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Prime Esperienze

Il gioco della bottiglia (seconda parte)


di joyxxx
18.02.2017    |    21.173    |    1 9.9
"Ma non avevo nessuna intenzione di curarmi..."
Ringraziandovi dei numerosi messaggi di apprezzamento che mi avete inoltrato privatamente e della votazione altissima eccovi la seconda parte del racconto.

Quel profumo di sapone entrato di soppiatto dalla finestra della cucina mi aveva risvegliato un ricordo adolescenziale di molti anni fa, quando con i miei compagni di classe della terza media esploravamo i nostri corpi e facevamo le prime esperienze di contatto con l’altro sesso grazie al gioco della bottiglia. Quel gioco che mi aveva permesso di conoscere intimamente Claudia, la mia prima fidanzatina, con la quale avevamo passati tre mesi di fuoco per poi lasciarci col finire dell’Estate e l’inizio delle superiori.

E quel ricordo di Claudia steso sul divano mi aveva provocato un’erezione piena e mentre mi masturbavo pensando a lei, riprovavo quel tumultuoso vortice di emozioni e passioni che da inesperto ragazzino vivevo cavalcandole impetuosamente. Il cazzo completamente scappellato, le scariche di piacere che mi attraversavano l’asta turgida partendo dalle palle gonfie. La sborrata copiosa che ne conseguì fu la degna conseguenza di quella stupenda sega amarcord.

Pensavo fosse finita li, ma come dicevo all’inizio di questa situazione il destino è strano, si dipana in mille fili che pensi si perdano verso l’oblio o il nulla, ma quando meno te lo aspetti ti sorprende riannodandoli improvvisamente.

E così avvenne qualche mese dopo quella sega.

Gli ultimi vent’anni erano stati molto burrascosi per me. Studio, università, carriera, successo, belle fighe, puttane prima escort poi, un matrimonio improvvisato, un figlio, divorzio, casini vari e sesso, godere, sesso, godere come unica ragione di vita. Malato di figa si diceva una volta, sex addicted oggi. Ma non avevo nessuna intenzione di curarmi.

Mia moglie era scappata portandosi via metà del mio stipendio e lasciandomi un figlio da crescere. Non la biasimo, l’ho fatta soffrire e lei mi ha reso la pariglia, forse era sufficiente che non ci sposassimo, ma era incinta e volevo fare le cose per bene. Pensavo ancora di poter cambiare all’epoca, ma non andò proprio così…

Per riuscire a barcamenarmi mi ero ritrasferito nel mio vecchio paese, per farmi aiutare da mia madre, che in quanto insegnante in pensione poteva almeno darmi una mano con l’inizio delle scuole elementari e mi lasciava un po’ di tempo per le mie passioni (leggi andare a troie).

Dopo le prime settimane di scuola iniziò il delirio dei compiti per casa col conseguente casino di libri e quaderni. Mio figlio, buon sangue non mente, aveva già iniziato a fare una gran confusione, spargendo materiale a destra e a manca, pertanto avevo mio malgrado dovuto entrare nella chat di Whatssupp dei genitori di prima elementare. Cosa pallosissima ma necessaria per riuscire a racapezzarsi in questa bolgia dantesca che alcuni chiamano scuola elementare. Così un bel mattino, prima di uscire leggo sulla chat il seguente messaggio: “sig.ra Martini mamma Filippo: aiuto Fili ha perso il quaderno di matematica, chi lo trova me lo dica il prima possibile pvf”.

Visto che la sera prima facendo la cartella avevo notato un quaderno con un colore strano, quasi per scrupolo vado a vedere e trovo un quaderno verde di foggia diversa dagli altri. Guardo l’etichetta: Filippo Martini. Prendo il cellulare e scrivo privatamente a quella signora: “L’ho trovato io, se mi dici dove abiti te lo porto”.

Neanche il tempo di riporre il cellulare, che il trillo di un nuovo messaggio mi avvisò della risposta: “Non disturbarti, puoi rimetterlo nella cartella così tuo figlio lo ridà a Filippo domani, comunque abito in via …”

Leggendolo sopra pensiero mi colpì l’indicazione della via. Se voleva che lo rimettessi nella cartella perché mi dava l’indirizzo? Quasi che inconsciamente le facesse piacere ricevere una mia visita di persona.
Visto che era martedì e il mio turno al lavoro iniziava al pomeriggio decisi di fare quattro passi e di allungami dalla Sig.ra Martini per restituirle il quaderno, ben sapendo quanto si stia male quando non trovi il materiale dei figli.

