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Prime Esperienze

Odette: oui je suis putaine, 2a parte


di sexitraumer
17.09.2013    |    6.258    |    0 9.3
"Turgay le aveva detto di restare sempre entro i sentieri interpoderali, poiché alcuni signori feudali con gli intrusi, specie se notturni, sorpresi nei loro..."
La camminata della bionda donnina, sebbene in pratici abiti maschili, richiese un paio d’ore, ed un paio di soste sotto un ulivo per riposarsi ed urinare. La notte era limpida e di tanto in tanto la ragazza riuscì a scorgere degli occhi in fosforescenza; non erano gatti selvatici, probabilmente qualche volpe che dovette ritenerla qualcosa di non tanto commestibile. Odette tuttavia non temeva qualche prudente volpe, che in presenza di esseri umani si teneva a debita non letal distanza, quanto un più incosciente lupo. Nella sua mente si faceva coraggio pensando che il lupo sarebbe rimasto uno, mentre quell’animale aveva l’abitudine di attaccare in branco: per quanto rapida col pistolotto, sempre due erano i colpi sparabili, e certo non si poteva ricaricare in rapida successione. Figuriamoci se uno, due, tre, o sette lupi ti davano il tempo di ricaricare tra polvere, piombo, stoppino e puntamento…si limitava a rimuovere il pensiero, ed in fondo era in cammino da più di un’ora, ed incontri spiacevoli non ce n’erano stati. All’improvviso:
“Swaaaaaaaaaaaaaaaaasshhhhh ! Mieoooooooowwww, miaooooooooooooo !”
“Swkitchch, smuuuuushhhhh, miaaaaaaaaaaaaaauuu, mieowwwwwww !”
“BANG !”
Due gatti, non addomesticati, le avevano attraversato la strada tagliandogliela a meno d’un metro avanti a lei, che d’istinto estrasse il pistolotto da dietro la schiena, e sparò in direzione dei rumori. Rendendosi conto di aver buttato un prezioso colpo, calmandosi imprecò, accorgendosi poi di averla mancata quella coppia di gatti in accapiglio. Scalciò in avanti per cacciarli, poi riprese il cammino. Ancora non sapeva a che distanza fosse dal paese; il sentiero lo aveva scelto a caso, secondo il proprio istinto. La mappa fornitale da Turgay era di quelle commerciali, che si vendevano al mercato all’aperto, dai pittori e disegnatori a tempo perso, e per quel che ne poteva sapere lei, era tutt’altro che precisa. Probabilmente era stata copiata e dipinta dal venditore, e se questi aveva copiato una carta militare era un conto; se era una mappa di quelle in uso ai mercanti veneti, od ai navigatori arabi poteva fidarsi abbastanza; se invece la carta originale era stata compilata in base ad indicazioni verbali…meglio non pensarci. Non era tuttavia il caso di essere pessimisti; entro un’oretta avrebbe albeggiato in ogni caso. Turgay le aveva detto di restare sempre entro i sentieri interpoderali, poiché alcuni signori feudali con gli intrusi, specie se notturni, sorpresi nei loro fondi rustici avevano il vizietto di applicare comminandola di persona dell’alta giustizia definitiva; in altre parole di far impiccare dalla loro soldataglia o financo dai loro contadini i ladri, gli sbandati, ed i viandanti imbalorditi dalla miseria; cosa avrebbero fatto ad una donnina sola di venticinque anni, vestita da uomo, e per di più armata di un pistolotto due colpi…l’abbigliamento della moglie di un pirata, o del suo equivalente terrestre, un brigante. Camminando tormentata da zanzare e moscerini, da rumori improvvisi, ed ululati di animali più o meno vicini e lontani giunse al fin del sentiero campagnolo ad un incrocio con qualcosa di più largo che avrebbe potuto percorrere tanto a destra, quanto a sinistra. Optò d’istinto per la destra, e si mise in cammino. Non aveva con sé alcuna lampada portatile. Camminando dal lato dei rovi teneva le orecchie tese quando d’improvviso sentì un rumore di zoccoli in avvicinamento. Sì, quelli erano zoccoli, e gli animali che li stavano emettendo dovevano essere dei cavalli. Scelse in quel momento di nascondersi dietro un rovo invadendo un fondo, e aspettò che quegli zoccoli passassero; fece bene: erano una coppia di cavalli che trasportava un carro relativamente pesante, con a bordo dei soldati, come poté dedurre dai loro cimieri ed alabarde visibili a quel lievissimo chiarore, che aveva preso il posto, della pulita oscurità di qualche ora prima. Le era sembrato di contarne circa otto-dieci. A quel trasporto militare certo non poteva chiedere un passaggio per via del suo abbigliamento. L’avrebbero arrestata all’istante e depredata del suo bagaglio, e dei suoi effetti personali, oltre che del suo denaro, che in massima parte sarebbe andato al loro ufficiale comandante, e gli spiccioli di rame alla truppa. L’alba la fece riflettere: era il caso che si togliesse quegli abiti maschili, ed indossasse l’unica veste femminile del suo corredo, con la quale aveva esercitato a Smirne la sua professione…dopo essersi spogliata dietro il rovo all’interno del fondo di olivi prese dal sacco la sua veste e vi ripose i pantaloni; ricaricò anche il pistolotto e se lo sistemò alla meglio sotto la veste. Quindi, assunte fattezze più femminili, si rimise in cammino sulla strada in attesa di un’altra carrozza. Camminò un’altra ora senza che ci fossero altri passaggi, quando stanca per il peso del sacco era crollata per terra, e s’era messa a dormire in mezzo alla strada. Era stata fortunata che il sole fosse sorto rendendola visibile ad un carretto guidato da un contadino. Questi era sceso dal carro, e s’era avvicinato alla donnina bionda dormiente sul suo sacco. La percosse lievemente, ma Odette non dava segno di volersi svegliare; allora presa dell’acqua da una fiasca la fece bere. La ragazza riprese conoscenza ed aprì gli occhi. Davanti a lei un contadino di una cinquantina d’anni dall’aspetto pacioso reggeva in mano una fiasca. Le tese la mano e la aiutò a rialzarsi. La donnina esordì nel suo stentatissimo italiano:
“S-sì ?...”
“Perdonate signorina, vi abbiam visto distesa sulla strada, pensavamo che fusse nnà morta. State bene ? Come vi sentite ?”
“Sì…moi…io que ?...”
La donna venne aiutata a rialzarsi ancora intorpidita dal sonno; sbadigliò delusa; fosse dipeso da lei avrebbe continuato a dormire…l’uomo del calesse chiese:
“Andavate da qualche parte ?”
Le venne in mente di dire il primo paese che aveva visto sulla sua mappa:
“Moi ? Trecase ! Oui, Trecase monsieur !”
“Tricase, dite ? Eravate fuori strada, sapete…di qui si va a Muro…voi camminavate verso Muro…non è di questa strada che si va a Tricase !”
“Ah, Moro ?”
“Muro signorina ! Muro leccese. Vicino Otranto…conoscete Otranto ? Ma chi siete ? Di dove venite?”
S’intromise una donna, lievemente più giovane del marito, cercando di mostrare alla biondina un minimo di materna cortesia, giudicando il marito un imbranato…
“Come vi sentite signorina ? State bene ?”
