La notizia del giorno

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4 anni fa
Trans/Trav
Veneto, Rovigo
Qui dal 19.03.2019 -
io quando mi tirava 😄una cosa strana,duravo di più con le persone che non mi interessavano,maah,con qualche donna sono stato eiaculatore precoce,con le mie ex a volte un po,a volte meno,dipende,poi anche dal ritmo se lento o veloce,certo non ho mai guardato l orologio,anche perchè non lo porto 😄

4 anni fa
Trans/Trav
Veneto, Rovigo
Qui dal 19.03.2019 -
fegato,fegato,fegato....oh,spappolato...perche vado al massimooo....vado al massimo,vado al massimo,dice mia madre che devo andare dal dottore a farmi guardare a farmi visitare 😄 dovrebbe essere l p,va bene va bene così,cassetta che ho ascoltato un miliardo di volte,l ho seguito fino al 90-91,poi ho cambiato genere,comunque ascoltare, ogni volta,,,,una canzone per te,ed altre,fa sempre piacere 😄

4 anni fa
Trans/Trav
Veneto, Rovigo
Qui dal 19.03.2019 -
Ed il tempo intanto crea eroi
Mentre ognuno se ne và per i cazzi suoi 😄

4 anni fa
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Sicilia, Messina
CERTIFICATO

Qui dal 29.07.2016 -
Articolo di : Massimiliano Parente per “il Giornale”
IL SESSO DI DOMANI
“L’UOMO SARÀ SEMPRE PIÙ DONNA, LA DONNA IL NUOVO UOMO, ATTENTA AI PROPRI ORGASMI, ALLA DISPERATA RICERCA DELLA VIRILITÀ ORMAI ESTINTA, EMANCIPATA MA DI NUOVO A BECCO ASCIUTTO. IL NUOVO UOMO SARÀ COME IL DOLCE STIL NOVO, DEL SESSO POCO GLI IMPORTA AVENDO VISTO E VISSUTO DI TUTTO SU YOUPORN”

A guardare gli affreschi più sconci di Pompei, o un’edizione antica del kamasutra, sembra che in sostanza non ci sia niente di così diverso da un film di Rocco Siffredi, insomma: gira e rigira il sesso è quella roba lì, cosa sarà mai cambiato oggi? E un domani? In realtà cambia eccome. Anzitutto la rivoluzione di internet ha sdoganato ogni feticismo: due feticisti di un’alluce di donna che schiaccia sotto il piede un acino d’uva prima erano due isolati, con il web sono una comunità fetish di centinaia di migliaia di persone, e per la cronaca la categoria in questione si chiama «foot fetish grapes crushing».
 
Internet ha infranto un immaginario sessuale umano millenario frammentandolo in una miriade di ossessioni personali, individuali, che comunicano fra di loro e con nessun altro, per cui il porno generalista non esiste più, è solo una tipologia tra le altre. Freud non ci capirebbe più niente, perché non ci sono simboli, ogni atto rimanda a se stesso e spesso è slegato dal sesso, cioè: vai a trovare un simbolo fallico in un feticista delle donne che indossano stivali da pescatore. Sarà la canna da pesca? Il pesce?

«Google appannava la distinzione tra la norma e l’anormale. Le risposte generate dai suoi algoritmi rassicuravano una persona sul fatto che al mondo ce n’era almeno un’altra che la pensava alla stessa maniera» dice Emily Witt, la quale sul tema del sesso del futuro ci ha scritto un libro intitolato papale papale Future Sex (minimum fax).
 
È un testo che avrebbe potuto scrivere solo una donna, perché cerca di conciliare un’idea del sesso con quella del sentimento (quale uomo lo farebbe? Forse il giovane Werther o l’Ortis di Foscolo). Tuttavia la Witt non è affatto femminista, afferma di avere bisogni sessuali precisi e perfino classici (come è classico il sesso quando lo si fa, motivo per cui è difficile immaginare una femminista accettare una penetrazione senza vedervi uno stupro).
 
Quindi nessuna morale sessista, nessuna predica, la signora si pone il problema e prova ogni sistema moderno per cercare persone e fare sesso, provare piacere. Fine a se stesso? Fino a un certo punto, che non è il punto G. Il risultato non sono cinquanta sfumature di grigio ma cinquanta buchi nell’acqua. La Witt usa app create per incontri ma il risultato è che sono piene di uomini arrapati e poche donne.
 
Con Tinder già meglio: le donne ci sono perché vengono inclusi nella selezione gli interessi in comune, gli hobby, le passioni. Mentre su Grindr (app dedicata al mondo gay) prevalgono ancora i nudi porno, su Tinder spopolano le foto di sport estremi, ma resta in fondo uno sbilanciamento: le donne vogliono l’amore, gli uomini il sesso. Siamo alle solite.
 
È un po’ come il porno femminile, se ne parla tanto ma nessuno ha ben capito come sia, a meno di ritornare a vecchie divisioni come l’erotico femminile e il porno maschile, quasi che ancora oggi le donne volessero arrivare al dunque dopo aver fatto prima addormentare il maschio, il quale, si sa: o ha un’erezione subito o non ce l’avrà più.
 
Comunque sia per la Witt l’eterno problema non è il sesso ma il contrasto inconciliabile tra libero amore e monogamia. «Per me essere monogama era un’idea familiare, ma non capivo che era artificiale, e non mi ero accorta che nel frattempo si era imposta un altro tipo di libertà, quella di un cursore lampeggiante in un spazio vuoto».

RELAZIONE POLIAMOROSA
È la fine delle ambiguità, dei corteggiamenti ipocriti per arrivare al letto, delle mille manfrine, e finalmente, grazie ai social, ci si chiede direttamente «vuoi scopare?». Tecnica che non sempre funziona (ma per la Witt è un grande passo avanti, e in effetti grazie ai social si possono tentare approcci un tempo impensabili, perfino Giacomo Leopardi sarebbe diventato uno stalker se avesse avuto Facebook).

SESSO D’EPOCA
Grande rivoluzione con il sito gratuito OkCupid, poco utilizzato in Italia, ma grazie al fatto di essere gratuito «permetteva alle donne di fingere con se stesse che non stavano cercando veramente un incontro». Mentre per le app omosessuali il problema non si pone: i gay cercano e trovano sesso senza porsi tanti problemi (in realtà non è vero, ne conosco tanti che sono peggio delle donne quanto a velleità sentimentalistiche preconfezionate…). Vuoi vedere che il problema sono le donne? Sempre lì a cercare sentimenti senza mai vivere il sesso del futuro?
 
Ma questo sesso del futuro? Secondo la Witt un esempio è OneTaste, una open house dove si fa «meditazione orgasmica». Ci si incontra, l’uomo tocca la donna, la donna parla delle sue fantasie finché lei non raggiunge l’orgasmo. La donna può «strofinare» il partner maschile solo a certe condizioni, perché la cosa importante sarebbe la non reciprocità, uno fa per dare piacere non per un do ut des genitale.

IL SESSO NEGLI ANNI SESSANTA
Un giochino tra il piacere del piacere e il piacere negato e la confidenza intima e la meditazione, principio mutuato da tecniche orientali come il Tao o lo Zen, che quando si tratta di rendere una cosa noiosa ci riescono meglio del cattolicesimo, che se non altro ha portato avanti molti tabù e interdizioni (prima fra tutte: non fornicare), e anche Sodoma e Gomorra.
 
