete che io guardi degli sconosciuti a divertirsi con i miei schiavi senza far nulla?
- Ma qui entra il bello. – Rispose Bill.
- E credo proprio che a te piacerà. – Disse Susy.
- Sentiamo.
- Loro hanno una schiava bellissima, – spiegò lei soddisfatta.
- Che resterà a tua disposizione per tutto il periodo della seduta, – aggiunse Bill. – Potrai farle quello che vuoi.
- Cioè, voi sareste due coppie dom-sub e io farò coppia con questa… schiava?
- Esatto. Che ne pensi? 
Capitolo 2.


E così, un mese dopo mi trovai ad accompagnarli all’incontro fatidico. Avremmo passato il fine settimana a Nervi, nella villa dei due Padroni. Stavo guidando la mia Mercedes attraverso la val Padana e i due sembravano riposare. Pensai all’insieme di mail che le due coppie si erano scambiate per arrivare alla decisione finale. Me le avevano fatte leggere. I due erano proprio una coppia dominante hard, che a quanto pare i miei due amici volevano sperimentare proprio per quello. Io non sono così duro nelle mie performance e forse avrei imparato qualcosa. A loro non interessava affatto chiavare, ma trattare i due come oggetti, da animali e infine anche da schiavi.
Confesso però che a convincermi era stata la foto della schiava che mi avrebbero messo a disposizione. Bellissima in viso, capelli e occhi scuri, asciutta, ma con un culo che sembrava una bomba. Era la loro schiava ornamentale e funzionale, potevano fare di lei quello che volevano e adesso avrei potuto farlo io. Sì, forse potevo anche spassarmela.
Appena usciti dal casello autostradale che porta a Nervi, mi fermai di lato, feci salire dietro anche lui. Li aiutai a prepararsi, cioè a mettersi dei braccialetti di cuoio ai polsi e alle caviglie e un collare, sempre di cuoio. Poi sfilai le mutandine di Susy.
Io facevo da garante, da autista, da assistente preparatore… Che altro se no?
«Bene ragazzi.» – dissi guardando il mare dall’alto dell’autostrada. – «Stiamo per arrivare. Sicuri di non aver ripensamenti?»
Nessuna risposta.
«E va bene allora, andiamo fino in fondo.»
Mi diressi verso il centro della elegante cittadina famosa per il clima mite. Trovai la via e poi il numero civico. Scesi dall’auto e suonai al campanello dei signori Marcuzzi e mi presentai al citofono. Mi venne aperto il cancello elettricamente e io entrai con l’auto. Fermai la Mercedes davanti a quello che secondo me era l’ingresso principale di una villa del secolo scorso, con colori rosso bordeaux e accurate rifiniture in oro. Il parco della villa era piccolo ma dotato di folta vegetazione tipica della zona, con palme, pitosfori, eucube, agave e dei roseti ben curati.
Erano le due del pomeriggio. Spensi il motore e aprii la porta prima a uno e poi all’altro passeggero. I miei amici adesso erano tesi come corde di violino, tuttavia io non esitai e fissai a entrambi i braccialetti dietro la schiena grazie a un comodissimo gancetto. Poi attaccai i guinzagli ai collari e li portai all’ingresso.
Bussai, mi venne aperta la porta dalla quale uscì Valentina. Ci fece accomodare e vedemmo due persone, una donna e un uomo entrambi sulla cinquantina. Erano di bell’aspetto, anche se magri e un po’ duri di espressione, ma forse quello era il ruolo che dovevano giocare. Lei era aveva capelli neri e lisci, occhi scuri e severi. Lui era completamente rasato e assomigliava ad un classico ufficiale dell’esercito tedesco, anche se non portava il monocolo all’occhio destro. Avevano un portamento padronale, sicuramente erano ricchi e forse aristocratici. Lui portava una giacca di velluto chiaro, lei era vestita di nero, maglietta e pantaloni aderenti.
