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Gay & Bisex

Quando andai a far volontariato con i miei compagni e mi ritrovai a spompinare una piccola squadra di calcio


di yamada
19.04.2013    |    17.132    |    1 9.3
"Il professore d’italiano era stato colpito dall’influenza e per buona parte della giornata fummo affidati a supplenti..."
Quella sera ci sarebbe stato il compleanno di Ida. Avrei voluto comprarle un regalo ma, nonostante fossimo ancora ad inizio mese, io mi ero già “sparato” tutti i soldi della paghetta.

Mia madre quella volta fu davvero irremovibile.

L’esordio del suo discorso fu: “Ti pare che in questa famiglia i soldi si raccolgono nell’orto?” e la conclusione: “Attendi il mese entrante!”.

Non potevo nemmeno contare su papà, generalmente più tenero, perché da qualche giorno partito per lavoro.

Mi rimaneva un’ultima risorsa: il furto.

Ero certo che mio padre tenesse nello studiolo un po’ di soldi.

Andai in camera per studiare e attesi che mia madre uscisse.

Quando finalmente andò via, m’introdussi furtivamente nello studio e iniziai la ricerca.

I cassetti della scrivania erano chiusi a chiave… cercai la chiave, che ovviamente era dentro il portapenne.

Aprii i cassetti uno per uno, ma nulla.

Decisi di estrarli fuori per controllare con maggiore accuratezza ogni cosa: scoprii due cose…

Il fondo del secondo cassetto nascondeva un altro cassetto, segreto, dove trovai un ferma soldi ben nutrito: presi un paio di banconote e rimisi il resto a posto.

Mi accorsi di una seconda cosa cioè che nel fondo del mobile, dietro i cassetti, erano nascosti alcuni libri.

Li presi.

Le copertine colorate erano abbastanza eloquenti riguardo al contenuto: cameriere con gonne corte e giarrettiere in vista, esuberanti segretarie con seni prorompenti, infermierine con abiti scollati e in atteggiamenti equivoci.

Si trattava di vecchi romanzi pornografici stampati su carta resa polverosa e gialla dal tempo.

Ero attratto dal loro contenuto e in fretta ne lessi alcune pagine.

A breve avrebbero chiuso i negozi e dovevo sbrigarmi altrimenti Ida non avrebbe avuto il regalo.

Mi sistemai e andai per negozi.

La serata fu carina, conobbi anche il ragazzo della festeggiata, un pezzo di figo da paura, ma mentre stavo con gli altri a ridere e scherzare avevo un chiodo fisso: conoscere il contenuto di quei libri nascosti e ritrovati.

Quando finalmente tornai a casa, sgattaiolai nello studio e trascorsi tutta la notte a leggere quelle polverose pagine.

Le storie erano molto eccitanti. Una mi attrasse particolarmente: la storia di un’amazzone che fu schizzata da un nutrito gruppo di uomini che aveva soddisfatto con la propria bocca.

Avrei desiderato trovarmi in una simile fortunata situazione e mi domandavo se mi ci sarei mai ritrovato.

Mi misi a letto e per un po’ fantasticai, finché fui sopraffatto dal sonno.

L’indomani a scuola fu una vera pacchia.

Il professore d’italiano era stato colpito dall’influenza e per buona parte della giornata fummo affidati a supplenti.

Una professoressa di un altro corso c’intrattenne raccontandoci la sua esperienza di volontariato in un quartiere popolare nel centro storico, la Kalsa, dove coordinava le attività di doposcuola.

Galvanizzò molti di noi, tanto che nel pomeriggio una nutrita rappresentanza della nostra classe si presentò nel centro di accoglienza di quel quartiere per dare una mano.

In effetti non credo che la nostra presenza, adolescenzialmente impulsiva e occasionale, fosse effettivamente d’aiuto, tanto che dopo un’oretta ci trovammo tutti fuori per far ritorno a casa.

Avevo parcheggiato la vespa in una grandissima piazza limitrofa.

In quella piazza dove giacevano cataste di rifiuti e l’asfalto era sostituito da dura terra sabbiosa, un gruppo di ragazzi, all’incirca miei coetanei, giocavano a calcio gridando ogni tipo di volgarità.

Erano sei e, benché fosse ancora inverno, correvano dietro un Super Santos a torso nudo.

I loro corpi erano lisci e asciutti. Le braccia esili. Le cosce vigorose e vibranti. I volti duri e minacciosi.

Mi attraevano e immaginai di realizzare con loro la storia dell’amazzone, ma avevo paura e il solo pensiero di propormi, mi faceva battere il cuore a mille.

Decisi di lasciar perdere e di accontentarmi solo di quel belvedere.

Mi sedetti poco più in là per osservarli.

Si accorsero della mia presenza, ma continuarono disinteressati il loro gioco.

Dal canto mio io non smisi di osservare i loro corpi tesi dallo sforzo fisico e pieni di energia.

Uno mi piaceva più di tutti. Aveva i capelli chiari e occhi azzurri, ma la sua pelle per la lunga esposizione al sole era color bronzo.

Continuarono a strillare e correre, fino a quando, stanchi, si fermarono.

Si avvicinarono ad una di quelle cataste e tirarono fuori una bottiglia di vetro verde da cui ognuno bevve.

Il biondino si bagnò tutto e un rivolo d’acqua gli scese lungo la gola e giù sino al pantaloncino.

Quell’indumento bagnato aderì al pacco e gli diede un risalto che, credo, mi fece brillare gli occhi.