Odette aveva compreso la domanda, e rispose:
“Moi, sta bene, sì ! Bie-be-ne madame, bene.”
“Andavate da qualche parte ? Gradite un passaggio ?”
“Pas-sag-gio ?”
Le mostrarono il calesse, e la donnina capì annuendo. L’uomo fece per prenderle il sacco, ed Odette glielo diede; lo sistemò sul retro del calesse. Lei venne invitata a salire accanto al conduttore, tra lui e sua moglie. Il calesse, con una frustata di Giuseppe ai cavalli, si riavviò; l’uomo, curioso di aver preso a bordo quella novità, si presentò mentre conduceva i cavalli.
“Io mi chiamo Giuseppe, e accanto a voi c’è mia moglie Addolorata. Voi, posso chiedervi come vi chiamate signorina ?”
“Moi ? Odette, je m’appel Odette !”
“Noi siamo una famiglia di fornari Odetta. Io, sapete, son mastro fornaio, possiedo un forno mio, tutto mio, e consegno li pani alla guarnigione spagnola, che s’è acquartierata a Muro, ogni tre mattine. Sessanta pagnotte la volta. L’esercito dell’impero me le paga bene: sette soldi a pagnotta! Quarantadue lire alla fine della settimana, in un mese farebbero poco meno di trecentoquaranta, ma ahimé, andranno via prima! Altrimenti noi, qui si potrebbe far copiosa la pecunia nostra…”
“Mouro ? Vous, Monsieur, Mouro ?”
Odette non ne aveva capito granché, e ritenendo Addolorata che il marito stesse tediando la nuova ospite, s’intromise:
“Non dategli retta signorina ! La gilda non gli consente punto d’esser sempre noi a servire la guarnigione della Spagna. Havvi un turno per la legge del comune: noi la si può servire una sola settimana al mese, acciocché l’altri mastri fornari possan trarre anch’essi giusto guadagno dalli contratti colli militari. Niuno tra di noi, li fornari iscritti alla gilda, arricchirsi puote, e versar la decima parte ci s’impone…”
“…cilda…mpone ?...moi…je n’ai compris qu’un peux ! Je regrette madame !”
“Addolorata, guarda che niente capì manco da te ! Voi non sembrate delle parti nostre signorina, sapete ?!”
“Notre…parte ?”
L’uomo insistette:
“Di dove siete signorina ?”
Odette aveva compreso questa volta quell’ovvia domanda, per cui rispose:
“Je suis née hollandaise, je viens de les pays bas !”
“Pays bas ? E dove starebbero questi paesi ?”
“Entre, disons, entre la France et l’Alemagne !”
Odette si spiegò a gesti dando una sommaria descrizione sia dell’Europa che del suo paese d’origine dominato dalla Spagna come un proprio avamposto. Odette era imprudente ad essere così sincera con quella coppia, tuttavia uno dei suoi punti deboli era che era incapace di mentire davanti a persone, rigorosamente comuni o proletarie, che ritenesse in buona fede: aveva una sua morale interna che glielo impediva. La coppia di passaggio si era presa il merito di averle salvato la vita da una morte per calpestio da cavalli quasi certa se fosse rimasta in mezzo alla strada addormentata; era stata fortunata che conducevano lentamente il loro calessino con i pani da consegnare quel giorno alla guarnigione spagnola stanziata fuori Otranto, a metà strada tra la cittadina marinara ed il più antico paese di Muro. Dopo un’oretta di sorrisi muti tra Odette e Giuseppe debitamente sorvegliati da Addolorata, l’uomo fermò il calesse al segnale di fermarsi di un armigero che si era sbracciato a segnalare una decina di secondi prima. Giuseppe scese dopo aver fermato del tutto il calessino, quindi un armigero aiutò a scendere sua moglie, per poi dare il suo braccio ad Odette, che da parte sua cercava di non guardare in faccia il gentil milite, odiando di suo tutti gli spagnoli, specialmente i religiosi, e…i militari. Per togliersi davanti il soldato dovette accettare il braccio del soldato col cimiero che era contento di esserle stato utile. Discesa perciò anche lei, questi tornò presso il tavolo all’aperto che rappresentava l’ingresso all’accampamento con tende. Come da istruzioni dell’imperatore Carlo V l’ordine era in genere di non socializzare troppo con i locali, eccezion fatta per gli inevitabili contatti coi commercianti al dettaglio e non, e con le…prostitute, onde prevenire l’omosessualità. Un altro milite, di media età con pizzo e baffi, ed il viso meno gentile poiché segnato dagli anni e dalle ferite di guerra, un po’ sporco si avvicinò e cercò di scambiare comunque qualche parola con la piccola biondina:
“Es usted la hija de Adolorada ?”
“…”
L’uomo dopo averle osservato il viso con attenzione sentenziò:
“ …verdaderamente no hay similitud ! Usted es rubia ! Inglèsa ?...”
Odette distoglieva lo sguardo ottenendo così d’insospettire ancora di più il militare, che però cercava di essere anche socievole sorridendo, e guardandola in faccia, essendo stato catturato dai suoi occhi nord europei.
“Mi nombre es Pedro, pero yo no sé vuestro nombre señorita. Porque usted no habla ? Muta o fricativa señorita ? Qué edad ?”
Odette guardò per terra, poi dovette dominarsi sopportando che il soldato le prendesse il mento rialzandole il viso. La ragazza accennò un lieve sorriso, poi preso del coraggio disse all’uomo:
“No comprende, militàr, …je regrette !”
“Oh, no inglesa !...uhmmmm, francèsa !...Paris ?”
“No, militàr ! Lu…Lu…Luxembourg !”
“Luxemburgo ! …Oh, alemana !”
Il soldato le lasciò il mento, ma prese a toccarle il piccolo e ben proporzionato seno; Odette si stava sforzando di sopportare. Il suo corpo esile la stava facendo apparire adolescente; le mani leggerissime ed intrusive (nonché sporche) di quell’uomo ormai molesto le sfioravano il seno destro sul quale Pedro stava insistendo per ricostruire con il pollice e l’indice il contorno del suo capezzolo, che, stimolato, si drizzò. La ragazza non poté trattenere un imbarazzato rantolo:
“Ahn !”
Pedro all’improvviso mollò in seno destro e le strinse tutto il seno sinistro con la propria mano destra, e trascorso ch’era un istante, avvicinandosi ulteriormente le mise la mano sinistra tra le coscette nonostante la veste…ed in tal modo chiarì cosa stava cercando…
“Ahn, ohhhhhh, no ! No…militàr, no ! Ahnnnn ! No…pas ! Ahnnn!”
