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Gay & Bisex

Passione negata


di Vincep14
28.05.2017    |    10.402    |    10 9.4
"Per qualche istante raggiunsi la pace dei sensi sentendomi il volto imbrattato del suo seme..."
C’è qualcosa di più brutto per un gay che innamorarsi del suo migliore amico etero? Quello della cotta per Francesco è stato, senza esagerare, uno dei periodi più tormentati vissuti nei miei ventiquattro anni.
Lo conobbi che eravamo ancora due ragazzini, frequentavamo la seconda media. Frequentavamo lo stesso istituto, seppur in classi diverse. Quell’anno entrambi partecipammo ad una gita scolastica a Roma. E non posso sicuramente dire di essere rimasto colpito dalla sua simpatia. Ai tempi era un ragazzo molto scontroso, pareva portare rancore nei confronti di tutti, e non si faceva problemi a dare dimostrazione del suo caratteraccio anche con chi conosceva appena. Le poche cose che gli uscivano di bocca era difficile che facessero morire dalla voglia di intrattenere una conversazione con lui.
Non feci sicuramente i salti di gioia quando appresi che si era iscritto nella mia stessa classe al liceo. E se i primi due anni trascorsero covando astio reciproco, tendenzialmente celato sotto spoglie di finta cortesia (ma neanche sempre), fu solo durante il terzo anno che avemmo modo di scoprirci e rivalutarci, complice l’enorme cambiamento che da un mese all’altro fece di lui un ragazzo ben più amabile e cordiale di quello che avevo imparato a conoscere in precedenza. La metamorfosi interessò significativamente anche il suo aspetto esteriore: tagliò i capelli, iniziò ad avere molta più attenzione nel curare il fisico e nel vestire. Ma soprattutto riuscì ad aprirsi e a conquistare il benvolere di tutti. Una inedita ma piacevole ironia ed una sorprendente profondità d’animo presero il posto dello scarso entusiasmo e della poca voglia di vivere che prima dava tutta l’idea di avere perennemente in volto, stimolando la curiosità di conoscerlo meglio, ora che finalmente ne dava l’occasione. L’innata e reciproca antipatia che aveva caratterizzato inizialmente i nostri rapporti non tardò dunque a cedere il passo a quella che in non molto tempo diventò una grandissima amicizia. Iniziammo a frequentarci sempre più assiduamente, nel periodo estivo andavamo spessissimo al mare insieme, conquistammo senza troppi problemi l’uno la fiducia dell’altro, al punto che mi sentii molto sereno a parlargli della mia omosessualità, trovando in lui grande apertura e grande complicità. Gli raccontavo senza vergogna degli incontri che facevo, e con altrettanto piacere ascoltavo le sue confidenze.
Una volta conobbe via chat una ragazza di Milano, più piccola di un anno. Ne rimase affascinato al punto che decise di conoscerla. Affrontammo un viaggio di almeno sedici ore su uno di quegli Intercity con la I maiuscola, uno di quelli prossimi allo sfascio per intenderci. Ma non lo vivemmo come qualcosa di faticoso. Lui era felice, e io per lui. Perché se era per la sua serenità non sembrava un così grosso sacrificio dover trascorrere tre giorni a girare da solo Milano in pieno agosto. Ci ritrovavamo solo la sera in hotel. In quell’occasione lui, pur essendo a conoscenza di quelle che erano le mie tendenze, non si faceva alcun problema a dormire al mio fianco con addosso solo le mutande. L’anno successivo, nell’estate tra quarto e quinto anno, ebbe l’idea di fare una vacanza in Sicilia soltanto noi due. Questa volta non c’era nessuna ragazza da conoscere, semplicemente avevamo piacere di stare insieme. Anche in quella circostanza la vergogna di dormire in boxer non sembrò riguardarlo, come la sensazione di imbarazzo che molte volte questo tipo di situazione può sollevare non riguardò me. Anzi, complice un disguido con i proprietari del B&B, ci trovammo nientemeno a condividere un letto matrimoniale. L’idea di finire a letto insieme era ben lontana dallo sfiorarmi il cervello, nonostante lui scherzosamente spesso mi provocasse o mi prendesse in giro.