Capii subito che per loro non era certamente la prima volta, né sarebbe stata l’ultima. Per un attimo li invidiai, poi entrai nella mia parte di supervisore estraneo ai fatti.
«Signori, buongiorno.» – esordii come concordato. – «Vi ho portato gli oggetti che avevate ordinato.»
«Vedo.» – rispose lei. – «Ha fatto buon viaggio? Ha trovato facilmente la strada?»
«Sì, grazie.»
Mi scostai per consentire loro di guardare gli schiavi. Il padrone non si mosse, mentre la padrona si soffermò a breve distanza da Susy, che teneva gli occhi abbassati come prescritto. La studiò in modo penetrante, con l’acquolina in bocca. Guardò il didietro di Susy, poi si inginocchiò e infilò la mano sotto la gonna, e lei – come prescritto – allargò subito un po’ le gambe per facilitare il compito alla Padrona. Quindi la padrona mise una mano all’uccello di Bill, che pareva in erezione.
«Sembrano a posto.» – disse al marito con voce piena di soddisfazione.
Poi si rivolse a me.
«Sono determinarti. Ha fatto un bel lavoro. Possiamo procedere.»
Io mi guardai intorno per vedere dove si trovava il luogo che mi avevano descritto.
«Il giardino d’inverno è laggiù.» – disse Valentina intuendo quello che cercavo. – «Vi troveremo l’occorrente per prepararli.»
Portai i miei due amici, ancora rintonati, in una specie serra che mi avevano indicato come giardino d’inverno e li feci entrare, mentre i padroni erano rimasti in casa.
«Valentina, – dissi. – Sono il tuo padrone pro-tempore. Come ti avranno detto i signori Marcuzzi, tu farai tutto quello che ti dirò di fare.»
Fece un piccolo inchino con la testa.
«Sì, Padrone.»
Non rivolse parola ai miei due amici ma mi aiutò a liberarli per consentirgli di spogliarsi. Li guardò cercando di non darlo a vedere, d’altronde i miei amici erano una bella coppia, dell’età di poco inferiore ai quella dei Padroni. I loro fisici erano ben fatti e pronti per l’uso immediato. Mancava solo un ultimo ritocco che mi era stato raccomandato dagli ospiti: dovevo far loro un clistere di pulizia. Loro lo sapevano e mi bastò fargli cenno con la testa che si misero sul canapè a quattro zampe, uno di fianco all’altro. Stando vicini si davano coraggio. Il clistere era stato richiesto dai padroni la sera prima, e i due schiavi avevano accettato senza discutere. Adesso però la cosa li imbarazzava. Lo notai e decisi di non andare molto per il sottile.
«Valentina, aiutami.»
Lei venne a darmi una mano. Per due schiavi non c’è nulla di più umiliante di un altro schiavo che li deve trattare male per ordine di un Padrone. Valentina mi aveva fatto trovare due enteroclismi a caduta appesi a un trespolo e ancora sigillati, mentre alcune caraffe di camomilla erano tenute tiepide su uno scaldavivande. Apprezzai l’organizzazione. Feci cenno alla mia serva e lei mise le mani al culo di Susy, dalla quale volevo cominciare perché mi attirava di più.
Susy era completamente epilata, come volevano i Padroni pro tempore, perché sarebbe sembrata una bambola. Alberto aveva i peli rasati in modo che si sembrasse una barba corta, da fare.
Valentina guidò la lunga cannula che tenevo in mano e gliela appoggiò all’ano. La penetrai senza troppi complimenti e lei emise un gemito che però soffocò subito.
«Cominciamo bene, – dissi. – Cercate di tenere duro, altrimenti rinuncerete tra dieci minuti.»
Non risposero, perché erano entrati nella parte degli schiavi fin da quando li avevo fatti salire in auto. Lasciai che svuotassero le viscere il tempo che ritennero necessario, poi tornarono da me.
«Mettetevi qui e porgetemi il culo.» – Dissi.
