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Io, Marco e Daniela. Una storia Cuck


di Honeymark
31.01.2018    |    16.805    |    8 9.1
"A quel punto mi resi conto che non avevo scattato neanche una foto..."
Io, Marco e Daniela.

Mi trovavo in un noto albergo di Panarea in bassa stagione, per cui c’erano pochissimi clienti. D’altronde l’avevo scelto proprio per questo. Volevo impostare un libro e avevo bisogno di concentrazione.
Avevo notato la sola presenza di altri quattro ospiti. Essendo praticamente una famiglia, ci salutavamo educatamente, ma nessuno aveva voglia di socializzare. Eravamo tutti lì per stare da soli.
Ma la storia che sto per raccontare cominciò proprio in quell’albergo perché il terzo giorno che ero lì arrivò una giovane coppia sui trent’anni. Trovai singolare che dei giovani gradissero stare in un posto così isolato, senza discoteche funzionanti e senza una pur minima vita di società. Ma poi capii perché: era una copia in viaggio di nozze. Per forza desideravano stare da soli…
Insomma, nulla di nuovo sotto il sole per me. E invece, mentre stavo rileggendo il capitolo scritto il giorno prima stando sul terrazzo che dava sullo stupendo mar Tirreno, i due si fermarono davanti a me. Alzai gli occhi e li vidi. Erano belli entrambi, ma da giovani è tutto più semplice. Io ho 60 anni e ormai ho chiuso con un sacco di iniziative.
Non ricordo come fosse vestito lui, so solo che aveva una macchina fotografica in mano. Di lei invece ricordo benissimo tutto. Aveva una minigonna svolazzante e un top che faceva fatica a tenere il seno che doveva essere della quarta misura. Aveva i capelli neri e due occhi penetranti come quelli di una donna apache. Fu questo particolare a distogliermi dalla lettura.
- Possiamo disturbare? – Disse lui.
- Certamente – mentii.
Chiusi il portatile e mi misi a disposizione.
- Io mi chiamo Marco – disse, – lei si chiama Daniela.
- Io sono Matteo. – Risposi.
Ci stringemmo la mano. Lei aveva delle mani lunghe e delicate con una pelle liscia davvero femminile. Però evitai di lasciarmi coinvolgere dalla sua avvenenza e li feci accomodare.
- Siamo in viaggio di nozze. – Esordì Marco.
- Le mie felicitazioni! – Dissi.
- Avevamo chiesto alla reception se ci fosse una barca disponibile – disse Marco – e mi hanno detto che l’albergo ha una cabinato a vela da 9 metri giù al molo.
- È vero, – risposi. – L’ho usato più volte in passato.
Mi pentii di averlo detto perché stavo intuendo dove voleva arrivare.
- Mi hanno detto anche che in bassa stagione non hanno lo skipper e mi hanno suggerito di chiedere a lei.
- E cosa volete chiedermi?
- Se fosse disponibile a portarci a fare un giro. – Disse lui, accorgendosi di avere fatto una richiesta invadente.
- Mi spiace ragazzi, – risposi. – Sono qui per andare avanti con il mio nuovo romanzo e non ho in programma di uscire in mare.
- Mia moglie in barca ama stare nuda, – aggiunse lui, per invogliarmi.
Una maniera stupida per provare a convincermi. Ed erano in viaggio di nozze…
- Non mi basta, – Risposi, – Voglio di più.
Mi guardarono perplessi.
- E cosa per la precisione? – Domandà lui.
- Voglio poter accarezzare il culo di tua moglie.
Mi avrebbero mandato a fare in culo, pensai; avevo trovato la proposta indecente e così risolvevo il problema. Mi avrebbero lasciato in pace.
- Eccomi. – Disse la moglie dopo essersi portata in piedi al mio fianco.
- Ecco cosa?
- Mi accarezzi sotto le gonne che poi usciamo in barca.
Intorno non c’era nessuno e allora non seppi far altro che mettere la mano sotto la minigonna fino ad accarezzare il culo. Se portava le mutandine erano microscopiche, perché sentivo solo le sue natiche fresche. Al contatto mi provocarono un sommovimento all’uccello come non mi capitava da tempo se non per scopare.
- Questo puoi farlo sempre, – aggiunse. – Se ci porti per mare.
Mezzora dopo eravamo alla barca. Avevo dato la parola, ma avevo anche avuto un forte interesse erotico a portarli in navigazione.

