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Grazie, mio caro.


di orchidea_nera
08.08.2016    |    23.029    |    9 9.8
"Piansi per giorni in silenzio e senza riuscire mai a portare un fiore sulla sua tomba..."
Ero stata lasciata dal mio fidanzatino di allora e buttata fuori di casa.
Non aveva torto, ero stata io a comportarmi male, anzi malissimo ma questa è un’altra storia e, al momento, non ho voglia di raccontarla.
Avevo trovato un appartamentino vicino all’Università ma mi toccava pagare tutto: affitto, condominio, luce, telefono… Contrariamente alle mie aspettative, non avevo trovato con chi dividere le spese e quindi toccava tutto a me, o meglio a mia nonna, visto che era lei a mantenermi. Povera vecchietta si toglieva il pane di bocca per mantenermi e questa cosa non mi garbava. Non volevo gravare su di lei più del necessario.
Così mi ero messa a guardare sui giornali le offerte di lavoro. La maggior parte non andavano bene perché o richiedevano competenze che non avevo o mi avrebbero impegnata per troppo tempo e dovevo pur frequentare le lezioni e studiare.
Mi dovevo sbrigare a togliermi dal groppone di nonna.
Finalmente trovai un annuncio che andava bene per me. Cercavano una cameriera tutto fare per un signore con parziale invalidità. L’orario di lavoro era dalle 12 alle 18 per tre giorni settimanali, pagato a 5 mila lire l’ora.
C’era da guadagnare un 360 mila lire al mese! Ci avrei pagato tutto e avrei potuto frequentare le lezioni e studiare. Una fortuna da cogliere al balzo!
L’indomani alle 10, puntualissima, mi presentai all’indirizzo indicato nell’annuncio.
Suonai e venne ad aprirmi un anziano signore che si appoggiava pesantemente su un bastone. Dall’aspetto capii che doveva essere l’avvocato come avevo letto nella targhetta sulla porta. Una targhetta piccola, non di quelle grandi che sono poste negli studi professionali. Doveva trattarsi dell’abitazione, pensai.
L’avvocato, tranne che per la bianca barba incolta, aveva un aspetto molto curato e distino. Indossava una vestaglia di cachemire e un foulard di seta gli fasciava il collo. Sotto il pigiama, si vedevano i pantaloni di seta e le pantofole di vernice.
Era molto elegante e profumato. Dalla porta chiusa di una stanza proveniva una musica che riconobbi subito.
“Il concerto in re per violino ed orchestra di Pyotr Ilyich Tchaikovsky?” – Chiesi
“Si il concerto in re maggiore opera 35… lei lo conosce?”
“Certo” – dico io – “Chi non lo conosce?”
Mi fece accomodare nello studio, la stanza da cui proveniva la musica.
“Io sono l’avvocato . Un tempo questo appartamento era il mio studio ma, da quando sono rimasto vedovo, è diventato la mia abitazione. Non saprei che farmene di molte stanze.”
Osservai che la targhetta alla porta era troppo piccola per uno studio professionale e che avrei giurato si trattasse dell’abitazione.
“Veda” – mi disse – “La bravura di un professionista è inversamente proporzionale ai centimetri quadrati di targhetta che espone! Poi, come le ho già detto, oramai, questa è la mia abitazione. Non esercito più dalla disgrazia… - Non preciso la natura della disgrazia. Poi continuò: “Non mi ha detto il suo nome…”
“Maria” – Risposi io.
“Mario” – Disse lui – “Lei è un maschietto, vero?”
“Sono una transgender, ossia un maschietto che si sente donna e il mio nome di battesimo non è Mario. Maria è un nome di fantasia.”
“Capito… Quindi lei è un frocetto che veste panni femminili.”
Rimasi un attimo interdetta, poi:
“Ho capito… non è per me il lavoro che lei offre… Mi spiace averle fatto perdere tempo…”
Mi alzai e feci per andar via ma lui mi fermò con un gesto della mano.
