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Il mio primo incontro con Paola


di lamenteilcorpo
20.01.2015    |    6.215    |    0 9.7
"Fu allora che la spinsi leggermente per farla sedere sul divanetto, le presi le gambe e le portai sulle mie spalle in maniera da fargliele allargare quel..."

Tutto è accaduto quasi per caso, in concomitanza di un episodio triste per entrambi.
Qualche giorno dopo l'accaduto Paola, di cui non avevo mai sentito parlare, mi contattò su un social network con la scusa di parlare dell’amico comune che era mancato da poco.
Inizialmente fui molto titubante, ancora scosso da quello che era accaduto e perchè non la conoscevo e, com'è giusto, mi chiedevo cosa volesse da me.
Ma dopo la prima diffidenza iniziale in me subentrò la curiosità di conoscerla.
Io 52 anni, sposato e con una vita assolutamente tranquilla, lei 40, impegnata in una convivenza che non la rendeva felice e realizzata né come donna tantomeno come femmina, se non fosse per il fatto che da quella relazione aveva avuto la sua prima ed unica, fino a quel momento, figlia.
Inizialmente molto riservata, Paola, con il passare dei giorni, iniziò ad aprirsi nei miei confronti al punto che sempre più spesso, partendo dagli argomenti più comuni e disparati, i suoi discorsi andavano a finire sul sesso.
Una mattina, per esempio, mi inviò un sms in cui mi diceva “Mi sono appena svegliata con una gran voglia…” ma io feci finta di niente, ancora convinto che lei mi considerasse solo un amico a cui parlare anche di questo e non le risposi, lasciando cadere così la cosa.
Tutto questo “gioco” andò avanti per circa 4 mesi: ci scrivevamo e telefonavamo spesso, durante il giorno, e ogni volta lei mi raccontava qualcosa in più di sé, fino a confidarmi, un giorno, che erano ormai 2 anni che non aveva rapporti con il suo compagno.
Finchè una mattina di giugno mi invitò a prendere un caffè in un posto a metà strada da dove viveva lei e da dove stavo io, per cui dopo il lavoro, senza nemmeno il tempo di prepararmi, mi avviai per raggiungere il posto.
L’appuntamento era dinanzi alla stazione e una volta arrivato, ammetto che mi sentivo emozionato come un ragazzo al suo primo incontro.
Mentre ero alla ricerca di un parcheggio la vedo, in piedi sul marciapiede…
Avevo già visto qualche sua foto, sul social, ma di persona era ancora più bella nella sua semplicità: corporatura minuta, abbronzatissima e con quei suoi capelli ricci…
Ma soprattutto quel sorriso illuminante che mi regalò appena mi vide arrivare verso di lei.
Davvero una meraviglia, vestita in maniera semplice e casual, come amava, ma non per questo poco sensuale.
Dopo esserci salutati iniziammo a parlare del più e del meno, riscontrando entrambi una spiccata affinità caratteriale o meglio, le nostra divergenze completavano entrambi fino a renderci quasi un tutt’uno.
Sembravamo davvero amici di vecchia data, come se ci conoscessimo da una vita.
Fu davvero un bellissimo momento che lasciò a me, ma credo anche a Paola, una cicatrice molto evidente.
Tant’è che qualche giorno dopo mi chiese di incontrarci di nuovo: solo che, non potendosi spostare tanto facilmente, mi invitò nel suo studio di fisioterapista, con la scusa che fossi un paziente.
Accettai di buon grado, perché sentivo il bisogno di rivederla e il giorno stabilito, di buon ora, mi avviai per raggiungerla: avevo il suo indirizzo per cui, una volta arrivato, suonai il citofono e mi rispose la sua voce acuta, quasi da bambina, dicendomi di salire al 2° piano.
Arrivai davanti al pianerottolo del suo studio trafelato e anche se attribuivo la causa al fumo, in cuor mio sapevo che il motivo era tutt’altro.
Il portoncino era accostato per cui bussai e spinsi avanti l’uscio.
Lei era lì, dietro la porta, solare e bellissima, con una maglietta lunga che le faceva da vestito ed un sorriso di felicità stampato in volto.
