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Lui & Lei

Giochi Pericolosi: la Escort e il Manager


di Membro VIP di Annunci69.it LucasFromParis
21.09.2018    |    5.431    |    2 6.1
"Ero completamente vestito; le appoggiai la cappella sulla figa umida e spinsi..."
Il Manager e la Escort

La fantasia albergava da molto tempo nella mia testa. Era cresciuta nel tempo, lentamente come sempre mi accade. L’avevo vissuta nella mia immaginazione; ogni volta la scena si arricchiva di nuovi dettagli. Ero pronto. Ma avrei dovuto trovare la complice giusta con cui realizzarla. Avrebbe dovuto essere una sconosciuta. Una sconosciuta abbastanza audace, abbastanza sicura di sé. Abbastanza spericolata da accettare il mio invito. Nessun incontro preliminare, nessuna certezza. In quel luogo sarebbe stata letteralmente in mia balia e nessuno avrebbe potuto sentirla. L’ufficio si trovava infatti dietro gli Champs Elisées. Un quartiere chic, dominato da uffici e in cui non abitava pressoché nessuno. Durante la settimana le strade e i marciapiedi brulicavano di persone, di automobili, di negozi e di attività. Ma nel week end scendeva un silenzio quasi irreale. A poche centinaia di metri, certo, il centro turistico di Parigi era come sempre vivace e animato. Ma non lì.
Dato che ero il dipendente che abitava più vicino, mi erano state affidate le chiavi nel caso il servizio di sicurezza collegato all'allarme avesse avuto bisogno di un referente che potesse accorrere velocemente. Avrei approfittato di quella libertà. E ne avrei approfittato a modo mio per vivere e far vivere una situazione particolare in una grigia e anonima domenica. Ricordo perfettamente il batticuore mentre la linea 13 della metropolitana mi conduceva lungo il mio percorso quotidiano per andare a lavorare. Ma non stavo andando a lavorare. Percorsi la strada semi deserta verso l’ufficio, fra le serrande abbassate. Arrivato alla porta di ingresso di quello che era stato un ampio appartamento ma che ora ospitava la società in cui lavoravo infilai la chiave nella toppa ed entrai. Potevo udire i battiti del mio cuore nel silenzio irreale della scala. Un suono stridulo mi avvertì che l’allarme era scattato; disponevo di trenta secondi per digitare il codice con le dita che tremavano leggermente. Mi sedetti alla mia scrivania e subito risposi al telefono. Era la security che mi chiese chi fossi e la parola d’ordine. Conoscevo la risposta.
A quel punto dovevo solo aspettare che la mosca di posasse sulla ragnatela per divorarla. Ero vestito di tutto punto, con gessato grigio, camicia azzurra e cravatta. Questo prevedeva la recita. E la ragazza che attendevo, se avesse rispettato le regole, si sarebbe abbigliata da escort. Questo era il gioco. Lei sarebbe stata una prostituta di alto bordo che si sarebbe presentata al mio ufficio. Semplice. Crudo. Diretto. Fui stupito quando disse di sì. Qualcosa nella mia voce o nel mio modo di esprimermi doveva averla tranquillizzata. Ma in queste situazioni il dubbio alberga sempre: si sarebbe presentata davvero? mi aveva preso in giro? si sarebbe tirata indietro all'ultimo. Il dubbio e l’eccitazione si confondevano in me. Non amavo e tuttora non amo le cose scontate e facili. Fino all'ultimo non sapevo cosa sarebbe accaduto e sarei benissimo potuto tornare a casa scornato. Lei avrebbe potuto in qualunque momento scrivermi “non me la sento” o peggio non rispondere ai miei messaggi. Ma sapete cosa? Nonostante la cocente delusione non mi sarei pentito. L’emozione, il vero motore, l’avrei vissuta in ogni caso.
