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LA VILLA II (continua il mio racconto)


di Zagor_black
02.12.2023    |    7.960    |    2 8.3
"Insomma, tutto procedeva al meglio..."
L’assunzione del tuttofare

Dopo pochi giorni dalla festa assunsi un tuttofare che avrebbe curato la casa e soprattutto il giardino.
Era un parente di un mio operaio proveniente dal Congo, si chiamava Gilbert.
Ventiquattro anni, vigoroso e forte da qualche anno in Italia sapeva ben districarsi in ogni lavoro che gli chiedevo di fare. Aveva una buona manualità. Educato e rispettoso con Alessandra, agli inizi chiedeva il permesso per ogni cosa.
Petto largo e muscoloso, braccia forti, due colonne al posto delle gambe, alto più di me di circa venti centimetri aveva una gioventù straripante.
Oltre allo stipendio gli fornivo anche vitto ed alloggio, la domestica, che era di vecchia data, assunta sin dai primi anni del matrimonio, invece, essendo sposata, finite le incombenze tornava a casa sua.

Erano passati due mesi dall’assunzione di Gilbert e le cose si erano incanalate nei giusti binari, Alessandra dirigeva e supervisionava i lavori del ragazzo e della domestica, io lavoravo dodici ore al giorno nei vari cantieri che avevo aperto e che mi rendevano diversi quattrini; durante i fine settimana io ed Alessandra ci abbandonavamo alle nostre passioni: si faceva l’amore selvaggiamente con qualche intermezzo di partecipazione alle nostre feste perverse; non aveva più ripetuto la performance dell’inaugurazione umiliandomi davanti a tutti ma ne parlavamo spesso quando eravamo soli nella nostra intimità. La cosa ci eccitava parecchio finendo sempre a fare all’amore in maniera selvaggia e passionale. Insomma, tutto procedeva al meglio.
Il germe della sconfinata perversione di Alessandra iniziò ad attecchire dopo tre mesi.
Diciamo che in tutto quel tempo, da quando era venuto da noi Gilbert, il germe, aveva seminato in maniera discreta: sguardi fugaci, ammiccamenti appena accennati, sorrisi di nascosto, più o meno casuali toccate di mano. Io avevo notato tutto ma non gli avevo dato peso, sapevo che Alessandra non poteva resistere al fascino maschile, soprattutto se giovane, muscoloso e prestante; ma sapevo anche che non avrebbe mai fatto le cose di nascosto. Il nostro rapporto era chiaro, limpido, onesto e ci amavamo.
Tutto ebbe inizio un sabato mattina di maggio; ero a casa per supervisionare un lavoro per la creazione di un patio. Alessandra adorava questo genere di accessori in giardino.
[.........]
Alessandra ci guardava dall’alto da uno dei terrazzi che affacciava sul giardino comodamente seduta sulla sdraio. Sapevo che dietro quegli scuri occhiali da sole che indossava, non le sfuggiva nulla. Se ci fosse stato qualche sbaglio me lo avrebbe rimarcato prontamente. Quello che non sapevo ancora, era, che la sua attenzione era in gran parte per Gilbert.
A metà mattinata il sole era così caldo che tutti e tre ci togliemmo le magliette inzuppate di sudore. I nostri petti, soprattutto quello di Gilbert, si esponevano lucidi al sole. Alessandra non distoglieva neanche un momento il suo sguardo da noi.
La sua presenza ed il sapere che lei ci stesse guardando moltiplicava le mie forze: gestivo ed aiutavo i due ragazzi. Gilbert metteva la stessa mia grinta nell’eseguire il lavoro ed ogni tanto, pensando di essere non visto, dava delle occhiate sul terrazzo per vedere cosa stesse facendo Alessandra.
Lei con la sedia era vicina alla ringhiera ed indossava una fresca vestaglia di raso modello giapponese rosso e nera. Sapevo che non indossava nessun indumento intimo. Del tutto casualmente appoggiò i piedi alla ringhiera, le si scopersero le gambe fino quasi al sesso, ad una mia occhiata riportò le gambe in posizione normale coprendo il tutto.
Il movimento non sfuggì neanche a Gilbert, egli accennò ad un timido sorriso tra sé. Era convinto che tutto quello fosse dedicato a lui; in effetti lo era. Lo avevo capito anche io; il cugino invece lavorava alacremente a testa bassa senza farsi distrarre da nulla.
[,,,,,,,,,]
“Cosa c’è tra te e Gilbert?” domandai a bruciapelo.
“Niente tesoro, perché?” mi guardava con quegli occhi da gatta pronta a fare le fusa da un momento all’altro.
“Ho visto che ti guardava in maniera vogliosa e tu facevi altrettanto” dissi prendendola da dietro e baciandole il collo
Lei inarcò un po' la schiena verso il mio basso ventre, sapevo quale effetto le facevano i baci sul collo, disse sinceramente: “E’ un bel ragazzo, casualmente l’altro giorno l’ho visto che usciva dalla doccia nudo, aveva dimenticato di chiudere la porta del bagno, ed è ben attrezzato” intanto si era avvicinata a me e strusciava il sedere sul mio inguine. Non so se per effetto delle sue parole o per il suo strusciamento, ma ebbi una istantanea erezione. Lei rideva e si strusciava ancora di più, consapevole del suo potere.