Obbedirono e Valentina venne da me con un vassoio contenente i due giocattoli di cui mi avevano parlato nella scaletta inviata via email e approvata da tutti. Erano due plug anali, la cui parte destinata a rimanere fuori rappresentava la coda di un cane, di quelli che ce l’hanno corta e rivolta all’insù
«Consiglio di lubrificarli solo con l’acqua. – Disse Valentina. – Così scivolano dentro bene, mentre quando l’acqua si asciuga non rischiano di perderli.»
Il plug destinato a entrare in culo sarà stato grosso poco più di un paio di centimetri e lungo una quindicina. Niente di particolarmente ingombrante e inoltre era morbido perché fatto con un gelly morbidamente flessibile.
Inserirli fu molto piacevole, anche se dovetti farlo con calma. Facevano fatica a entrare e non volevo forzare. Passata la prima metà, tuttavia, entrarono docilmente. Le natiche tendevano a chiudersi al loro passaggio. Il codino rimase vezzosamente rivolto all’insù.
Adesso erano de cani.
Come prescritto dai padroni pro tempore, applicai ginocchiere e gomitiere ai due. Avrebbero camminato a quattro zampe a lungo ed era bene preservarli.
Padroni responsabili.
Infine misi loro un nuovo collare e fissai i polsi al collare. Valentina li coprì con un mantello leggero e li portammo in villa tenendone uno a testa col guinzaglio.
Suonammo nuovamente alla porta d’ingresso e i padroni li fecero attendere almeno 5 minuti in quelle condizioni davanti alla porta di casa, tanto che mi sentii il dovere di farli frustare un paio di volte di sotto il mantellino per tenerli sotto pressione. Il lunghissimo e sottile frustino di Valentina era davvero un capolavoro e decisi di provarlo anche io. Quando li colpii reagirono per il male, ma dolore e rossore se ne andarono via subito. Presi nota anche di questo.
Finalmente i due aprirono la porta e ci fecero entrare. Feci pulire agli schiavi i piedi nudi sullo zerbino, quindi li portai dentro. Valentina tolse i due mantelli e i due rimasero nudi.
I padroni a questo punto si presentarono a me come Paolo e Francesca, scelta piuttosto ironica data la storia dei due amanti danteschi. Io presentai i due schiavi, ma senza fare nomi. E’ così che si usa. I padroni di casa studiarono gli animali che avevo portato ignudi e stavolta li palparono alcune volte, forse per il semplice piacere di palpare degli esseri umani nudi, o forse per palesare il loro dominio.
«Stiamo semplicemente verificando se e quanto sono frustabili.» – mi spiegò Francesca, rispondendo alla mia silenziosa curiosità.
Degli esperti, dunque potevo stare tranquillo.
«Bene.» – disse Francesca, tradendo con la voce forzatamente lenta una viva eccitazione generata dalla consapevolezza della totale disponibilità degli schiavi. – «Da questo momento i due sono nostri. Te li restituiamo definitivamente solo dopodomani in tarda mattinata. Lungo la giornata te li do solo per custodia.»
Passammo loro i guinzagli e i due schiavi tennero gli occhi bassi per non commettere l’errore di guardare in faccia i loro carcerieri. Tenevano regolarmente le gambe leggermente allargate e entrambi furono nuovamente palpati in modo indiscreto, tanto per favorire.
«Mettetevi giù, a quattro zampe.» – Ordinò il Padrone. E, dato che avevano i polsi legati al collare, si trovarono su ginocchia e gomiti. Ma avevano appunto ginocchiere e gomitiere.