In ogni caso, in futuro, enorme attenzione all’orgasmo, almeno a detta della Witt, in particolare a quello femminile, e alla recitazione dell’om di gruppo per arrivare a tanti nirvana dell’anima clitoridei; alla fine ci aveva preso Woody Allen nel film Il dormiglione, dove le persone del futuro entrano in apposite cabine chiamate «Orgasmatic», oppure provano piacere fisico passandosi di mano in mano una strana tecnologica sfera afrodiasica.

CAMBIO SESSO
Eppure neppure la Witt convince, perché stringi stringi sta ancora lì a cercare di coniugare il sesso con l’amore, pur rassegnata a viverli separatamente: la sua conclusione è un futuro di poliamori sessuali, in sostanza un’idea passatista, assomiglia al Sessantotto.
 
Piuttosto: non sarà che l’impatto con della pornografia individuale con l’immaginario di massa, il suo uso semplice e precoce (come dice Doctor House «anche un quattordicenne sa che deve rispondere sì alla domanda se hai diciotto anni»), porti a un altrettanto precoce disinteresse verso il sesso. Se hai tutto subito, finirà tutto prima, ogni suggestione, ogni fantasia. Tranne per le donne, perché alla pornografia ci stanno arrivando ora.

SESSO ROBOT 2
E dunque, questo futuro del sesso? Qual è? Butto lì una previsione: l’uomo, stanco del sesso, sarà sempre più donna, la donna il nuovo uomo, attenta ai propri orgasmi, alla disperata ricerca della virilità ormai estinta, emancipata ma di nuovo a becco asciutto. Il nuovo uomo sarà come il Dolce Stil Novo, del sesso poco gli importa avendo visto e vissuto di tutto su Youporn, altro che la Divina Commedia. E stando alle statistiche di impotenza tra giovanissimi, possiamo dire che l’erezione è già obsoleta.

4 anni fa
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Sicilia, Messina
CERTIFICATO

Qui dal 29.07.2016 -
Pubblicato il: 19 ottobre 2018 di Elena Tonazzolli, Marta Venturini
Educazione sessuale ed affettiva a scuola: Italia ed Europa a confronto
L' educazione sessuale dovrebbe includere l'educazione emotiva ed affettiva, per un'aspetto, quello della sessualità, che è parte integrante della salute e del benessere di ogni individuo. In Italia è consigliata ma non obbligatoria come altre materie scolastiche.

La sessualità include molti aspetti che vanno oltre il mero comportamento sessuale. Educazione affettiva ed emotiva dovrebbero accompagnare e completare l’educazione sessuale.
Elena Tonazzolli e Marta Venturini – Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Bolzano
 
La sessualità è un aspetto centrale dell’essere umano lungo tutto l’arco della vita e comprende il sesso, le identità e i ruoli di genere, l’orientamento sessuale, l’erotismo, il piacere, l’intimità e la riproduzione. La sessualità viene sperimentata ed espressa in pensieri, fantasie, desideri, convinzioni, atteggiamenti, valori, comportamenti, pratiche, ruoli e relazioni. Sebbene la sessualità possa includere tutte queste dimensioni, non tutte sono sempre esperite o espresse. La sessualità è influenzata dall’interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, economici, politici, etici, giuridici, storici, religiosi e spirituali.

