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Prime Esperienze

Cattivi maestri (Parte 1)


di BOY94cercaMATURI
18.04.2018    |    19.046    |    25 9.3
"All'interno erano presenti due auto..."
Aprii insolitamente gli occhi intorno alle 7.00 del mattino.
Per tutto l'anno avevo dannatamente faticato a svegliarmi presto.
Avrei dormito ogni mattina almeno fino alle 12.00 se avessi potuto.
Ma quella mattina era diverso.
Il giorno prima avevo teminato la scuola e tutto ciò che ora desideravo era di godere della mia libertà conquistata.
Nessuno avrebbe più potuto obbligarmi ad andare in un istituto e rimanere chiuso in un'aula a studiare ed imparare inutili quantità di nozioni ogni maledettissimo giorno.
Da quella mattina sarei stato libero.
Per questa ragione o forse per il senso della libertà conquistata e per l'ondata di vita che speravo mi avrebbe travolto da quel momento, mi svegliai alle 7.00 in punto, pronto a vivere una intensa giornata.
La casa era silenziosa e illuminata. Profumava della calda aria estiva e dell'erba fresca proveniente dal giardino.
Un ritmato rumore di tagliaerba si sentiva in lontananza.
Presi del latte e dei biscotti per fare colazione.
Subito dopo aver iniziato a mangiare scorsi mia madre appena sveglia, sguardo corrucciato e buio come ogni mattina, guardarmi sospettosa intenta anche lei nel prepare la colazione.

- Sei felice che sia finita la scuola? - disse rompendo il silenzio.
- Certo. Come potrei non esserlo – risposi sorridente.
- Cosa hai intenzione di fare ora e nel futuro visto che hai 18anni compiuti e non ti interessa continuare gli studi?
- Non lo so. Non ti pare sia un po' presto per farmi queste domande? La scuola è finita solo ieri!
- No! Non è troppo presto. Devi trovare un'occupazione quanto prima, altrimenti finirai per non fare nulla tutta la vita.
- Ok. Da domani inizierò a cercare qualcosa. Contenta?
- Bene. Nel frattempo domani andiamo dal Signor. Giuseppe Lurini.
- Ma il Signor. Giuseppe Lurini non è il meccanico che sta su in collina? - domandai.
- Si esatto! Ieri sono passata da lui per cambiare il fanale dell'auto. Gli ho chiesto se avesse bisogno di aiuto, visto che inizierà la stagione estiva e arriveranno molti turisti. Mi ha risposto di si cosi gli ho chiesto se potevi dargli una mano tu, giacchè hai finito la scuola e non hai da fare nulla.
- Bene! Avresti potuto chiedermelo prima magari, no?
- Avrei potuto. In ogni caso il sig. Giuseppe ti aspetta domani dalle 9.00 nella sua officina. Puoi arrivarci in bici, non dista molto da qui.
- Va bene – dissi, pensando a quei vaghi istanti di libertà provati poco prima ed a come stessero svanendo con assoluta indifferenza.

L'indomani mattina, alle 9.00, presi la mia bicicletta e mi avviai su per la collina per raggiungere l'officina di mastro Giuseppe.
Arrivai nei pressi dello stabile presso cui era situata l'officina.
Era una costruzione un po' datata di 2 piani con il tetto da rifinire ed i mattoni ed il cemento ancora visibili. Al piano terra lavorava mastro Giuseppe mentre sopra, al secondo piano, viveva la famiglia composta dalla moglie e due figli. Un figlio maschio di 28 anni di nome Aldo ed una figlia femmina di 22 di nome Roberta.
Bussai alla porta dell'officina e dopo un attimo si presentò lui intento a pulirsi le mani sporche di grasso.

- Salve sig. Giuseppe. Sono il figlio della signora con cui ha parlato ieri.
- Ah sei arrivato. Bravo bravo, mi fa molto piacere di ricevere un aiuto per un po' di tempo.
- Beh si. Sono felice di poterle dare una mano in questi mesi. Del resto ho appena finito la scuola e non piacendomi molto studiare sono davvero interessato ad imparare un mestiere – dissi mascherando la rabbia interiore.
- Bravo Bravo. Entra cosi ti mostro l'officina.

