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DALIA - Cap. 14: Nel vortice della depravazione


di DonEladio
09.02.2014    |    25.052    |    3 9.9
"Dalia, invece, non sembrava accorgersi affatto delle attenzioni dei suoi giovani nipoti, era troppo impegnata a provocare loro padre, ogni pretesto era..."
Le giornate in casa nostra ormai avevano assunto contorni surreali fin dal primo mattino: tutti i santi giorni salutavo Dalia sulla porta d’ingresso, percorrevo il pianerottolo con la bimba per mano e incontravo puntualmente il sig. Alemanni e il sig. Gatti che fingevano di chiacchierare del più e del meno, ricambiavo insofferente il loro stucchevole buongiorno e li vedevo con la coda dell’occhio avviarsi verso casa mia; giusto pochi secondi per permettere a mia moglie di sfilare la vestaglia e accoglierli in casa già completamente nuda come piaceva a loro (e a chi non sarebbe piaciuto?), porgeva loro a sua volta il buongiorno consentendo alle loro mani rugose di esplorare liberamente ogni angolo del suo corpo e alle loro lingue viscide di farsi largo tra le sue labbra; poi offriva loro il caffè, si faceva palpare un altro po’ e sempre più spesso ci scappava anche un pompino. Una parte di me non si stupì affatto una mattina nel vedere un altro condomino insieme a loro: un altro pensionato (a parte una giovane coppia di marocchini con un bimbo neonato, la palazzina era abitata da tre coppie di pensionati, una vecchia vedova e, ovviamente, noi), il sig. Santoni, che da sempre completava il trittico con gli altri due e che in effetti mi chiedevo come mai non fosse stato ancora informato dai suoi compagni di merende a proposito del giocattolino che si erano procurati; venni a sapere che inizialmente ci mise un po’ a superare la paura di farsi beccare da quella strega della sua consorte, ma alla fine inevitabilmente capitolò e decise di correre il rischio e non farsi scappare quel bocconcino di mia moglie.
Nel giro di pochi giorni casa mia diventò una specie di circolo per pensionati pervertiti: il caffè diventò sempre più lungo, poi ci scappava la sigaretta con l’ammazzacaffè, vuoi non fare una partitina a scopa d’assi, mentre ci sei? Quello che erano abituati a fare al circolo ARCI del paese dalle 8 alle 12, continuarono a farlo a casa mia, serviti da mia moglie sempre nuda che offriva generosamente le sue intimità alle loro mani e alle loro lingue e la sua bocca ai loro piselli; Dalia mi raccontò che tutto sommato era meno peggio di quanto avesse temuto: dopotutto i tre si comportavano sempre in maniera molto educata e gentile nei suoi confronti (Alemanni un po’ meno, ma Dalia sapeva che finchè gli dava quello che voleva non avrebbe avuto motivi per essere scortese), nella maggior parte dei casi si concentravano a leccarle la passera e toccarle tette e culo quando li serviva ai tavoli, le chiedevano di sedersi sulle loro gambe e farsi accarezzare, i pompini erano una formalità dato che quando cominciava a succhiargli i cazzi mezzi duri questi erano già così arrapati che venivano nel giro di un minuto o due; il più impegnativo era Alemanni, che aveva mantenuto un minimo di virilità in più degli altri e che riusciva a farsi fare un pompino quasi degno di questo nome. Per contro, cominciarono ad offrirsi di aiutare Dalia quando ne nasceva la necessità: dal sistemare il rubinetto che perdeva, al cambiare la lampadina fulminata, al dare una sistemata al giardino, non ho mai avuto la casa perfettamente in ordine come in quel periodo! Trascorrevano la mattinata in questo modo, poi, verso mezzogiorno, salutavano mia moglie e tornavano dalle rispettive consorti ignare che li credevano al solito bar. Dalia aveva quindi giusto il tempo di mangiare qualcosa, farsi un bagno, cambiarsi e andare a prendere la piccola all’asilo e indossare nuovamente i panni di madre e moglie modello fino a sera, quando, messa a letto Jasmine, mi raccontava tutto per filo e per segno mentre la scopavo con foga.