Quando si vuole educare alla sessualità quindi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non ci si deve confondere con l’educazione riguardante il solo “comportamento sessuale”, ma si devono comprendere molte aree (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).
L’educazione affettiva ed emotiva dovrebbe accompagnare e completare l’ educazione sessuale. Le molteplici emozioni che esperiamo quotidianamente sono rappresentate dai desideri, dalle simpatie/antipatie, dagli innamoramenti e dagli amori che ci mettono in gioco. Risulta a nostro avviso di fondamentale importanza estendere l’educazione alla funzione relazionale della sessualità, che è rappresentata dall’impegno a stabilire un rapporto di ascolto di noi stessi e dalla capacità di riconoscere gli “altri” come persone, imparando il rispetto per l’altro/a sia nella dimensione dell’amicizia e dell’intimità, sia nell’esperienza dell’amore e dello scambio sessuale (Giommi, 2003).
Educazione sessuale: cos’è?
La definizione fornita dagli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa è la seguente:
Educazione sessuale significa apprendere relativamente agli aspetti cognitivi, emotivi, sociali, relazionali e fisici della sessualità. L’educazione sessuale inizia precocemente nell’infanzia e continua durante l’adolescenza e la vita adulta e mira a sostenere e proteggere lo sviluppo sessuale. Gradualmente essa aumenta l’empowerment di bambini e ragazzi, fornendo loro informazioni, competenze e valori positivi per comprendere la propria sessualità e goderne, intrattenere relazioni sicure e gratificanti, comportandosi responsabilmente rispetto a salute e benessere sessuale propri e altrui.
Tutti gli individui, durante lo sviluppo, hanno diritto ad accedere all’ educazione sessuale adeguata alla loro età come affermato dai diritti umani ratificati a livello internazionale in particolare dal diritto all’accesso a informazioni adeguate relative alla salute (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).
Educazione sessuale secondo una concezione olistica
Gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa suggeriscono una concezione olistica dell’ educazione sessuale, che comprende non solo la semplice prevenzione dei problemi di salute, ma si focalizza anche sulla sessualità come elemento positivo (anziché principalmente “pericoloso”) del potenziale umano e come fonte di soddisfazione e arricchimento nelle relazioni intime. Tradizionalmente l’educazione sessuale si è concentrata sui potenziali rischi della sessualità, come le gravidanze indesiderate e le infezioni sessualmente trasmesse (IST). Un tale focus negativo suscita spesso delle paure in bambini e ragazzi e, per di più, non risponde al loro bisogno di essere informati e di acquisire competenze; ancora, fin troppo spesso il focus negativo semplicemente non è di alcuna rilevanza per la vita di bambini e ragazzi. Un approccio olistico, basato sul concetto di sessualità come un’area del potenziale umano, aiuta a far maturare in bambini e ragazzi quelle competenze che li renderanno capaci di determinare autonomamente la propria sessualità e le proprie relazioni nelle varie fasi dello sviluppo. L’ educazione sessuale fa anche parte dell’educazione più generale e influenza lo sviluppo della personalità del bambino. La natura preventiva dell’educazione sessuale non solo contribuisce a evitare possibili conseguenze negative legate della sessualità, ma può anche migliorare la qualità della vita, la salute ed il benessere, contribuendo, così, a promuovere la salute generale (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).
Educazione sessuale “informale”
Nel corso della crescita, gradualmente, bambini e adolescenti acquisiscono conoscenze e si formano immagini, valori, atteggiamenti e competenze riguardanti il corpo umano, le relazioni intime e la sessualità. Le principali fonti di apprendimento, in particolare nelle fasi più precoci dello sviluppo, sono quelle informali, tra le quali troviamo i genitori, che sono di importanza fondamentale. Solitamente il ruolo dei professionisti, che siano di area medica, pedagogica, sociale o psicologica, non è molto pronunciato in questo processo, poiché quasi sempre si ricerca un aiuto professionale solo in presenza di una problematica. Tra le fonti di informazione non manca internet, che se da un lato è un diffuso metodo per soddisfare velocemente le proprie curiosità, dall’altro può portare i giovani ad imbattersi in informazioni frammentarie e scorrette. Già negli anni ‘90 viene trattato il tema del rischio legato alla ricerca di informazioni riguardo ad argomenti che interessano ai giovani (Bertinato et al., 1995). Il rischio, nell’entrare in contatto con fonti non attendibili, è che i giovani vengano influenzati negativamente dalle stesse, con conseguente disagio. Riteniamo che questa affermazione sia molto attuale: anche altri autori, come Alberto Pellai, hanno gettato luce sulle conseguenze della ricerca di informazioni su internet e social network (Pellai, 2015). Come sostengono Giommi e Perrotta (1992)
I genitori e gli adulti hanno spesso scelto il silenzio su questo argomento, senza considerare che il silenzio è esso stesso un modo di comunicare, che, proprio per il fatto che “di sessualità non si può parlare”, crea censure e tabù e condiziona in senso negativo i processi di crescita. Approfittando del silenzio degli adulti, prendono voce, al contrario, i cento messaggi del mondo esterno che facilmente passa contenuti e informazioni sbagliate, paurose e straordinarie.
Accanto all’educazione informale è importante la presenza di un’educazione formalizzata le cui fonti principali sono: la scuola, i libri, i pieghevoli, i volantini, i siti internet educativi, i programmi educativi e le campagne promozionali per radio e televisione ed infine i servizi (sanitari). Educazione informale e formalizzata non sono in contrasto, l’una è complementare all’altra e viceversa e la scuola può svolgere un ruolo importante per l’educazione formalizzata, pur non essendo il principale medium o fonte di informazione dei ragazzi (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).
Educazione sessuale nelle scuole
Tuttavia, introdurre l’educazione sessuale nelle scuole non è sempre facile: molto spesso si incontrano resistenze basate principalmente su paure ed idee erronee. Emerge spesso il timore di affrontare l’argomento prematuramente, anche se come afferma Fabio Veglia:
Domandarsi se è troppo presto, significa quasi sempre arrivare a parlarne troppo tardi (Veglia 2004).
Anche dal documento “Piano Nazionale di interventi contro HIV e AIDS” del 2017 emerge la percezione di criticità nell’affrontare l’argomento sessualità a scuola, a causa di punti di vista che spesso entrano in conflitto con le proposte e le ostacolano. A nostro avviso però sarebbe importante considerare quanto affermato dall’Istituto Superiore di Sanità, ovvero che la scuola, essendo il luogo più frequentato da bambini e ragazzi, può essere il teatro ideale per dibattere questi argomenti e divulgare i modelli comportamentali sani. Essa può avere la funzione da mediatrice tra famiglie, mass media e servizi sanitari, con l’obiettivo di favorire scelte coscienti convertibili in modelli culturali da seguire (Bertinato, Poli, Caffarelli, & Mirandola, 1995).
Secondo i già citati Standard per l’ educazione sessuale in Europa dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA pubblicati nel 2010 sarebbe importante inserire l’ educazione sessuale come materia curricolare e considerarla materia d’esame. L’obiettivo di questo cambiamento è dare sufficiente attenzione ed importanza agli argomenti proposti, favorendo la motivazione degli studenti. Inoltre i programmi di educazione sessuale dovrebbero essere trattati in maniera multidisciplinare, ovvero da più insegnanti sotto diversi punti di vista, e non dovrebbero essere facoltativi per gli alunni.
Educazione sessuale: un processo di apprendimento che dura tutta la vita
L’OMS suggerisce che l’educazione affettiva e sessuale è un percorso continuativo e si basa sul concetto che lo sviluppo della sessualità è un processo che dura tutta la vita. L’ educazione sessuale non è un evento singolo, bensì è basata su un progetto, e risponde alle mutevoli situazioni di vita degli allievi. Un concetto strettamente correlato è quello di “adeguatezza rispetto all’età”: gli stessi argomenti si ripresentano nel tempo e le informazioni relative sono fornite secondo l’età e lo stadio evolutivo dello studente. Proprio per questo è auspicabile introdurre l’educazione affettiva e sessuale già dalla scuola primaria, adattando i contenuti e gli argomenti all’età dei ragazzi. Questo concetto è stato promosso anche da due autori italiani, Roberta Giommi e Marcello Perrotta, che con i loro libri, già più di 20 anni fa, hanno divulgato informazioni nel campo dell’ educazione sessuale. Il “Programma di educazione sessuale”, realizzato pensando alle diverse fasce d’età dei bambini, tiene in considerazione le curiosità degli stessi con l’obiettivo di inserire la sessualità nel progetto di vita degli individui, favorendone il benessere (Giommi & Perrotta, 1992).
In Europa l’età d’inizio dell’ educazione sessuale è molto varia. Secondo il rapporto SAFE si va dall’età di 5 anni in Portogallo ai 14 anni di Spagna, Italia e Cipro (The SAFE Project, 2006). Nel leggere questi dati va tenuta in considerazione la variabilità dei programmi educativi proposti e della differente definizione di educazione sessuale. Laddove inizia ufficialmente nella scuola secondaria, solitamente è utilizzata una definizione di educazione sessuale molto più ristretta, in termini di “contatti sessuali”, mentre nei paesi dove inizia prima, la definizione e i programmi vengono estesi e comprendono non solo gli aspetti fisici e relazionali della sessualità e dei contatti sessuali, ma anche una gamma di altri aspetti come l’amicizia o i sentimenti di sicurezza, protezione e attrazione. (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010)
Alla luce di questi dati, risulta importante interrogarsi e valutare l’efficacia dei programmi di educazione sessuale che vengono proposti solo nella scuola secondaria, senza essere stati introdotti o preceduti da programmi di educazione sessuale ed affettiva durante gli anni della scuola primaria.
I bambini già dalle prime classi della primaria, arrivano a scuola con una serie di preconoscenze anche sulla sessualità, ed è proprio in questo luogo che dovrebbero poter trovare risposte ai propri quesiti e l’opportunità di un confronto produttivo con adulti e pari, al fine di favorire la ristrutturazione delle personali conoscenze anche in questo ambito.
Adolescenti e sessualità in Italia: alcuni dati

