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«Questa sera non scoperò con lei, dott. Martini!»


di Honeymark
06.05.2019    |    20.870    |    5 9.7
"Tengo a precisarlo perché altrimenti sarebbero poco credibili le coincidenze che si sono verificate permettendo quella incredibile avventura..."
Questa premessa l’ho scritta dopo aver letto i primi due commenti, peraltro positivi.
Questo racconto non è frutto di fantasia, ma una storia accaduta esattamente così.
Tengo a precisarlo perché altrimenti sarebbero poco credibili le coincidenze che si sono verificate permettendo quella incredibile avventura.
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Mi ero recato a Roma per lavoro e nel tardo pomeriggio avevo fatto il chek-in all’Hotel Viminale, vicino al Ministero dell’Interno. Mi ero fatto una doccia e, poco dopo le 20, ero sceso alla reception. Non consegnai la chiave, dato che oggi sono tutte magnetiche, ma chiesi se avevano un ristorante da suggerirmi. So dove andare a cena a Roma, ma quella sera volevo solo nutrirmi non lontano dall’hotel.
- Se esce e va a sinistra – mi rispose il portiere, – giri l’angolo e dopo una decina di metri trova un ottimo ristorante. Buona cucina, prezzi bassi.
- Grazie, – risposi.
- E dica che l’abbiamo suggerito noi, – aggiunse. – La tratteranno meglio.
Ovviamente, se dicevo che mi avevano mandato loro, si sarebbero meritati una gratifica dal ristorante. Mi sembrava giusto.
Poco dopo entrai nel locale, che non era male. Mi vennero incontro.
- L’Hotel Viminale mi ha detto che qui si mangia bene, – dissi sorridendo.
- Hanno fatto bene, – assicurò il maitre soddisfatto. – Mi segua.
Mi accompagnò in mezzo ai tavoli e me ne indicò uno per due, adatto a un single.
- Le va bene questo? – Mi domandò.
- Sì sì, – Risposi senza guardare.
Appoggiai le mie cose sulla sedia libera e feci per sedermi sull’altra, quando mi sentii chiamare.
- Dottor Martini?
Era una voce di donna. Mi girai con un certo imbarazzo, perché non credevo proprio di conoscere qualcuno in quel locale.
- Dottor Martini, – disse una signora sui 35 anni. – Questa sera non scoperò con lei.
- Nadia! – Esclamai. – Che sorpresa! Cosa fai qua?
- È quello che posso chiederti io. – Rispose. – Ma forse è meglio che ti siedi al mio tavolo.
- Subito!
- Ma questa sera non scoperò con te.
Una battuta incomprensibile, per chi non conosceva il pregresso.
Io e Nadia eravamo stati insieme per sei anni, dall’età di 18 ai 24 anni. Tanti per quell’età. Una relazione tormentata, come accade la prima volta che ci si mette con qualcuno. Stavamo scoprendo la vita in due, perché nessuno è in grado di aiutarti nelle relazioni sentimentali. C’erano stati alti e bassi, liti e riappacificazioni, felicità e disperazione. Poi, quando tutte le cose sembravano essersi messe a posto, la nostra relazione era finita. Perché? Beh, si era conclusa e basta.
- Proprio bello incontrarti così per caso. – Le dissi accomodandomi. – Non ci vediamo da… una decina d’anni?
- Più o meno, – rispose.
- Cosa fai a Roma? – Le domandai.
- Sono qui per un corso alle Poste Italiane. E tu?
- Ho un appuntamento domattina al Viminale.
- E come mai hai scelto questo ristorante?
- Me lo ha suggerito l’Hotel Viminale.
- Lo ha suggerito anche a me, pernotto là. A cena qui vengo tutte le sere, Non si sta male.
Una incredibile serie di combinazioni che, se le avessi progettate, non sarebbero mai andate in porto.
Arrivò il cameriere che prese le ordinazioni.
Ci aggiornammo di sfuggita sugli ultimi dieci anni trascorsi, esagerando sui momenti belli e tralasciando i momenti bui. Entrambi notammo che avevamo l’anello al dito.
- Figli? – Domandò.
- Sì, uno. E tu?
- Due.
Cambiammo discorso parlando di Roma, la città eterna.
- Dopo andiamo a fare un giro in città a piedi?
- Ottima idea, – risposi. – Così digeriamo e ci rilassiamo un po’.
Infatti, non ordinammo il caffè per andarlo a prendere in centro.