Mastro Giuseppe era un signore sulla 60ina.
Aveva i capelli grigi corti, stempiato in fronte, con la corporatura appesantita dall'età e dalla poca attività fisica. Il viso era scavato e rugoso con i denti ingialliti probabilmente dal fumo.
Il suo sguardo era debole e spesso, quando parlava, lo distoglieva con rapidità.
Entrai nll'officina.
Non era molto grande nè ordinata, piena di attrezzi. All'interno erano presenti due auto.
Il retro l'officina dava su uno spiazzo da cui si potevano intravedere altre auto lì da molto tempo ed oramai arruginite.
Mi mostrò l'auto su cui stava lavorando. Spiegò molto disordinadamente il problema e cosa stesse facendo per risolverlo.
Infine mi consigliò di aiutarlo, per i primi tempi, passandogli gli attrezzi di cui avrebbe avuto bisogno nel riparare le auto.

Da quel momento in poi ogni mattina, escluso la domenica, mi recavo da mastro Giuseppe nel faticoso intento di imparare un mestiere.
Dopo i primi giorni mi accorsi, tuttavia, di alcune particolarità che caratterizzavano l'uomo.
La prima e più rilevante era che sembrava essere affetto da un piccolo deficit cognitivo.
Notai da subito, infatti, che faceva fatica ad articolare correttamente le frasi e spesso rimaneva fermo e spento nel fissare un punto indistinto del vuoto.
Altre volte, nel mezzo di una semplice conversazione, rimaneva bloccato su qualche concetto complesso fissandomi inespressivo con la mascella allentata.
Un'altra particolarità che caratterizzava mastro Giuseppe era una distratta disinibizione ed incuria negli atteggiamenti ed una certa confusione negi gesti che potevano facilmente essere scambiati da gesti di natura sessuale.
Una delle prima cose che mi colpìì fù la sua assoluta assenza di pudore ed una naturale disinibizione.
Ad esempio: nell'officina era presente un piccolo bagnetto, visibile dall'interno dell'officina, e fin da subito mastro Giuseppe prese ad utilizzarlo senza mai curarsi di chiudere la porta, rendendosi cosi visibile nei suoi bisogni.
Un giorno, mentre ero occupato dalla pulizia degli attrezzi, lo vidi entrare in bagno. Si abbassò la tuta da lavoro fino al ginocchio, poi si abbassò le mutande ed urinò. Si girò quindi verso di me con il pene ciondolante e le palle gonfie, la peluria incolta e grigia, assolutamente non curante della sua nudità e della mia presenza. Poi lo sistemò con le mani senza essere minimanente turbato da me.
Trovavo tutto ciò particolarmente destabilizzante e snervante. Odiavo vedere un uomo cosi non curante e non rispettoso delle persone.
Tuttavia comprendevo che, con molta probabilità, mastro Giuseppe non capiva il senso di quei gesti. Era qualcosa di assolutamente naturale per lui e poco importava che in quell'officina fosse presente un'altra persona.
Dopo circa due settimane il nostro rapporto diventò sempre più confidenziale. Non lo chiamavo più mastro Giuseppe ma semplicemente Giuseppe, mentre lui mi trattava con semore maggiore semplicità e cura.
Spesso, a pranzo, rimanevo con lui nell'officina. La moglie, infatti, su richiesta di Giuseppe, preparava il pranzo e anche per me.
Passavamo, così, la pausa chiacchierando del più e del meno.
Con il passare del tempo gli atteggiamenti di Giuseppe diventavano sempre più intimi, quasi avesse piacere nell'essere cosi incurante del pudore.
A volte, mentre era in bagno, mi chiamava per chiedere qualcosa costringendomi, per ascoltarlo, ad avvicinarmi a lui nudo ed occupato nelle sue funzioni primarie.
Altre volte mi abbracciava o provava ad accarezzarmi i capelli oppure chiedeva che mi sedessi vicino per parlare un po'.
In altri casi, semplicemente, mi fissava senza proferire parola per via di quel deficit cognitivo che lo rendeva evidentemente impacciato e rozzo nei suoi discorsi o gesti.
Iniziai a provare compassione per quell'uomo ma allo stesso tempo mi eccitava la sua naturale e stolta disinibizione. Vedere naturalmente le sue nudità ogni giorno, più volte al giorno, mi davano l'impressione di un uomo alla ricerca di uno strano senso di libertà anche sessuale ed allo stesso tempo di compartecipazione a quella libertà.
Poi una mattina, poco prima della pausa pranzo, lo scorsi manovrare una latta di olio.
Ad un tratto vidi la latta scivolargli dalle mani e sversare il suo contenuto sulla sua tuta blu che cambiò repentinamente colore dal blu ad nero quanto più olio usciva dalla latta.