Dai dati presenti nel Report Nazionale Dati HBSC Italia del 2014, emerge che a livello nazionale, il 28% dei maschi di 15 anni dichiara di aver avuto un rapporto sessuale completo, mentre la percentuale è più bassa tra le femmine (21%). Riguardo ai metodi contraccettivi che i ragazzi dichiarano di aver utilizzato durante l’ultimo rapporto sessuale emerge da questi dati come la maggior parte degli adolescenti di 15 anni che hanno già avuto un rapporto completo riferisca l’utilizzo del preservativo (oltre il 70% dei maschi e il 66,5% delle femmine), seguito dall’interruzione del rapporto, dichiarato da più del 50% delle ragazze e dal 37% dei coetanei maschi. Complessivamente, circa l’11% riferisce l’uso della pillola e poco meno del 12% altri metodi (conteggio dei giorni fertili o altri metodi naturali) (Health Behavior in School Aged Children, 2014).
Da questi numeri si evince che, seppur una buona percentuale di giovani utilizza come metodo contraccettivo un metodo “barriera” come il preservativo (che protegge inoltre dalle infezioni sessualmente trasmesse), molti ancora ricorrono all’utilizzo dell’interruzione del rapporto, nonostante la scarsa efficacia di tale metodo. Tale dato va certamente tenuto presente nella progettazione e nella proposta di un programma di educazione sessuale a scuola.
In Italia, inoltre, malgrado il tasso di natalità sia uno dei più bassi all’interno dell’UE, e l’età della madre al primo figlio sia tra le più alte, il numero di gravidanze in età adolescenziale (14-19) rimane alto rispetto ad altri Paesi. Secondo i dati ISTAT si è verificata una diminuzione del 39% nel ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, rispetto al 2005, passando dal 7,1 % al 4,4% nel 2016 (Istituto nazionale di statistica, 2017). Questo dato è incoraggiante ma non significa che non si debba investire in progetti di prevenzione rispetto a pratiche che possiamo considerare di “emergenza”.
Uno spunto di riflessione può essere offerto dal confronto tra il periodo storico attuale con gli anni ‘90. Nel lavoro, precedentemente citato, di Bertinato e collaboratori (1995), si legge come l’epidemia nel nostro Paese fosse ancora in critica espansione. Ciò ha fornito le basi per motivare a prevenire quanto più possibile il contagio, in un’ottica di educazione alla salute. Gli autori affermano che, per essere efficace, la prevenzione debba essere caratterizzata non solo da informazione, ma anche educazione. Per questa ragione, sottolineano, dovrebbero essere formati e coinvolti gli insegnanti della scuola dell’obbligo. Questo articolo cita il fatto che studenti e famiglie si fossero dimostrati molto disponibili a ricevere informazioni in materia di prevenzione dell’AIDS. Gli autori del PNAIDS 2017 pongono l’attenzione sul fatto che, a dispetto dell’interesse che i giovani dimostrano per l’utilizzo di internet e social network, si rileva una scarsa tendenza degli stessi ad approfondire, con questi mezzi o all’interno di discussioni con gli amici, le informazioni riguardo a HIV/AIDS ed infezioni sessualmente trasmesse (Ministero della Salute, 2017). Questo potrebbe suggerire che l’argomento non sia più ritenuto interessante come invece poteva esserlo circa 20 anni fa. La soluzione indicata, per quanto riguarda l’abbassamento del rischio di contagio, è che vengano inseriti programmi di educazione sessuale e alla salute nelle attività scolastiche curricolari.
Educazione sessuale all’estero
Da una prospettiva storica generale, i programmi di educazione sessuale possono essere raggruppati fondamentalmente in tre categorie:
programmi di tipo 1, che si focalizzano principalmente o esclusivamente sull’astinenza dai rapporti sessuali prematrimoniali, conosciuti come programmi “how to say no” (“come dire no”) o “abstinence only” (“solo astinenza”);
programmi di tipo 2, che comprendono l’astinenza come una scelta possibile ma dedicano anche attenzione alla contraccezione e alle pratiche sessuali sicure, tali programmi sono spesso indicati come “educazione sessuale estensiva” rispetto all’educazione sessuale “solo astinenza”;
programmi di tipo 3 che comprendono gli elementi del programma di tipo 2 ma li collocano nella più ampia prospettiva della crescita e dell’evoluzione personale (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).
Negli Stati Uniti d’America spesso viene promossa l’astinenza come solo metodo contraccettivo, mentre in Europa occidentale sembra predominare il terzo tipo di programmi. Tuttavia, da uno studio comparato sui risultati di programmi di tipo 1 e 2 è emerso che, per gli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni, i programmi “solo astinenza” non hanno alcun effetto positivo sui comportamenti sessuali o sul rischio gravidanza in adolescenza. Inoltre tale studio dimostra che tra gli studenti che ricevono insegnamenti di educazione sessuale, non aumenta la percentuale di frequenza di attività sessuale né di malattie sessualmente trasmesse. È risultato tuttavia che lo stesso gruppo aveva un tasso di gravidanze inferiore rispetto a coloro i quali non partecipavano ad alcun programma di educazione sessuale (Kohler, Manhart, & Lafferty, 2008).
A differenza di quanto è emerso per gli Stati Uniti, in Europa l’educazione sessuale è in primo luogo rivolta alla crescita personale. Nell’Europa occidentale la sessualità non è percepita principalmente come un problema o un pericolo, bensì come una preziosa fonte di arricchimento per la persona.
In Europa l’educazione sessuale come materia scolastica curricolare ha una storia di oltre mezzo secolo. È nata ufficialmente in Svezia, dove divenne obbligatoria in tutte le scuole nel 1955.
A partire dagli anni ‘70 del secolo scorso molti altri paesi dell’Europa occidentale introdussero l’educazione sessuale che, come emerge dal report “Sexuality Education in Europe”, dal 2003 è materia obbligatoria in 19 Stati membri (The SAFE Project, 2006). Solamente in pochi Stati tra quelli appartenenti alla vecchia Unione Europea, specialmente nell’Europa meridionale, l’ educazione sessuale non è ancora stata introdotta nelle scuole.
Nel cercare studi riguardanti l’efficacia dei programmi di educazione sessuale nelle scuole europee e conoscenze scientifiche in merito si incontrano diverse difficoltà. La maggior parte delle pubblicazioni sono redatte nelle lingue nazionali e risultano dunque poco accessibili. (Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA, 2010).
Tra la letteratura recente troviamo un interessante articolo, pubblicato nel 2017, che riporta i risultati di uno studio che ha coinvolto 3781 studenti di età compresa tra i 15 e i 16 anni, residenti in Galles (UK). Gli autori hanno preso in analisi i dati di 59 scuole raccolti attraverso questionari online che riguardavano l’ambiente scolastico e la salute sessuale dei ragazzi. Le domande riguardanti la salute sessuale erano solo 3 ed indagavano se la persona avesse mai avuto rapporti sessuali, a quale età risalisse il primo rapporto ed infine se durante l’ultimo rapporto avessero utilizzato il preservativo. Per quanto riguarda l’ambiente scolastico, le domande erano le seguenti:
Chi si occupa di insegnare educazione sessuale e alle relazioni? È presente, nella tua scuola, uno sportello di ascolto specifico per dare consigli legati alla salute sessuale? La tua scuola offre un servizio di distribuzione gratuita di preservativi?
Dallo studio è emersa un’interessante associazione tra migliori risultati di salute sessuale (tra questi, l’uso del preservativo) e la presenza di personale non docente come formatore per i percorsi di educazione sessuale e alle relazioni. Inoltre, l’uso del preservativo all’ultimo rapporto è risultato associato alla presenza dello sportello relativo alla salute sessuale ma non alla distribuzione gratuita di preservativi. Un’ipotetica spiegazione della maggiore efficacia offerta dal personale non docente è che la presenza di un estraneo modifichi le dinamiche del gruppo-classe, nel quale ogni partecipante dovrebbe auspicabilmente sentirsi al sicuro e che sono molto importanti perché il programma vada a buon fine (Young, Long, Hallingberg, Fletcher, Hewitt, Murphy and Moore, 2017).
Tali risultati possono offrire spunti interessanti nella progettazione di programmi di educazione sessuale anche per il nostro Paese.
Programmi di educazione sessuale in Italia
L’Italia, come accennato in precedenza, rientra tra i paesi dove l’ educazione sessuale viene introdotta più tardi. I programmi di prevenzione proposti dalle aziende sanitarie sono rivolti a ragazzi di età compresa tra i 13 e i 14 anni. Al momento attuale tali programmi non sono obbligatori e la scelta di aderirvi rimane dei singoli Istituti, determinando disomogeneità nell’educazione sul territorio nazionale. Il rapporto sull’educazione sessuale nelle scuole dell’Unione Europea (The SAFE Project, 2006) dedica un paragrafo al nostro Paese. Vi si legge che molte proposte di Legge per introdurre l’educazione sessuale obbligatoria a scuola sono state respinte, probabilmente a causa dell’influenza delle posizioni della Chiesa Cattolica. Viene inoltre descritto che l’argomento, se trattato, è dedicato agli alunni di età compresa tra i 14 e i 19 anni e trova solitamente lo spazio di una sola lezione all’anno. Gli autori del rapporto sottolineano come, in mancanza di leggi che uniformino l’offerta educativa, non è possibile avere dati ufficiali sull’applicazione dei programmi di educazione sessuale.
Alcuni più recenti piani regionali di prevenzione contengono obiettivi che fanno pensare ad un tipo di educazione sessuale olistica e prevedono interventi e contenuti da proporre già nella scuola primaria. Una proposta interessante viene, ad esempio, dalla Provincia Autonoma di Bolzano che, con il progetto “Educazione socio affettiva e sessuale” per classi quinte della scuola primaria e terze della secondaria di primo grado sembra molto in linea con gli obiettivi dell’OMS. Il Dipartimento della Prevenzione della Provincia rileva che, nel 2017, il 25% delle scuole ha deciso di aderire all’iniziativa (Regele, Borsoi, 2017).
Una nostra collega ha descritto la propria esperienza come conduttrice di un progetto di educazione sessuale proposto ad alcune classi quinte della scuola primaria. Dal suo lavoro emerge, in linea con ciò che abbiamo precedentemente trattato, che la scuola può fornire strumenti di integrazione tra le conoscenze che i bambini già possiedono, quelle che hanno discusso in famiglia, e quelle portate dagli esperti (Congedo, 2018). Pensiamo che sia interessante il fatto che fossero previsti due momenti di discussione con i genitori, uno iniziale e l’altro al termine del progetto. Questi incontri, come riporta l’autrice, sono stati utili in quanto i genitori si sono confrontati tra loro, scambiandosi esperienze e condividendo strategie efficaci.
Conclusioni
Alla luce di quanto emerge da questa ricerca sui programmi di educazione sessuale all’estero ed in Italia possiamo fare alcune considerazioni.
In primo luogo dall’esperienza estera emerge la necessità di proporre alle scuole programmi che si basino su un’educazione sessuale di tipo olistico, che accanto all’informazione prevedano spazi di riflessione e sviluppo delle competenze affettivo-emotive. L’esperienza di alcuni stati esteri, dove l’educazione sessuale viene introdotta già dalla scuola primaria come materia curricolare, potrebbero ispirare l’organizzazione e la progettazione di una formazione educativa scolastica anche in Italia. Il fatto che in alcune regioni italiane siano proposti progetti fa ben sperare che, in futuro, l’introduzione di programmi di educazione sessuale a scuola possa essere anticipata rispetto a quanto attualmente avviene.
Per capire quanto quello che finora viene proposto nelle scuole del nostro Paese sia utile, servirebbero più studi sull’efficacia dei programmi attualmente realizzati. Questo potrebbe aiutare a capire anche come poter personalizzare una proposta formativa, in modo che si possa adattare alla cultura del nostro Paese.
Come già citato, condividiamo la proposta degli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa e le linee guida OMS sostenendo che i progetti di educazione sessuale, se visti come integrazione a più ampi percorsi di educazione all’affettività, adeguati alle età dei destinatari, possano fornire strumenti molto utili allo sviluppo della persona.
A nostro avviso, è importante considerare gli effetti positivi che un’educazione all’affettività e alla sessualità può avere anche su comportamenti e situazioni a rischio, quali bullismo, cyberbullismo e omofobia. Infatti attualmente vengono spesso esclusi dai programmi di educazione affettiva e sessuale argomenti importanti per il benessere psicologico, come ad esempio l’orientamento sessuale, le questioni di genere e dei ruoli (Ganci, 2015). Come sostenuto in questo articolo, essere consapevoli che esistono diversi orientamenti sessuali e conoscere persone con esperienze diverse dalla nostra può avere un effetto normalizzante ed è una delle strategie utilizzabili all’interno di un’efficace educazione all’affettività e sessualità ad ampio raggio.
In conclusione, offrire ai bambini ed ai ragazzi l’opportunità di partecipare a programmi di educazione sessuale può permettere loro di maturare consapevolmente un progetto di vita che tenga conto del benessere anche sessuale ed affettivo.