Non sapevo che pochi mesi dopo quel viaggio avrei completamente perso la testa per lui, e che mi sarei venduto un rene per vederlo di nuovo in boxer. Il nostro percorso scolastico si avviava verso le battute conclusive. Quando iniziai a provare interesse per lui era all’incirca il mese di novembre. Venivo da una pesante delusione, poiché tempo prima mi ero innamorato di un ragazzo che non ricambiava i miei sentimenti. Piano piano stavo cercando di lasciarmi alle spalle tutta quella storia, forte anche del supporto di Francesco e degli altri nostri amici. Lui forse era quello in grado di trasmettermi maggiore senso di protezione. Quand’ero in sua compagnia era come se mi sentissi sempre al sicuro. Fu in quelle settimane che iniziai a vederlo con occhi completamente diversi e ad interessarmi al suo aspetto, che fino a quel momento non mi aveva mai detto nulla. Iniziai ad ammirare ogni aspetto di lui, cominciando da quella barba ormai folta che sembrava accrescere la tua mascolinità, conferendogli un non so che di misterioso ma protettivo al tempo stesso. Iniziai a sentirmi morire dentro tutte le volte che parlava di una ragazza a cui stava facendo la corte. Con lui mi sforzai di comportarmi come avevo sempre fatto, non per paura che reagisse male all’idea che mi ero preso una cotta per lui, ma per paura che la cosa ci avrebbe inevitabilmente potuto allontanare. L’allontanamento, per altre ragioni rimastemi poco chiare, avvenne ugualmente. In quelli che erano i nostri ultimi mesi di scuola lui iniziò a soffrire per Martina. Era quasi sempre molto silenzioso, spesso sfuggente. E questo non poteva che amplificare la mia sofferenza, che ogni giorno traeva sostentamento dal suo atteggiamento spesso molto distaccato, in particolar modo proprio nei miei confronti. In alcune occasioni fu lui stesso a fare riferimento al fatto che ci stavamo sempre di più allontanando. Ma le promesse di riavvicinarci che ci facevamo puntualmente trovavano sempre meno modo di realizzarsi. A tutto ciò si aggiungeva il fatto che di lì a poco ci saremmo diplomati, e ognuno probabilmente avrebbe intrapreso una via diversa. E a me l’idea di non vederlo più tutte le mattine faceva stare sempre peggio. Anche il periodo degli esami di maturità trascorse in questo clima lacerante, in particolare da quando mi giunse all’orecchio la voce che stava progettando di trasferirsi a Roma per frequentare l’università.
Le settimane successive agli esami furono devastanti. L’idea di perderlo completamente non mi andava per niente giù. Fu così che decisi di stravolgere completamente i miei piani e trasferirmi anch’io a Roma. Quando gliene parlai sembrò molto entusiasta della notizia. Mi propose immediatamente di prendere casa insieme, per poi ritirare quasi subito la proposta, dicendo che suo padre si era già preoccupato di cercargli una sistemazione in zona universitaria, dunque completamente fuori da quelle che erano le mie possibilità economiche. Determinato all’idea di seguirlo ugualmente, mi attrezzai per trovare un posto letto in casa con sconosciuti in una zona più periferica. E quando gli feci notare ancora una volta il mio rammarico per la distanza che ancora non si era sanata, lui, mostrandosi dispiaciuto, mi promise che avremmo senz’altro ritrovato la nostra amicizia di un tempo, tranquillizzandomi sul fatto ci saremmo aiutati a vicenda in questa nuova avventura.