- Porca miseria - sentii gridare Giuseppe.
- Cosa succede – chiesi.
- Mi è scivolata la latta sulla tuta. Sono tutto impregnato di olio.
- Dai, è solo una tuta da lavoro. Prova ad asciugarla con della carta – consigliai.
- Si. Ora provo ad asciugarla. Ma penso di doverla metterla al sole altrimenti rimarrà umida dannazione – concluse Giuseppe.

Entro in bagno si levò la tuta per lasciarla asciugare.
Ne usci con la solita naturalezza e con indosso solo le mutande ed una maglietta che rimaneva sospesa per via della pancia.
Poichè era ora di pranzo, inziiammo a mangiare dei panini con frittata preparati dalla moglie, accomodati su degli sgabbelli nell'officina.
Disturbati dal silenzio di quel momento iniziammo a chiacchierare del più e del meno:

- Dopo pranzo dovrebbe venire il sig. Luppi. Porterà una vecchia fiat che ha problemi a mettersi in moto – ruppe il silenzio Giuseppe.
In quel momento, vagamente distratto dalla vistosa peluria che Giuseppe sembrava accumulare tra le gambe, non risposi.
- Hai capito! - disse Giuseppe in modo rozzo per svegliare la mia attenzione.
- Si si. - replicai distratto.

Alchè Giuseppe, infastidito dalla mia distrazione, guardandomi fisso inebetito come al suo solito e con la bocca aperta chiamò:
- Vieni qui.
- Dove? - chiesi.
- Qua, vieni qua ho detto.
Obbedendo mi avvicinai.
Lui mi cinse dal bacino e con forza mi accomodò sulle sue gambe.
Sentivo il viso di Giuseppe vicino al mio. Sentivo il suo respiro leggermente affannoso e l'odore si sigaretta, mentre continuava a guardarmi fisso con la bocca aperta.
Poi senza indugi proruppe:
- Ma tu la fidanzata la hai?
- Per ora no. - risposi.
- Ti piacciono le ragazze? Seguitò lui.
Subito dopo la domanda sentii la sua mano accarezzarmi dolcemente la gamba.
- Si certo che mi piacciono. - risposi.
- E lo hai mai provato il cazzo? - disse lui senza patire vergogna.
- No, non l'ho mai provato – risposi io imbarazzato evitando di guardarlo in viso.
- E' bello sai? E' bello darsi piacere tra amici – seguitò lui.
Ero tremendamente imbarazzato ed allo stesso tempo fiero di essere desiderato dall'uomo con cui passavo da oltre un mese gran parte della mia giornata.
Rimasi in un silenzio imbarazzato, fissando un punto indefinito dell'officina.
Il fiato di Giuseppe si faceva sempre più affannoso e percepivo, dal contatto con la mia gamba, che si stava eccitando.
Poi si alzò, sempre fissandomi, e si tolse le mutande.
Ritornò seduto e mi rifece nuovamente accomodare su di lui.
Prese la mia mano e la mise sul suo cazzo.
- Dai, toccami gioia.- disse.

Presi a massaggiarli il cazzo quasi inpaurito da quello che stava succedendo.
Sentivo il cazzo di Giuseppe duro e robusto. Sentivo i suoi peli folti e lunghi. Aveva un cazzo di colore nero ben fatto, abbastanza grosso e di lunghezza sopra la media, con una cappella molto grossa. Mentre si faceva toccare potevo apprezzarne la corposità.
Il suo respiro era sempre più affannoso e iniziai a sentirlo gemere e dire, con la bocca a pochi centimetri dal mio viso, quasi volesse baciarmi:

- Si gioia toccami. Bravo tesoro. Senti come è bello il cazzo del tuo Giuseppe tesoro.