Questo accadeva tutte le sere, tranne, ovviamente, il venerdì: mio cognato Alfio era stato costretto ad accettare un incarico di lavoro che lo portava a viaggiare all’estero col camion per tutta la settimana, per cui il venerdì sera si presentava carico come mai, sempre in compagnia di qualche collega camionista, a volte gli stessi, a volte nuovi, tanto che cominciai a chiedermi quanto fosse grande la compagnia di trasporti per cui lavorava e quanto ci sarebbe voluto prima che facesse scopare mia moglie da tutti quanti. In ogni caso, i nuovi erano sempre meno, la maggior parte era ormai alla quarta o quinta “presenza”, per cui avevano cominciato più o meno tutti a prendersi una certa confidenza; chi portava le birre, chi un salame, si svaccavano sul mio divano nudi trascinando Dalia per i capelli in ginocchio per farsi spompinare mentre smozzicavano sul pavimento parlando di calcio o politica, mangiavano e bevevano e fottevano mia moglie senza ritegno, senza nessuna premura; tanto erano gentili i vecchietti al mattino, tanto erano rudi i camionisti il venerdì sera: incitati da mio cognato, che continuava a comandare come fosse casa sua e roba sua, trattavano Dalia nel peggiore dei modi, come la più lurida delle prostitute. Presero l’abitudine di legarle le mani dietro la schiena così da impedirle di aiutarsi con le mani quando la scopavano in gola facendola soffocare, le infilavano quei cazzi puzzolenti e nauseabondi in bocca fino alle palle e le bloccavano la testa con una mano mentre con l’altra le tappavano il naso fino a farle mancare il respiro, poi la liberavano e ridevano di gusto nel guardarla recuperare ossigeno sull’orlo dei conati di vomito; gli insulti si sprecavano, si rivolgevano a lei esclusivamente come cagna, troia, baldracca, vacca da monta e qualsiasi ignominia possa venirvi in mente, così come rudi erano i modi: la schiaffeggiavano continuamente sul viso, sulle tette e sul culo, la tiravano per i capelli e le infilavano tre, quattro dita sudicie in bocca, poi le estraevano e le sputavano dentro; Alfio le comprò un plug anale ordinandole di infilarselo nel culo prima che arrivassero e di tenerlo lì fino a ordine contrario: Dalia trascorreva tutta la serata con quel coso tra le chiappe che le veniva sfilato soltanto quando decidevano di divertirsi infilandoci oggetti di varia natura (principalmente colli di bottiglia di birra o di vino) o, ovviamente, i loro cazzi; la figa ormai non glie la sfioravano quasi più, per tutta la serata si limitavano esclusivamente a torturarla, scoparla in bocca e incularla selvaggiamente; col tempo e con l’allenamento, Alfio riuscì a portare il culo di Dalia a una dilatazione tale da prendere anche due cazzi insieme; era una cosa che avevo visto fare solo alle migliori pornostar su internet e mai avrei pensato di vederlo fare a mia moglie e invece eccola lì, sdraiata tra due sconosciuti che le sfondano il culo in contemporanea tra gli ululati degli altri, mentre i piedi nudi le dondolano senza vita avanti e indietro e quel porco di mio cognato in piedi sul divano le sbatte il cazzo sulla faccia mentre fuma una sigaretta…
Dalia dal canto suo sembrava ormai schiava, di sè stessa più che di Alfio: ormai aspettava il venerdì sera con eccitazione crescente, e quando arrivava si godeva quella scorpacciata di cazzi fino all’ultima goccia di sperma, abbeverando con essa una perversione che appariva ormai senza fondo; accettava con entusiasmo il suo ruolo di schiava sottomessa a quei buzzurri schifosi e traeva enorme soddisfazione dall’essere umiliata e dominata da loro; la mia perversione ci aveva portati in un precipizio senza fine, nel quale più affondavamo e più scoprivamo che ci piaceva, e più ci piaceva e più eravamo attratti da ciò che poteva esistere di più torbido e proibito. La fissavo rapito mentre si faceva sodomizzare per ore, il primo si svuotava le palle nell’intestino di mia moglie e il secondo ne prendeva immediatamente il posto facilitato dalla sborra del precedente, una volta finito coi giochetti e decidevano che era il momento di fare sul serio, cominciavano ad incularsela violentemente e andavano avanti senza sosta finchè lei cadeva in quella sorta di stato catatonico che le avevo visto