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Il castagneto


di Icepick7
13.03.2020    |    6.193    |    9 8.7
"Mi distaccai gradualmente facendo attenzione, come per non mandare in frantumi un prezioso vaso orientale..."
In questi giorni di scompiglio, mi è tornato alla mente un episodio che ho vissuto non molto tempo fa e che mi fa ancora emozionare adesso mentre lo scrivo. Spero possa sollevare anche l'animo di qualche lettore in questi giorni difficili.

Era un timido e tiepido pomeriggio di metà ottobre, un’insolita calma aveva ormai preso il sopravvento su di me nonostante mi fossi imposto con tutte le mie forze di non cedervi.
Non avevo programmi e i miei amici non sarebbero stati disponibili fino alla sera, per cui decisi di aprire un’app di incontri che uso in momenti di noia come questo alla ricerca di qualcosa, pur consapevole che sarebbe potuta essere un'inutile perdita di tempo.
Solite facce, telegrammi identici, irritanti proposte e nulla di concreto: chiuso tutto alla velocità della luce; - non è giornata - mi dissi, e mi abbandonai all’idea di passare il pomeriggio senza far nulla.
Ad un tratto un vibrare mi destò da quel placido torpore, un fulmine a ciel sereno.
Lessi.
“Ciao *****. Sono in zona, se ti va possiamo vederci, è passato del tempo dall’ultima volta", recitava il messaggio.
Annebbiato dalla sonnolenza non capii subito, poi vidi il nome: “Giovanni ****”, passò un altro secondo prima che realizzassi del tutto.
Sobbalzai di scatto, ero un bimbo scalpitante la mattina di Natale.
Confermai subito dandogli appuntamento per le 16:00 circa, avevo decisamente voglia di vederlo, e sicuramente non avevo di meglio da fare.
Immediatamente mi ritrovai immerso a rivivere con nostalgia il nostro primo incontro, le mie emozioni si unirono a danzare con le farfalle che avevo nello stomaco, lo scrosciare dell’acqua era neve soffice che sfiorava la mia pelle, il mio animo viaggiava cullato dai vividi ricordi.
Tutto cominciò in un’anonima chat circa un anno prima, mi colpì da subito la sua maturità e uno strano senso dell'umorismo che a me fa impazzire, unito al fatto che non andasse a caccia di sesso come molti altri. Fu così che dopo non molto diventammo buoni amici, potevamo contare l’uno sull’altro anche nei peggiori momenti. Avevamo recentemente esplorato nuovi orizzonti e devo dire che è stato un bell’upgrade alla nostra amicizia, una dolce sfumatura, un piatto ben cucinato al quale è stato conferito un tocco più deciso; tutto ciò senza intaccare il resto.
Ad ogni modo, in mezz’ora raggiunsi il posto concordato, lui arrivò con leggero ritardo, si scusò ma lamentandosi comunque di come io fossi sempre maledettamente puntuale.
Ho sempre adorato quel suo modo di fare tipico di chi vorrebbe sembrare a tutti i costi distaccato, ma che in realtà nasconde un animo gentile e premuroso e vorrebbe soltanto stringerti forte per non lasciarti mai.
Visto il leggero caldo prendemmo una granita al bar, io al melone lui al limone, e mi offrì uno squisito dolcetto.
Parlammo di tutto e di più per molto tempo, perdemmo decisamente la cognizione del tempo, direi all’incirca un’oretta buona, quindi optammo di uscire a cercare un luogo più tranquillo dove parlare, come nostra abitudine.
Salimmo in macchina, seppur non avendo ben chiaro dove andare, e uscimmo dal centro abitato imboccando una strada di montagna che conoscevo abbastanza bene.
Più si avanzava, più la strada spariva inesorabile in una lieve nebbiolina di montagna; la lenta marcia dell’auto di Giovanni scandiva un ritmo nel mio petto, ora più calmo, ora più incalzante.
La sempre più flebile nebbia lasciò ben presto spazio alla boscaglia, poi ad imponenti castagneti che aumentavano man mano che si saliva di quota, fino a raggiungere una zona prevalentemente rocciosa dominata quasi esclusivamente da alti e radi castagni in piena produzione di castagne, grande specialità della zona.
L’auto procedette per molti minuti ancora, poi ad un certo punto si fermò a ridosso della strada in un punto al quale si affiancava un breve sentiero che si inoltrava nei castagneti.
Giovanni propose di scendere dall’auto e di incamminarvici, in esplorazione, poiché entrambi amanti della natura.
Mille domande pervasero la mia mente, confuse parole echeggiarono nel piccolo abitacolo, mi prese una mano e con lo sguardo deciso mi disse che non dovevo preoccuparmi; in fondo quel luogo era talmente splendido che la paura di imminenti pericoli scomparve subito come la nebbia che ci eravamo lasciati alle spalle, la tensione si tramutò in entusiasmo.
Ci incamminammo così per quel sentiero, le foglie brune avevano creato un tappeto soffice e scrocchiante ad ogni passo, un tiepido e leggero venticello agitava le rade fronde, facendo ondeggiare dolcemente qualche foglia fino a farne cadere qualcuna.
Dopo pochi passi si rivelò un ampio spiazzo tra rocce ed alberi, posto poco più in basso rispetto al livello della strada principale, ma dal quale si poteva avere un’ottima visuale di quello che succedeva al di sopra e al contempo non correndo il rischio di essere visti.
Ero incantato dal quel meraviglioso panorama, tutta la vallata si intravedeva tra le chiome rossastre, era un trionfo di colori e di natura selvaggia ed incontaminata.
Mi appoggiai ad una grossa roccia sporgente e mi levai la giacca, chiusi gli occhi per respirare a pieni polmoni quell'aria salubre e fresca, leggermente selvatica.
In quello stato di piena beatitudine dei sensi mi resi conto che Giovanni mi si stava osservando intensamente, sentii il suo sguardo profondo penetrarmi l'anima.
Non feci in tempo ad aprirli che sentii il tenero calore di un abbraccio, misto ad un piacevole aroma di pino emanato dal suo dopobarba; mi diede un bacio intenso e sfuggente e le sue mani presero a sondare accuratamente il mio petto, sotto la T-shirt.
Quel paesaggio aveva risvegliato qualcosa…