A quel punto si alzò, tenendosi il cazzo in mano. Mi accarezzo la guancia e mi passo un dito sulle labbra. Poi mi prese la testa e mi indirizzo verso il suo cazzo dicendomi:
- Leccamelo tesoro.
Era la prima volta che mi trovavo davanti un cazzo.
Era peloso, morbido, animalesco ed a ogni mio movimento lo sentivo pulsare.
Avevo il cazzo in mano di mastro Giuseppe che sembrava pronto a montarmi ed a possedermi in ogni modo.
Tenevo in mano le sue palle gonfie, grosse e morbide.
Poi avvicinai il cazzo al mio viso.
Odorava di ormoni e sudore ed era tremendamente selvaggio.
Lo misi in bocca.
Sentii il sapore di sudore e di sperma.
Subito dopo avelo messo in bocca le mani di Giuseppe spinsero la mia testa al suo cazzo.
Mi entro tutto in bocca ed a quel punto non dovetti fare più nulla perche Giuseppe iniziò a muovere il suo bacino avanti e dietro procurandosi il piacere dalla mia bocca autonomamente.
Tesi le mie braccia verso le sue gambe.
Lui continuava a scopare con la mia bocca avanti e dietro gemendo e continuando a dire:
- Si tesoro, hai una bocca bellissima. Succhiamelo tesoro. Succhialo al tuo Giuseppe. Dimmi che ti piace. E' tutto tuo tesoro.
Lo sfilò dalla mia bocca giusto in tempo per sversare una copiosa sborrata in parte sul mio viso, in parte a terra.
Sembrò sborrare senza sosta.
Nemmeno il tempo di pulirmi gli occhi dagli schizzi che arrivava un'altra sborrata, finchè finì.
Stanco si sedette sullo sgabbello su cui avevamo iniziato a pranzare.
Aveva lo sguardo soddisfatto e appagato.
Mi invitò a mettermi vicino a lui, mi diede un bacio sulla guancia ancora umida di sperma, e poi si accese una sigaretta.
Compiaciuto mi disse con voce roca e stanca:
- Mi raccomando non dire queste cose a nessuno. Capito gioia?
Io annuii debolmente guardando in giù.
- Io sono qui per tutto quello di cui hai bisogno. Va bene?
Continuai ad annuire debolmente.
Poi con assoluta banalità disse:
- Sono belle queste cose. Significa che ci voglamo bene.
Io non risposi.
Rimasi perplesso da quall'affermazione.
In tutto quello che c'era stato non avevo minimanente visto dell'affetto ma il bisogno di sfogare la sua sessualità prorompente.
In quei momenti di accesa passione sarei potuto essere chiunque, da un oggetto inanimato ad un animale. Nulla avrebbe attenuato la foga ed i bisogni sessuali di quell'uomo.
Tuttavia da quel giorno il nostro rapporto diventò decisamente più sessuale ma anche più intimo e paterno.
Da quel momeno in poi la nostra attività sessuale diventò giornaliera.
Arrivavo in officina intorno alle 9.30 e da subito diventavo oggetto delle sue attenzioni sessuali.
Presi a masturbarlo e sbocchiarlo ogni giorno.
Arrivavo in officina e come prima cosa mi prendeva e mi portava in bagno, si abbassava tuta e mutande e mi piazzava il pene gonfio davanti, mentre io prendevo a leccarglielo fino a farlo venire.
Questo accadeva ogni giorno per 2 o anche 3 volte.
Ogni volta che lo masturbavo o sbocchinavo lui sborrava ovunque poteva nel bagnetto.
In bagno si poteva sentire un forte odore di sperma, dovuto al fatto che tutte le pareti ed il pavimento fossero inondate di schizzi più volte al giorno senza che Giuseppe si curasse di lavarlo.
Il nostro rapporto diventò talmente consuetudinario che Giuseppe sentì la necessità di farmi avvicinare anche alla sua famiglia.
Decise cosi, un giorno, di portarmi a pranzo a casa sua.
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