Fece solo in tempo a dirmi che aveva disdetto tutti gli appuntamenti dopodiché mi stampò le sue labbra sulla bocca in un bacio interminabile che mi tolse quel poco di fiato residuo; con un piede riuscii a chiudere il portoncino rimasto aperto e subito dopo lei mi guidò davanti al divanetto posto all’ingresso.
Mentre l’abbracciavo sentivo che sotto la maglietta lunga non portava nulla per cui ebbi modo di esplorare le sue grazie.
Era stupenda, minuta ma perfetta, un seno splendido sopra il quale troneggiavano due capezzoli irti e di colore bruno, un sedere alto, sodo e proporzionato le cui natiche sembravano fatte su misura per le mie mani.
E poi la fica…
Un cespuglio di peli curati al centro del monte di Venere, le grandi labbra lisce, setose…
Ma la cosa che mi sorprese di più, quando le alzai la maglietta e le misi una mano tra le gambe, fu quella di trovarla già calda e soprattutto fradicia al punto che quando ritrassi la mano notai che era bagnata nel vero senso della parola.
In tutto questo anche Paola ebbe modo di verificare la mia eccitazione quando con la coscia iniziò a strusciarmi tra le gambe, constatando che nel giro di qualche minuto il mio cazzo era diventato enorme e da un momento all’altro sembrava volesse esplodere fuori dal jeans.
Lei apprezzò tutto questo con un gridolino e con questa frase: “Sei tutto grande” riferendosi, evidentemente, non solo alla mia stazza fisica ma anche alla verga dura e gonfia che aveva appena tastato con la coscia.
Fu allora che la spinsi leggermente per farla sedere sul divanetto, le presi le gambe e le portai sulle mie spalle in maniera da fargliele allargare quel tanto che mi bastava per metterle la bocca sula fica.
Lei inizialmente, data la sua timidezza, fu un po’ restia, ma quando le appoggiai la punta della lingua sul clitoride si rilassò.
Iniziai a leccarla freneticamente, prima penetrando la sua fica stretta con la punta della lingua, poi ritraendola ed assaporando i suoi umori, che nel frattempo, forse anche per il contributo della mia saliva, erano aumentati tantissimo tant’è che li vedevo colare giù per le gambe.
Paola era eccitatissima, vedevo il suo bacino alzarsi e roteare verso il mio volto, sentivo la sua mano che premeva sulla mia testa mentre me la accarezzava e mi torturava i capelli.
Sentivo il suo respiro sempre più affannato e veloce, con i movimenti del bacino continuava a sbattermi la fica in faccia mentre con la lingua la penetravo, avvertivo le sue gambe che si chiudevano quasi a volermi imprigionare.
Era un lago, un lago di sborra calda e profumata che fuoriusciva dalla fica per inondarmi ed impiastricciarmi il viso.
Avevo la bocca incollata alla sua fica e le succhiavo le piccole labbra e il clitoride mentre un mix di saliva e umori colava dalla sua fica per raggiungere la mia bocca ed il mio cervello.
Vedevo che le sue gambe tremavano e che il suo corpo era pervaso da brividi che partivano dalla fica e le arrivavano dappertutto, fino a quando il clitoride divenne duro ed eretto e Paola iniziò a dimenarsi e contorcersi come un’ossessa, inarcando il bacino e spingendo ancora di più la sua fica verso la mia bocca, per non farmi lasciare la presa sul clitoride che, intanto, io avevo preso in bocca completamente, succhiandolo e colpendolo con la lingua sempre più velocemente.
Fin quando non la sentii ridere...
Si, ridere.
E questa cosa mi meravigliò non poco al punto che, una volta sentito il clitoride rilassarsi, la sua fica smettere di pulsare e la presa delle cosce allentarsi, con la bocca dai cui lati colavano rivoli di saliva e sborra di fica, le chiesi perché fosse scoppiata a ridere.
E lei, con la sua solita dolcezza mista ad ingenuità ed innocenza mi rispose che quando godeva copiosamente ed intensamente le capitava di ridere.
Fu allora che mi portai le dita alle labbra, raccolsi il nettare e lo succhiai, dicendole “Credo di essermi innamorato di te…”.
Lei mi abbracciò, mi baciò e semplicemente mi rispose “Idem”.
Quella mattina non finì così, quella fu solo la premessa per rompere il ghiaccio.
Ma il seguito ve lo racconto la prossima volta…
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