Paolo parlava pacatamente, ma dava l’impressione di essere uno che non avrebbe mai ripetuto gli ordini. I due si misero subito giù, come cani. In quella maniera dovevano stare sempre con la testa giù e il culo in su e, indossando la sola coda nel culo, erano proprio erotici. Il medio rigonfiamento del pene di Bill dimostrava che la cosa stava facendo un certo effetto anche al suo erotismo. Tanto meglio per lui…
E fin qui tutto come da copione. Ci dissero che li avrebbero portati a visitare la casa, mostrando anche dove avrebbero dormito i padroni. Io, quando giocavo con loro, andavo a casa dei miei schiavi, così erano nel loro ambiente e si sentivano sempre a proprio agio anche quando li seviziavo e umiliavo. A casa di sconosciuti l’approccio doveva essere più morbido come stavano facendo loro adesso.
Paolo teneva al guinzaglio Bill, mentre Francesca teneva Susy e non viceversa come mi sarei aspettato. Francesca venne da me, con Susy al guinzaglio. Ormai avevo capito che sarebbe stata sempre lei a parlare con me.
«Siamo entrambi etero, se è questo che ti stavi domandando. Preferiamo comportarci così perché anche loro lo sono e perciò troveranno più umiliante essere trattati da qualcuno del proprio sesso. E poi vediamo meglio chi sta nelle mani dell’altro.»
«Capisco.» – risposi con una certa ammirazione.
Mentre mi parlava, aveva dato una scudisciata al culo di Susy per costringerla a leccarmi i piedi. Cioè le scarpe. Era una cosa che doveva fare ogni volta che avesse avuto dei piedi a portata di bocca. E io, a sentire la sua lingua lavorare così di impegno sulle mie scarpe mi inebriai. Paola lo capì.
«Tu fai quello che vuoi.» – disse ancora una volta a una domanda che mi ero posto ma che non avevo fatto. – «Guardaci, seguici, siediti in poltrona, prendi appunti, dormi… insomma fai come se fossi a casa tua. Puoi anche fare assistenza ai tuoi amici, ma solo quando non saranno in trattamento con noi. Vieni a fare shopping con noi, stai a cena con noi, farai quello che ti pare, ma potrai intervenire solo se pronunceranno la password. Ti ricordo che le password sono due…»
«Una è collare,» – ricordai, – «l’altra è Marco-portaci-via».
«Esatto, la prima serve per sospendere il trattamento in corso, l’altra per sospendere la sessione del tutto. Ognuno però deve pronunciare la propria e in nessun modo la spugna gettata da uno debba significare che l’abbia gettata anche l’altro. E’ chiaro?»
«Chiarissimo.» – risposi, guardando Susy china a leccare le mie scarpe.
Fece cenno a suo marito di portare da me anche il suo cane.
«Leccagli l’altra scarpa.» – ordinò al marito di Susy, toccandogli il culo con il suo frustino.
Bill si portò all’altra scarpa e si mise a leccarla alacremente. Riprovai accresciuta quella sensazione piacevole, della quale avevo solo sentito parlare senza mai provarla. Francesca se ne accorse soddisfatta.
«Ti eccita, vero?»
Non risposi.
Sciaaak!
Aveva dato una scudisciata anche allo schiavo perché si impegnasse di più. E tutti due si misero a leccare con enfasi. Una sensazione stupenda.
«Adesso vieni con me.» – disse poi.
Fece cenno a Valentina di precederci alla finestra, quindi mi indicò il giardino d’inverno dove avevo preparato i due amici.
«Valentina è una single schiava nostra.» – mi spiegò Francesca. – «L’abbiamo fatta venire qui per tenerla a tua disposizione per non farti annoiare e per non romperci. L’atmosfera si riscalderà velocemente e non vorremmo che ti venissero voglie strane. I due schiavi saranno amici tuoi, ma qui da noi saranno solo nostri. Nessuna eccezione, a meno che non ve lo chiediamo noi. Se vorrai scaricare i tuoi istinti, nel giardino d’inverno c’è l’occorrente. Puoi fare a Valentina quello che vuoi. Puoi frustarla, montarla, segarla, legarla, impalarla, portarla in giro con noi, metterla in gabbia e infilarle le canne…»
Diede due scudisciate ai cani perché continuassero a leccarmi le scarpe.