La barca era uno sloop di 9 metri. Un cabinato utile per fare piccolo cabotaggio. Pensai di fare il giro dell’isola. Saliti a bordo, issai la randa e cazzai il fiocco, accesi il diesel e diedi ordine al ragazzo dell’hotel di mollare la cima.
Usciti dal porticciolo spensi il motore e cazzai le vele per mettermi all’orza. Dopo un po’ eravamo lontani dal centro abitato e mi godetti il senso di libertà che dà la barca a vela e la percezione dell’infinito che offre il profondo e limpido mare blu di Panarea.
Non era caldo, ma neanche freddo. Io avevo indossato pantaloncini e maglietta azzurri, mentre i due erano venuti in jeans. Appena doppiato il promontorio, si erano spogliati nudi e si erano messi in piedi a prua tenendosi alle sartie.
Erano belli da vedere perché sembravano l’allegoria della giovinezza. I loro culi erano due sculture e per la prima volta provai piacere a guardare entrambi.
Rimasero a prua a godersi l’aria e il sole, mentre io stato seduto a poppa controllando il timone a barra. Ad un certo punto Daniela venne da me. L’arietta si era fatta più ruffiana e la guardai con un certo interesse.
- Vuoi un altro acconto? – Mi domandò.
Io non risposi, ma lei venne a sedersi a cavalcioni su di me. Io, automaticamente le misi le mani al culo per sostenerla. Lei si avvicinò all’orecchio, mi infilò la lingua e mi suggerì qualcosa.
- Perché non ti togli maglietta e pantaloncini?
Ma non attese risposta e passò a sfilarmi i pantaloncini. Ovviamente non portavo le mutande perché i pantaloncini erano un costume da bagno. L’uccello balzò fuori e si rivolse al cielo. Ora eravamo nudi tutti tre.
La giovane si inginocchiò e si mise a cercare l’uccello col viso come un animale grufolatore. Quando lo trovò lo stimolò per renderlo più solido e infine abbassò il prepuzio e cominciò a succhiarlo.
Io mi godevo il calore e l’umidità della sua saliva e la morbidezza di lingua e palato. Mi sembrava di sognare perché era da anni che non mi trovavo in una situazione del genere. Il marito, che aveva appena sposato, stava a prua a godersi la navigazione, mentre lei mi sbocchinava.
Devo dire che a me piacciono le coppie, ne ho tre con le quali vado a letto con funzioni del «terzo comodo», come lo chiamo io modificando il termine «terzo incomodo». Ogni coppia che possedevo mi aveva fatto entrare nel letto per ragioni assai varie. Se quei due giovani volevano farmi, avevano scelto una via stupenda. Ma non ero sicuro di nulla, li avevo appena conosciuti.
Marco si girò per vedere cosa stesse facendo sua moglie e ci vide mentre lei mi faceva il pompino. Fortunatamente sorrise soddisfatto e si portò a noi con l’uccello che si stava ergendoin resta. Si inginocchiò dietro a Daniela e, aiutandosi con le mani, la prese così come era, alla pecorina.
Daniela continuò, ma adesso era troppo distratta dal cazzo del marito. Così, dopo un po’, si alzò, prese il marito per mano e lo spinse a tuffarsi in mare insieme a lei.
Io liberai le scotte e lasciai che il vento stallasse la barca. Era prodiera e pertanto, senza vele, di metteva controvento.
I due nuotarono alla barca, lei si appoggiò alle mura e lui si tenne al bordo. La donna mise le gambe attorno al corpo di lui e lui la penetrò. Continuarono finché, gridando di piacere, non vennero.
Gettai la scaletta e li feci risalire.
Proseguimmo il giro di Panarea con loro due che si tenevano stretti stretti. Adesso erano l’allegoria dell’amore universale.
Tornati al porticciolo ci abbracciammo dandoci appuntamento la sera al bar.

Alle 19, puntuali, ci trovammo a prendere un aperitivo. Eravamo tutti tre eleganti. Io presi un martini dry, loro un gin tonic.
- Avete riposato? – Domandai. – La gita in barca è stata faticosa.
- Riposato? – Rispose. – Siano in viaggio di nozze! Ha ha.
- Giusto, – convenni. – Vogliamo cenare insieme?
- Volentieri, – disse Daniela. – Abbiamo una proposta da farti.
- È una richiesta, – precisò Marco.