4 anni fa
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Veneto, Rovigo
Qui dal 19.03.2019 -
Bentivoglio (Bologna), 17 aprile 2019 - Il custode dell’oasi ‘La Rizza’, a Bentivoglio, meta delle scolaresche di mezza provincia, è stato il primo ad accorgersi di quelle auto che si inoltravano per chilometri all’interno dell’area protetta dedicata alle specie protette come cicogne, aironi e falchi. Pensava, inizialmente, fossero visitatori appassionati di fauna selvatica, e, invece, l’obiettivo erano gli incontri a luci rosse. La segnalazione del custode è arrivata alle forze dell’ordine. La polizia locale dell’Unione Reno Galliera ha quindi previsto degli appostamenti e, in pieno giorno, ha sorpreso due uomini di 53 e 56 anni in atteggiamenti inequivocabili.

L’oasi, in pratica, era stata scelta da una chat d’incontri hard come luogo di ritrovo da parte di persone provenienti da tutta la regione. «Dopo un periodo di osservazione – racconta il comandante della polizia locale Massimiliano Galloni -, i nostri agenti hanno fatto scattare il blitz. In abiti borghesi e con auto senza insegne di istituto sono intervenuti e hanno potuto sorprendere, all’interno del capanno di osservazione, due uomini intenti in evidenti pratiche sessuali. I due sono stati denunciati per atti osceni in luogo pubblico, mentre sono state identificate altre quattro persone che avevano giustificato la loro presenza nell’area con scuse poco credibili».

Galloni sottolinea l’aggravante di aver organizzato incontri in un luogo frequentato da scolaresche: «Gli atti osceni in luogo pubblico sono stati depenalizzati qualche anno fa – rileva – ma resta un comportamento punito penalmente nel caso in cui gli atti vengano compiuti in zone abitualmente frequentati da minorenni. E’ il caso della Rizza, dove spesso sono presenti scolaresche o famiglie con bambini».