“No, che ha capito? Si sieda. Se lo vuole il posto è suo e può iniziare subito.”
“Come? Prima mi chiama frocetto e poi…?”
“Si, chiedo venia per i miei modi non del tutto garbati ma l’ho detto per vedere come avrebbe reagito. Lei ha affermato se stessa con garbo e dignità. Non mi ha restituito l’insulto magari chiamandomi, che so io… vecchio storpio!”
“Ma lei non è un vecchio storpio… è un uomo di bell’aspetto distinto e garbato…”
Lui mi interruppe: “Poi come si può negare il posto ad una signorina a cui si illuminano gli occhi quando sente Tchaikovsky e, poco fa, ho visto una luce nei suoi bellissimi occhi. Brillavano”. Mi sorrise.
Era diventato gentilissimo. La rabbia che avevo dentro per essere stata chiamata frocetto svanì come d’incanto.
“Inizi subito, se non le dispiace. Nell’annuncio avevo detto di presentarsi dalle 10 a mezzogiorno. Ecco, se dovesse venire qualcuno lo riceva lei e dica che il posto è già occupato.”
La mia prima settimana di lavoro andò tutto bene, senza particolari degni di nota da raccontare.
Il mio lavoro non era faticoso. La casa era piccola: lo studio, la stanza da letto, la cucina, il bagno e un ripostiglio. L’ampio ingresso, un tempo sala d’aspetto, fungeva da divisorio per le stanze. Io pulivo, passando l’aspirapolvere una stanza al giorno. Poi aiutavo l’avvocato nel suo lavoro di ricerca prendendo i libri o i fascicoli che lui mi indicava e portandoli sulla sua scrivania.
Lui non amava muoversi tanto. Dopo l’incidente, dove aveva perso la vita sua moglie e l’investitore, era rimasto con la gamba sinistra fortemente danneggiata. Aveva subito vari interventi ma era rimasto fortemente claudicante e vittima di improvvisi dolori lancinanti che lo costringevano all’immobilità. Il pomeriggio dalle 15,30 alle 17,30 lo portavo in macchina a fare un giro per la città. L’avvocato camminava pochissimo a piedi. Poi si andava in un bar, dove lo conoscevano pure i sassi, a prendere il tè coi biscotti. Lo riaccompagnavo a casa, sistemavo qualche cosina e alle 18 andavo via.
Durante queste passeggiate in macchina lui mi faceva delle domande e io gli rispondevo raccontando un po’ della mia vita. Gli avevo detto di essere, al momento, single ma di essere stata dai 18 anni in poi con molti uomini. Su sua domanda gli avevo raccontato che avevo iniziato a percepirmi al femminile sin dai primi anni di vita. Tuttavia provavo un profondo senso di vergogna che mi impediva di farne cenno con alcuno.
Pure a scuola non riuscivo a essere brillante per la mia eccessiva timidezza. Solo agli scritti riuscivo bene ma nelle materie con solo orale ero stata un impiastro. Il mio prof di filosofia mi diceva sempre che ragionavo con le suole delle scarpe per cui i miei ragionamenti non riuscivano ad elevarsi e restavano terra terra. Come avesse fatto a capirlo, dato che era scemo, per me era rimasto un mistero!!!
L’avvocato mi ascoltava in silenzio, limitandosi a sorridere, o mi poneva qualche nuova domanda. Non esternava i suoi pensieri e parlava pochissimo di sé.
Gli avevo raccontato anche cose un po’ intime. Ad esempio, di quando da bambina/o trascorrevo il mese di agosto, con mia nonna, in campagna, per la raccolta delle mandorle.
Mi piaceva passare il mese di agosto in campagna. La sera sentire i racconti delle raccoglitrici. Alcuni racconti mi mettevano paura. Parlavano di spiriti maligni, della mano “pajana” che tirava dentro i pozzi i bambini che si sporgevano, del gatto mamone… Brrr… mi venivano i brividi solo a pensarci. Poi c’erano i racconti pieni di sottintesi che raccontavano fra loro donne convinte che io fossi troppo piccolo per capire. Tuttavia, avevo capito benissimo che alcune di loro tradivano i mariti e si facevano ingroppare dal figlio del massaro.
