tradimenti

Smart Sex


di JoeSex
21.06.2016    |    3.594    |    0 6.9
"Salvai i tre file nella mia cartelle privata..."
Aprire un file jpg è la cosa più facile del mondo. Ma a volte l’attesa dell’apertura dell’immagine può essere la scintilla per un attacco d’ansia, magari anche positivo e piacevole. Oppure no, nel momento in cui scopri che la persona che ti ha inviato le foto si è sempre sopravalutata.
Non era il caso di Elena. L’idea di vivere nella stesa città o poco vicino era il motore del nostro incessante contatto, diretto, indiretto, inconsueto, travolgente e rapido. Molto rapido. Sembrava che le sensazioni, peraltro comuni, viaggiassero assieme, sedute in un autobus, una vicina all’altra. E la fermata sarebbe stata le stessa. Fermata piacere e positività. Nella vita a volte capita di imbattersi in situazioni più o meno lunghe, che rischiano di divenire eterne, e noi tutti rischiamo di finirci dentro, ingabbiati con gli occhi chiusi, e con le porte sbarrate.
Quando vidi il suo sorriso, i suoi occhi chiari, il colore ambrato della sua pelle, riuscivo a percepirne il profumo, e sentivo quasi il suo respiro vorticoso, incedere verso il mio, poggiarsi dolcemente sul mio collo. Avrei aspettato un morso per tutta la vita, e probabilmente era quello che avrebbe fatto, se ce ne fosse stata l’occasione.
Salvai i tre file nella mia cartelle privata. Ogni minuto ci tornavo sopra, e studiavo i dettagli del viso, immaginavo il suo corpo sinuoso e leggero. Altre scene mi si presentavano prepotenti agli occhi ma preferii attendere di sentirla di nuovo via messaggio.
In uno di questi mi aveva scritto che aveva una voglia matta di toccarsi, che la sua mano sarebbe stata incontrollabile se io fossi andato avanti a provocarla. Infatti è quello che feci. Sentivo che non potevo fare altro, al momento, che le mie parole sarebbero state fettine di burro caldo sulla sua pelle, ne avvertivo la sostanza morbida e grassa, scivolarle sul basso ventre. In quella zona ero certo che avrei scoperto il mio tesoro, un’incantevole dono di bontà e lussuria.
Mi chiese di raggiungerla in ufficio; erano due o tre giorni che ci conoscevamo, ed Elena aveva voglia di me. Incredibilmente ne avevo anch’io. L’avrei presa senza parole, avrei toccato la sua bocca con le dita, massaggiandole dopo la schiena con la mano, in una posa “gitana”.
Le dissi che non era possibile, che eravamo a qualche silometro di distanza e che i rispettivi lavori non ce lo avrebbero permesso. Poi in ufficio non è mai semplice, a meno che non si lavori insieme. Per un attimo mi sono visto suo collega, vicino di stanza, un furtivo ingresso davanti alla sua scrivania con la più banale delle scuse: “Elena, avresti mica il timbro dell’azienda? Il mio non ha più inchiostro, e non trovo il ricambio.” – così avrei esordito –
La soluzione più adatta e logica era quella di continuare a mandarle messaggi e mail, cercando di far convogliare il lusso delle parole all’interno della sua coscienza di “femmina passionale”.
Ero sicuro che Elena fosse una vera femmina, magari ancora un po’ giovane, ma con una notevole esperienza in fatto di fantasie erotiche.
Non ebbi il tempo di comunicarle quanto avevo appena stabilito, che mi scrisse:

“Non ti muovere, vengo io da te. Oggi pomeriggio mi do malata ed è quello che farai anche tu. Dimmi dove lavori, ci vediamo la.”

La mia risposta fu: “Ci penso un attimo, vedo come organizzarmi…ok vieni. Ti chiamo al cellulare così ti spiego tutto. Dammi il numero.”