dipinto in volto dopo la gangbang in officina con Alfio, Max e i tre meccanici, e ancora se la inculavano e la scopavano in bocca e le davano pacche sulle natiche e le mungevano le mammelle e la riempivano di sperma che le colava dappertutto fino a lasciarla esausta e priva di sensi sul pavimento di casa. Poi finalmente sembrava che la loro voracità le desse una tregua (fino alla prossima volta) e se ne andavano, permettendomi di restare finalmente solo con lei: e mi bastavano ancora pochi colpi di mano ammirandola nuda e stravolta e sfondata e gocciolante sulle piastrelle, svenuta ma soddisfatta, distrutta ma felice, per finire di masturbarmi per l’ennesima volta e unire il mio sperma a quello di tutti gli altri sul suo corpo. Poi la prendevo in braccio e la portavo a letto, addormentandomi al suo fianco respirando l’odore di sesso che emanava, rimandando il bagno all’indomani mattina.
Questa situazione andò avanti per qualche settimana, in casa mia c’era un viavai degno di un bordello d’altri tempi, con l’unica differenza che l’unica troia a disposizione era mia moglie. Dalia, non appena era sgravata dalla responsabilità di madre, si trasformava e diventava una zoccola disposta a tutto, sempre pronta a soddisfare le proprie voglie e quelle di chiunque ne volesse approfittare, senza il minimo freno o pudore: una mattina si svegliò con una fregola inarrestabile tra le gambe, che non venne di certo soddisfatta dai tre vecchietti con le loro mani ossute; la toccarono, la leccarono, ma quel giorno mia moglie aveva il fuoco dentro e aveva bisogno di cazzo, non di palliativi: cercò di farsi scopare dal sig. Alemanni (mai erano andati oltre i pompini) e riuscì a farglielo venire duro a sufficienza da impalarcisi sopra, ma non fece in tempo nemmeno a scaldarsi che quello le venne dentro in pochi secondi non ottenendo altro che amplificare la sua frustrazione. Fu in quel preciso istante che suonarono al campanello e Dalia la sera mi confessò che il primo pensiero fu “Chiunque sia me lo scopo sulla porta”; andò ad aprire nuda, con lo sperma dei sigg. Gatti e Santoni sulle tette e quello del sig. Alemanni che le colava tra le cosce e ci mise un secondo prima di afferrare per la cravatta il rappresentante del Folletto, trascinarlo in casa e scaraventarlo sul divano; tra gli sguardi increduli del rappresentante (un ragazzo belloccio dal fisico prestante) e quello dei tre anziani, gli sbottonò velocemente la patta ed estrasse un arnese di dimensioni considerevoli, se lo infilò avidamente in bocca e lo succhiò con gusto giusto il tempo di farlo diventare duro come il marmo, poi gli salì in groppa, se lo infilò nella fica ormai grondante e cominciò a montarlo come un’ossessa; quando il rappresentante cominciò a lasciarsi un po’ andare rendendosi finalmente conto di cosa gli stava succedendo, Dalia lo incitò a maltrattarla e a metterle le dita nel culo mentre se la fotteva, poi, non doma, chiamò a gran voce i tre vecchi che assistevano increduli alla scena, ordinando loro di scoparle la bocca. Il rappresentante si lasciò montare per dieci minuti con tre dita ben piantate nel culo mentre alternava il suo sguardo da quelle meravigliose tettone impiastricciate di sborra che gli dondolavano davanti agli occhi a quei tre cazzi raggrinziti e mezzi mosci che a turno scomparivano tra le labbra di lei, poi di colpo si alzò, le diede una decina di colpi decisi in piedi e la scaraventò sul divano, poi la mise a pecorina e, non prima di averle allargato per bene le chiappe e osservato con ammirazione il buco del culo già dilatato, se la inculò per altri dieci minuti mentre lei continuava a spompinare gli altri. Quando finalmente mia moglie raggiunse il tanto agognato orgasmo, il venditore si sfilò dal suo retto e le sborrò profondamente in gola, facendole ingoiare tutto fino all’ultima goccia; Dalia si lasciò cadere di spalle sul divano a occhi chusi, tremante, poi cominciò a toccarsi delicatamente tra le gambe per prolungare il piacere il più possibile, dimenticandosi di tutto il resto: non si rese conto di quanto tempo era trascorso prima di tornare in sé stessa, dato che, quando finalmente riaprì gli occhi, il rappresentante e i tre vecchi se n’erano già andati lasciandola sola.