Anche a me piaceva il figlio del massaro, era un bel ragazzo, forte muscoloso. Poi mi piaceva perché la sera, spesso, giocava con me. Mi faceva fare i giri con la bicicletta. Lui sedeva sul sellino e io sulla canna. Mi faceva un bell’effetto sentire i colpi della canna della bicicletta sul mio culetto. La canna mi si infilava fra le natiche e le botte mi arrivavano proprio sul buchetto. Lo stesso effetto mi faceva andare sul dorso del somaro.
Allora non capivo che era uno stimolo sessuale. Sapevo solo che mi piaceva tanto.
Mi piaceva al punto che già a sette, otto anni avevo iniziato a masturbarmi infilandomi le dita dietro.
Avevo scoperto che questo mi produceva un piacere crescente che manteneva il suo massimo per un po’ di tempo per poi decrescere rapidamente.
A 12-13 anni avevo capito chiaramente che se un ragazzo me l’avesse messa dentro sarai morta di piacere.
A questi miei racconti l’avvocato sorrideva ma non con un sorriso malizioso ma tenero, indulgente, paterno.
Mi sono chiesta, poi, se vi fosse un intento provocatorio in questi miei racconti. Beh, chiaramente si. L’avvocato era un bell’uomo, molto distinto e si capiva che da giovane doveva essere stato un gran sciupafemmine. Non era certo il fascino che gli mancava ma, chiaramente, con l’età era diventato più compassato e non tradiva affatto il suo sentire.
Ad ogni modo, ero più che sicura che a lui piacessero soltanto le genetiche ma continuavo con i miei racconti per vedere se riuscivo a suscitar in lui una qualche emozione. Una specie di tacita sfida ma era innegabile che mi piaceva e non badavo alla sua età o alla sua gamba offesa.
Poi era un uomo colto, mi parlava di musica di pittura. Mi affascinava.
Aveva una vastissima collezione di LP che, al tempo, erano in vinile. Poi la sua collezione di quadri era veramente pregevole: Fiume, Cassinari, Guttuso… Aveva un patrimonio attaccato alle pareti e conosceva vita, morte e miracoli di ogni suo dipinto e dell’autore.
Mi faceva ascoltare dischi rari di grandi direttori d’orchestra o di solisti. Possedeva varie opere liriche per intero, dirette da grandi maestri come Arturo Toscanini. Possedeva CD di Leopold Stokowski che dirigeva Wagner o, ancora, Herbert von Karajan che dirigeva Beethoven.
Molte di quelle opere le conoscevo e lui sorrideva soddisfatto nel constatarlo.
Ogni volta che mi recavo da lui era più il piacere che provavo a conversare con lui che la fatica per fare le pulizie nel suo appartamento. Poi non avevo altri oneri. I pasti gli giungevano appena preparati da una trattoria che aveva sotto casa. Lo stesso per la biancheria: provvedeva a tutto una lavanderia lì vicino. Insomma, tranne che passare l’aspirapolvere in una sola stanza per volta, non facevo altro.
Gli facevo compagnia e lo portavo in giro per la città, in auto. Lui aveva preso confidenza con me e mi chiamava per nome, io continuavo a chiamarlo avvocato.
Mi aveva dato una copia delle chiavi di casa e io entravo senza costringerlo ad alzarsi per venirmi ad aprire. Io avevo apprezzato molto la bella prova di fiducia che mi aveva dato.
Una mattina, sarà stata la decima volta che andavo da lui, entrai in casa sua e, come al solito, mi feci sentire: “Avvocato, buon giorno, sono io Maria. Se è nello studio io vado a sistemare la camera da letto.”