- «A parete troverai fruste, manette, museruole, gabbie, cinghie, falli artificiali e da passeggio… Insomma, fai quello che vuoi ma non romperci i coglioni. OK?»
Aveva sorriso, ma non aveva lasciato dubbi. I due cani erano di loro proprietà.


3.

- Cosa gli faranno? – Chiesi a Valentina non appena soli nel giardino d’inverno.
- Li trattano da cani.
- Non corrono rischi?
- Non più di quelli che corro io nelle mani tue, dato che puoi fare di me quello che vuoi.
- Non dire puttanate! Io non ho mai fatto a una donna qualcosa che lei stessa non volesse.
- Neanche i miei padroni.
- Ma non posso assisterli se resto qui.
- Un consiglio? Non preoccuparti, sono in buone mani. Un altro consiglio? Approfittane e divertiti con me.
Devo dire che era riuscita a calmarmi. In realtà non ero preoccupato, forse però mi seccava che qualcuno si divertisse con i miei due schiavi. La gelosia è un sentimento subdolo. Mi imposi di essere sereno.
- Ti spogli per favore? – Le domandai.
- Non vuoi prima controllarmi sotto le gonne per vedere se porto le mutandine?
- Wow… – Dissi contento. – Certo che controllo!
Mi inginocchiai e infilai la mano destra sotto le gonne di Valentina. Godetti il fresco delle due natiche prive di mutandine, con i glutei che guizzavano sotto la pelle.
- Ehi! – Esclamai quasi subito. – Ma tu le indossi le mutandine! Saranno anche piccoline, ma le porti!
- Lo so. Mica ti ho detto che non le ho. Ti ho solo chiesto se volevi controllare… He he.
- Bastarda…! Ha ha! Ora te le tolgo.
- Hai visto che riesci fare a meno di pensare ai due cani?
La spogliai velocemente, con lei che mi aiutava cercando di lasciarmi pensare che ero io abile a denudarla. Donna interessante.
Ci abbracciammo.
- Vuoi farmi qualcosa in particolare? – Mi domandò mentre la stringevo sul letto. – Vuoi sodomizzarmi con qualcosa, frustarmi le tette, mettermi in gabbia per poi punzecchiarmi?
- Ha ha! No. Sono i tuoi padroni che ti hanno dato disposizioni in tal senso?
Non rispose.
- No, – aggiunsi. – Per ora voglio solo chiavarti.
- Davvero?
- Beh, direi che sia il caso di socializzare un po’. Sei una donna prima di tutto.
Rimase allibita.
- I miei padroni…
- Lasciali stare, anche loro ti hanno messo in buone mani.
Sorrise e cambiò atteggiamento.
- Rilassati allora, che lavoro io. Sarai stanco del viaggio, immagino.
- Già.
- Ti piace la lingua?
- Mi fa impazzire.
Sorrise soddisfatta.
- Quindi baciami…
- Cosa?
- Hai capito benissimo.
Da come scopammo, pensai che parecchie cose lei non le faceva da molto tempo. Anzi, secondo me i suoi padroni la tenevano all’asciutto. Notai che gradiva rimanere a lungo sopra di me, perché venne un paio di volte, alternando la bocca alla figa. Poi, quando decisi di venire io, la sdraiai pancia sotto distesa e glielo infilai da dietro. Mosse il bacino fino a venire una terza volta, infine venni copiosamente anch’io.
- Non me l’hai messo nel culo… – Mi sussurrò in un orecchio.
- Te l’ho detto. Voglio conoscerti bene prima.
Ma puoi stare sicura che ti inculerò. – Pensai. – Ce l’hai troppo bello.
Poi mi addormentai.


3.

Mi svegliò verso le quattro del pomeriggio.
- I Padroni hanno finito con i cani. – Disse Valentina. – Se ti alzi andiamo a trovarli.