Fu durante i giorni precedenti il trasloco che iniziò a scrivermi delle cose che se da una parte davano da bere a tutte le mie illusioni, dall’altra restavano comunque in linea con il suo modo di fare sempre molto scherzoso. Una volta, ipotizzando che qualche volta sicuramente sarebbe capitato di restare a dormire l’uno a casa dell’altro, mi scrisse chiedendomi cosa avrei fatto se lui una sera ubbriaco mi avesse chiesto di fargli un pompino. Cercai di stare al gioco ma senza espormi troppo, anche se dentro di me il pensiero mi eccitava da morire.
Arrivato il mese di settembre fu lui il primo a trasferirsi, poiché i suoi corsi iniziavano con circa due settimane di anticipo rispetto ai miei. Appena arrivai anch’io insistette per uscire la prima sera utile. Andammo in giro per Roma, chiacchierammo molto e amabilmente. L’impressione fu quella di averlo ritrovato. Il giorno seguente gli scrissi che mi aveva fatto piacere stare insieme, e che mi era veramente mancato. Nonostante avesse ignorato il mio sms, gli chiesi se aveva problemi a dormire a casa mia la notte successiva, poiché i miei coinquilini sarebbero stati fuori e non mi andava ancora di dormire da solo in un appartamento di una città che ancora non conoscevo. Neanche questo messaggio trovò una risposta, così come quelli dei giorni seguenti, in cui non tardai a manifestare la mia seccatura. Avrebbe potuto quantomeno rispondermi gentilmente che non poteva. Quando dopo alcuni giorni mi scrisse come se niente fosse per propormi di andare a mangiare un panino mi sforzai di ignorarlo. Ignorai i suoi sms anche nei giorni seguenti. Avevo messo in discussione tutta la mia vita pur di non perderlo. E nonostante questo lui non lo sapesse, ero furioso per quello che era stato il suo atteggiamento. Fu quando mi accusò di essere troppo permaloso che non capii più nulla, presi il telefono e gli vomitai addosso tutta la verità. Lui ne rimase sorpreso, ma mi scrisse che per lui non c’era alcun problema, e che mi avrebbe aiutato a superare la cosa.
Un pomeriggio mi invitò a passare da casa sua una volta terminate le lezioni. Finita la giornata in facoltà, mi avviai a piedi verso l’abitazione, che distava poche centinaia di metri dalla città universitaria. Era la prima volta che ci vedevamo dopo la mia inaspettata rivelazione. Una volta arrivato lo trovai a casa in pigiama. Mi disse che il giovedì non aveva lezione. Devo dire che persino in quella tenuta era capace di farmelo diventare duro solo a guardarlo. Nonostante un velo di timidezza, non tardò a tirare fuori l’argomento, buttandola comunque molto sul ridere. Mi chiese di parlargliene, e controbatteva ironizzando e incalzando bonarie prese in giro, che altro non erano che un modo per celare un comprensibile imbarazzo. Fino a quando non mi disse che spesso si era fatta viva in lui la curiosità di provare ad avere un rapporto omosessuale, e che si fidava di me a tal punto che spesso ha pensato di provare quest’esperienza. Tuttavia, dopo aver saputo di quelli che erano i miei sentimenti per lui, disse di essersi ripromesso di non farmi soffrire, abbandonando di conseguenza l’idea perché avrebbe potuto farmi star male. Mentre ero sulla via di casa, tutte queste parole non facevano che rimbombarmi in testa. Inevitabilmente stava crescendo in me l’illusione che presto avrei potuto fargli il pompino che per un anno non avevo mai smesso di desiderare.
Il week-end immediatamente successivo organizzammo una serata con gli altri nostri ex-compagni che si erano anche loro trasferiti a Roma per gli studi. Mi disse che potevo fermarmi a dormire da lui, dal momento che il suo compagno di stanza sarebbe stato fuori.