E non è stata male la passeggiata. Cercavamo di evitare discorsi relativi alle nostra intimità, ma sembrava impossibile.
Ad un certo punto mi girai a guardare il culo di una bella donna che avevamo incrociato.
- Non hai perso il vizietto, eh? – Mi domandò.
- Scusa, sono maleducato. In compagnia di una bella donna non dovrei farlo…
- Continui a pensare come ti riuscirebbe metterlo nel culo alle donne che guardi?
Lì per lì rimasi allibito. Un tempo avrebbe parlato così, ora no, era una signora. Il dialogo fino a quel momento era stato solo da buoni amici. La sua battuta aveva quasi elevato di uno scalino il livello di intimità. Mi adeguai.
- Ricordi ancora i miei pensieri osceni?
- Osceni? Non lo erano poi così tanto, col rapporto che avevamo.
- E tu, – ribattei, pescando anch’io tra i ricordi, – Guardi ancora i bei maschi per pensare come sarebbe bello prenderglielo in bocca?
Forse avevo esagerato…
- Se guardassi solo quelli belli – rispose invece ironica, – mi resterebbe ben poco da sognare… he he
Sì, era rimasta la stessa, solo maturata in cultura, grazia e bellezza.
- Hai mai tradito tua moglie? – Mi domandò.
- Non ho mai tradito né te né mia moglie.
- E nel periodo che è passato tra me e tua moglie, quante te ne sei fatte?
- Un centinaio. E tu?
- Anch’io.
Ovviamente avevamo esagerato. È così che si evitano le risposte.
- Lo hai messo nel culo a tutte? – Domandò più tardi, come una vecchia commilitona.
- Eh, magari! – Risposi. – Non piace a tutte. E tu hai fatto il pompino a tutti?
- Beh – sorrise maliziosa, – ho visto che piace a tutti…
- Valà?
Continuavamo a esasperare i concetti.
- Comunque vuoi vederla – aggiunse guardandomi seria, – stasera non chiavo con te.
- L’ho capito, – sorrisi anch’io, comprensivo.
Però aveva cambiato la parola «scopare» con «chiavare».
Eravamo arrivati in un Lungo Tevere, ma non volevamo tornare in albergo.
- E tu – domandò severa, – hai cominciato a baciare la passera?
Era un rimprovero. Nei sei anni che siamo stati insieme, lei mi avrà fatto 500 pompini e io gliela avevo «baciata» forse una decina di volte.
- Beh sì. – Risposi. – Adesso il mio motto è: «Una scopata non sa di un’acca/ se l’ultimo sapor non sa di vacca!»
- Sublime, – commentò. – Sei diventato un poeta.
- Ti sodomizza regolarmente?
Non rispose. Avevo esagerato e mi rispose con una domanda.
- A te piace ancora mettere una candela nel culo alla donna per poi accenderti la sigaretta e spegnerla a cinghiate?
Touché…
- Non fumo più. – Tagliai corto.

Alla fine, inevitabilmente, giunse il momento di tornare in albergo.
Entrati nella hall dell’Hotel Viminale, lei cercò nella borsa.
- Ho la chiave con me, – disse tirando fuori la tessera magenica. – Ti do la buona notte.
- Ce l’ho anch’io, – risposi. – Possiamo salire insieme.
La accompagnai all’ascensore.
- Che piano sei?
- Al quarto, – rispose, incerta.
- Che forte! – Esclamai. – Anch’io! E che numero hai?
Era un po’ imprudente dirmelo, ma l’ultima paura che aveva di me è che la potessi molestare.
- Ho la 414, – disse, indicando la porta.
- Incredibile! – Esclamai ancora. – Io ho la 416, quella a fianco della tua.
- Beh, – aggiunse imbarazzata dalla serie invereconda di combinazioni che si erano presentate. – Ti do la buonanotte qui.
Mi avvicinai a lei, l’abbracciai e la baciai sulla bocca, senza provare a mettere in gioco la lingua. Rispose all’abbraccio e mi accorsi che il pene in erezione non le era passato inosservato.
Si girò, aprì la porta e si fiondò dentro.
Io, con calma, andai alla mia. Mi spogliai, mi misi l’accappatoio dell’hotel e mi spazzolai i denti. Uscito dal bagno, mi vennero strane idee.
- Sono un imbecille, – dissi tra me e me. – Il destino ce l’ha scritto a caratteri cubitali!
Presi la chiave magnetica e uscii per andare da lei. Appena sul corridoio, la vidi. Anche lei, in accappatoio, stava venendo da me.
