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DALIA, TROIA D'ESTATE - Capitolo 9 : Il campeggio


di DonEladio
28.04.2013    |    18.010    |    0 9.2
"Si trattava di un grande campeggio a pochi metri dal mare, in cui i genitori di Dalia avevano cominciato dapprima piazzando la roulotte, poi, nel corso..."
Non avemmo nemmeno il tempo di elaborare appieno quanto era accaduto con Alfio e quali avrebbero potuto essere le conseguenze della situazione in cui ci eravamo ritrovati che partimmo alla volta della Basilicata per raggiungere i miei suoceri.
Si trattava di un grande campeggio a pochi metri dal mare, in cui i genitori di Dalia avevano cominciato dapprima piazzando la roulotte, poi, nel corso degli anni, aggiungendo varie pertinenze che l’avevano fatta diventare praticamente una seconda casa: quella che inizialmente era una semplice veranda era stata rimpiazzata da una casetta in legno, per accedere alla quale si passava da una pedana rialzata anch’essa in legno, provvista di porticato e stanzino cucina. Il sogno dei miei suoceri era quello di riunire la famiglia in quelle settimane e infatti la sistemazione offriva spazio, oltre che per loro, anche per me Dalia e Jasmine, oltre che per mia cognata Alessia, i suoi 2 figli e, ovviamente, suo marito Alfio.
Dalia sembrava non curarsi della sua imbarazzante presenza, poter finalmente riabbracciare la sua adorata bambina era l’unica cosa che le importasse e tutto sommato lui sembrava restare al suo posto: dopotutto la presenza della moglie e di tutta la famiglia (me compreso, dato che lui non immaginava che io sapessi) rappresentava un buon deterrente ad attacchi di libidine. Dalia, dal canto suo, cercava di evitare accuratamente ogni sguardo o situazione che potesse portare chissadove, ma io non mi persi affatto gli sguardi di lussuria che le gettava addosso appena poteva. Dalia era tornata la madre irreprensibile di sempre, basta atteggiamenti provocanti o abbigliamenti oseè, ma tutto sommato eravamo al mare, pertanto non poteva certo intabarrarsi dietro troppi indumenti. Di conseguenze anche un semplice prendisole a coprire l’immancabile costumino lasciava ampie visioni del suo corpo seminudo e bastava che lei si piegasse verso di lui per servirgli il caffè dopo pranzo per fargli riaccendere le voglie represse: i suoi occhi frugavano avidamente tra le grazie della mia signora appena ne aveva l’occasione per poi ritrarsi per non dare nell’occhio; sembrava una tigre in gabbia pronta a saltare sulla preda non appena ne avesse avuta l’occasione.
Occasione che però non arrivava: in ogni momento della giornata c’erano sempre troppi occhi indiscreti a breve distanza, anche durante la notte i letti erano troppo ravvicinati per inventarsi qualcosa. E ogni giorno che passava non faceva altro che alimentare il suo desiderio e la sua frustrazione. Passò un’intera settimana con questa tortura cinese, personalmente mi godevo non senza una punta di divertimento la sua sofferenza, e con Dalia cominciammo a riderne tra di noi, cominciando a credere che sarebbe stato costretto a restare al suo posto suo malgrado.