“Buongiorno, Maria. Se non ti dispiace, entra un attimo che ti devo parlare.”
Il tono della sua voce mi preoccupò. Che avrò mai combinato?- Mi chiedevo – Mi vuole rimproverare per qualche cosa?
Ma, appena entrata nello studio, il suo tono si fece pacato e gentile.
“Siediti, ti devo chiedere una cosa.”
No, pensai, non mi vuole rimproverare… e poi di cosa? Sorrisi fra me e me.
“Devi sapere che da anni ricevo qui una signorina… una certa Eva, una escort. Si intrattiene con me un’oretta ogni martedì e ogni venerdì sera.”
“Si”- dissi io – “Mi sono accorta che ogni mercoledì il suo letto e particolarmente sottosopra ma non sono affari miei. Lei è un uomo e ha le sue esigenze… mica la giudico…”
“No, ascoltami, ti prego.”- Mi interruppe l’avvocato – “Non mi volevo giustificare con te. Il fatto è che Eva mi ha comunicato che starà via per un mese e forse più quindi non potrà venire da me.”
“Capito… Vuole che le procuri un’altra…”
“No, un’altra è difficile che mi piaccia. Con Eva c’era confidenza, non era il classico rapporto prostituta-cliente, che a me non piace.”
“Allora, come potrei esserle utile?”
“Beh, ti prego, non prendere a male quello che ti sto per dire, semmai prendilo come un complimento, come un atto di stima..”
“Mi dica…”
“In questo periodo in cui ci siamo frequentati ho imparato ad apprezzarti, non solo come persona, ma ad apprezzare la tua femminilità. Sei molto femminile, molto attraente e ho il desiderio di fare l’amore con te. Certo, mi disobbligherei con te, non pretendo che tu lo faccia per nulla…”
“Mi sta prendendo per puttana?”
“Scusami, no, non fraintendermi, ti prego. Non voglio mica rovinare il nostro rapporto… per carità! Ho la massima stima… Solo che tu mi piaci veramente ma non credo che una ragazza tanto giovane, come te, possa mettersi con me per nulla. Conosco il mondo. Ma questo non vuol dire che ti considero una prostituta, tutt’altro. Se hai un po’ di umana simpatia nei miei confronti, di stima.. vorrei aiutarti a vincere la repulsione che certamente può farti uno come me. Io mi sono proprio innamorato di te!”
“Repulsione? Ma di cosa parla? Lei ha troppa poca stima in sé stesso. Se lei vuole, io ci vengo a letto con lei ma mica per soldi, ci vengo perché lei mi piace. Mi piace come persona e come maschio. Lei è ancora un uomo molto attraente e non se ne rende conto. Non parli di soldi, per piacere… Certo non voglio perdere il posto… quei soldi mi bisognano… ma a letto con lei ci vengo perché lei mi piace.”
Mi avvicinai a lui e gli detti un bacio.
Lui rimase incredulo a guardarmi. Non si aspettava questo e non sperava tanto.
“Ma non ti vergogneresti a spogliarti davanti a me?”
“Io? No!”
In un attimo, tolsi via tutto: stivali, jeans, maglione, mutandine, collant. Rimasi davanti a lui nuda col cazzettino in erezione.
“Ma sei eccitata?”
“Si, non si vede? Non si vede che ti voglio?”
Dargli del tu mi era venuto naturale. Oramai sapevo che mi avrebbe scopata e sarei divenuta la sua amante.
Lui si alzo, si avvicinò a me.
“Girati, fatti ammirare.”
Mi girai, portando le mani sui piccoli seni e chinandomi un po’ per fargli vedere meglio il culo.
“Hai un culetto bellissimo, ne ho visti pochissimi degni del tuo. E ne ho visti tanti in vita mia. Poi sono un estimatore del lato B.”
“In me è pure lato A.”- Dissi strizzandogli l’occhio.