- Vieni, – tagliò corto. – Andiamo in camera mia, stiamo più comodi.
Sgattaiolammo dentro in fretta. Chiuse la porta alle spalle e mise la sicurezza. Si girò che la stavo aspettando con l’accappatoio aperto e con l’uccello in resta. Lasciò cadere a terra il suo accappatoio e, nuda, corse ad abbracciarmi. Mi strinse forte con le braccia attorno al collo e con un ginocchio che cercava di infilarsi tra le mie gambe. Le allargai per farle posto, poi la abbracciai prendendole le natiche con le mani.
Era così che iniziavamo un tempo. A lei piaceva il cazzo in erezione a e me il culo a piene mani. Quando glielo permisi, si inginocchiò per arrivare al cazzo col viso. Le accarezzai la testa mentre lo baciava, lo vezzeggiava e ci giocava. Poi finalmente lo prese in bocca e se lo infilò fino in gola più volte.
Ma non era il momento del pompino, non ancora. Era solo per portarlo a regime, ammesso che ne avessi bisogno. E comunque la prima cosa che voleva fare per cominciare era quello. E non solo con me…
Mi lasciò e corse sul letto ad attendermi. Corsi da lei, che non smetteva mai di guardarmelo. Non era proprio cambiata. Mi misi sopra, allargò le gambe e mi baciò. La baciai.
- Chiavami! – Mi sussurrò nell’orecchio infilandoci la lingua.
E mi aveva detto più volte «Non scoperò con te questa sera!».
Puntai il pene e lei non mi volle aiutare con le mani perché le piaceva proprio che il cazzo si cercasse la strada da solo e magari sbattendo più volte sul clitoride prima di scivolare dentro.
D’un tratto, imboccata la vulva, lo spinsi dentro con avidità, aiutandomi con i movimenti dei piedi. Lei, man mano che aumentavo l’attività, allargava di più le gambe, fino a incrociarle dietro la mia schiena. Come una volta.
E io, come una volta, cominciai a penetrarla in tutte le maniere. Dal faccia a faccia passai a metterla sul fianco, facendole raccogliere una gamba per sedermi su quella stesa e montarla così.
Poi, sempre tenendola su un fianco, le raddrizzai la gamba e la alzai per montarla mentre faceva la spaccata.
Quindi, sempre senza mai uscire, la girai pancia sotto e la chiavai da dietro. La posizione che mi piace di più, perché è come se la inculassi. Sentire sbattere le sue natiche sul mio basso ventre è sempre stata una delizia.
Iniziò a venire e la sbattei con crescente veemenza, fino a sentirla ansimare e gridare all’orgasmo. Rallentai il ritmo per farle prendere fiato, poi l’affondo: venimmo insieme.
Mi gettai di fianco, spossato pancia in su, mentre lei rimase così, pancia sotto a somatizzare il piacere ricevuto. Restammo così per un’ora. Forse ci addormentammo.
Mi svegliai quando la sentii lavorarmi l’uccello con la bocca.
- Cosa succede? – Blaterai.
- Niente – disse a bocca piena, – un uccello sta per venirmi in bocca.
Ovviamente lasciai fare soddisfatto e, senza fare ulteriore fatica, le venni in bocca, a fiotti sempre più ravvicinati. Poi mi lasciai andare nuovamente, con lei al mio fianco.
Un’ora dopo, credo, mi svegliai, con la voglia di nuovo crescente, La cercai con le gambe e lei rispose. Ci aggrovigliammo fino a fare un «forbice». Giocammo un po’ così, poi ci riaddormentammo.
- Ce l’hai una candela?
Lì per lì non realizzai nulla.
- Chi sei? – Domandai. – Cosa fai nella vita?
- Ce l’hai una candela? – Ripeté
E stavolta realizzai tutto. Ero con la mia ex,
- No, – sorrisi malizioso con gli occhi chiusi. – Ma ho sempre lui…
- Usalo allora, – rispose più maliziosa di me. – Ma fai piano. Anzi, lubrificami.
- Son dieci anni che non lo prendi in culo? – Le domandai alzandomi a fatica.
- Non proprio, ma quasi… – Sorrrise anche lei. – Fai attenzione quando lo imbocchi, prima di incularmi.
Quando eravamo morosi, definiva la mia voglia di metterlo nel culo come una sorta di perversione. Ma visto che le piaceva, non diceva mai di no. Però riteneva di avere anche lei quella piccola perversione che le faceva desiderare prenderlo nel culo. Erano altri tempi anche per me. Oggi inculo senza problemi una donna al cospetto del marito che ci guarda masturbandosi e, all’occorrenza, inculo anche lui. Ma allora eravamo giovani e non era così, ne sapevamo troppo poco.