Ma non fu così: evidentemente l’eccitazione crebbe troppo e lo portò a farsi più audace. Il primo giorno della seconda settimana ci accomodammo al tavolo per pranzare e i miei nipoti insistettero per sedersi vicino a me, lasciando due posti liberi di fianco ad Alfio che vennero presi da mio suocero Ignazio e, ovviamente, da mia moglie. Non passò molto tempo dall’inizio del pranzo quando vidi Dalia cambiare improvvisamente espressione; al suo sussulto replicò la sorella Alessia: “Dalia? Tutto bene?”; arrossì visibilmente.. ”Come? Si, si.. scusate.. mi stavo strozzando col boccone!”; si versò dell’acqua e lo svuotò tutto d’un sorso. Conoscevo mia moglie, stava succedendo qualcosa: alla sua destra Alfio guardava da tutt’altra parte mentre discuteva di non so cosa con Ignazio, ma mi accorsi subito che solo una delle sue mani era sul tavolo. Fissai Dalia e la vidi mentre a fatica cercava di trattenersi e fare finta di nulla, si accorse del mio sguardo e la sua occhiata di risposta fugò ogni dubbio. Feci cadere volutamente la mia forchetta per abbassarmi sotto il tavolo ed ebbi immediatamente conferma dei miei sospetti: la mano destra di Alfio aveva cominciato dalle cosce e adesso si era infilata sotto lo slip di mia moglie e le stava facendo un ditalino. Risalì immediatamente per non farmi scoprire e squadrai l’intero tavolo: Alfio continuava la sua discussione con Ignazio come se nulla fosse, mio suocero figurati, probabilmente non si sarebbe accorto di nulla nemmeno se se la fosse scopata sul tavolo, mia cognata era di spalle mentre fumava una sigaretta chiacchierando con la vicina di roulotte, mia suocera stava sparecchiando e i bambini erano già andati a giocare; Dalia, infine, era pietrificata dalla situazione, con gli occhi chiusi, mentre si mordeva un labbro per trattenersi. Mi finsi interessato alla discussione tra Alfio e Ignazio, ma non potevo fare a meno di pensare a ciò che stava succedendo sotto il tavolo. Poi mio cognato tirò fuori la mano destra, svuotò la bottiglia di vino e si rivolse a Dalia: “Vai a prendere l’altra bottiglia in frigo per favore?”; mia moglie rimase un attimo come inebetita, e lui si avvicinò a suo orecchio bisbigliandole qualcosa; lei rispose con uno sguardo interrogativo, al quale lui rispose fermamente “Dai, non fare storie..veloce!”. Lo disse quasi come fosse una battuta, e per sottolineare questo aspetto mi sorrise. Dopo pochi secondi mia moglie si sistemò la minigonna e si alzò. La vidi incamminarsi con passo indeciso sui tacchi mentre scomparì nella casetta, e ne uscì un paio di minuti dopo, visibilmente arrossata in volto. Quando riprese posto di fianco ad Alfio, non potei non notare i suoi capezzoli turgidi sotto il costume.
Alfio si versò dell’altro vino, poi fece lo stesso con me e con Ignazio e riprese a parlare; non trascorsero 10 secondi prima che la sua mano sparisse nuovamente sotto il tavolo e Dalia ricominciò ad ansimare. Trovai un’altra scusa per dare una nuova veloce sbirciata e vidi che mia moglie aveva tolto il pezzo inferiore del costume: tra le sue cosce spalancate sotto il tavolo vedevo distintamente le dita tozze e ricoperte di anelli di Alfio che entravano ed uscivano dalla sua fighetta. Le aveva preso la mano sinistra e se l’era appoggiata sul pacco vistosamente gonfio, e Dalia stringeva tra le mani quel nodoso bastone mentre cercava di nascondere con sempre maggior difficoltà il piacere che suo cognato le stava procurando.
La scena proseguì per qualche minuto e io la seguii incredulo: quel porco riusciva a far tranquillamente finta di niente mentre la sditalinava e si faceva tastare il cazzo sopra il costume, i miei suoceri continuavano a non accorgersi di nulla, mia cognata continuava imperterrita a ciarlare con chiunque passasse di li, il via vai era intenso e a pochi metri da loro mia moglie era oggetto del più perverso dei tastamenti. La scena era grottescamente irreale, assurda, pericolosa, ma non per questo non mi eccitò a morte, costringendomi a mia volta a toccarmi attraverso il costume. Non riuscivo a smettere di spostare febbrilmente lo sguardo da mia moglie a mio cognato, a mia cognata, a mia suocera, ai passanti che salutavano con le stoviglie in mano diretti ai lavatoi, inconsapevoli di quanto stava accadendo a due passi da loro, fissai mia moglie e la trovai sull’orlo dell’orgasmo, aveva gli occhi chiusi e le labbra socchiuse, la mano destra stringeva con forza la tovaglia e potevo solo immaginare la forza con cui la sinistra stringeva il cazzo di Alfio. Quando mi resi conto che stava per esplodere lì davanti a tutti, intervenne Alessia: “Bon, Dalia, andiamo a lavare i piatti?”. La sua voce risuonò come una frustata tra i commensali, Alfio si rese conto solo in quell’istante che la moglie aveva smesso di chiacchierare con le amiche e si era nuovamente rivolta verso il tavolo, ritrasse immediatamente la mano da sotto il tavolo e si accese nervosamente una sigaretta, evidentemente consapevole dell’enorme rischio che aveva corso. Dalia riaprì gli occhi di scatto come se fosse stata bruscamente risvegliata da un sogno e restò a fissare la sorella in silenzio per qualche istante. “Cos’hai? Non stai bene?”. Cercò di riprendersi: “No, solo il caldo.. e un po’ troppo vino, forse…”. “Dai, dai, ho la sorella più scansafatiche del mondo, muoviti che dobbiamo lavare i piatti e caricare la lavatrice!”.