Lui sorrise. Mi girai completamente verso di lui e ci baciammo. Ci baciammo a lungo. Lui mi accarezzava le cosce e i glutei. Io, con dolcezza, feci scivolare la mia mano sul suo pube e mi accorsi che era in piena erezione.
“Hai una pelle finissima. Neanche le donne ce l’hanno così liscia e delicata. Sei bellissima. Una gran femmina!”
“Tu hai la barba lunga… punge…”
“Scusami, vado subito a rasarmi…”
“Lascia perdere, per ora… Andiamo in camera da letto che abbiamo voglia entrambi.”
Lui si spogliò, lasciandosi i pantaloni del pigiama, e si sdraiò sul letto.
“Per ora non voglio che tu veda la mia gamba martoriata, perderesti ogni desiderio…”
Non dissi nulla, mi misi sopra di lui e continuammo a baciarci. Lui non sapeva più dove accarezzarmi e mi ripeteva: “Che bella che sei…!”
Le sue dita cominciarono a tastare il mio buchino.
“Ah..”- Fece lui – “Sei abbastanza aperta dietro.”
“Non ti piace?”
“Si, si… temevo di poterti far male… non ce l’ho piccolino.”
Io gli tirai fuori il cazzo e cominciai a menarglielo lentamente.
“Hai veramente un bel cazzo e duro come un ragazzino di vent’anni.”
“Sei tu che mi fai questo effetto.” – Disse.
Io mi girai e presi il suo cazzo in bocca. Cominciai a succhiarlo. Feci scivolare la mia lingua su e giù lungo tutta la verga fino alle palle. Le leccai. I suoi peli erano sale e pepe e questo colore mi mise più voglia. Mi eccitava l’uomo maturo, vissuto. Lo succhiavo mentre con le mani gli accarezzavo le palle. Facevo roteare la lingua sulla sua cappella e poi riprendevo a succhiare.
Poi mi misi in piedi sopra il letto e gli girai le spalle in modo che lui potesse vedere bene il mio culetto. Mi abbassai lentamente su di lui e lasciai che il suo cazzo scivolasse dentro i miei glutei.
In quella posizione lui poteva godersi, in prima fila, lo spettacolo del mio culetto che si apriva per accoglierlo tutto dentro.
Cominciai a muovermi piano poi feci crescere il ritmo fino a sentire il cik-ciak dell’amplesso e le sue palle che mi sbattevano contro nel fine corsa. Cominciai ad ansimare. Mi stava piacendo da morire. Anche lui ansimava.
“Girati”- Mi disse – “Ti voglio baciare.”
Mi girai i modo che non uscisse dal mio culetto. Sentirlo ruotare dentro di me fu bellissimo. Credo anche per lui. Mi avvicinai a lui e ci baciammo.
Lui aveva alzato il bacino in modo che il suo cazzo restasse ben conficcato dentro di me fino alla radice.
Continuando a baciarci cominciammo nuovamente a muoverci mentre i nostri respiri si facevano più affannosi e il cik-ciak più frenetico. Dal cambio del suo respiro capii che stava per venire, allora cominciai a stringere un po’ i glutei per accelerare il mio orgasmo. Il mio cazzettino sfregava con i peli sale e pepe del suo addome. Sentii arrivare l’orgasmo accompagnato da una buona fuoriuscita di liquido seminale che gli bagnò l’addome. Non passarono che pochi secondi e lui mi inondò il culetto. Quando sentii il suo respiro che si era placato mi staccai da lui e mi posi in ginocchio sul letto accanto al suo fianco.
Mi infilai un dito nel culo e lo uscii zuppo della sua sborra.
“Mi hai inondato il culo.” – Dissi. Poi portai il dito in bocca e lo leccai assaporando la sua sborra. – “Buona, molto gustosa.”
Lui sorrise.
“Sono una gran troietta?” – Gli chiesi.
“No, sei solo femmina, una gran femmina che mi ha fatto impazzire.”
Mi accucciai accanto a lui con la testa sulla sua spalla. Lui mi accarezzava dolcemente il viso e i capelli.