Stava cercando di sollevarle un po’ la gonna per scoprirle le gambe, e scoperte esse avrebbe trovato, oltre la piccola e graziosa vagina di lei, anche il pistolotto carico nascosto fra le pieghe della veste un’oretta prima…la parte interna delle cosce della ragazza, poco sotto la vulva restava sotto frugo, ed inviava alla donnina irrigidita fino al collo sensazioni imbarazzatissime; se quell’uomo sporco avesse continuato ancora qualche angoscioso istante – che ad Odette pareva un’eternità – le avrebbe provocato un rilascio nervoso di urina; il milite la frugava e lisciava la propria mano tra le carni intime di Odette e non dava la sensazione che avrebbe smesso. Benché Odette guardasse verso di lui col volto preferì di gran lunga non condividere lo sguardo degli occhi con quell’autentico cialtrone, che per parte sua continuava a sorriderle. Odette cercando di rimuovere quel che le accadeva si sentiva come cieca, con il cervello spento a bella posta, mentalmente paralizzata. Non appena le dita allineate di quell’uomo dinanzi a lei arrivarono a chiudere la presa palmo-dita della superficie carnosa della sua vulva Odette, del tutto avulsa dalla realtà, incapace anche di ricordare i nomi e le figure di Addolorata e Giuseppe, visse un attimo di vuoto ! Il suo inguine sembrava bollente e teso fino allo spasmo, e la sua vulva invece di aprirsi lungo lo spacco per lo stimolo restava ben chiusa. Sembrava incapace di quel respiro naturale che avrebbe solo eccitato, o meglio accontentato il suo molestatore; rigidità, vuoto e cecità...quando inaspettatamente un soldato più anziano alle spalle di Odette, incapace di qualsivoglia movenza, spintonò vigorosamente Pedro in avanti, facendolo retrocedere e cadere, interrompendo così il seccante imbarazzo della ragazza costretta a sentirsi lisciato e massaggiato quel suo piccolo sesso che aveva impedito a Pedro di trovare l’arma appena tre-quattro dita al di sopra di esso. L’anziano milite, un uomo quasi calvo, con un po’ di barba grigio-bianca al pari dei pochissimi capelli, mollò un ceffone a Pedro, che s’era rialzato senza reagire, dato che quell’uomo era un suo superiore. Gli urlò facendosi sentire anche dagli altri intorno, ingiungendogli velocemente di non importunare più la ragazza. Aveva parlato velocemente in spagnolo, ma da quello che Odette poté capire gli aveva fatto presente che la ragazza aveva probabilmente quindici anni, e non aveva l’età per subire certe molestie. Odette pur essendo di venticinque anni, e non disdegnando affatto il sesso, aveva comunque una certa ritrosia per la Spagna cattolica. Per sua fortuna il vecchio soldato era un uomo onesto, e non permetteva abusi immotivati sui civili, tantomeno sulle donne giovanissime, fino a far sospettare una sorta di minore età:
“Una niña de quince años ! Vergüenza Pedro ! Tu seràs castigado por esto comportamiento !”
Assicuratosi che Pedro avesse recepito il rimprovero battendo in ritirata, si rivolse sorridendo alla biondina ancora rigida per aver dovuto sopportare quei tocchi non graditi:
“Usted podrìa ser mi hija, señorita. Mi disculpas ! Si usted puede perdonar mi colega…!”
E fece cenno alla ragazza che era meglio che risalisse a bordo, e attendesse il discarico dei pani intanto che Giuseppe e Addolorata ricevevano dall’ufficiale comandante dell’accampamento il pagamento della fornitura. Altri colleghi di Pedro andavano e venivano per scaricare le pagnotte. Fece cenno a due militi non addetti al discarico, in pausa come lui, i più vicini, chiamandoli per nome:
“Ramòn ! Segundo ! Mi desayuno ! Aquì, adelante !”
I due soldati, due anonimi uomini con il cimiero, portarono all’anziano soldato la sua colazione: due pentolini di rame con due bevande in un vassoio di legno: una molto scura calda, quasi nera, l’altra del semplice latte ormai tiepido. Si trattava di una nuova bevanda eccitante di origine etiope: il caffè. I due la mescolarono al pentolino di latte, poi lo diedero al vecchio soldato, che lo offrì ad Odette dopo averlo zuccherato lui di persona, dato che stava scaldando le proprie bevande quando dovette intervenire per fermare il tentativo di stupro del collega Pedro, ormai allontanatosi. Odette dopo l’esposizione alla salsedine di quel primo mattino gradì quella dolce bevanda di latte e caffè che dei monaci cappuccini avevano inventato per iniziare la giornata. Infatti il vecchio milite disse affabile:
“Se llama capuchino…hija…bueno ?!”
Odette annuì, quella bevanda, dopo tanta salsedine respirata e traspirata, un bagno, ed una notte di cammino era come un elisir. Il vecchio soldato si accostò al calesse onde assicurarsi che la ragazza non avesse a subire altre molestie e, ad un suo nuovo cenno a Ramòn, questi portò una sorta di pane di forma toroidale. Il vecchio soldato ne staccò la metà, e la offrì a Odette, poi fece a metà con Ramòn il rimanente. Rivolgendosi alla ragazza le disse:
“A usted le gusta el cuc bizchoco ? Si permite señorita me llamo Carlos, como el imperador !”
Avendo una certa fame Odette accettò volentieri quel dolce di pan di Spagna che sembrava, poté notare, fatto apposta per accompagnare quella bevanda che le era stata offerta poc’anzi. Odette stava mangiando di gusto suscitando il sorriso paterno in quel graduato di nome Carlos, che l’aveva appena salvata dalle molestie sessuali belle e buone di Pedro. La signorina ritenne opportuno dirgli:
“Carlos, merci ! Je me plâit beaucoup votre petit dejeuner…comprehende ?”
Sorprendentemente Carlos capiva più d’una lingua: quella della vicina Francia per lo meno.
“Comprendido, comprendido, señorita ! Yo no hablo francès, pero lo comprehendo un poquito ! Me hace mucho gusto que a usted le gusta! Digame, si puede, es usted la nieta de José y Adolorada ?”
“Nieta ?”
“Uhm como dir ? …N-ev-eau, neveau ?”
“Ah, compris ! Pas du tout ! Je vais a trouver mes parents à…”
“…a…?”
“…à…à…Baari ! Oui Bari !”
“Uhm, pero usted aterrizò donde ?!”
“Aterrizò ?”
“Desembargada ! …desembarqué…e !”
“Ah, bon ! Compris ! Je me suis desembarquée à…”
“…”
“Palermò !”
“Palermo ! Usted serà afatigada por el viaje, très dificil por una señorita sola…vuestra edad ?”
Carlos da curioso stava diventando indagante, tuttavia sempre cortese pur non demordendo:
“Edad ?”
“Los años de usted…!”
“Vingt-cinq !”
“Venticinco ? Usted tienes un cuerpo de niña de quience ! En viaje sola…yo soy sospechoso un poquito…usted se llamas ?...”
“Odette, Odette Luxembourg, et je viens de les Pays bas !”
Il vecchio Carlos, dapprima sospettoso sorrise rassicurato, e venne colto dall’entusiasmo; trattandosi di una straniera che veniva dai Paesi Bassi, possedimenti della corona spagnola, era certo che fosse comunque una sua concittadina, comunque una suddita spagnola, come lui, come loro, come Pedro, e come…
“Paìses bajos ! Nosotros somos como hermanos, asuntos do mismo Rey ! Ils sont estados qui pertencen a la Coruna de la España !”
“…”
“Ramòn ! Llamas Don Torrado, adelante !”
Poi rivolgendosi a Odette le disse amichevole, certo di farle cosa gradita:
“Don Torrado es nuestro ministro del culto ! El podrìa adjutar usted a llegar Bari !”
“Oh, mais non monsieur Carlos ! J’aime bien voyager par seule, seule, seulement seule !”