“Davvero, non so cosa mi ha preso, non capivo più niente”, si scusò quando la sgridai facendole notare che alla porta poteva esserci chiunque, la moglie di uno dei tre anziani, il postino, il messo comunale… “Hai ragione amore, sono stata una pazza, ma davvero, ero fuori di me, non riuscivo a ragionare… Scusami, non succederà più, te lo giuro…” mugolò accarezzandomi le labbra con le sue mentre con la mano mi apriva la lampo dei jeans e mi tirava fuori il cazzo già notevolmente duro. “Dalia, davvero, non credo che tu abbia chiaro il pericolo che hai corso e che hai fatto correre anche a noi tutti…”, cercavo mio malgrado di mantenere un atteggiamento severo e distaccato, ma fallii miseramente dopo pochi secondi, “Lo capisco invece, ti giuro che starò più attenta d’ora in poi, scusami scusami…” ripetè un attimo prima di prendermelo in bocca e cominciare a succhiarmelo con tale energia da farmi sobbalzare sul divano; “Dalia…oh cazzo…la bambina è di là in camera…”, ma lei fece finta di non sentire, continuò a succhiare senza fermarsi, con una mano faceva su e giù lungo l’asta seguendo il movimento della bocca, con l’altra mi massaggiava le palle, sapeva che ero già tremendamente eccitato dal racconto che mi aveva appena regalato e che non ci avrei messo molto ad esplodere nella sua bocca, cosa che feci nel giro di trenta secondi: ingoiò tutto con passione e diligenza, poi, proprio mentre Jasmine la chiamò dalla sua cameretta, si alzò in piedi e mi fissò con un sorriso sornione; con un dito raccolse un rivoletto di sperma dall’angolo della bocca, lo ciucciò, mi strizzò l’occhio e si voltò dirigendosi verso la camera della bimba sollevandosi la gonna fino in vita mostrandomi il culo nudo.
Cosa era diventata mia moglie? Si, quella troia insaziabile sempre disposta a farsi sbattere sempre e da chiunque come avevo sempre reconditamente sognato, ma adesso cominciava a nascermi il dubbio che fosse in grado di gestire questa sua metamorfosi: il suo bisogno di dare sfogo alle sempre crescenti voglie che la possedevano si impadroniva palesemente di lei ottenebrandone le capacità di giudizio e annullandone il senso del pericolo e dell’autoconservazione.