Mi alzai, feci una doccia, indossai jeans e polo pulita, poi uscii con lei ed entrai in casa. Li trovai in salotto. Paolo e Francesca ci stavano aspettando seduti comodamente in poltrona e nel divano, con i due cani seduti in terra, sul tappeto. Vedendomi, sorrisero e scodinzolarono davvero come cani, felici di vedere il loro vero padrone. Con i polsi legati al collare sembravano proprio dei cani da compagnia.
- Eccoti i tuoi schiavi, – disse Paola. – Te li abbiamo addestrati bene. Hai visto le feste che ti fanno?
- Davvero, – dissi.
- Forza, Bibì e Bibò, – comandò. – Andate a leccargli i piedi.
I due corsero da me a quattro zampe e cominciarono a leccarmi con lena la scarpe. La podrona gli frustò il culo.
Sciaaack!
Sciaaack!
- Impegnatevi di più! – ordinò Paola, anche se i due leccavano alacremente le mie scarpe.
Era solo una scusa per comandarli a bacchetta. E’ così che funziona, eppure dopo le frustate i due leccarono con maggiore attenzione.
- Te li consegno per un paio d’ore. – Disse poi Francesca a Valentina. – Liberateli e fateli riposare. Dopocena verranno degli ospiti a bere un cognac da noi e voglio che siano sistemati nelle due gabbie.
- Certo signora.
Valentina prese i due cani per i guinzagli, li fece alzare in piedi e li portò con me nel giardino d’inverno.
Appena dentro, i due mi saltarono addossi felici.
- Come è andata ragazzi? – Domandai.
- Fantastico! – Disse Susy.
- Sublime! – Aggiunse Bill.
- E questo grazie a te. Sei davvero un padrone fantastico.
Gli staccai i polsi dal collare e lasciai che mi spogliassero letteralmente. Poi cominciarono a leccarmi come se nelle ultime ore non l’avessero fatto abbastanza.
- Forza ragazzi! – disse Valentina. – Ora vi sfiliamo le code, poi fate una doccia e vi mettiamo una cremina nel culetto, OK?
- A che serve? – Domandai.
- Dobbiamo preservare la loro forma fisica, altrimenti non durano due giorni. Mettiamo una cremina anti emorroidi e anti irritazioni. Stasera giocheranno ancora con il loro buco del culo e, al solito, dovremo prepararli noi.
Sfilammo le code con attenzione, le avvolgemmo in carta scottex, poi Valentina le gettò nelle monnezze.
- Le buttate via? – Chiesi. – Possono essere usate ancora. Sono pulite e comunque basta lavarle e disinfettarle. Ovviamente le usano solo loro, ma…
- I due Padroni usano i giocattoli solo una volta. Sempre.
Approvai senza commentare.
I miei amici corsero a fare la doccia insieme.
- Ti adorano… – Osservò Valentina.
- Ho avuto questa impressione anch’io. – Risposi con una certa soddisfazione. – Sono fiero dei miei ragazzi.
- Anche loro lo sono di te. Sei un padrone molto particolare…
- Ne conosci molti di padroni?
- Sì. Questa casa è frequentata da persone sopraffine in tema di gusti erotici.
- Ti danno sempre in pasto ai padroni come hanno fatto con me?
- No, tu sei il primo,.
- Spiegati.
- Gli amici che frequentano i miei padroni sono selezionatissimi. I Padroni sono amici loro da sempre, gli schiavi vengono reclutati di volta in volta dopo accurate selezioni. Come nel vostro caso.
- Ma perché non ti danno mai in pasto ai loro amici?
- Perché non era mai capitato che prendessero in cura una coppia marito e moglie, come Bill e Susy. Di solito mettono insieme dei singoli, maschi, femmine che non si conoscono. Stavolta invece hanno per le mani due che si amano.
- E i padroni cosa ti fanno?
- Mi seviziano in tutta libertà.
- Come se arrivata a questo punto?
- Frequentavano casa mia. Io sbavavo per loro. Avrei voluto che lui mi sculacciasse quando facevo la cattiva e che lei mi facesse i clisteri per punizione.