Il vecchio Carlos convinto di dover dare assistenza alla signorina continuava a tenere le mani sulle sporgenze lignee del calesse sul quale era Odette, che a quel punto non vedeva l’ora di andarsene.
“Con vuestra aparencia de niña rubia, très joven…no es posible que usted viajes sola! Se necesita una proteccìon, non cres ?”
“Mais je n’ai demandé aucune protection monsieur Carlos !”
Fortunatamente in quell’istante erano tornati Giuseppe ed Addolorata; stavano risalendo a bordo, quando all’improvviso Odette, che sapeva condurre il calesse avendolo imparato dai suoi genitori e dal suo amante algerino, prese lei le redini, e con un colpetto attraverso di esse, dopo aver scostato con decisione la mano di Giuseppe che voleva prendere la conduzione, manovrò rapidamente per uscire dal campo militare; il vecchio soldato, il buon Carlos, si era scostato per permettere ad Addolorata di salire a bordo, e quel breve lasso di tempo era stata l’unica finestra di fuga disponibile. Odette in trenta secondi, facendo descrivere al calesse tre quarti di giro, riguadagnò la stradina di terra battuta, e si direzionò verso Muro ritenendo che fosse nella direzione opposta a quella che avevano percorso durante i loro tentativi di amabile conversazione con quella curiosa straniera, che ora si stava rivelando un’abile conduttrice di carretto a due cavalli. Stava viaggiando piuttosto velocemente quando all’improvviso Giuseppe cercò di dirle:
“Signorina, rallentate, vi prego rallentate ! Sono due cavalli vecchi, due ronzini, e ci siamo affezionati ! Non li vogliamo far macellare ! Se me li affatica da adesso non potrò usarli oggi al vespro ! Si affaticheranno, vi prego fermatevi !”
Anche Addolorata pensò di aggiungere:
“Signorina, che avete in corpo ? Il diavolo ? Io mai ho imparato a condurre come fate voi ! Però per il buon Dio vi prego, fatelo per me ! Fermatevi ! Questi due cavalli sono tutto quello che abbiamo per muovere il calesse ! Abbiamo solo loro…non reggeranno questa gran carriera vostra !”
Odette aveva ignorato le proteste di entrambi, poi quando ritenne di aver messo abbastanza frazioni di miglia dall’accampamento, in vista di quello che riteneva il paese rallentò, quindi fermò la carrozza. Si rivolse a Giuseppe dimenticando come si chiamasse, per cui usò la pronunzia spagnola del nome che aveva sentito a Carlos:
“José ! S’il vous plâit, prenez vous mon sac ? Merci !”
“Mon sac ? Il vostro sacco dite ?”
“Sì José, mon sac !...lo mio… sac-cò !”
Giuseppe saltò di nuovo a terra, e si diresse dietro per portare il sacco-bagaglio alla ragazza. Odette sorridendo ad Addolorata frugò dentro, e ne prese delle monete; contò trenta lire, poi cambiò idea, ed arrivò a cinquanta. Fece per darle all’uomo, ma questi le fece cenno verso la moglie, che pronta li accettò, e dopo aver dato un morso ad un paio di monete per saggiarne l’autenticità, se le sistemò con una certa rapidità sotto la vita, in una tasca segreta personale nel suo vestito di donna. Odette prese la parola per chieder loro in un italiano stentatissimo:
“Pouvete vous me ospitèr solò per cetta notte ? Me, io pagare voi per questa cossa !”
Addolorata, riaddolcita da quel pronto risarcimento monetario per lo sforzo dei cavalli le disse incuriosita:
“Ma voi signorina chi siete ? Dove stavate scappando ? Perché dovremmo ospitare voi ?”
“Je m’appel Odette ! Je dois aller à…à Otrantò cette nuit… je voudrais passer avec vous cette journée, io og-gi, cum voi, oggì solemènte ! Io paga vous per stare casa votra cum vous, mangèr, sì ? Puì à la soirèe, noi partir per Otrantò ?...Sì ? Autre cinquante lires… ça suffit ?”
Giuseppe e Addolorata si guardarono l’un l’altra, e la moglie gli fece cenno che avrebbero accettato: cento lire erano sempre cento lire; cento lire extra, e senza comunicarlo alla gilda dove avrebbero detto loro di dirottarla presso una pensione, onde non trarne un imprevisto guadagno personale, che li avrebbe potuto rendere un tanto più ricchi, squilibrando gli assetti economici nel piccolo comune. Quel guadagno, metà del quale già nelle mani di Addolorata, non se lo sarebbero fatto tassare. Il patto venne siglato con cenni d’intesa. Odette restituì le redini dei cavalli al legittimo padrone del calesse, poi gli diede un bacio casto che lo fece arrossire; per giustizia ne diede uno identico alla moglie di lui. I tre si diressero a Muro; Addolorata si raccomandò con Odette che comprendeva sì e no un terzo delle sue parole quando pure le capiva…
“Odetta, lasciate parlare me con gli altri ! Noi abbiamo un solo figlio maschio di quindici anni, pieno di certi amichetti sui…parleranno moltissimo…voi siete la figlia di mia cugina di Capo Leuca, intesi ?! Siete nostra ospite ! Non direte a nessuno, e dico a nessuno, neppure a nostro figlio Bartolo – che si chiama Bartolo, sapete ?! – che ci state pagando. Quando arriviamo mi darete le altre cinquanta lire, va bene ?!”
“Bien ! Ça va !”
Odette, contenta di essere ormai fuori dalla portata degli spagnoli e del loro cappellano cattolico, sorrise, ad Addolorata che non aveva troppo gradito il bacio, comunque casto, al marito…
“Savà, savà… che io forse ho capito che mestiere fate ragazza mia ! Sapete, lo vidi stamattina il soldataccio con la barba incolta ed il pizzetto ! Lì al campo non potevate restare, se no non finivate più di soddisfarli tutti, quella soldataglia con le loro fave sporche...mica il batacchio di quell’eminenza Ergarius…quello si lavava…no, Giuseppe ?...”
“Addolorata !”
Il marito s’intromise ad interrompere la moglie che stava divagando un po’ troppo con personaggi del loro personale passato. La donna dal sovrappensiero nel quale predicava presa dai propri ricordi e parole libere si riebbe dicendo:
“Ma tu non te lo avevano presentato il vescovo Ergario ?!...non c’eri mica pure tu ?...Lì al ritiro a palazzo prima della Cresima !?”
“No, Addolorata, no, ma non tediamo la ragazza che niente ne sa…e forse a quest’ora ormai sarà anche morto…no?! Su Addolorata !”
“Va bene Giuseppe…ma stavo dicendo Odetta, per cento lire non vi faccio la morale, ma non vi farete disiare da mio marito cara Odetta, ci siamo capite vero ?! Se mio marito vi tocca, io mi tengo i soldi, e voi - sentitemi bene ! - siete fuori !”
Addolorata, fino a quel momento una donna ospitale ed educata, apparentemente sottomessa - e perché no ?! – gradevole, tirò fuori un certo lato deciso del proprio carattere onde fissare alcuni paletti alla loro nuova, e ben inteso, momentanea amica. Forse anche Giuseppe pensava ad un risarcimento “personalizzato” con quella biondina dal corpo adolescente che sapeva di gentilezza con quel che di nordico…
“Addolorata, lo sapete che io ho solo voi ! Non tediamo la signorina che s’era già agitata non poco…”
“Zitto voi, marito ! E conducete il calesse, voi ! Che, da questo momento fino a stasera, qui comando io !”