Non so quanto siamo rimasti accucciati in quel modo. Non mi ero mai sentita così bene in vita mia, non mi ero mai sentita così amata.
Nei giorni che seguirono non mi limitai ad andare nei tre giorni pattuiti ma ci andai tutti i giorni.
Il mio servizio restò limitato ai tre giorni ma lo andavo a trovare per fare l’amore, per chiacchierare, per portarlo in giro.
Lui mi voleva fare dei regali ma io gli dissi sempre di no. L’unico regalo che volevo? Che mi amasse!
Tuttavia accettai che mi comprasse dei vestiti. Voleva portarmi all’opera, al Reggio di Parma, e dovevo avere una mise adeguata.
Mi comprò un abito lungo, nero, molto scollato dietro e molto bello. Uno scialle argento completava l’abito con dei richiami, nella parte bassa, al disegno dei merletti che lo rifinivano.
La cosa più bella fu quando comprammo le scarpe tacco 12.
“Come mi stanno?”- Gli chiesi.
“Beh, con queste, quel cretino del tuo prof di filosofia dovrà ammettere che il tuo modo di ragionare si è elevato parecchio.”
Ridemmo e io mi avvicinai a lui, che era seduto su un divanetto, e lo baciai sulla guancia.
Un atteggiamento da figlia. Infatti, la commessa si avvicino e chiese: “Che dice, signore, queste vanno bene per sua figlia?”
Lui rispose di si e le comprammo.
La serata al Regio fu memorabile. L’avvocato era molto noto in quell’ambiente, anche se ci trovavamo a Parma. Lui aveva preso appuntamento con un’estetista che mi aveva truccato e fatto l’acconciatura ai capelli. Allora ero acqua e sapone e non usavo trucco, non avevo bisogno. Tuttavia l’estetista mi fece diventare un’altra. Ero diventata veramente bella.
Quando arrivammo a teatro, mi sentivo tanto Grace Kelly al fianco del principe Ranieri.
Durante l’intervallo, al foyer del teatro, incontrammo un vecchio giudice in pensione che conosceva l’avvocato. Lui mi presentò come una sua collaboratrice. Io muta come un pesce. La mia voce mi avrebbe tradita e il giudice avrebbe intuito che non ero una ragazza. L’avvocato mi scusò dicendo che avevo un brutto mal di gola e il medico mi aveva prescritto di tenere a riposo la voce.
Del resto… non avendo barba, non avendo il pomo di Adamo, il seno lo avevo imbottito… cosa avrebbe potuto tradirmi? Su quei tacchi ancheggiavo da far invidia alle indossatrici. Accanto all’avvocato nessuno avrebbe preso per fondi di bottiglia i miei gioielli. Gli orecchini erano perfetti, con una foggia che non faceva capire che erano a clip e nascondevano la mancanza di buchi alle orecchie. Ero perfetta!
Si, solo la voce mi poteva tradire.
Il giudice, congedandosi da noi, disse: “Avvocato carissimo, spero che un giorno o l’altro mi spieghi il suo segreto. Più passano gli anni, più diventano giovani e belle le donne con cui si accompagna.”
L’avvocato sorrise.
Io ero raggiante, al settimo cielo. Non mi ero mai sentita così femmina in vita mia.
Vi lascio immaginare la gran chiavata quella notte dopo essere tornati a casa. Pure l’avvocato sembrava ringiovanito. Lo feci venire due volte: in bocca e nel culetto. Sembrava fosse ritornato giovanotto.
Nei giorni che seguirono intensificammo moltissimo la nostra attività sessuale. Un giorno mi sono fatta scopare per ben tre volte nel giro di mezza giornata. Nessuno mi aveva fatta sentire così pienamente donna e femmina come lui. Stavo sempre a coccolarlo a baciarlo, a farmi coccolare e poi finiva sempre che gli facevo un bel pompino, mi facevo leccare il buchino fino allo sfinimento e poi mi facevo impalare sempre più furiosamente. Lui mi assecondava.