La zona lavanderia era comune, a poche decine di metri dalla roulotte dei miei suoceri, antistante ai bagni pubblici; pochi istanti dopo Dalia e Alessia si avviarono una con il cesto delle stoviglie e l’altra con quella dei panni, e sparirono alla nostra vista, non prima che Alfio divorasse con lo sguardo il culo di mia moglie sapendolo nudo sotto la minigonna. Poi si girò, si portò il dito medio della mano destra alla bocca e lo leccò avidamente, per poi accendersi un’altra sigaretta. Gli feci compagnia una decina di minuti, poi, quando Alessia tornò con la prima parte di stoviglie lavate, si alzò: “La natura chiama, vogliate scusarmi…” e si incamminò verso i cessi.
Sapevo che non stava andando propriamente a fare i propri bisogni (anche se, da un certo punto di vista, era così) e così, lasciati passare 5 minuti, lo seguii. Non fui sorpreso quando vidi le stoviglie abbandonate nel lavandino all’ingresso del blocco lavanderia/bagni pubblici e proseguii verso le toilette. Già quando girai verso la fila di bagni che portava al nostro (ogni piazzola aveva un bagno privato con tanto di chiave) cominciai ad udire distintamente i mugolii soffocati di Dalia e i grugniti di Alfio; arrivato alla porta sentivo distintamente i colpi che le stava assestando. Mi infilai nel bagno adiacente (i proprietari non lo chiudevano mai a chiave) e salii sul water per sbirciare da sopra il muro divisorio cercando di non farmi vedere: dall’alto della mia posizione vedevo mia moglie in piedi appoggiata al lavandino, aveva la mini arrotolata in vita, le mani ruvide di Alfio le allargavano le chiappe mentre la impalava da dietro con colpi secchi e profondi. “Si cazzo, finalmente…”, la afferrò per i capelli e la tirò verso di sé, con l’altra mano le scostò il pezzo superiore del bikini e cominciò a mungerle le tette mentre continuava a scoparla da dietro. “E’ una settimana che ti vedo tutto il giorno girarmi sotto gli occhi mezza nuda, non vedevo l’ora di poterti sbattere ancora come la cagna che sei.” Le girò la testa verso di sé e le infilò la lingua in gola, soffocandone i gemiti di piacere. La piegò nuovamente sul lavandino, le diede altri due vigorosi colpi che la sollevarono quasi da terra, poi si sfilò, si inginocchiò dietro di lei, le allargò oscenamente le chiappe e le sputò sul buchetto del culo: le infilò prima un dito, poi due, poi si rialzò in piedi e ci infilò il cazzo. Venni copiosamente nonostante la posizione tutt’altro che comoda mentre lo osservavo stantuffarla nel culo con una foga inaudita mentre non smetteva di assestarle sonori schiaffoni sulle chiappe e continuava a chiamarla puttana. Col grugnito di un cinghiale in calore si svuotò i coglioni nel suo intestino pochi secondi dopo, mentre Dalia trattenne il suo piacere mordendosi il dorso della mano. Mi ritrassi il più possibile per mantenere il mio anonimato quando lo vidi sfilare il suo cazzo gocciolante dal culo di mia moglie: prese un pezzo di carta igienica, si diede una veloce ripulita, tirò su il costume e sparì. Appena lo sentii allontanarsi uscii dal cesso adiacente e aprii la porta: Dalia era ancora ansimante, piegata sul lavandino con la mini arrotolata in vita, il suo culo rosso dalle pacche inferte, dal buchino colavano fiotti di liquido biancastro.
Si girò verso di me. “Ti sei goduto lo spettacolo?”.
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