Alla fine della piacevole serata, salutati i nostri amici, rientrammo a casa. Non sapevo se essere eccitato o spaventato all’idea che magari dietro quell’invito si potesse nascondere l’idea di finire a fare sesso. D’altronde era da mesi che qualcuno (o meglio qualcuna) non si occupava di fargli svuotare le palle, poiché Martina, la ragazza a cui andava dietro al liceo, lo aveva mollato, e per il momento non sembravano esserci all’orizzonte altre possibili occasioni.
Entrati in camera mi disse che non aveva avuto modo di chiedere al suo compagno di stanza la cortesia di farmi dormire sul suo letto. Così, senza neanche chiedermi se mi andasse bene, disse che ci saremmo arrangiati sul suo letto ad una piazza e mezza, che era comunque effettivamente abbastanza spazioso. Del resto lui era sempre stato un po’ così, sbadato, ed in genere non amava scusarsi o stare appresso a certe formalità. E devo dire che quand’era così burbero a me eccitava il triplo.
Chiuse la porta della stanza. Dopo di che non ci furono grandi conversazioni. Il senso dell’ospitalità non gli era mai appartenuto più di tanto, un po’ per una certa forma di timidezza, un po’ per quel suo atteggiamento strafottente e mascolino che aveva contribuito a dargli ai miei occhi tutto quel fascino. Si sedette sul suo letto, iniziò a slacciarsi le scarpe, le tolse e le buttò via con non molta cura. Si slacciò la cintura dei pantaloni, e in un attimo si sfilò anche quelli, posizionandoli alla meno peggio sulla sedia della scrivania. Io nel frattempo mi ero seduto sul letto del suo coinquilino, davanti al suo. Cercavo di mostrarmi rilassato, cercavo di pensare che tanto non sarebbe successo niente, ma vederlo in mutande non era certo d’aiuto a placare i miei istinti animaleschi che in quel momento mi avrebbero portato solo a succhiargli il cazzo e a farlo sborrare nella mia gola.
Fu lui ad interrompere quel silenzio.
“Non ti metti il pigiama?”
“Sì, adesso vado a mettermelo. Vado in bagno e lo metto lì, così mi do anche una sciacquata veloce. Posso, vero?”
“Ti ricordi dov’è?”
“Sì, è la porta qui a sinistra”
“Esatto”
Afferrai il mio zainetto, presi il pigiama ed il borsello con dentro le mie cose, e mi diressi verso il bagno, lasciandolo stravaccato sul letto con in mano il telefono ed un braccio dietro la testa, una posizione che, come se non bastasse, metteva in evidenza tutta la sua mascolinità. E così lo ritrovai quando tornai in camera. Né uno sguardo, né una parola da parte sua.
“E tu dormi così?” gli dissi, alludendo al fatto che aveva ancora addosso la felpa grigia e i calzini.
“Tranquillo” rispose, mentre continuava a fissare lo schermo di quel dannato aggeggio, senza preoccuparsi molto di me.
Quando a volte gli prende male sa essere di strafottenza disarmante, e a volte diventa veramente antipatico. Anche quando gli chiesi dove potevo poggiare i miei vestiti fu molto tempestivo nel dirmi di metterli sulla sedia del suo coinquilino, incontrando il mio scetticismo. Rimasi qualche istante a guardarmi intorno, ma sapevo che non avrebbe scollato gli occhi dal telefono.
“Vabbè, quindi io dove dormo?” gli dissi.
Mi guardò, e scherzosamente fece finta di essere seccato all’idea di doversi scomodare da quella posizione per farmi posto. Io stetti allo scherzo. Dopo qualche istante mi fece posto. Io mi sdraiai dicendogli scherzosamente che era proprio uno zotico, e lui, sempre con i toni della presa in giro, mi disse che gli stavo veramente rompendo i coglioni.
“Vabbè, io dormo oh”, dissi, facendo finta di essermela presa e infilandomi sotto le coperte.
“Fai quello che cazzo vuoi”, disse lui.