Presi il flacone che aveva preparato sul comodino, mi unsi il medio e lo portai al buco del culo. Lei si allargò il più possibile. Le presi la figa con la mano sinistra e introdussi il medio nell’ano. Dapprincipio era molto irrigidita, ma poi sentii l’ano allentarsi, stringersi e allentarsi sempre di più, fino a desiderare la sodomia. Passai più volte il medio per il culo e lei cominciò a gemere e allora mi fermai per far posto al cazzo.
- Pronta? – Chiesi, come un tempo.
Annuì con gli occhi chiusi e le labbra soddisfatte. Come un tempo.
Le inserii il cazzo nella figa e lei mi facilitò il compito. Sapeva che mi serviva per lubrificarlo. Subito dopo infatti lo sfilai e appoggiai la cappella all’ano.
Lei, sdraiata pancia sotto con le gambe larghe, sapeva cosa avrei fatto e si stava godendo il tutto in maniera passiva e soddisfatta. Spinsi il cazzo con attenzione, facendo entrare la sola cappella. Subito l’ano mi si stinse attorno alla base del prepuzio, dimostrandomi che non era più abituata a farsi inculare. Attesi che l’ano si rilassasse e, quando lo sentii allentato, spinsi ancora un po’ in modo che tutto il suo apparato fosse pronto a godere anziché soffrire. Allargò di più le gambe, come se in quella maniera mi allargasse anche il buco. Allora decisi che era il momento e lo infilai di brutto nel culo.
Lei reagì godendosi il momento, inarcando in dietro la testa, stringendo i pugni sulle lenzuola, sbattendo i piedi come una forsennata ed emettendo gridolini di piacere. Il cazzo alloggiava perfettamente e si godeva le parti del retto, morbide e scivolose. Iniziai a incularla come piace a me e come piaceva a lei. Lo sfilavo piano e lo rinfilavo di brutto. Ogni volta godevamo di più.
Confesso che mi sarebbe piaciuto guardarmi mentre la inculavo così, ma purtroppo non potevo riprendermi. E sicuramente non me lo avrebbe lasciato fare. Allora mi concentrai sull’azione e presi il ritmo sempre più crescente.
Lei strinse di più le gambe per godesi meglio la sodomia e io la pompai finché non sentii che stava per venire analmente. Allora accelerai gli ultimi colpi e mi lasciai venire come un idrante nel suo retto.
Quando smisi di eiaculare, mi lasciai espellere dal retto e mi buttai di lato col fiatone.
- Che passione! – Riuscii a esclamare. – Erano dieci anni che aspettavo questo momento.
Mi si fece vicina, guancia sul petto e mano sull’uccello. Prendemmo fiato così.
- Sono quasi le 6 di mattina, – disse ad un certo punto. – È bene che tu ti alzi e vai in camera tua. Faccio la doccia e vado a fare colazione alle 7. Tu, per favore, fai colazione in camera e non scendi prima delle 8. OK?
- D’accordo, – risposi. – Però un’ultima cosa.
- Cioè?
- Una buona scopata non sa da un’acca, se l’ultimo sapor non sa di vacca!
Subito non capì, ma poi si mise comoda con le gambe aperte. Mi portai a quattro zampe alla figa e cominciai a baciargliela. Reagì come una scolaretta, saltando con le gambe come la rana di Pascal. Mi sbatteva i piedi dietro la nuca. Venne gridando come se stesse scoppiando. Poi si placò.
Mi alzai, indossai l’accappatoio, controllai di avere la tesserina della stanza in tasca e mi avvicinai al suo orecchio.
- È stato sublime, – dissi, baciandole poi la fronte. – Quando ci incontriamo di nuovo?
Si alzò, prima di rispondere.
- Tra dieci anni, – rispose dopo un momento di silenzio. – Per caso.
- Cioè, mai più. – Commentai. – Messaggio ricevuto. Peccato.
- Ma la prossima volta ricordati la candela. – Aggiunse giuliva.
Ci abbracciammo e le presi il culo tra le mani, come piace a me.
- Non è meglio un cero? – Domandai.
- Perché no? – Concluse cercandomelo maliziosa sotto l’accappatoio, come piace a lei. – Ma mi pare che lui vada benissimo.

Fine.
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