- Valà?
- Avevano un grande ascendente su di me e credo che loro l’avessero capito, perché quando compii 18 anni mi offrirono di ospitarli fino alla laurea. Mi avrebbero mantenuto negli studi. Io non vivevo in città.
- E sei diventata la loro schiava…
- E il loro braccio secolare, dato che mi impiegano per fare le parti più dure. Non c’è niente di più umiliante per degli schiavi che essere seviziati da una schiava…
- Fantastico… E cos’è che devono subire dopo?
- La Gabbia. Dopocena. Loro ceneranno solo più tardi, gli prepareremo qualcosa noi da mangiare. Vuoi che ceniamo anche noi con loro?
- Direi di sì.
Quando uscirono dalla doccia li medicammo e li mettemmo a dormire. Poi io a Valentina uscimmo in giardino a fare due passi.


4.

I due padroni cenarono alle 20, serviti da Valentina. Alle 21 andammo a prendere i due schiavi per prepararli alla seduta delle 21.30. Si svegliarono volentieri, si lavarono e si misero a nostra disposizione. Gli mettemmo i collari, unica cosa che dovevano portare sempre in giro per la casa, Valentina infilò dei comunissimi elasticini su per le gambe fino all’inguine, non sapevo per quale scopo. Gli legammo le mani dietro la schiena e li accompagnammo nudi in salotto, dove Valentina aveva già sistemato due gabbie, una più grande dell’altra, entrambe sollevate a un metro da terra.
Non erano molto spaziose le gabbie, forse quella per lui andava bene a lei, ma i due dovevano entrarci lo stesso. Per fortuna il fondo era imbottito e inoltre vi potevano entrare dall’alto sollevando il coperchio. Aiutandosi con la scaletta della biblioteca, salirono e si infilarono nel contenitore in ginocchio e attesero che Valentina li mettesse in posizione fetale per poter chiudere la grata superiore.
Non è facile descrivere la posizione in cui furono sistemati, destinati a rimanere così un’ora o due, in esposizione dei Padroni e degli ospiti, ma ci proviamo.
Sempre stando in posizione fetale, da una parte il culo appoggiava sulle caviglie e dall’altra il viso non appoggiava da nessuna parte. Le mani vennero lasciate legate dietro la schiena. I due non potevano muoversi più di tanto e questo era il bello della sessione: dovevano fungere da oggetti a tutto piacere dei presenti. Trattandosi di una seduta sadomaso, ovviamente, vennero aggiunti dei particolari accorgimenti volti a bloccarli meglio, a esporli bene e a farli soffrire di più. Le mani, già legate dietro, vennero fissate al coperchio della gabbia in modo che dovessero tenere la testa più in basso, mentre le ginocchia vennero legate ai lati della gabbia per fargli tenere le cosce allargate. Poi Valentina applicò un grosso adesivo sulla bocca di entrambi, così potevano lamentarsi solo con dei mugugni.
Infine infilò un lungo tondino ci acciaio inox del diametro di 2 centimetri nel culo di entrambi, non grosso dunque ma pesante, per poi bloccarlo al portante posteriore della gabbia con un morsetto di sicurezza.
Non avevo mai visto una cosa del genere.
- Serve per tenerli fermi immobili, – mi spiegò, indicando il tondino nel culo. – Non è pericoloso, ma è una presenza pesante e ingombrante. Ogni movimento si ripercuoterà sul tondino, per cui staranno fermi anche quando proveranno a reagire agli stimoli.
- Possono farsi male?
- No. L’ho bloccato al morsetto proprio per evitare che a qualcuno venga voglia di spingerlo dentro. E poi il tondino è smussato e lucido, è lui che li tiene immobili senza fare danni.
Una volta sistemati, Valentina li coprì con dei teli verdi.