Quando scherzavamo così mi veniva sempre da ridere, e così fu anche quella volta.
Provai a chiudere gli occhi, e finì che mi addormentai sul serio. Non so quanto tempo potei sonnecchiare, penso non più di venti o trenta minuti al massimo. A un tratto mi svegliai sentendo che si stava stiracchiando energicamente. Senza prestare molta cura a me (ci mancherebbe), posò il telefono e cercò maldestramente di scavalcarmi per andare a spegnere la luce della stanza, che nel frattempo era rimasta accesa. Anche nel rimettersi a letto diede ampia dimostrazione della sua delicatezza elefantesca. Purtroppo per lui (anzi, per tutti e due) quello di scavalcarmi era un passaggio obbligato, avendo il letto un unico lato di uscita.
Cercai di fargli sentire che mi ero svegliato, puntando tutto sulla respirazione e su un leggero sospiro. La situazione mi stava facendo eccitare come una cagna, facendomelo diventare duro.
Sentivo addosso il suo respiro, sentivo quell’odore che nonostante tutto a me sapeva ancora di protezione.
Era chiaro che fosse sveglio. Anche lui si accorse del fatto che ero tutt’altro che dormiente. Probabilmente aveva cercato di svegliarmi di proposito.
D’un tratto la sua voce interruppe quel silenzio, che per quanto angosciante avrei voluto durasse in eterno.
“Dormi?”, bisbigliò, con voce neanche molto bassa.
Il cuore mi batteva a mille.
“No”, dissi dopo qualche istante di attesa.
“Vuoi sentire una cosa?”
Non potevano esserci più dubbi. Capii che di lì a poco avrei finalmente avuto l’opportunità di farlo godere come sognavo. All’idea di poter sentire che sapore aveva il suo cazzo, al pensiero che avrei potuto bere il suo latte caldo, sentivo le mie mutande esplodere.
“Cosa?”, dissi, facendo finta di non aver capito cosa intendesse.
“Come cosa?”
Mi prese una mano, e la diresse verso i suoi boxer. Sentii subito qualcosa di duro. Era il suo cazzo che pulsava. Non aspettava altro che mi prendessi cura di lui.
“E quindi?”, risposi, come se avessi bisogno delle sue istruzioni prima di entrare in azione. Ma era evidente che sapessi benissimo cosa mi stava chiedendo.
“E quindi forse è compito tuo”
“Ah sì?” dissi io, continuando a fare il finto tonto in tono scherzoso, mentre con la mano toccavo il suo pacco gonfio.
“Da quanto tempo aspettavi questo momento?”
“Eh, lo so io” dissi. Dacché gli davo le spalle, mi girai di verso di lui, mentre nel buio quasi completo lo toccavo con sempre maggiore energia e desiderio.
E quando mi disse “Dai”, capii che il momento di mettermi all’opera per dargli piacere era arrivato.
Afferrai le sue mutande, come a volerle cacciare. Lui capì e immediatamente si sollevo per permettere che venissero giù. Presi in mano il suo cazzo, duro come il marmo. Feci su e giù lentamente. Al tatto sembrava avere una forma perfetta e una lunghezza ragionevole. Lui iniziò ad emettere i primi leggeri e quasi impercettibili gemiti di godimento. Poi mi afferrò la testa, e spingendola mi invitò a chinarmi verso il suo membro. Non me lo feci ripetere due volte. Buttai via le coperte e mi sollevai per mettermi nella posizione più comoda. Lui mi agevolò sistemandosi meglio e divaricando le gambe. Mi misi a cavalcioni su di lui. Con la mano riprese il controllo della mia testa, dirigendola verso il pube.