Ad un tratto uno di loro, il capo di quel piccolo clan, con aria spavalda si mosse verso me. Dietro lui gli altri, che ridevano.

Ero un po’ spaventato da quella delegazione palesemente diretta al mio indirizzo.

Valutai l’ipotesi di una fuga, ma compresi subito che sarebbe stata del tutto inutile.

Decisi così di rimanere dov’ero, in attesa del loro arrivo.

Quando il loro capo fu abbastanza vicino mi disse: “Chi ciai ri taliari, ah?” (“Cosa stai a guardare?”)

Non sapevo parlare il Siciliano, ma bene o male lo capivo.

Risposi: “Niente… vi guardavo, mentre giocavate…”

Lui mi scrutò per bene e incalzò: “Si gghei?”(“Sei gay?”)

Risero tutti.

“Che fare?” – mi domandai – “Ci tento?”

Esitai e dissi: “…si…”

Pensai: “Ora mi ammazzano!”

Risero tutti un’altra volta e uno disse: “…’n ti fai lanzu?” (“non ti fai vomitare?”)

Rise anche il loro capo e soggiunse con aria malandrina e gesto eloquente: “…n’à vo’ sucare?” (ce lo fai un pompino?”)

Rivolse lo sguardo alla sua compagnia, ma non disse nulla. Si diresse, quindi, verso un angolo della piazza.

Gli altri lo seguirono.

Incerto, mi unii alla cordata.

Giunti davanti ad muro cadente e scalcinato, s’infilò entro uno stretto varco fra i mattoni.

Uno dopo l’altro entrarono tutti e io con loro.

Mi ritrovai dentro un vecchio teatro abbandonato.

Camminammo tra sterpi e tegole (il tetto era in parte crollato) e ci fermammo in una zona rialzata, il palco.

“Manca solo il pubblico” pensai fra me.

Disse nuovamente il loro capo: “allora n’à vo’sucare?” (“dunque ce lo fai questo pompino?”)

Io m’inginocchiai e loro fecero cerchio intorno a me.

Slacciarono i loro pantaloni e si calarono le mutande.

Alcuni avevano il cazzo ben duro, altri barzotto, e altri ancora moscio.

Cercai con lo sguardo il cazzo del biondino: l’aveva già ben in tiro.

Non era molto grande. Era chiaro e liscio con una piccola cappella rosata.

Glielo presi in bocca.

Lui emise un profondo gemito di piacere.

Con la lingua leccai delicatamente la cappella, ma mentre facevo questo gli altri già reclamavano la loro parte.

Mi ritrovai altri cinque cazzi sul mio viso che volevano essere succhiati.

Come dire di no a tanta abbondanza?

M’impegnai per dare piacere a tutti.

Ognuno aveva un cazzo diverso: lungo, grosso, storto, dritto, scuro, chiaro… ce n’era davvero per tutti i gusti!

In sottofondo il brusio delle loro parole e risate. Non mi soffermai nemmeno ad ascoltare, avevo di meglio da fare…

Mentre con le mani segavo due cazzi, uno mi prendeva la testa e mi fotteva la bocca.

Prendevo il cazzo di uno per le mani e lo leccavo dalle palle alla cappella.

Ne afferravo due prendendo entrambi in bocca o ne succhiavo prima uno e poi l’altro a ritmo alternato.

Chi si trova il cazzo libero dalle mie attenzioni si segava e in alcuni casi commentava le dimensioni del cazzo di un altro o qualche altra cosa.

Il bel più bell’arnese, l’aveva un ragazzo dal corpo esile e minuto. Aveva un bel pezzo di carne con due palle enormi che leccai ripetutamente.

Arrivò però un momento che mi sentì stanco.

Mi coricai su una panca e loro a turno vollero fottermi la bocca tenendomi la testa.

Durò per un bel pezzo così, finché, come al gran premio, arrivò il momento di stappare le bottiglie di champagne, dopo averle vigorosamente agitate per far uscire in abbondanza la schiuma...

Iniziò il biondino. Si segò davanti il mio viso mentre tenevo la bocca aperta. Schizzò sulla mia lingua il suo sperma che bevvi tutto.

Fu poi il turno del loro capo. Aveva il cazzo un po’ storto verso destra. Non riuscì a centrarmi e schizzò il mio viso. Mi leccai le labbra per raccogliere lo sperma. Dunque passai le dita sul resto della faccia per prendere il restante e portarlo alla mia bocca.

Uno dopo l’altro provvidero tutti a dissetarmi.

Concluse quella festa il dolce più buono: Il ragazzo con il grosso cazzo.

Non volevo perdere nemmeno una goccia del suo sperma.

Presi in bocca la sua grossa cappella pulsante e lo segai con le mie labbra mentre mi accompagnavo con le mani.

Bastò veramente poco per farmi riempire del suo seme abbondante e dolce e fu un vero piacere assaporarlo per bene e deglutirlo.

Una volta che anche l’ultimo fu soddisfatto, tutti loro mi salutarono e se ne andarono via.

Io mi ripulii alla meno peggio con qualche salvietta di carta e ritornai al mio scooter pieno di soddisfazione.

Prima di tornare a casa, tappa al chioschetto Stancampiano, dove presi un’indimenticabile brioche con gelato, gusto crostata di albicocche.

Dopo un pompino non c’è nulla di meglio di un bel gelato.

Si realizzarono così in brevissimo tempo le fantasie della sera prima.
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