La polizia locale punta a bloccare definitivamente gli incontri che vanno avanti da qualche mese: «La nostra attività di controllo nell’area protetta continuerà per interrompere questi incontri». .......conosco il posto,è recensito pure qui,è un posto molto isolato,non capisco gli atti osceni in un luogo pubblico,ci andranno anche dei bambini,ma quando,una volta all anno,maah,

4 anni fa
Trans/Trav
Veneto, Rovigo
Qui dal 19.03.2019 -
mah,secondo mè è gente malata,come si può togliere la vita ad una persona che hai amato, maah.

4 anni fa
Singolo
Sicilia, Messina
CERTIFICATO

Qui dal 29.07.2016 -
Bisognerebbe non confondere l’amore con il possesso.
Se io amo, anche se non più amato, vorrei la tua felicità per la persona amata anche se questo vuol dire trovarla senza di me.
Il possesso invece ti fa dire è mia e mia soltanto, e questo nulla ha a che fare con l’amore, ciò che è mio nessuno deve averlo, quindi piuttosto ti elimino ma non ti cedo.
😭 😭 😭 😭
Le persone non si possono possedere.

4 anni fa
Singolo
Puglia, Taranto
CERTIFICATO

Qui dal 10.04.2019 -
La notizia del giorno dopo.

Lettera di un padre a sua figlia:

“Innamorati di un uomo che ti ami tanto quanto me”
So che non posso scegliere per te, però mi piacerebbe vederti a fianco di un uomo che sappia apprezzarti per quello che sei, che ti ami e che ti rispetti sempre e in ogni momento e che ti protegga da tutti i pericoli, perché tu continui ancora ad essere la mia bambina ed io ti vedo ancora fragile e piccola come un tempo.
Innamorati di un uomo corretto e giusto, che si perda nel tuo sguardo, che ti guardi come non ha mai guardato nessun’altra donna e che faccia di tutto per te. Innamorati di un uomo che sia capace di difenderti dai mostri e dai draghi e che sia pronto a combattere mille battaglie per te.
Innamorati di qualcuno che sia abbastanza uomo da cucinare per te quando sei stanca, che sia abbastanza uomo da cucire un bottone della tua giacca mentre ti trucchi e da farti un massaggio quando sei stressata.

Innamorati di un uomo che sappia apprezzare il vero valore della famiglia e dell’amicizia. Di un uomo onesto, che l’unica cosa che è capace di rubare è il tuo cuore.

Innamorati di un uomo che non solo ti dica migliaia di volte quanto ti ama, ma che sappia dimostrartelo anche con le azioni e con quei piccoli dettagli che non lasciano spazio a nessun dubbio, come accarezzare i tuoi capelli mentre ti guarda intensamente negli occhi, o come prenderti per mano orgoglioso mentre camminate per la strada.
Innamorati di un uomo che sia interessato a riempirti la vita di felicità, che ti faccia sempre sorridere e che faccia del suo meglio per metterti di buon umore anche nei momenti più difficili.
Innamorati di un uomo che non sia presuntuoso, che abbia un carattere umile anche se possiede molti beni materiali, di un uomo al quale non piace discriminare le persone per le loro condizioni economiche. Un uomo per il quale tu possa essere il suo più grande tesoro, il suo gioiello più prezioso.

Innamorati di un uomo che conosca l’importanza della comunicazione nella coppia, che sappia difendere il suo punto di vista, che sappia cedere quando è necessario, ma che non ti dia sempre ragione, perché, a volte, tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia ragionare. Innamorati di colui che sappia ascoltarti quando hai dei problemi, di chi possa avere fiducia in te per raccontarti i suoi.
Innamorati di qualcuno che non abbia bisogno di te per essere felice, ma che sia già felice da solo e che voglia condividere quella felicità con te. Di qualcuno che non abbia bisogno di un complemento, ma un uomo completo alla ricerca di una donna completa con cui camminare insieme.

Innamorati, figlia mia, di un uomo vero.

Perché te lo meriti, non devi accontentarti.

Punta sempre in alto.

Te lo dice un uomo innamorato di te:

TUO PADRE.

4 anni fa
Singolo
Puglia, Taranto
CERTIFICATO

Qui dal 10.04.2019 -
Giarrettiera e reggicalze da uomo: quando l'utilità ammazza il desiderio

Gli accessori sono il segreto più custodito nella moda maschile, ma cosa succede quando una povera donna se li ritrova davanti?

Dura la vita dell’uomo costretto a indossare camicie, pantaloni, calze anche d’estate. Avvilito dall’alone di ascelle miserabili, il lavoratore obbligato all’opprimente tripletta non ha nulla per contrastare l’inevitabile effetto della temperatura percepita. Se la donna scopre braccia, indossa gonne e va giù di freschi sandaletti, lui niente, suda e basta, condannato com’è alla disgrazia del “completo-per-l’ufficio”.

Vietato, dunque, infierire. Spietato è chi fa notare l’imbarazzante conseguenza di tanto disagio: l’argomento ‘intimo maschile’ va trattato con delicatezza quando si comprende la difficoltà di assolvere un onere che se ammette una deroga è solo verso cravatte e giacche. Ma per quanto si possa essere empatici nei confronti di indossatori sudaticci, non si può soprassedere sulla trovata scovata nella nicchia degli accessori da uomo in vendita online. Perché leggere “Giarrettiera Bretelle Uomo con Reggicalze Antiscivolo e Cinturini Regolabili” accanto alla foto di un modello che, con le brache calate, mostra cosa potrebbe nascondersi sotto strati e strati di tessuto, non lascia indifferenti. E a niente serve il fine nobile dell’originale accessorio che, se pure è stato concepito per far apparire impeccabile il suo utilizzatore, diventa un formidabile anestetico contro ogni pulsione erotica femminile, castrata sul nascere quando l’occhio cade sull’infame stratagemma. E allora ovvio che poi viene da pensare: “Meriti di sudare in eterno, bello mio”.

Giarrettiera e reggicalze da uomo, a cosa servono
Il sito che sponsorizza giarrettiera e reggicalze da uomo descrive l’accessorio come “il segreto meglio custodito nella moda maschile”, utile per l’uomo stanco di badare sempre a che camicie e magliette non strabordino dai pantaloni. Ma c’è di più: l’ulteriore profitto sta pure nella clip di metallo che arriva giù fino al calzino e lo tiene ben teso contro l’insorgere di brutte pieghette. Un altro video, poi, dimostra la convenienza riprendendo i momenti in cui l’accessorio potrebbe essere benedetto dal potenziale acquirente: un’impegnativa partita a biliardo, un’incauta stiracchiata, il tifo esagitato durante una partita. Tutte situazioni, insomma, in cui la mutanda dall’elastico sformato potrebbe apparire all’improvviso e magari smascherare i morbidi rotolini dell’addome rassegnato.

Giarrettiera e reggicalze da uomo, perché ammazzano lo slancio erotico della donna
Tuttavia, l’intimo segreto custodito dal maschio attento all’immagine potrebbe suscitare ben altro effetto nella donna che, dopo essere stata rapita da tanta impeccabilità, subisce il rinculo della drammatica scoperta. Una carezza svela l’inghippo, strane protuberanze sparse nel perimetro di gambe e parti basse avvertono che c’è qualcosa che non va, fino a quando, tolta la camicia e slacciati i pantaloni, il partner con cui ha deciso di trascorrere un eccitante post serata appare così, come la commovente varietà di una marionetta umana sorretta da elastici e borchiette e pure priva del libretto di istruzioni utile a sbrogliare la matassa.