Giuseppe incuriosito chiese alla ragazza:
“Ma non dovevate andare a Tricase ?”
Odette, avendo capito che Otranto era più vicina per i suoi scopi disse sorridendo:
“Oh, oui ! Mais alors je pense qu’il vaut mieux aller à Otranto…”
S’intromise Addolorata:
“Va a Otranto, a Otranto, lasciatela stare marito !”
Odette se la rideva; non aveva alcuna intenzione di recare offesa alla matriarca di quella famiglia, ma chiaramente quella donna aveva compreso cosa faceva Odette per vivere; tuttavia cento lire nette esentasse: sarebbero occorse nove settimane per metterle assieme; per quel giorno avrebbe fatto da madre, e da ospite, alla gentil signorina…

Non appena Giuseppe col suo calesse arrivò al paese, dove essendo mastro fornaio aveva potuto prendere in affitto una casa di pietra tufacea bianca vicino la piazza, la signora Addolorata scese e fece scendere Odette, che a sua volta ebbe cura di prendersi il proprio bagaglio rimasto sul retro del calesse. La signora fece cenno al marito che poteva partire per recarsi a bottega, o meglio al proprio forno per provvedere al lavoro di quel giorno e quella notte, dando al lavorante ed al garzone le istruzioni necessarie. C’era da preparare il lievito, la farina, e da comprare la legna per l’infornata di quella prossima notte. Odette venne fatta accomodare nell’ampio ingresso che faceva anche da stanzone. La famiglia di Giuseppe era benestante poté notare la ragazza. La casa aveva dei mobili ed anche un giardino, benché fosse di sola pietra con una vasca dove lavare le stoviglie o fare il bucato; aveva anche un angolo per fare altri umani bisogni. Addolorata, la matrona di casa fece accomodare Odette nei pressi del tavolo con la tovaglia, e sedute che si furono entrambe, le disse affabile e ferma:
“Cara Odetta, ora secondo i patti vorrei le altre cinquanta lire.”
Odette frugò nel sacco e tirò fuori solo trenta lire dicendole:
“Maintenant seulement trente ! Les autres vingt après le diner ! D’après midi !”
Anche Odette restò ben ferma, e le disse in francese guardandola negli occhi quanto le avrebbe versato precisandole a gesti che al pomeriggio avrebbe saldato la somma pattuita. Addolorata accusò il colpo, e non obiettò. Incassò le trenta lire, che scomparvero tra le stoffe e le pieghe nella sua veste. Odette quindi chiese gesticolando:
“Je voudrais me laver! Peut-on-se laver dans le jardin de pierre ?!”
“Ah, volete lavarvi quindi, e lo vedo che siete bianca in viso…eh, eh va bene, andate pure in giardino a lavarvi se volete…”
Odette si recò in giardino e vide che c’era abbastanza acqua per darsi una lavata intera; tornò al suo sacco e ne prese una spugnetta morbida che teneva sempre con sé, quindi si spogliò informalmente nello stanzone d’ingresso prima di uscire in giardino. Toltasi la veste apparve completamente nuda, come sua madre l’aveva fatta; ad Addolorata venne quasi uno svenimento quando la vide di spalle con quel suo bel culo che solo una quattordicenne o poco più poteva avere. La ragazza in presenza di un’altra donna era a suo completo agio; lo stesso non si sarebbe potuto dire di Addolorata, che esclamò:
“Santa Vergine ! Questa l’ha mandata il diavolo ! E io il diavolo già l’ho conosciuto…Oh Gesù, Gesù ! ”
Diavolo o non Diavolo, Odette era molto bella, con due seni proporzionati ed una graziosa chioma bionda che la ragazza aveva pensato di liberare facendo scendere quei biondi capelli sulla sua schiena bianca e rosea. La ragazza prese un mastello d’acqua da una vasca più grossa, e se lo rovesciò addosso. Erano un paio di giorni che non sentiva sulla pelle dell’acqua dolce. Bagnata si diresse verso la vasca di pietra in cerca di un barattolo che aveva notato, e che probabilmente conteneva della cenere. Ne prese un po’ con la mano bagnata e si strofinò il corpo fino a quando non ne dovette prendere un altro po’ per detergersi un po’ tutta. Addolorata vide che era molto metodica nel lavarsi la vulva col pelo biondo non troppo lungo: si convinse vedendogliela che Odette era una tentazione del demonio. Il suo pelo pubico tra il biondo ed il rosso al naturale era serico e corto; L’anziana ospite della nordica donnina s’accorse che quella di Odette era una vulva curata e bella a vedersi. Lo spacco aveva un aspetto ordinato e le labbra apparivano rosee e carnose. Addolorata sudò freddo attraverso le sue vesti di donna perbene, cattolica e solo con l’età realmente timorata di Dio. Sudò poiché nel volgere di qualche istante immaginò quella vulvetta apparentemente stretta gonfiarsi per accogliere e bagnare di stuzzicanti femminili umori la fava (generosa di natura) di suo marito…

…un lampo della propria memoria la portò indietro di vent’anni, quando i suoi genitori la portarono a conoscere la famiglia del suo futuro marito affinché facesse con il figliolo di uno dei fornari di Muro la ovvia conoscenza; la prima volta Giuseppe non le fece una grande impressione: era un ragazzetto normale dall’aspetto pacioso e socievole, caratteristica questa che avrebbe conservato anche in seguito; si tenne un pranzo tra le due famiglie dove i due da far conoscere scambiarono spezzoni di conversazione; date le generose libagioni messe insieme, e la convivialità dei presenti non ci si annoiò, e tra i due tutto si risolse in una generica promessa di rivedersi; trascorse forse solo una settimana e Giuseppe forse per noia, spontaneamente andò a trovare quella curiosa coetanea che di grazioso aveva solo gli occhi – chiari e verdi – e di curioso un paio di zinnette già di una certa evidenza; un peccato per la statura non elevata: non oltre un metro cinquantaquattro…una certa generosità in fatto di culo e cosce. Con un giro di parole la convinse a raggiungere i suoi amici alla chiesa; Addolorata scoprì, giunti sul posto, che Giuseppe era in realtà da solo, ma avendo egli uno sguardo innocente ed ingenuo si fidò a seguirlo nella corte accanto alla chiesa, dove abitavano conviventi il perpetuo ed il prete in una casa costruita in aderenza alla chiesa. Non c’era nessuno, e coraggiosamente Giuseppe accennò un bacio timido che dopo un secondo divenne solo casto, sulla fronte, che ovviamente la lasciò delusa. Addolorata invece all’epoca era molto diversa da come si era presentata ad Odette. Aveva deciso che Giuseppe sarebbe stato il suo fidanzato, e quindi di lì a poco quasi sicuramente suo marito: prese decisa per mano Giuseppe e se lo portò dietro fino a dare le proprie spalle al muro; quindi fermato Giuseppe davanti a lei, lo baciò in bocca facendogli capire cosa intendeva lei per un bacio; soprattutto qualche