Le sue mani presero più terreno: ora stringendo i miei turgidi capezzoli, ora scivolando sulla liscia schiena, fino ad addentrarsi casualmente nel mio stretto pantalone, che strenuamente si opponeva a quel goffo tentativo di intrusione.
Mi distaccai leggermente dalla roccia a cui mi ero appoggiato e slacciai solo la cintura, poi tornai all’assalto della sua accogliente bocca, lasciando che quelle voraci mani potessero delicatamente attraversare la schiena e scendere più in basso, fino ai miei indifesi glutei, e accarezzare lievemente il sensibilissimo solco.
Gemetti.
Volevano di più: così come una sadica bestia sanguinaria gioca con la sua preda fino alla fine ma senza darle subito il colpo di grazia, così decisero che non era ancora il momento.
Giovanni si tolse la felpa e con essa la maglietta che aveva sotto rimanendo a petto nudo, era un animalesco invito e lo colsi senza esitazioni.
Ora erano le mie mani che, gentili, carezzavano il suo magro ma tonico busto, soffermandosi distrattamente sul suo petto, sulla schiena e sul basso ventre; chinandomi a tratti a mordicchiare e baciare i suoi piccoli capezzoli, per poi tornare sulla bocca avida.
L’eccitazione aveva decisamente preso il sopravvento, il suo respiro si fece sempre più intenso sul mio collo; mi guardò per un istante, poi sparì dalla mia vista, abbassai velocemente lo sguardo e lo ritrovai lì, tra il bruno fogliame.
Mi sbottonò con lentezza i pantaloni e, senza preavviso alcuno, li calò con un colpo solo insieme alle mutande, ma avendo cura di non farli cadere a terra.
Il dolce vento solleticava la mia sensibile pelle, la corta peluria ondeggiava all'unisono con la vegetazione circostante.
Avvicinò il viso per potersi inebriare della freschezza di quel timido tempio, per poi scendere fino al membro svettante.
Schiuse le labbra quel poco che bastava per risucchiarlo lentamente all’interno fino in fondo, facendolo quasi del tutto sparire, per poi rilasciarlo allo stesso modo con la stessa inesorabile lentezza, mani invadenti soppesavano intanto le cariche sacche stringendole vigorosamente.
Gemetti nuovamente.
Quel paesaggio aveva decisamente risvegliato qualcosa…

Prese armoniosamente il ritmo con decisi e intensi movimenti, dando di tanto in tanto a me il compito di dirigerlo, le mani esploravano sempre più impertinenti i miei nudi glutei accarezzati dalla tenera brezza montana, insinuandosi tra essi e violandone la sacralità.
Continuò per poco, fu subito chiaro cosa volesse e si alzò tirando giù il pantalone, mettendo in mostra anch'egli il suo membro, che aveva già provveduto a liberare precedentemente, già stimolato.
Lo strinsi forte e mi abbassai a mia volta, presi in breve a fare ciò che pochi attimi prima avevo ricevuto, con medesima attenzione e maestria.
Dopo non molto, fu Giovanni a voler dettare le regole: con la mano dirigeva i miei movimenti, seppur con qualche difficoltà date le generose dimensioni, mentre mi accarezzava con dolcezza i capelli.
Due anime avvolte in un vortice di passione; d’un tratto il suo respiro si fece davvero pesante, temetti che il sogno finisse troppo presto.
Mi distaccai gradualmente facendo attenzione, come per non mandare in frantumi un prezioso vaso orientale.
- Non è ancora il momento! - mi disse; non avrebbe certamente voluto finire in quel modo, per cui ripresi a baciarlo cercando di calmare quella furia animale, anche se solo in parte.
Mai peccai di presunzione come in quel momento.
Frugò nervosamente nel suo borsello alla ricerca di qualcosa, tirò fuori un preservativo, nonostante mi avesse poco prima mostrato con assoluta trasparenza il documento attestante la sua incontrovertibile salute sessuale su tutti i fronti.
Gli dissi che non era necessario e che per quell'occasione avremo potuto provare senza, data la mia fiducia che non ha mai tradito.