Lui provava a farmi discorsi che somigliavano a proposte di matrimonio. Ovviamente eravamo in epoca molto lontana dalla legge Cirinnà, per cui, in effetti, parlava di convivenza, di come avrebbe voluto tutelare il mio avvenire. Io sorda a questi discorsi, gli tappavo sempre la bocca con mille baci.
“Cosa ci manca?”- dicevo –“Ci vogliamo bene? Si? Allora abbiamo tutto.”
Una mattina, come al solito, verso mezzogiorno mi recai da lui. Lo trovai sprofondato sulla poltrona, con un pallore cadaverico e si lamentava. Mi avvicinai di corsa.
“Che hai, tesoro? I soliti dolori alla gamba?”
“No, è un dolore sordo, un’oppressione al petto che mi tormenta da quando mi sono alzato.”
“Hai chiamato il medico?”
“La segretaria mi ha risposto che il dottore verrà a visitarmi stasera dopo l’ambulatorio.”
Ero giovane e inesperta però, anni prima, un mio zio aveva avuto un attacco di angina e i sintomi iniziali erano proprio quelli.
“No” – gli dissi – “Io ti porto subito al pronto soccorso, non si scherza con queste cose.”
“D’accordo. Ma prima prendi quella busta che c’è sul tavolo ci sono cinque milioni per te. In casa non mi trovo altro.”
“Lo sai che non voglio soldi da te…”
“No, ascoltami. So come vanno certe cose. Sul tavolo c’è pure il numero di telefono di mio figlio e dovrai avvertirlo. Da quel momento, certamente, prenderà lui le redini in mano di tutto e io non riuscirò a disporre neppure di mille lire. Questa somma considerala la mia eredità. Non dovrai spenderli ora ma solo quando troverai l’uomo della tua vita. Ti aiuteranno a mettere su casa. Questa è la mia volontà e ti prego di rispettarla. Me lo prometti?”
Che dovevo fare? Risposi di si. In effetti rispettai quella che si rivelò la sua ultima volontà.
In ospedale gli diagnosticarono un infarto e lo ricoverarono d’urgenza per operarlo. Giunsero il figlio e la nuora mentre lo portavano in sala operatoria. Io rimasi a parlare con loro mostrandomi affettuosa e premurosa. Poi il figlio dell’avvocato, con una scusa, si allontanò e restai sola con la nuora.
Il medico ci aveva informati che, dopo il post operatorio, dove non era ammessa la presenza di estranei, lo avrebbero dimesso per andare in un centro riabilitativo. Io, allora, parlando con la nuora, promisi che sarei andata tutti i giorni a trovare l’avvocato e provvedere ai suoi bisogni.
La nuora, acida e risoluta: “Non occorre. Anzi io e mio marito pensiamo che lei abbia fatto anche troppo per l’avvocato. Ci faccia una cortesia: stia alla larga, la sua presenza non ci è gradita.”
Mortificata, andai via. Seppi poi, informandomi di nascosto, che l’intervento era andato bene e seppi che, dopo la riabilitazione, l’avvocato era andato a vivere dal figlio a Parma. Che potevo fare? Non lo cercai più, mi rassegnai e lasciai che la mia vita continuasse.
Non mi ero mai innamorata veramente dell’avvocato ma gli avevo voluto bene, bene veramente. Anche se questo l’ho capito molto dopo. Per me era un po’ come un secondo padre, anche se con lui facevo sesso e mi piaceva farlo.
Mesi dopo, appresi dal giornale che l’avvocato era morto. Piansi per giorni in silenzio e senza riuscire mai a portare un fiore sulla sua tomba.
Questo racconto l’ho scritto per rendergli omaggio.
Anche se è stato solo un grande affetto, il suo ricordo è rimasto scolpito nella mia mente e nel mio cuore a caratteri indelebili.
Grazie, mio caro.
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