Passeggiando per le vie del mio vecchio paese, mi ero reso conto di quanto si fosse trasformato nel tempo, quartieri nuovi dove prima c’era solo campagna, tanta gente in giro che non avevo mai visto, le facce note di un tempo ridotte al lumicino. Evidentemente la famiglia Martini apparteneva al gruppo dei fuoriusciti dalla città, sempre alla ricerca di case a minor costo rispetto ai prezzi assurdi dei grossi centri.

Ovviamente alla base della mia decisione di portarlo di persona c’era anche la curiosità di vedere com’era la signora Martini, magari era una bella figa, e poteva scapparci una conoscenza interessante. Io sono molto fatalista e sempre aperto a nuove esperienze.

Giunto al civico indicato suonai il campanello. La casa era grande con un bel giardino e per fortuna non c’era nessun cane feroce nei paraggi.

Una voce di donna timorosa gracchiò dal citofono. Non capii cosa disse, ma mi presentai: “sono il padre che ti ha scritto prima per il quaderno di Filippo”

“Ahhh grazie” mi replicò facendo scattare il meccanismo del cancello.

Percorsi il vialetto quasi correndo e mi avvicinai alla porta che nel frattempo si era spalancata.

Una signora in vestaglia blu e ciabatte apparve dietro lo stipite.

Scambiammo alcuni convenevoli imbarazzati. Lei per la sua mise io per non averla avvertita che sarei passato subito. Alla fine mi invitò ad entrare. Era settembre ma al mattino cominciava ad avvertirsi il calo della temperatura.

Mentre la seguivo nell’androne di casa, sentii il cazzo indurirsi leggermente; mi succede ogni volta che conosco una bella donna, quasi che il mio uccello brami una conoscenza più intima e carnale.

La sig.ra Martini doveva avere più o meno sulla quarantina. Era decisamente una bella donna con lineamenti decisi, anche se la lunga vestaglia le copriva interamente il corpo.

Cominciammo a blaterare cose scontate sulla scuola e le maestre e il tempo che dovevamo dedicare. Ovviamente io aggiunsi il classico dei luoghi comuni: “Ai nostri tempi non era così, eravamo abbandonati a noi stessi, e se non andavamo bene a casa erano botte”.

Lei sorrise portandosi una mano sui capelli. Un gesto che mi era vagamente familiare.

“Beh non è detto che essere abbandonati a se stessi fosse così male” disse con aria sorniona.

“A cosa ti riferisce, scusi si riferisce, beh possiamo darci del tu…” farfugliai.

“L’avevo capito che non mi avevi riconosciuta” disse lei sorridendo.

La guardai meglio e come nei film, quando una sonda ti si infila nel cervello e ricevi un miliardo di informazioni in un secondo, capii finalmente la verità.

“Cazzo ma sei Claudia !” urlai quasi fuori di me sbattendomi il palmo della mano sulla fronte.

“Sono così invecchiata che non mi riconosci ?”

“Sono un coglione, ecco cosa sono. Non sei invecchiata, sei sempre splendida, bella come un tempo”.

Ormai avevo inserito il pilota automatico, complimenti e ricordi, ricordi e complimenti. E stranamente restavamo sempre li in piedi, in una situazione sospesa che poteva interrompersi da un attimo all’altro. Ma il cazzo che mi tirava nelle mutande non ne voleva sapere minimamente di andarsene da quella situazione intrigante…

“Ti ricordi quei pomeriggi a giocare con la bottiglia ?” aggiunse lei sbarazzina “Che ricordi bellissimi”.

“Veramente ricordo molto bene quello che accadeva dopo… a casa tua” aggiunsi io quasi timidamente.

“Che pomiciate che facevamo… eravamo assatanati”.

“Beh io ricordo ben di peggio delle pomiciate” e nel dire questo mi portai verso di lei, invadendo il suo spazio personale. Lei come allora mi lasciò fare senza indietreggiare.

“E sai una cosa Claudia… non riesco a capire perché allora non l’abbiamo mai fatto davvero….”

“Ci pensavo mesi fa sai… e me lo sono chiesta pure io… Sai anche se con mio marito va bene… non ho più vissuto quell’intensità, quei momenti, quella passione”.