A tavola ordinammo tutti tre gli spaghetti allo scoglio e li mangiammo in religioso silenzio, annaffiando il tutto con un vino bianco Cataratto di Sicilia.
Con la mousse di cioccolata ordinammo lo zibibbo. Troppo? Beh, dopo una giornata così…
- Sentiamo, – dissi. – Sparate.
Eravamo carburati al punto giusto.
- Volevano chiederti due cose, – iniziò Marco. – La prima è se sei disposto a fotografarci mentre scopiamo.
- La seconda – aggiunse sua moglie Daniela sorseggiando lo Zibibbo, – è se sei disposto a venire a letto con noi.
Ordinai dell’armagnac da bere dopo il caffè, così ebbi il tempo di pensare.
- Per le foto non ci sono problemi, – dissi. – Non siete la prima coppia in viaggio di nozze che lo chiede.
I due restarono ad ascoltarmi, peraltro non troppo preoccupati.
- Per la seconda richiesta – proseguii, – non chiedo di meglio. Però vorrei che mi spiegaste perché. Io vado già a letto con altre coppie ma…
- Stiamo insieme da quasi 10 anni, – spiegò Marco. – Ho avuto modo di spiegare più volte a Daniela che l’idea di vederla tra le braccia di un altro mi fa impazzire…
- Io gli ho sempre detto che la cosa mi intriga da morire, – intervenne la moglie. – A chi non piacerebbe? Ma avevo paura di perderlo. Una cosa è dirlo e un’altra è farlo… Quindi ho rinviato il tutto a dopo il matrimonio.
- Quindi oggi tutto è a posto, – commentai io di logica.
- Esatto.
- E io cosa avrei in più di altri – domandai, – oltre al fatto che qui in albergo solo l’unico singolo?
- Un sacco di cose, – disse Marco.
- A partire dall’età. – precisò lei. – Sei sulla sessantina e ormai sai controllare le emozioni e le passioni.
- E nei nostri sogni erotici, il terzo uomo doveva essere proprio uno della tua età. – Aveva continuato Marco.
- Inoltre tu sei bello e… – concluse Daniela mentre il marito sorrideva soddisfatto – hai il cazzo che piace a me.

Un’ora dopo salimmo in camera, ognuno nella sua. Mi spogliai e indossai l’accappatoio dell’albergo. Uscii con circospezione e andai alla loro camera. Bussai e mi fecero entrare. Erano in accappatoio anche loro.
Mi diedero la macchina fotografica. Poi si abbracciarono e, per approssimazioni successive, si scaldarono e si spogliarono platealmente. Io scattavo le foto, provando un certo senso di eccitazione. L’uccello sapeva che sarebbe accaduto di tutto. Ma io non avevo idea di come cominciare perché sembravano molto affiatati e desiderosi l’uno dell’altra come se la mia presenza fosse solo un catalizzatore.
D’un tratto però lei, nuda, venne verso di me. Mi slacciò l’accappatoio e lasciò che l’uccello brandeggiasse libero. Smisi di fare foto e lasciai cadere l’accappatoio. Lei si inginocchiò per prendermelo in bocca come aveva fatto in barca. Allargai le gambe e la accarezzai lasciandola fare. Quando le parve di avermelo portato a regime, mi prese per mano e mi portò a letto, dove suo marito ci aspettava ansioso.
Lui si mise pancia in su e allungò le braccia a sua moglie. Lei si portò a lui e si sedette infilandoselo, ci giocò un po’ sbattendoselo in figa e poi si piegò in avanti per baciarlo.
Giusto o sbagliato che fosse, lo presi come un invito. Presi la boccettina di lubrificante dal comodino e lo versai sul il dito, poi lo poggiai al buco del culo e feci pressione. All’inizio era molto stretto, ma poi cedette facilmente adattandosi alla presenza dell’intruso. A quel punto misi le ginocchia ai lati delle gambe di Marco e mi piegai in avanti per portare il cazzo al culo della giovane signora. Lei si mosse per aiutarmi e si fermò solo quando lo avevo puntato bene. Infatti spinsi e anche il cazzo che, come il dito, dapprincipio trovò una certa resistenza, per poi scivolare dentro senza difficoltà. Non mi capita spesso di sentire un culo così accogliente, per cui non persi l’occasione e la sbattei come se la stessi chiavando. Lei mi lasciò fare e così mi accorsi che ero io che le facevo chiavare il marito dominando i movimenti. Due in uno. Nonostante la mia età non più giovanile, venni presto sborrando nel suo retto una grande quantità di sperma come un ragazzino.
D’altronde, quello è il mio modo preferito di chiavare. Anzi, di inculare. Io sono particolarmente portato a sodomizzare e le mie coppie mi amano per questo. Si erano goduti la mia monta come se l’avessero sognata per anni. E forse era così.
Mi staccai e mi rimisi l’accappatoio per tornare in camera mia. A quel punto mi resi conto che non avevo scattato neanche una foto.

Nei giorni che seguirono volli alternare giornate di lavoro al mio romanzo con libere navigazioni, che ci portarono fino all’isola di Basiluzzo.
La sera facevamo sesso a tre e io,m seguendo le loro indicazioni, gestuali e non verbali, mi divertivo divertendoli
Quando la vacanza finì, ci lasciammo di malincuore. Vivevamo lontani, io in Veneto e loro in Sicilia, ma ci giurammo di frequentarci almeno una volta all’anno.

Fine
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