istante dopo quando gli stava sciabolando in bocca la lingua in cerca di quella di lui. Giuseppe, teso come la corda di un arco, fornì timidamente la sua lingua a quella esploratrice di lei, poi Addolorata spontaneamente mise le sue mani in basso ai pantaloncini del suo amichetto, ormai già da qualche istante il suo ragazzo, e si assicurò di trovare un duro bozzetto in crescita, ed…indurimento. L’esplorazione palpeggiante di Addolorata diede l’esito sperato e, decisa mentre lui si godeva come piacevolissima novità la sua lingua e la bocca (famelica), gli prese quella fava di carne indurita in mano avvolgendolo e stringendolo, e dopo un paio di tiri, se lo portò dentro la casa della corte, la cui porta era solo accostata data la nota povertà dei conduttori del piccolo appartamento. Giuseppe era spaventato dato che stavano entrando in una casa di cui non sapeva niente. Addolorata gli disse che il perpetuo della parrocchia, in quel momento assente, era suo zio, e che doveva star tranquillo…e mettersi nelle sue mani. Non sarebbe loro accaduto nulla, anche se li avessero sorpresi lì dentro. Addolorata sapeva comandare, e senza mollare la presa da quella fava di carne che sentiva pulsare per via della sua stretta nel palmo, portò Giuseppe sul letto della casa, e qui tiratasi su la gonna offrì il suo sesso ben peloso scuro alla vista di Giuseppe che d’istinto lo toccò più volte accorgendosi che si bagnava movendo le dita o la mano per carezzarla. Addolorata dopo un po’ di maldestre carezze qualsiasi di lui su quella sua ampia vulva lo fece abbassare sul letto. E prima che Giuseppe potesse rendersene conto la bocca di lei aveva già “mangiato” cappella ed asta andando su e giù, più e più volte velocemente e lentamente, poi di nuovo velocemente e con i denti. A Giuseppe, sconvolto per quella pratica esperta della compagna adolescente al pari di lui che la osservava metodicamente infoiata sul suo…cazzo sembrò che il cuore volesse uscirgli dal petto non appena lei piazzava la sua lingua calda e piena di saliva sopra la cappella, lì al centro da dove gli uscivano pipì e, da qualche tempo, anche il biancastro e denso seme caldo, che dava – scoprì il ragazzo – molta soddisfazione ad espellerlo. Il primo bocchino della sua vita, e da una ragazza coetanea per giunta ! La sua mente sconvolta non ebbe né il tempo né il desiderio di chiedersi dove questa ragazza un po’ pingue e appena carina avesse imparato certe pratiche…e certo non a messa dove i suoi genitori lo portavano, volente o nolente. La presa in mano della sua asta, leggera per carezzar col palmo caldo, era esperta quanto quella in bocca: sicura e arricchita dalla mobile lingua. Nel frattempo gli si presentò una nuova piacevole sensazione: le palle gli si stavano indurendo, tanto che in qualche istante gli sembrò che nemmeno se le sentisse; le carezze istintive di lei alla pelle di quegli ormai duri testicoli però gli avevano indicato che le aveva ancora, e piuttosto attive quanto a circolazione interna. E mentre il suo cazzo duro svettava, verticalizzato dalla lingua rapida e continua di lei, Addolorata si fermò; e dopo aver di nuovo rimboccato la gonna fino al petto, mise la sua relativamente grande vulva, già dilatatasi un poco di suo, sopra quella cappella dura; e Addolorata prima che la mente di Giuseppe comprendesse ciò che i suoi occhi vedevano…s’impalò da sola…lasciandovisi cadere ! Dalla carne vellutata dell’appoggio sulle pieghe al caldo e bagnatino infernetto interno. Giuseppe conobbe in un istantino ino ino, mai abbastanza lungo, quanto fosse piacevole il contatto col sesso femminile, caldo, bagnato, e – non l’avrebbe mai sospettato – così accogliente, - no ! - accoglientissimo. Grazie alla piacevole caduta di peso di lei, il cazzo del giovane timido era stato ingoiato tutto. Giuseppe non se lo chiese mai il motivo per il quale quella sua coetanea vergine non le era apparsa…un’entrata liscia e facile che il coetaneo ebbe ad apprezzare dopo le prime pippe della pubertà. Un colpo di fortuna ! Quel che poteva vedere Giuseppe era solo il pelo di lei, e solo se di fosse concentrato ad osservarla avrebbe potuto focalizzare le labbra carnose della sua generosa vulva che si erano gonfiate per l’eccitazione, e la gradita intrusione. Su e giù, su e giù ! Quante volte ? Dieci, venti, trenta ? Boh, che importava era così bello sentirla respirare quella ragazza così svelta a cavalcar quel palo… Addolorata però era una ragazza avveduta, e ad un certo momento tolse il contatto lasciando delusa anche la propria stessa vagina eccitatissima; sentendo il cazzo di lui ancora verticale e duro, lo fece alzare afferrandolo per le braccia dopo averlo ella stessa scopato da sopra; lo baciò di nuovo carezzandogli la cappella, poi messasi da sola in posizione animalesca sulle ginocchia invitò Giuseppe ad entrarle nel retto allargando ella stessa le natiche. La vista del roseo buchetto “nuovo” eccitò il compagno, che diede spontaneamente un paio di colpi con la cappella, ottenendo col secondo l’ingresso nel culone di lei. Addolorata non se lo poteva immaginare, ma il suo sverginamento anale era stato piuttosto goffo. Quel buchino dall’aspetto timido, ad anello, s’accorse in quegli strani istanti di esaltazione il giovin Giuseppe, non favoriva troppo l’intrusione; tuttavia insistendo nemmeno la impediva: d’istinto assicuratosi che la cappella fosse ben scoperta, la appoggiò correttamente con il lobo sinistro un po’ di lato rispetto all’ano, quindi spinse con un colpo di reni ben dosato mantenendo la deviazione; il lieve schiacciamento da un lato di quel muscoletto determinò la sua cedevolezza momentanea al centro, e la forza con cui la sua cappella dura era stata sospinta, ne causò l’entrata nel retto seguita dalla voce strozzata di Addolorata.
“Huhn !”
Il tutto era durato due secondi, non di più; era dentro, al di là di quel buchetto pronto, stretto tra le nuove carni, a cogliere quelle sensazioni fulminee ed intense della vagina; s’accorse il giovane ometto che lì dietro l’unica sensazione piacevole era la stretta sulla cappella, ed i respiri sofferti di Addolorata, la quale onde incoraggiarlo gli disse a bassa voce, ma con una certa intensità emotiva, di ficcarcelo dentro tutto, letteralmente tutto quanto; poi di muoversi e di sbatterla bene...
“Ahn ! Ahn ! Ahn !”
“Hummh ! Hummmh ! Dai, dai ! Ancoraaaa-aaaah ! Eh su ! Dentro, dentro tutto, dai ! Huh ! Sì !”
“Ahnn ! Ah ! Ah ! Eccooooh ! Ahnnnn!”
“Ahi ! Sì ! Ahi ! Insisti Giuseppe, insisti ! Devo sentirlo !”
“Ahnn ! Male, vero ?! Ahhh !”