E restarono fermi in quella posizione per una mezzoretta, finché i Padroni e i loro due ospiti arrivarono in salotto senza vederli, come se i due teli non esistessero pur essendo che sotto ci stavano due fantastici oggetti viventi.
I quattro continuarono i loro discorsi finché non bevvero del cognac, dopodiché la Padrona di casa fece cenno a Valentina. La quale si avvicinò e tolse i teli.
Poi, con calma, si alzò prima la signora, che andò a guardare il viso prima e il culo poi di Bill e Susy, sempre chiacchierando come se nulla fosse. Poi prese un bastoncino dotato di un puntone, strutturato in modo che non bucasse la pelle, ma che stimolasse le reazioni del seviziato.
- Mmmm…
La signora aveva punto Susy al culo, che coll’adesivo sulla bocca poté solo avere la pelle d’oca e mugugnare.
Quando il signore si alzò, fece la stessa cosa con Bill, che sussultò. Non so se avessero sofferto, forse avevano reagito così solo per riflesso condizionato.
Diedero qualche colpetto con le nocche all’inox nel culo. Susy si sbracò, quasi divaricando le natiche per allargare di più il buco del culo. Bill invece lo strinse, come se avesse voluto impedire un ulteriore avanzamento all’ingombro rettale.
Poi la donna infilò la mano dalla grata posteriore per masturbare la sua seviziata e raccogliere i suoi umori vaginali. Riempita la mano se la strofinò anche sul dorso dell’altra come una crema.
- Fa bene alla pelle, – spiegò. – Ne volete anche voi? Prego.
Ci servimmo tutti e io notai che ogni volta che le palpavo il sesso con la mano, Susy stringeva di più la barra d’acciaio con l’ano. Ancora un po’ e sarebbe venuta…
- Guarda, – disse l’ospite alla moglie. – Gli hanno messo gli elastici. Vieni che ci divertiamo un po’…
Gli elastici infilati su per le cosce avevano lo scopo di far divertire i molestatori e far soffrire i molestati. Ne prese uno e lo tirò in fuori, per poi mollarlo. Il dolore provocato al sottoposto doveva essere lancinante perché lasciò subito una striscia rossa. Per fortuna va via in 10 minuti, ma doveva essere davvero feroce.
Tirarono gli elastici a lungo, sorseggiando cognac e chiacchierando con i padroni pro tempore dei miei schiavi. I quali si contorcevano ma, essendo bloccati, si limitavano ad agitarsi attorno al paletto nel culo come se volessero morderlo con l’ano. Oltre, ovviamente, a mugugnare come facoceri muti.

Quando se ne andarono, Paolo e Francesca si ritirarono per andare a letto. Io e Valentina dovemmo liberare i due dalle gabbie. Sfilammo piano le barre e le gettammo in un secchio d’acqua. Questi oggetti inox sarebbero stati usati ancora.
Fatti uscire, Vale li coprì con dei mantelli e, tenendoli per il guinzaglio, li conducemmo nel Giardino d’inverno.
Furono liberati e fecero un’altra doccia mentre Valentina preparava quattro piatti di spaghetti.
A tavola i due schiavi dovettero mangiare qualche boccone prima di riprendere la bella cera.
- Wow…! – Disse Susy. – Dio che sensazione…
- Terribile, ma impagabile. – Aggiunse Bill.
- Domani cosa si fa? – Chiese Susy.
- Domani è una giornata dinamica. In tarda mattinata si va a fare shopping, a mezzogiorno servirete in tavola e… la sera sarete sottoposti alla frusta… impalati sulla cavallina.
- Suona bene… – Commentò Susy.

Per metterli a loro agio e farli rilassare, prima di mandarli a letto io e Valentina ci facemmo leccare il buco del culo.
Quando restammo soli, inculai con grande cerimonialità Valentina. Mi parve il più bel culo che non avessi mai violato. Le sue natiche appoggiate al mio basso ventre mi ripagarono di mille fatiche. Lei ebbe un orgasmo anale.

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