Sarebbe arrivata alle 15.00 circa, così avevo ancora un’oretta buona per preparare l’incontro al meglio. Ma dopo un secondo realizzai che non dovevo preparare un bel niente, che tutto sarebbe accaduto nel modo più naturale possibile. Lei sarebbe entrata nel laboratorio, avrebbe annusato l’essenza di lavanda e ambra, e mi avrebbe accennato un sorriso propiziatorio.
Ci scambiammo due baci sulle guance, la feci accomodare in ufficio. Si sedette in maniera assolutamente tranquilla; la gonnellina blu-viola si sollevò un attimo sulla sedia, ed io intravidi le gambe depilate, lisce come la seta più pregiata, il polpaccio affusolato e tonico.
Ero seduto dall’altra parte, e tutto sommato la scena non sembrava nulla più diverso di un colloquio di lavoro. Io, il piccolo alchimista, e lei la giovane commessa profumiera.
In realtà le cose non andarono proprio così.
Elena aprì la porta, che avevo volutamente lasciato aperta. Mi chiamo sussurrando, lo fece ancora, e poi gridò quasi nervosamente: “Joe, Joe! Dove diavolo sei?”
“Vieni pure giù in magazzino Elena!” – cantò la mia voce dal basso –
La sua bocca si incollò di cattiveria alla mia, aveva un gusto amarognolo, misto caffè e sigaretta, ma mi piaceva molto. La baciai dappertutto, intorno agli occhi, sulla fronte, sul collo, e poi di nuovo sulla bocca, e la sua, piena di rossetto saporito, mi seguiva, circoscriveva linee di passaggio, tra il romantico e l’erotico andante. Notai che stava per sfilarsi la gonna, così decisi di fermarla:
“No aspetta, lascia fare a me.” – le dissi sottovoce –
Si voltò di scatto appoggiando le mani sul frigorifero, dove è conservata la pappareale pura, mi afferrò la mano e la piazzò sul culo. Fu in quell’istante che capii che la nostra passione virtuale non sarebbe potuta rimanere tale a lungo. Mi inginocchiai, le sollevai la gonna, lei si sporse col fondo della schiena verso di me. Mi stava concedendo il suo bene più prezioso, ed io pregustavo già il sapore e la consistenza della sua figa umida. La mia lingua si curvò tra le chiappe dure, Elena pulsava di godimento, tra un ansimo sofferto ed uno più ampio, aperto, quasi gridato.
Allora presi a leccare il clitoride, rosso sangue, era rovente, gonfio di carne e di passione. Il suo liquido scivolava man mano sulla mia bocca, non volevo perderne nemmeno una goccia; le sue cosce si fecero dure e bagnate. Le accarezzavo con una mano, mentre con l’altra mi facevo spazio tra le grandi labbra del suo essere donna.
“Voglio che mi scopi, scopami adesso Joe, avanti!” – disse con voce tremante –
Tirai fuori quello che sapevo essere il mio amico più fedele. A volte era capitato che mi avesse tradito, magari per l’emozioni o altro. Ma quel pomeriggio c’era fuoco dappertutto, il sangue scorreva giù fluido e costante. Avevo voglia di sentirla dentro di me, immaginare per un secondo la penetrazione e subito dopo mettere in pratica tutto.
Entrai lentamente, prima con la punta, cominciai a spingerlo dentro solo con la punta, colpetti brevi e intensi e superficiali. Poi Elena mi lasciò intuire che voleva essere presa, sbattuta, e scopata. L’idea di noi due, sconosciuti, ma così vicini mentalmente, e coinvolti nei corpi e nella mente.
Si girò, guardandomi col suo solito sorriso ammiccante. Mi sdraiai per terra, il pavimento era freddo, scomodo, ma non ci avrebbe fermato in nessun modo. Venne su di me. Si sfilò la maglietta, poi il reggiseno, mi prese le mani e se portò sul suo seno. Sentivo i capezzoli tra le dita, ergersi ancora di più, chiamavano morsi, e così fu; mi sollevai con la schiena abbracciandola ai fianchi, e la mia bocca si appiccicò alla sua fonte materna. Mi sbattè di nuovo giù.
“Adesso ti scopo io mio caro” – disse minacciosa
“Avanti, fammi vedere come lo sai fare” – le risposi
IL preservativo. Non avevamo il preservativo. Disse che prendeva la pillola, che non c’erano rischi, che avrebbe voluto raccogliere tutto di me. Sentire la mia parte più intima accasarsi sulle pareti interne del suo ventre. Venimmo insieme, come una coppia consolidata. Incredibile. Avevamo trovato l’intesa al primo colpo.
Ci baciammo ancora. Si rialzò, prese la borsetta, si rifece un attimo il trucco. Le regalai un paio di creme per il corpo, una all’ambra, l’altra al muschio bianco.
“Torno in ufficio Joe” – disse –
“Ma come? Non ti eri messa in malattia per il pomeriggio?” – domandai –
“No ti ho mentito. Ma ti volevo.”
“Ok, perfetto.”
“Adesso che so, stai sicuro che ci rivedremo ancora.”
Chiuse la porta, entrò in auto e sfrecciò via lungo la statale.
Rimasi lì fuori, con la sigaretta che mi pendeva dalle labbra. Il sapore del sesso in bocca, sulle dita, e ovunque.
E pensai se mai un giorno l’avrei più rivista.
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