Ne ebbi conferma pochi giorni dopo, quando dopo la solita inappagante mattinata con i tre vicini, non riuscendo in alcun modo a placare le proprie voglie, cercò un idraulico sulle Pagine Gialle e lo convocò d’urgenza per un’ inesistente rottura di un tubo millantando che le si stava allagando casa; quando questi suonò alla porta lo accolse già nuda (non si era mai rivestita, ormai lo faceva solo quando Jasmine era in casa) e senza proferire parola gli saltò addosso scopandoselo sul tappeto del salotto: quando, non contento del suo racconto, ammirai la scena nel filmato ripreso dalle telecamere a circuito chiuso installate in casa, restai ammutolito dalla foga animalesca con cui montò quel povero idraulico albanese, il quale si lasciò letteralmente travolgere da quell’uragano del sesso senza quasi rendersene conto.
Ne ebbi ulteriore conferma la domenica successiva, quando ci ritrovammo tutti insieme a pranzo dai miei suoceri, noi tre e la famiglia di Alfio, per il compleanno di mio suocero Ignazio; solitamente in queste occasioni si guardava bene dall’apparire altro che una moglie e una madre irreprensibile, ma quel giorno, con la scusa della festa, decise di vestirsi in maniera diversa dal solito: indossò un tubino rosso molto attillato (troppo attillato: si vedeva lontano un metro che non indossava le mutandine) con una scollatura molto generosa (ovviamente non indossava nemmeno il reggiseno) e due lacci che si legavano dietro il collo lasciandole gran parte della schiena nuda: aveva esagerato, quel vestito sarebbe stato provocante pure per una serata in discoteca, figuriamoci per un pranzo a casa dei suoi genitori. Cercai di protestare, ma Dalia minimizzò, rispondendo che non c’era niente di male a vestirsi un po’ carina ogni tanto per un’occasione speciale e che tanto nessuno l’avrebbe importunata trattandosi di un’occasione in famiglia. Lo diceva come se della famiglia non facesse parte Alfio che se la scopava con regolarità ormai da mesi, ma quando stavo per farglielo notare mi anticipò afferrandomi il gonfiore che avevo mio malgrado sviluppato nei pantaloni e fissandomi con un sorriso che diceva tutto senza bisogno di parole. Le reazioni al nostro arrivo a casa dei suoceri furono le più disparate: mia suocera si limitò a complimentarsi con Dalia per la sua bellezza ed eleganza (era una donna in cui la malizia, soprattutto nei confronti della figlia, non aveva mai trovato posto: quanto si sbagliava…), mia cognata Alessia si limitò a un’ occhiataccia e a un commento acido sul fatto che non era una serata in discoteca (la sorella maggiore di mia moglie era la persona più pudica e bacchettona di questo mondo: chissà che infarto le sarebbe preso a sapere in che condizioni si trovava la sorellina durante la nostra ultima serata in discoteca), mentre i maschi di casa… Mio suocero Ignazio l’abbracciò con imbarazzo e distolse subito lo sguardo (era un tranquillo e pacioso pensionato senza alcun grillo per la testa, e probabilmente stentava a riconoscere la sua bambina) e la cosa mi divertì non poco; mio cognato Alfio cominciò immediatamente a mangiarsela con gli occhi (il venerdì precedente era l’anniversario di matrimonio ed era stato costretto a portare a cena Alessia invece che sbattersi Dalia come al solito) e la cosa non mi stupì affatto; la reazione dei suoi figli, i nipoti di mia moglie, invece, fu una sorpresa: a ben pensarci nemmeno tanto sorpresa, perché stupidamente solo in quel momento mi resi conto che Filippo e Thomas, che avevo visto crescere e che avevo sempre considerato solo dei bambini, avevano ormai rispettivamente 16 e 14 anni; io a 14 anni mi masturbavo già da un pezzo, proprio a 14 vidi il mio primo film porno con alcuni amici a casa di un compagno di classe, proprio a 14 anni mi facevo delle gran seghe guardando il corpo di mia cugina… Beh, mi reso conto immediatamente di tutto questo quando vidi il modo in cui i due fissavano la loro amata zietta, cercavano di non dare nell’occhio a noi adulti, ma non perdevano occasione di indugiare in prolungati sguardi nella generosa scollatura di Dalia o di fissarle il culo quando si piegava a prendere i piatti per apparecchiare la tavola o le cosce quando le accavallava sedendosi davanti a loro. Cercavano di far finta di nulla, ma io li avevo sgamati subito e li tenevo d’occhio, non perdendomi né uno sguardo, né un’espressione estasiata, né ogni volta che si davano di gomito l’un l’altro quando mia moglie accavallava le gambe o si metteva in una posizione che potesse offrire loro una visone succulenta delle proprie grazie.