“Te lo vorresti scopare?” domandai con il fiato corto in un sussurro
“A te piacerebbe che io me lo scopassi?” girò la domanda; era diventata quasi una danza lo strofinarsi, contemporaneamente aveva posato le mani sui miei fianchi e mi tirava a sé.
Non riuscivo più ad elaborare un pensiero coerente, ero al culmine dell’eccitazione, respiravo affannosamente, già la immaginavo tra le braccia di quel possente ragazzo, lei bianca e delicata come il latte, lui scuro come la pece, muscoloso e virile.
Il mio gravoso silenzio si era protratto per alcuni secondi, forse troppi.
Sapeva di tenermi in pugno, aveva la capacità di presentare le sue voglie ed i suoi capricci come se fossero i miei; a parte quella sera della sottomissione davanti a tutti in cui aveva agito senza che io lo sapessi.
Riuscii a raggiungere quel poco di lucidità che mi permise di dire: ”So che tanto te lo vuoi fare e faresti in modo di andarci a letto comunque, quindi la mia opinione non conta.”
Mai parole furono così fuori luogo.
[.......]
A fine cena, il rito, sarebbe stato quello di andare in salone a guardare la televisione, lei seduta sul divano, io seduto per terra ai suoi piedi. Di solito appoggiava le sue gambe sulle mie spalle in modo di darmi opportunità di massaggiarle i piedi, quella sera non lo fece. Io rimanevo in un silenzio colpevole ed imbronciato, sapevo cosa voleva che io dicessi, alla fine cedetti; non potevo più resistere in quel clima gelido; mi mancava da far male il suo contatto.
“Si amore vorrei che tu te lo scopassi” dissi di punto in bianco senza preamboli.
“Cosa?” fece finta di non capire
“Gilbert, vorrei che tu te lo scopassi amore mio” mi girai verso di lei accarezzandole le gambe.
“Ah Gilbert” lo pronunciò come se fosse un nome come tanti altri. Ritirò le gambe che le stavo accarezzando.
Dopo un po' di tempo in cui era rimasta in silenzio aggiunse “Non è che poi pensi che io sia una puttana?”
“Ma scherzi tesoro?” dissi sbarrando gli occhi, mi ritrovai in ginocchio difronte a lei avevo ricominciato ad accarezzarle le gambe “Mai lo penserei, tu sei mia moglie, l’eletta, la Dea da venerare, non mi permetterei mai di pensare che sia una puttana. Ti prego perdona le mie parole avventate e senza senso di questo pomeriggio.”
Mi sorrise e mi accarezzò i capelli, ero stato proiettato in un’altra dimensione. Di nuovo l’erezione fece capolino tra le mie di gambe.
“Ti amo più di ogni cosa al mondo, tu per me sei l’unica, la persona più importante della mia vita, mai vorrei che fossi infelice. Se la tua felicità deve passare per Gilbert, chi sono io per non permettertelo?” aggiunsi di slancio
Mi sorrise di nuovo e continuò ad accarezzarmi i capelli; volevo che quel momento durasse in eterno.
Ero sempre difronte a lei, cinse il collo con le gambe ed avvicinò il mio viso alla vulva, sentivo l’odore afrodisiaco dei suoi umori. Iniziai a leccarla, prima sul clitoride per stimolarla, poi con la lingua penetrai le grandi e piccole labbra per entrare poi nella sua vagina già bagnata. Il suo sapore salato mi riempiva il palato, deglutivo avidamente i suoi liquidi. Iniziai ad aiutarmi con due dita, la penetravo mentre le leccavo il clitoride: lei era in estasi iniziava a muovere ritmicamente il bacino.
Ansimava incitandomi a non fermarmi finchè non venne in un orgasmo spasmodico.
Leccai tutto ciò che il suo sesso aveva prodotto. Alzai la testa e la guardai chiedendo un muto bacio; così fu, si chinò e mi baciò con passione. L’erezione che avevo premeva negli slip, estrassi il mio pene con la volontà di penetrarla ma lei mi respinse.
“Stasera no tesoro, non me la sento” disse accarezzandomi la testa
“E’ per quello che ho detto?” avevo gli occhi imploranti
“In parte, ma stasera non ho voglia del tuo cazzo” disse lei richiudendo le gambe.
“Guardiamo il film” aggiunse conciliante.
-Non ho voglia del tuo cazzo- quelle parole mi colpirono come un maglio alla bocca dello stomaco, mai le aveva proferite. Non ero consapevole che le cose stavano cambiando; in me c’era solo la sofferenza di un orgoglio ferito.
Rimasi in silenzio a rimuginare, pensando che ormai il mio membro non la potesse più soddisfare. Era stata con altri uomini molto più dotati di me ma mai aveva proferito parole del genere.
Ero paralizzato ma la mia erezione era sempre granitica, forse a quelle parole era diventata ancora più dura. Questo suo rifiutarmi, farmi sentire inadeguato, non faceva altro che accrescere la voglia e l’amore verso di lei.
[Continua.....]
© Zagor_black

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