Benedetti siano sempre i rimedi della nonna (anzi, del nonno): l’elastico dello slip che blocca la camicia sarà pure bruttino da vedere, ma almeno, all'occorrenza, l’uomo accorto potrà essere tempestivo nel rimediare e liberare i lembi del tessuto tenuti a mo’ di alette laterali. E’ la sostanza quella conta; l’apparenza anche, per carità, ma solo quando il prosieguo di serata è “frittatona di cipolle, familiare di birra gelata, tifo indiavolato e rutto libero” di fantozziana memoria.


4 anni fa
Coppia
Toscana, Firenze
Qui dal 04.07.2019 -
OMMIODDIO

Ma è proprio orrenda

4 anni fa
Singolo
Puglia, Taranto
CERTIFICATO

Qui dal 10.04.2019 -
😄 😋

4 anni fa
Singolo
Puglia, Taranto
CERTIFICATO

Qui dal 10.04.2019 -
Quotato da jabbathehutt,
E questa che roba è? 😮 😮 😮
Non lo trovi sexy? 😄 😋 🙂

4 anni fa
Singolo
Puglia, Taranto
CERTIFICATO

Qui dal 10.04.2019 -
Ahahahah 🤪🤪🤪

4 anni fa
Singolo
Sicilia, Messina
CERTIFICATO

Qui dal 29.07.2016 -
Articolo tratto da: State of Mind - Il giornale delle scienze psicologiche
A cura di: Claudio Nuzzo

Autostima

L'autostima è l' insieme dei giudizi valutativi che l'individuo dà di se stesso. Essa può essere costruita giorno dopo giorno attraverso strategie.

Definizione di Autostima
Definire il costrutto di autostima non è semplice, in quanto si tratta di un concetto che ha un’ampia storia di elaborazioni teoriche. Una definizione concisa e condivisa in letteratura potrebbe essere la seguente:
Insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso (Battistelli, 1994).
Tre elementi fondamentali ricorrono costantemente in tutte le definizioni di autostima (Bascelli, 2008):
La presenza nell’individuo di un sistema che consente di auto-osservarsi e quindi di auto-conoscersi.
L’aspetto valutativo che permette un giudizio generale di se stessi.
L’aspetto affettivo che permette di valutare e considerare in modo positivo o negativo gli elementi descrittivi.
 
La costruzione cognitiva dell’autostima
L’autostima è un paradigma che può essere costruito giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive.
Una prima definizione del concetto di autostima si deve a William James (cit. in Bascelli e all, 2008), il quale la concepisce come il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi.
Alcuni anni dopo Cooley e Mead definiscono l’autostima come un prodotto che scaturisce dalle interazioni con gli altri, che si crea durante il corso della vita come una valutazione riflessa di ciò che le altre persone pensano di noi.
Infatti l’autostima di una persona non scaturisce esclusivamente da fattori interiori individuali, ma hanno una certa influenza anche i cosiddetti confronti che l’individuo fa, consapevolmente o no, con l’ambiente in cui vive. A costituire il processo di formazione dell’autostima vi sono due componenti: il sé reale e il sé ideale.
Il sé reale non è altro che una visione oggettiva delle proprie abilità; detto in termini più semplici corrisponde a ciò che noi realmente siamo.
Il sé ideale corrisponde a come l’individuo vorrebbe essere. L’autostima scaturisce per cui dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.
La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni negative se lo si avverte molto distante da quello reale. Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).
Possedere un’alta autostima è il risultato di una limitata differenza tra il sé reale e il sé ideale. Significa saper riconoscere in maniera realistica di avere sia pregi che difetti, impegnarsi per migliorare le proprie debolezze, apprezzando i propri punti di forza. Tutto ciò enfatizza una maggiore apertura all’ambiente, una maggiore autonomia e una maggiore fiducia nelle proprie capacità.
Le persone con un’alta autostima dimostrano una maggiore perseveranza nel riuscire in un’attività che le appassiona o nel raggiungere un obiettivo a cui tengono e sono invece meno determinate in un ambito in cui hanno investito poco. Si tratta di persone più propense a relativizzare un insuccesso e ad impegnasi in nuove imprese che le aiutano a dimenticare.
Al contrario, una bassa autostima può condurre ad una ridotta partecipazione e a uno scarso entusiasmo, che si concretizzano in situazioni di demotivazione in cui predominano disimpegno e disinteresse. Vengono riconosciute esclusivamente le proprie debolezze, mentre vengono trascurati i propri punti di forza. Spesso si tende a evadere anche dalle situazioni più banali per timore di un rifiuto da parte degli altri. Si è più vulnerabili e meno autonomi. Le persone con una bassa autostima si arrendono molto più facilmente quando si tratta di raggiungere un obiettivo, soprattutto se incontrano qualche difficoltà o sentono un parere contrario a ciò che pensano.
Si tratta di persone che faticano ad abbandonare i sentimenti di delusione e di amarezza connessi allo sperimentare un insuccesso. Inoltre, di fronte alle critiche, sono molto sensibili all’intensità e alla durata del disagio provocato.
Ma cosa concorre a far sì che un individuo si valuti positivamente o negativamente? Ebbene ci si autovaluta in merito a tre processi fondamentali:
Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente. Si tratta del cosiddetto ‘specchio sociale‘: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo.
Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con chi lo circonda e da questo confronto ne scaturisce una valutazione.
Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri. Kelly (1955), il padre della Psicologia dei Costrutti Personali, ad esempio considera ogni persona uno ‘scienziato’ che osserva, interpreta (i.e: attribuisce significati alle proprie esperienze) e predice ogni comportamento od evento, costruendo, tra l’altro, una teoria di sé per facilitare il mantenimento dell’autostima.
 
Autostima e ideali
In pratica l’assunto centrale della teoria è che la gente si muove attraverso ideali e mete e monitora il proprio percorso verso di esse, confrontando continuamente la percezione del proprio comportamento rispetto agli standard di riferimento. Quando l’individuo percepisce una discrepanza tra il proprio stato attuale e la meta cerca delle strategie comportamentali per ridurre tale discrepanza.
Le persone si muovono attraverso molteplici piani ideali, alcuni sono legati alle abitudini concrete (“ideale di andare in palestra due volte la settimana”), altri sono legati a ideali più astratti da realizzare (“diventare una persona sportiva e dinamica”). In generale la percezione di una distanza tra come siamo e come vorremmo essere genera emozioni negative di tristezza, tale per cui siamo portati in qualche modo a minimizzare tale differenza percepita. Esistono però due tipi di ideali studiati: gli ideali propriamente intesi, ovvero esperienze, concetti e standard di riferimento a cui tendere e a cui riferirsi, e gli ideali negativi (sé temuti) ovvero situazioni, persone (reali o simboliche), mete e circostanze da cui le persone cercano di distanziarsi e di tenere lontane perché giudicano negativamente.
In generale il senso comune e la letteratura ipotizzano un ruolo negativo degli ideali sull’ autostima, specie se essi sono troppo ambiziosi e irraggiungibili (Marsh, 1993).
In generale si può dire che nonostante il chiaro valore che l’autoregolazione verso le mete ha per la società, poiché spinge l’individuo a migliorarsi e a tendere verso nuovi obiettivi, la rincorsa verso gli ideali ha dei costi individuali in termini di risorse mentali e senso del proprio valore.
 