Dalia, invece, non sembrava accorgersi affatto delle attenzioni dei suoi giovani nipoti, era troppo impegnata a provocare loro padre, ogni pretesto era buono per sbattergli in faccia tutto il ben di Dio che non si era preso tre giorni prima, sembrava quasi volesse vendicarsi di lui per averla abbandonata negandole l’ormai consueta monta del venerdì sera con i suoi colleghi camionisti: era un continuo piegarsi a novanta gradi davanti ai suoi occhi, accavallare e scavallare le gambe per mostrargli la figa, chinarsi davanti alla sua faccia mostrandogli le tette per servirgli le pietanze, una vera e propria tortura per lui che moriva dalla voglia di prenderla di peso e sbattersela lì sulla tavola imbandita, ma che era costretto a trattenersi per non tradirsi agli occhi di Alessia. Durante il pranzo si sedette tra me e lui, e non perse occasione di torturarlo maneggiandogli i cazzo sotto il tavolo per tutto il tempo; mio cognato appena poteva infilava sua volta la mano tra le cosce di mia moglie infilandole dentro in paio di dita, entrambi pronti a ritrarsi all’istante al minimo cenno di eccessiva attenzione da parte di Ignazio, Paola o Alessia. A quanto pare soltanto io prendevo in considerazione Filippo e Thomas, i quali, invece, non staccavano gli occhi di dosso dalla loro zia; e di conseguenza fui soltanto io a notare quando Filippo, il più grande e sgamato dei due, fece cadere il tovagliolo per terra e si piegò sotto il tavolo per raccoglierlo; fu lestissimo e non mi diede il tempo di intervenire (in che modo avrei potuto farlo,
poi?); probabilmente voleva accaparrarsi giusto qualche altro secondo di visione delle cosce nude della zia, ma quello che vide fu la mano destra di suo padre farsi largo nella sua passera nuda e gocciolante: rimase con la testa sotto il tavolo qualche istante più del previsto, poi si rialzò con uno sguardo incredulo; Dalia era troppo presa dal ditalino che stava ricevendo per accorgersene e Alfio discuteva animatamente con Ignazio per dissimulare la cosa, pertanto fui nuovamente soltanto io a notare Filippo che, dopo qualche secondo per riprendersi dall’ inattesa visione, invitò il fratello minore ad imitarlo; ormai c’era poco da fare per evitarlo, così osservai Thomas chinarsi a sua volta sotto il tavolo e ricevere la stessa visione di Filippo; fu proprio il fratello maggiore a tirarlo su per i capelli quando vide che questi sembrava non riuscire più a riemergere, poi gli cacciò un pugno sul braccio con uno sguardo di rimprovero del tipo “Scemo, vuoi farti beccare?”.
Da quel momento il modo in cui guardavano la zia Dalia cambiò radicalmente, e non potei fare a meno di notare come si strusciarono maliziosamente sul suo corpo abbracciandola calorosamente quando arrivò l’ora dei saluti. Nel momento in cui ci apprestavamo ad uscire di casa, Alfio se ne uscì che aveva dimenticato le sigarette in macchina e riuscì, non senza gli sguardi consapevoli e colmi d’invidia dei due figli, ad accompagnarci; le mie proteste servirono a ben poco, non riuscendo ad impedire che trascinasse Dalia nel locale contatori per darle quattro colpi mentre io mi avviavo alla macchina con Jasmine.
Ormai era ineluttabile: la situazione era sfuggita di mano e rischiava di degenerare ulteriormente nel disastro più completo.
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