“Macché ! Dai ! Huh !”…
Giuseppe eseguì, ma caricando e rilasciando, forse per un minuto, esaltato dalle richieste della sua posseduta, e poi un altro minuto spingendo più a fondo, in altri cinque o sei colpi - gli ultimi - venne dentro di lei tenendola ben salda per le anche affinché neppure una goccia andasse fuori. Il coito anale non era bello come quello vaginale; cionondimeno lo mantenne. Addolorata fu ben felice di sentirsi innaffiata senza pericolo di una gravidanza…inopportuna. Le volte successive la loro intesa sessuale migliorò; ad Addolorata il rapporto anale non dispiaceva visto il duro cazzo del suo giovane lui. Col tempo sarebbe cresciuto di dimensioni, e Addolorata per parte sua si sarebbe abituata alle nuove misure: prima davanti e con ovvia gioia…e poi anche dietro. Si videro segretamente fino a quattro volte la settimana, nonostante la loro adolescenza, e consumavano d’istinto da adulti, con lei a decidere dove avrebbe accolto il seme di lui, che altre volte ebbe anche a bere… la loro intesa finì per saldarsi quando, complici l’una dell’altro, Addolorata (di sol nome, non di fatto !) confidò un suo piccolo segreto al suo Giuseppe, il quale dopo la spiegazione prima sudò freddo, poi ne rise e baciò la sua ragazza: durante le loro copule - rese ancora più intriganti dalla loro giovane età – o meglio alla fine di esse, usava “venire” una terza persona che si teneva, nascosto, sempre a debita distanza senza disturbare la coppietta: lo zio di Addolorata, lo zio Caponero, il perpetuo che “li ospitava”, a causa della visione del vero-far-sesso della coppietta si masturbava abbondantemente osservandoli, e come ovvio cercando di venire insieme a loro…si teneva dietro il muretto facendo un teso capolino per poi sparire dopo l’eiaculazione, della quale restava traccia alla parete esterna della stanza; ufficialmente non ci si parlava né si toccava mai l’argomento; però quando lo zio incontrava in chiesa la nipote Addolorata, le dava quasi sempre davanti a sua madre (propria ignara sorella) tre piccoli soldi che la ragazzetta poi offriva alla parrocchia durante le elemosine di fine messa lasciandone cadere uno solo - e ad arte - affinché facesse rumore; in realtà due di quei tre soldi restavano a lei, senza che sua madre sospettasse. Era piuttosto brava ad occultare le monete, e lo sarebbe rimasta tutta la vita. Dopo un anno e mezzo di quel sesso “col terzo auto-escluso” il gioco dovette per forza finire: il prete, il quadrato Don Lorenzo, dopo averlo cercato senza trovarlo in parrocchia, andò a casa e – manco a dirlo - sorprese il perpetuo a spiar la coppietta che era fortunatamente ancora ai preliminari…

…per i due adolescenti tolleranti complici del perpetuo Caponero non fu difficile fingersi sorpresi (oltre che seccati) e, dopo essersi con un certo imbarazzo “scusati” con Don Lorenzo per la loro nudità, si rivestirono e si misero ad insultare e canzonare il loro silente amico, che poté almeno occultare al prete che li pagava da tempo per poterli guardare…dovettero trovare altri posti per le loro copule, per quelle più toste almeno. L’appartamento privato che lo zio Caponero conduceva con Don Lorenzo non potevano più usarlo. Don Lorenzo era intelligente e il più delle volte aveva fatto finta di non sapere (in fondo usavano copulare nel letto del perpetuo, non nel suo) ritenendo Caponero in buona fede quando una volta gli accennò che prestava l’appartamento “ogni tanto” alla nipote adolescente affinché non facessero brutti incontri lì fuori nella campagna tra sbandati, briganti e qualche pirata saraceno “mordi e fuggi”; poi però Don Lorenzo volle vederci chiaro…se si fosse accorto di quanto lussuriosa era Addolorata non le avrebbe mica bevute le false ammissioni ipocrite del perpetuo, lo zio Caponero. Lo zio non avrebbe mai osato toccarla; però la pagava affinché si lasciasse guardare da un paio di metri dietro il muro. Lo zio, nel suo sincero egoismo, ignorava quanto rapidamente era cresciuta la nipote…Ed infatti dopo il piccolo segreto Addolorata finì, per lealtà al suo futuro marito, per confidargli anche quello grande, ai limiti dell’inconfessabile, ma che gli avrebbe spiegato la sua abilità nel sesso: due anni e mezzo prima di conoscere il suo Giuseppe, Addolorata era stata abusata e sverginata con mefistofelica abilità da un sedicente vescovo cattolico, in verità un bell’uomo, di nome Johannes Adam Ergarius, proveniente dal nord Europa, ma auto-adottatosi italiano e romano fin dalla giovinezza, mercé l’essere il nipote per parte di madre di una principessa toscana sposata ad un principe sassone… era un uomo abbastanza giovane, sui quaranta o poco meno, biondo, dai lunghi capelli, in quei giorni nei pressi della Terra d’Otranto intento a visitare privatamente le diocesi del vicereame; capitò che si trovasse in cerca di un posto dove dormire proprio durante il “ritiro” che precedeva la cresima organizzato dai preti del catechismo quell’anno presso la villa di un ricco signore del luogo, che fu ben felice da cattolico qual era, di metterla a temporanea disposizione non tanto della diocesi, quanto di quei preti; tutto sembrava ben organizzato, ma il diavolo ci mise la coda: la sorveglianza dei cresimandi in ritiro infatti accusò delle impreviste falle: la visita di un vescovo imparentato con la nobiltà aveva assorbito del personale maschile fra i preti del ritiro, personale poi congedato dal vescovo Ergarius con la facile scusa di portare a Otranto, presso la sede vescovile, delle sue personalissime, urgenti nonché improcrastinabili ambascerie, sotto forma di lettere sigillate da recapitarsi a mano da parte dei preti organizzatori del ritiro, l’uno all’insaputa dell’altro, in tempi lievemente diversi affinché non s’incontrassero…il primo giorno i preti furono felici d’essere onorati della visita di un vescovo importante, e che certo non trasudava né modestia, né povertà. Questi considerò quei modesti preti senza esperienza dei sudditi, e prontamente ordinò loro di chiamare un paio di suore affinché assistessero le ragazze. In apparenza il suo ordine era moralmente impeccabile, e per le ragazze cresimande in ritiro infatti vennero inviate due suore, due sole, di cui una vecchia, malata, e sonnacchiosa, di nome suor Clotilde, ed una più giovane ed efficiente, suor Evelina, che sorvegliavano i ragazzi di ambo i sessi; stupidamente non si pensò a congedare le femminucce rimandandole a casa loro; né a separarle troppo dai maschietti presenti se non per la notte, venendo fatti dormire nelle ali opposte della villa a pianta di pi greco. La verità era che le due suore non avevano bene idea di cosa dovessero fare con il loro lavoro, e neanche con quell’ingombrante ospite del piano di sopra piuttosto a suo agio a impartire benedizioni, e mettere talvolta delle