“Dai, troia. Fai quello che sai fare meglio”
Ripresi in mano il cazzo per qualche colpo di sega iniziale, ma era impaziente di farselo succhiare, e mi spinse la testa in modo più forte e deciso. Ero a pochi centimetri dal suo bastone. Toccandolo con mano capii che era quasi completamente scappellato per la forte erezione. Aprii la bocca e iniziai a succhiare la cappella, mentre lui continuava a tenermi la mano sulla testa, come a sottolineare il fatto che comandava lui. La cosa mi faceva sentire una vera zoccola, la sua zoccola.
Continuai a succhiare e leccare la cappella senza eccessiva velocità, tenendo la verga stretto in pugno. Lui sembrava apprezzare quel ritmo iniziale leggero e delicato. Io nel frattempo ero già entrato in estasi sentendo il profumo inebriante di quel cazzo, un giusto mezzo tra pulizia e odore di maschio. Con la lingua presi a stuzzicare il frenulo, mentre sentivo dai suoni che emetteva che gradiva il mio trattamento. Con una mano gli afferrai le palle, sentendole molto gonfie al tatto, e iniziai a massaggiargliele sapientemente, mentre con la bocca iniziai a velocizzare il ritmo e ad avanzare in lunghezza, cercando di prenderne in bocca quanto più possibile. Gradì particolarmente il fatto che oltre a succhiarlo con maestria mi stessi occupando di manipolare a dovere le palle, tanto che mi disse di leccarle. E così feci. Le leccai, le succhiai, le misi in bocca. E l’idea che contenessero la sua sborra mi mandava in visibilio, e ancora di più mi faceva impazzire sentirlo gemere con sempre maggiore enfasi.
Non fece il tempo a dirmi “Dai, succhialo”, che all’improvviso sentimmo dei rumori, ed una chiave aprire la porta d’ingresso dell’appartamento. “Aspetta” mi disse, rinsavendo improvvisamente da quello stato di profonda eccitazione. Si sollevò leggermente, cercando di capire chi fosse entrato in casa. Per fortuna era soltanto il coinquilino che dormiva nell’altra stanza che stava rientrando dalla serata. Dopo esserci assicurati che il tizio si era ritirato nella sua camera, potemmo riprendere da dove avevamo interrotto. Ma la paura di essere colti in flagrante del suo compagno di stanza, ipotizzando che avesse cambiato programma e fosse rientrato all’improvviso, aveva a mio avviso reso tutto più eccitante.
Si levò di dosso la felpa e la maglietta in un colpo solo, lasciandole cadere a terra, restando così a petto nudo. Tutta quell’eccitazione (e forse anche la paura) lo aveva fatto sudare. Si liberò anche delle mutande, che nel frattempo erano rimaste all’altezza delle caviglie, e dei calzini. Voleva godesi il mio pompino come si deve. Si mise di nuovo comodo, richiamando anche me al mio dovere: “Dai puttanella, che dopo voglio schizzarti in gola”.
Ripresi a succhiare, ridando vigore al suo uccellone, che per lo spavento aveva iniziato a ritrarsi. Succhiavo con foga e perizia. Tra una succhiata e l’altra chiesi: “Ti piace?”. Lui, col suo modo rude e tremendamente virile, rispose: “Zitta e ciuccia”, facendomi sentire ancora di più una vacca vogliosa. Ma a giudicare dai suoi gemiti era evidente che stesse godendo da paura. Succhiai per alcuni minuti, in un crescendo di piacere che stava evidentemente coinvolgendo entrambi.
“Tra un po’ sborro”, disse.
“Voglio che mi sborri in faccia, voglio sentire la tua sborra che mi cola fino alla bocca”
“Che zoccola. Inginocchiati per terra”
Non avrei voluto più staccarmi da quel cazzo ora che avevo avuto l’opportunità di sentirlo in bocca, poterlo succhiare e slinguazzare. Procurargli tutto quel piacere mi faceva sentire veramente in paradiso. Continuai, infatti, a succhiarlo con ingordigia.