Invece rispose: “sto arrivando”. Mi cuore mi sobbalzò di nuovo in petto. Quando andai alla porta mi trovai davanti una ragazza giovane con un visino acqua e sapone che contrastava il vestitino bianco e corto e gli aggressivi stivali che indossava. A confondere ulteriormente i suoi occhiali le davano un tocco vagamente da secchiona. Ma era una bella ragazza. E soprattutto era una ragazza audace a sufficienza da raccogliere la mia sfida. Mi resi conto che, benché fosse arrivata fin lì, era visibilmente combattuta e spaventata. Ero sulla lama del rasoio e il me ne rendevo perfettamente conto. Sarebbe bastato un gesto o una parola sbagliata e lei si sarebbe dileguata. La presi alla larga. Cercai di metterla a suo agio parlando del più e del meno sottolineando le sue parole con ampi sorrisi. La condussi nella “cucina” dove preparai un caffè ad entrambi. Sembrava paralizzata e rispondeva a monosillabi. Al mio primo bacio non si sottrasse, ma neppure mi ricambiò. La portai alla scrivania, e questa volta iniziò a baciarmi anche lei. Riuscii ad abbassarle il vestito per scoprirle il seno pesante e opulento. Accettò di farselo baciare e leccare, ma quando pensavo di aver vinto la partita si tirò nuovamente indietro. Non sapevo più cosa fare. Lei era seduta sulla mia sedia, io di fronte a lei sulla scrivania. Iniziai ad accarezzarle con indifferenza le gambe: era l’ultima carta da giocare, l’ultimo tentativo e lo sapevo. Era il tutto per tutto.
Non disse nulla, mi lasciò fare. Presi progressivamente coraggio e iniziai a risalire lungo le sue gambe accavallate. Poi mi inginocchiai davanti a lei, le presi delicatamente le ginocchia e le divaricai le cosce. Iniziai a baciarle, sempre con molta lentezza, avvicinandomi al perizoma bianco. Spiavo ogni segno negativo da parte sua. Non mi incoraggiava, non diceva nulla. Non sapevo cosa pensare. Quando però le mie mani scostarono il suo intimo, e mi apparve la sua figa rosea presi sicurezza e iniziai a leccare. Non dovevo più darle la possibilità di farle cambiare idea e approfittai del momento per sfilarle il perizoma. I suoi fianchi iniziarono, finalmente!, a oscillare e lì vinsi la partita. “Togli il vestito, togli tutto”. Obbedì, ormai sconfitta più che da me dai suoi stessi desideri e dalla sua stessa voglia di godere. Quando la sentii bagnata decisi che era il momento di possederla. Avrei voluto chiederle la sua bocca, ma ancora una volta non volli guastare tutto per ingordigia. La sdraiai quindi sulla scrivania, esattamente come le avevo descritto e desideravo. Ero completamente vestito; le appoggiai la cappella sulla figa umida e spinsi. Un unico movimento: fluido, controllato, profondo. Finché potevo, finché ne avevo. E iniziai a sbattermela. Oggetti e fogli cadevano per terra, i suoi grandi seni oscillavano al ritmo dei miei colpi, la sua testa sporgeva al di là del bordo del tavolo. Era mia, si stava infine concedendo. Oso sperare ne per lei fu eccitante quando lo fu per me. Poi la feci mettere piegata con il busto sulla scrivania prendendola ancora. Sempre più forte, sempre più intenso. Il silenzio assoluto di quei locali che vedevo sempre animati era rotto dai suoi sospiri. Restava controllata ma non poteva impedirsi di gemere piano. Infine le dissi “a quattro zampe per terra ora”. Obbedì senza fiatare e lo spettacolo della sua schiena arcuata, dei suoi buchi oscenamente offerti, della sua figa arrossata fu meraviglioso. Venni così, montandola come una cagna.

Non la rividi mai più.

Spero solo una cosa: che non si sia mai pentita che serbi un ricordo bello di quella pazzia.
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