distanze, organizzare delle messe dove ipnotizzava i suoi fedeli con la sua abilissima, calma, e sicura loquela in latino, senza alzare la voce, ostentando la ricchezza materiale del suo vestire e le sue teatrali pause ad effetto durante l’omelia in…italiano: una relativa novità per i ragazzi abituati a vedere le toghe lise dei preti, cocciuti interpreti del concetto di povertà più volte confuso con quello di sciatteria; i più ingenui si ritennero dei fortunati a vedere il loro “ritiro” benedetto e sorvegliato da un vescovo importante che veniva niente meno che da Roma, la città del Papa… dopo la pausa per il frugale pranzo (dei ragazzi) un certo Paolo, un suo coetaneo piuttosto bonario, ai limiti del marchio di tonto, la avvicinò per comunicarle che quel vescovo straniero biondo, che il primo giorno aveva suscitato la curiosità dei ragazzi del popolo lì presenti, e che più di ogni altra cosa aveva spopolato con gli sguardi d’attrazione e gradimento delle ragazze per la sua bellezza personale aumentata dai paramenti, dopo aver parlato con lui di persona pochi minuti verso la fine del desinare chiedendogli come si chiamava, e chi fosse la sua famiglia (modestissima), gli affidò un’ambasceria personalissima, riguardo alla quale, sotto pena di “piccola scomunica senza diritto alla Cresima”, doveva mantenere il segreto più assoluto: senza dirlo alle due suore, Paolo dopo essere riuscito a parlare da solo con Addolorata, le disse che “avrebbe stato” – parole dell’umile Paolo – felice di conoscere da vicino proprio lei: Addolorata; le disse di non aspettare suor Evelina, che era – a suo santissimo giudizio - troppo severa con le ragazze, e di andare subito di sopra, presso i suoi appartamenti che era importantissimo…

Paolo, una mezza ricotta, era religioso fin troppo: il tipo che nella religione trovava il rifugio per la sua deficienza all’apprendere a scuola, le precisò entusiasticamente che il vescovo Ergarius, un vero Principe della Chiesa, quel privilegio lo concedeva a pochissimi…e con la sua speciale intercessione si poteva avere come angeli custodi le persone più importanti del Paradiso, anche per i propri cari. Quelle anime in contatto onirico esclusivo con lui si sarebbero erte a protezione delle persone indicate dal vescovo. Addolorata ingenua e timorata più degli uomini di Chiesa, che da Dio, del quale aveva un’idea tutto sommato paterna benché sfumata e de-personificata, si fidò, e mossa anche da un’imprudente curiosità, salì da sola al primo piano dov’era - a quanto sembrava – veramente attesa: un uomo bello ed alto, sorridendole da dentro, le diede il benvenuto invitandola ad entrare dopo che Addolorata ebbe scostato l’uscio:
“Salve, tu devi essere immagino…”
Addolorata indossava un saio modesto, chiaro, senza orpelli, che la faceva sembrare un piccolo frate…di sesso femminile. Il vescovo Ergarius, intuendo chi potesse essere, visto ch’era senza la scorta di Suor Evelina stimolò la ragazzetta ancor timorosa a presentarsi da sola.
“Addolorata ! Paolo mi ha detto che mi aveva fatto chiamare…eni-enimenza…io…”
L’uomo le tese la mano, e gliela strinse cordialmente. Le sembrò dapprima un privilegio, ed infatti venne fatta accomodare in un ampio stanzone illuminato dalla finestra aperta da un uomo di mezza età biondo, pulito, profumato, e ben piazzato nel corpo; portava i capelli lunghi, pettinati e volumati; gli occhi dolci allo sguardo, fermi, attraenti, ed azzurri come fosse un nobile cavaliere da favola. Indossava un camicione bianco di cotone stirato a dovere, che gli scendeva lungo e portava un crocifisso ligneo e dorato appeso al collo ben evidente. I suoi paramenti religiosi giacevano ripiegati debitamente tra le sedie ed il mobilio della stanza. Ai suoi piedi delle silenziosissime pantofole vellutate. Complessivamente sembrava un uomo modesto, ed al tempo stesso di quelli che non si facevano mancare nulla a giudicare dal vassoio di libagioni dolci che si era fatto portare in stanza. Sulla cassa infatti c’era un vassoio con dei biscotti piuttosto elaborati; notando che Addolorata li aveva guardati gliene offrì un paio. La ragazzetta li accettò di buon grado.
“Tieni Addolorata, ma si dice Eminenza, non enimenza ! Comunque, già che sei giunta fin qui, vieni avanti Addolorata. Sei venuta da sola ? Sono buoni ? Ti piacciono ?”
“Sì, eminenza. Alla sorella Evelina niente ebbi a dire…munch, munch, sono buoni enimenza !”
“Brava, brava. Sono contento che ti piacciano…e così hai saputo venire qui da sola. Ma non ti ha accompagnato nessuno ? Proprio nessuno ?”
“No, eminenza. Nessuno. Paolo mi aveva detto che lei, enimenza voleva vedermi, e che mi poteva far proteggere dai santi più importanti del paradiso…”
“Sì, in effetti ho questo potere, infatti essi mi appaiono spesso in sogno, e mi chiedono d’indicar loro le persone da proteggere…”
“Io invece non li sogno i santi signor vescovo…”
“Questo è naturale, stai tranquilla. Senti, sei sicura che nessuno ti abbia visto arrivare fin qui da sola ? Non vorrei che suor Evelina ti punisse…è sempre così severa…”
“No, ha da fare con Roberta e Armando che hanno bisticciato e si sono menati…”
“Menati ?”
“Sì, Armando ha schiaffeggiato Roberta perché non voleva finire tutte le preghiere del mattino.”
“Ah ! E lui le tirato degli schiaffi ?!”
“Sì perché ha detto che Gesù la stava vedendo che non voleva pregare…”
“Uhm, hai visto Armando…però che tipo !”
“Glielo vado a chiamare enimenza ?!”
“Oh, no ! Da quello che mi dici Armando è piuttosto aggressivo…e ciò non è un bene, proprio per niente !”
“Magari se glielo vuole andare a dire che è aggredi..tivo, lo vado a chiamare ?!”
“Ma no, mia cara. Lasciamo che sbollisca, meglio se non lo avvicini, sai…”
“Mah…io…enimenza…boh !”
“Gradisci degli altri pasticcini ?...dai, prendine altri ! Mi sono accorto che ti piacevano. Ecco tieni, prendili !”
“Ma non ci ha il peccato del troppo con le buone cose di sapore enimenza ?”
“Quello di gola, certo. Ma c’è un peccato più grande: lasciare questi piccoli beni del creato e dell’abilità della cuoca, ai topi…!”
“Buoni, munchm, munchm…hmmm, buoni, sì enimenza !”
“Ogni tanto dì anche grazie, però…”
“Gnaaammm, munchmmm, uhmch, mhnmm buoni…che ?...”
“…”
Improvvisamente il vescovo assunse un atteggiamento guardingo, serio, come se cercasse qualcosa a mezz’aria a tentoni, poi tornò più rilassato e rivolgendosi ad Addolorata disse drammaticamente:
“Eccolo ! Di nuovo ! Lo sapevo ! E ti pare che ci rinuncia !? Maledetto, dove ?!...Sì ! È qui ! Tra di noi, sono sicuro che è qui !”
“Qui chi enimenza ?”
“No, niente ! Eppure mi era parso…ma dov’è ?...”
“Cosa ?”
“No, non capiresti ! Lo spiritismo non è cosa da cresimande ! Dov’è ?”
“Cercate qualche cosa enimen…”
“Non ti ha seguito nessuno, vero ?!”



- continua -

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