Fu lui a scansarmi, e alzandosi proferì: “Inginocchiati per terra che ti inondo”. Tra l’amarezza che tutto stava terminando e la voglia esagerata di sentire la sua panna bollente colpirmi il viso, obbedii.
“Accendo la luce, ma facciamo piano” disse, dirigendosi al buio verso l’interruttore vicino la porta della camera.
“Siiiii”, dissi io da terra, ansimando come una vera puttanella ansiosa di assaggiare il bianco nettare.
La luce mi permise di ammirare quel toro in tutta la sua nudità. Che avesse un fisico da fare invidia lo sapevo bene. Che era diventato veramente un bel maschio lo avevo capito da tempo. Poter ammirare anche quello che nascondeva tra le gambe, nel vivo della sua erezione, fu veramente impagabile. Quel bastone, oltreché saporito, era veramente anche bello da vedere.
Si avvicinò verso di me e lo prese in mano, segandosi lentamente.
“Annusami le palle”, mi ordinò.
Misi il naso in mezzo a quelle due grosse sfere penzolanti, e con una mano le massaggiai mentre lui si segava.
“Da quanto non sborri?”, chiesi con la massima eccitazione.
“Quattro o cinque giorni”
“Mmmmmm”
Scansai la sua mano, e mi fiondai sul membro con la bocca, riprendendo a succhiarlo con avidità. Lui mi lasciò fare. Mi afferrò la testa con entrambe le mani e mi scopò la bocca per qualche istante. La sua nerchia turgida entrava e usciva dalla mia bocca con velocità, mentre lui godeva da paura. La cosa lo eccitò al punto che stava finalmente per venire.
“Sborro”, disse estraendo il bastone della bocca e iniziando a segarselo rapidamente. Io ripresi a mungergli lo scroto con forza. Mi afferrò la testa e direzionò il cazzo verso il mio viso. Lunghe e potenti schizzate di abbondante seme caldo raggiunsero la mia fronte e le mia guance, accompagnati dai suoi gemiti, che cercò di contenere per non farsi sentire. L’intenso odore emanato dal liquido raggiunse subito il mio naso. Dopo che si fu svuotato completamente, misi il cazzo in bocca per ripulirlo. Per qualche istante raggiunsi la pace dei sensi sentendomi il volto imbrattato del suo seme. Lui con un dito ne raccolse una parte, e me lo mise in bocca. Succhiai e ingoiai con gusto. Il sapore non era per niente sgradevole, e l’idea che appartenesse a lui mi faceva impazzire.
“Voglio venire anch’io”
“Fai quello che vuoi” rispose, spezzando il mio entusiasmo.
Sembrava avere fretta di rivestirsi e dimenticare quello che era successo. Capii che probabilmente la cosa aveva potuto in qualche modo turbarlo, e decisi di non insistere. Il silenzio che calò fu eloquente. Rimise addosso le mutande e la maglietta nera. Io rinunciai all’idea di farmi una sega.
“Hai un fazzoletto?”
“Guarda sulla scrivania”
Mi ripulii il viso, mentre lui già si era steso sul letto. Smanettò qualche istante col telefono, poi lo rimise a posto.
“Spegni la luce”, disse, non preoccupandosi neppure di propormi di andarmi a dare una sciacquata in bagno.
“Si”. Spensi la luce e mi rimisi nel letto, al suo fianco.
“Buonanotte”
“Buonanotte” rispose, con tono quasi seccato.
Faticai un po’ a prendere sonno.
Il mattino seguente il suo umore non era certo migliorato. Anzi sembrava veramente che non vedesse l’ora di liberarsi di me. Capita l’aria che tirava, mi vestii velocemente, presi il mio zainetto e lo salutai amichevolmente, come avevo fatto sempre. Sapevo che qualsiasi cosa gli avessi detto avrebbe risposto a monosillabi e poco volentieri. Non sapevo che dopo quella volta non l’avrei né visto né sentito per mesi. Fino a quando un giorno…

[TO BE CONTINUED]
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