Orami le ero addosso, e a costo di prendermi una sberla sul viso le misi una mano su una gamba.

“Per come la vedo io” dissi bisbigliando “possiamo sempre recuperare il tempo perduto”.

La tirai a me e le infilai la lingua in bocca. Lei interdetta seguì il mio movimento e contraccambiò il gioco di lingua. Restammo in quel bacio infinito non so per quanto tempo, mentre i nostri corpi attorcigliati e le nostre mani avidi cercavano di riscoprire gli antichi contatti e sapori.

Le slacciai la vestaglia, che scoprii essere una specie di accappatoio, sotto portava solo le mutandine di stoffa bianca. Aveva ancora un corpo sodo e bello, e due tette che riempivano perfettamente una terza. La spinsi lentamente sull’accogliente divano alle nostre spalle.

Cominciai a leccarle l’interno delle cosce. Profumava di Sali di bagno alla mandorla, e questo odore mi ingrifò come una bestia. Passai ai seni, succhiandole i capezzoli come un neonato. Lei era alla mia mercé mi lasciava fare, come se volesse riannodare quel filo sfilacciato di tanti anni prima.

Il mio corpo riconosceva il suo e affamato come non mai mi stesi sopra di lei ancora vestito. Avevamo troppa voglia, lei mi mise una mano nei pantaloni e me lo tirò fuori segandomelo mentre limonavamo come nei nostri quattordici anni.

“Ce l’hai sempre bello grosso questo bestione” mi bisbigliò all’orecchio.

“Lo vuoi questo bestione nella tua fichetta?” replicai

“Sono vent’anni che lo aspetto” mi disse lei guardandomi negli occhi e tenendomi per i capelli.

Ancora con i jeans addosso, abbassati sulle ginocchia, spostandole le mutandine con due dita la infilai senza leccarla. E’ strano, non lo faccio mai, amo leccare la fica, mettere la mia partner a suo agio, farla godere prima. Ma lei no, era troppo il tempo passato, non potevamo perdere un altro secondo. E la penetrai così con la posizione del missionario, altra cosa che non faccio mai… troppo banale? Troppo scontata?

Quando hai una femmina sotto come Claudia non c’è niente di scontato.

Il cazzo entrò come una lama nel burro. Non era larga nonostante le gravidanze, si vede che il marito non ne usufruiva molto. Era calda e tutta bagnata, come la ricordavo da ragazzina. Mi avvolse il cazzo come un guanto di fuoco. Iniziai a stantuffarla e pian piano lo sentii entrare fino alle palle.

Lei mugolava di piacere con le unghie conficcate nella mia schiena. E io la penetravo come uno stantuffo, come un pistone instancabile.

Non so per quanto sarei resistito in quella situazione. Era da un po’ che non scopava, e quella situazione, i ricordi, i turbini di emozione mi avevano letteralmente travolto.

Mi alzai sulle ginocchia per spingere ancora di più. Lei per tutta risposta mi mise le gambe attorno ai glutei nudi e mi tirò a se.

“Scopami cazzone, ti sento tutto dentro…”

Riuscii a dare un’altra ventina di colpi a tutto cazzo, e sentii che non sarei resistito oltre senza sborrare.
Cercai di divincolarmi per uscire e venirle sulle tette e sulla pancia come faccio spesso con le mie troie. Ma lei da gatta esperta mi abbracciò e strinse le gambe ancora di più.

La guardai spaventato ed eccitato da matti e lei con nonchalance “prendo la pillola, sborrami tutto, sborrami tutto dentro….”

Non me lo feci ripetere due volte, mi lasciai letteralmente andare e sentii un vulcano di sborra fuoriuscire dal mio cazzo furioso. Credo di averle fatto cinque sei fiotti e di averle inondato la figa.

Semi svenuto le precipitai addosso, svuotato di energie e stordito nella passione.

“La sento tutta calda dentro è fantastico, tutta calda, tutta calda dentro” cantilenava lei.

Ci misi un bel po’ a riprendermi quel giorno. Mi raccontò un sacco di cose della sua vita, della sua famiglia, di suo marito, cose che per signorilità non riporterò. Ma da quella volta il martedì con Claudia divenne una piacevole abitudine. Forse meglio dire una riabitudine…



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