A quelle parole, mi sentii istantaneamente addosso lo sguardo di un leone affamato a caccia, pronto a balzare sulla preda, era dannatamente pronto ed impaziente.
Mi girò di spalle facendomi piegare leggermente, ammirò ciò che prima aveva potuto solo sfiorare tuffandocisi a pieno viso, avendo cura di inumidire abbondantemente, ci sapeva fare anche in quello.
Il solletichio della barbetta lasciò spazio ad una presenza alquanto ingombrante, che iniziò subito a sondarmi, in cerca del punto favorevole.
Così, con pochi attenti e progressivi colpi, Giovanni affondò dentro di me, cercando il meno possibile di farmi male ma al contempo assestando colpi decisi, nonostante la resistenza del mio buco abbastanza stretto.
Urlai dal dolore, poi, gradualmente, dal piacere.
Una volta rilassato, mi protesi più in avanti, inarcai la schiena appoggiandomi di peso con un braccio ad un albero che avevo davanti.
Ruvida pelle sferzata dalle intemperie contro candida pelle sferzata dalla furia animale, in un innaturale simbiosi silvestre.
I colpi scuotevano l’aria, la placida quiete di quell’incantato luogo, scuotevano me fino alle ossa, e con me l’albero, leggere foglie ondeggianti si unirono a quella vorticosa danza.
Un brivido percorse tutto il mio corpo in estasi.
Nemmeno le distratte auto che sfrecciavano poco più in alto potevano destarmi da quel sogno, chi per caso fosse stato spettatore ne sarebbe rimasto certamente ipnotizzato.
Giovanni continuava instancabile con i suoi affondi, energici e decisi ma quanto più gentili e attenti per non provocarmi dolore, ansimando come un bufalo e chinandosi di tanto in tanto a baciarmi la schiena e il collo, pur mantenendo costante il ritmo.
Continuò per pochi altri minuti, era irrimediabilmente sempre più eccitato, la forza aumentava, ma diminuiva la frequenza: era arrivato al limite massimo.
Per l’ultima volta affondò energicamente e, ancora senza preavviso, scaricò tutto il suo abbondante piacere dentro di me.
Urlò dalla liberazione come se fosse stato posseduto da un orso.
L’ondeggiar dell’albero cessò di colpo, la danza era finita ancor prima dello scoccar della mezzanotte.
Il mio animo era ancora avvolto nelle bollenti spire di quel vortice, mi svegliai di colpo frastornato, percepii un calore nel ventre e immediatamente qualcosa fuoriuscire da me.
Resosi conto della situazione e del mio spaesamento, Giovanni si scusò prontamente e mi offrì alcune salviette indicando verso il basso; finalmente realizzai.
Mi girai e si stupì, non avevo ancora raggiunto l'orgasmo e in un orgoglioso tentativo di farsi perdonare si preoccupò di non lasciarmi insoddisfatto: in breve culminai il mio grande e abbondante piacere sul suo viso.
Rise soddisfatto e mi strappò un sorriso, poi un bacio; il suo viso ancora umido del mio piacere mi solleticò le guance dolcemente.
Improvvisamente piombai nel buio e nel gelo, mi accorsi che si era fatto piuttosto tardi e per paura di incontrare qualche pericoloso animale, ci rivestimmo velocemente e raggiungemmo l’auto di Giovanni per tornare giù in città.
Un freddo silenzio era sceso tra noi, la strada interminabile sembrava volerci donare ancora qualche attimo di rara bellezza incontaminata, coronandola con un fugace e caleidoscopico tramonto infuocato.
- Meraviglioso - esclamò Giovannino con stupore indicando fuori, - Non ho mai visto un tramonto così - e mi accerezzò il viso.
Avrei voluto che quell'attimo durasse per sempre.
La montagna maestosa sembrò via via sempre meno imponente, fino a sparire tra le rossastre nubi con fierezza e lasciando spazio ai freddi e tetri palazzi di città.

“È stato bellissimo”, disse, poi mi diede un breve bacio malinconico.
Non dissi nulla, uscii dall'auto: - Si, davvero speciale - risposi con ancora una grande emozione addosso e feci ritorno a casa, affidando alla chiara Luna e alle stelle testimoni il mio segreto affinché lo custodissero come gemme preziose.
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