Le distorsioni cognitive
Talvolta le autoanalisi che contribuiscono definire l’autostima di una persona sono falsate dalle sue distorsioni cognitive, ovvero da pensieri che inficiano la considerazione di sé.
Sacco e Beck (1985) indicano una serie di distorsioni cognitive, che sono:
Le inferenze cognitive, attraverso le quali gli individui maturano delle idee arbitrarie su se stessi senza l’avallo di dati reali e obiettivi;
Le astrazioni selettive, per mezzo delle quali un piccolo particolare negativo viene estrapolato, divenendo emblematico e rappresentativo del proprio modo di essere;
Le sovrageneralizzazioni, per cui si è portati a generalizzare partendo, per esempio, da un singolo tratto di personalità che contraddistingue un individuo o da un singolo episodio esperienziale che lo ha visto protagonista;
La massimizzazione, che consente di implementare gli effetti negativi di una singola azione svolta;
La minimizzazione, la quale permette di rimpicciolire la portata positiva di qualche evento;
La personalizzazione, che autorizza a sentirsi colpevole per qualche evento negativo accaduto;
Il pensiero dicotomico, che non ammette sfumature nell’ambito delle assunzioni di responsabilità, riconducendo l’analisi ai costrutti del tutto e niente (visione in bianco e nero).
 
Autostima ed attribuzioni causali
Il processo mediante cui l’individuo si autovaluta è dovuto anche alle attribuzioni causali. Detto in termini più semplici le persone spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa. Sovente si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, come ad esempio la tenacia.
Weiner, nel 1994, ha affermato che le attribuzioni possono essere distinte in base a tre dimensioni:
Locus of control: ossia se la causa di un successo (o di un fallimento) è interna o esterna alla persona;
Stabilità: per cui le cause possono essere stabili o instabili nel tempo (per esempio la facilità del compito è stabile, al contrario la fortuna è instabile);
Controllabilità: non tutte le cause possono essere controllate dal soggetto;
Pare che l’attribuzione a cause stabili, controllabili e interne all’individuo abbia, in caso di raggiungimento di un successo, un innalzamento dell’autostima nell’individuo.
Di contro l’attribuzione a cause esterne a sé, instabili e poco controllabili portano ad un calo dell’autostima e della fiducia in se stessi.
 
Bassa autostima: le strategie per incrementarla
Secondo Toro (2010), per accrescere la percezione positiva di sé esistono diverse strategie, quali:
l’incremento delle capacità di problem solving, poichè spesso l’autostima è funzione delle proprie capacità di risolvere i problemi.
l’implementazione del dialogo interno (self – talk) positivo; l’autostima, infatti, può essere incrementata attraverso il dialogo positivo con se stessi, utilizzando la propria voce interiore. In altre parole, se noi per primi inviamo dei messaggi positivi alla nostra mente, è molto probabile che le autopercezioni possano migliorare.
la ristrutturazione dello stile attribuzionale, tesa a farci raggiungere una maggiore obiettività, grazie alla quale potremmo, ad esempio, interpretare gli avvenimenti o le situazioni che non dipendono da noi come semplicemente sfavorevoli.
il miglioramento dell’autocontrollo;
la modificazione degli standard cognitivi; ponendoci aspettative eccessivamente elevate, infatti, corriamo il rischio di non essere all’altezza di quelle attese e, quindi, di influenzare l’autopercezione.
il potenziamento delle abilità comunicative.
 
Autostima ed immagine corporea
Secondo lo psicoterapeuta Luca Saita, sarebbero tre i meccanismi che interferirebbero negativamente con la creazione dell’immagine corporea, ovvero:
attacco diretto o indiretto
proiezione
etichettamento
Nel primo caso la persona subisce un attacco, diretto o non, al proprio corpo (‘Oggi hai davvero un aspetto orribile!’); nel secondo caso qualcuno, in modo inconsapevole, per liberarsi delle proprie caratteristiche fisiche ritenute inaccettabili, le attribuisce a qualcun altro (ad es., la madre che dice alla figlia ‘Non metterti quel vestito, ti ingrassa‘); nell’ultimo caso vengono attribuite delle etichette alla persona (il ‘nasone‘, il ‘roscio‘, ‘gambe storte‘).
Quando una persona viene costantemente sottoposta ad influenze negative di questo genere non c’è da meravigliarsi che impari a vedersi solo ed unicamente attraverso le lenti distorte della disistima. Non bisogna sottovalutare gli effetti di un tale atteggiamento: l’immagine corporea, il modo in cui ci vediamo e ci presentiamo agli altri ha delle ripercussioni molto profonde a livello di sicurezza di sé; in altre parole, il vedersi brutti, il percepirsi inadeguati ha conseguenze che influiscono non solo sul corpo, ma anche sulla mente, sul modo di stare al mondo.
Chiaramente si tratta di un vissuto del tutto personale e soggettivo; esistono, come è possibile osservare nell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi, persone considerate belle che, però, si vivono come costantemente inadeguate e sono sempre alla ricerca di un qualcosa che manca per sentirsi, finalmente, a proprio agio nel proprio corpo. Al tempo stesso, ci sono persone che, pur avendo dei piccoli difetti, si vogliono bene, vivono il proprio corpo con serenità e trasmettono tale serenità anche all’esterno, in termini di sicurezza di sé.
Per questa ragione diventa importante aiutare la persona che non si accetta e tende ad ingigantire i propri difetti, fino, in alcuni casi, a non riuscire a condurre una vita gratificante, a prendere coscienza delle convinzioni erronee che sono alla base della percezione di sé, in modo da sottoporle ad un vaglio critico, riguadagnando un’immagine positiva.
Per fare ciò l’autore suggerisce alcune strategie, che passano attraverso il contestare le etichette e l’imparare a difendersi dagli attacchi mossi alla propria immagine di sé, anche e soprattutto quando questi attacchi vengono da persone significative.
In ultima analisi, bisogna tenere a mente che la mente è ‘come una lente: la visione di sé stessi e del proprio corpo avviene attraverso questa lente che può modificare, deformare, ampliare o distorcere ciò che osserva‘.
Dobbiamo quindi imparare a conoscere questa lente e i suoi filtri, perché essa influisce non solo sul modo in cui vediamo il nostro corpo, ma sul modo in cui vediamo noi stessi in generale. A sua volta, il modo in cui vediamo noi stessi è a fondamento del nostro modo di porci rispetto all’ambiente, alla nostra vita.
Per questo dobbiamo neutralizzare le visioni distorte che non ci permettono di volerci bene per come siamo; come scrive l’autore tirando le somme:
Date al vostro cigno una chance e non permettete mai a nessuno di convincervi che siete solo un brutto anatroccolo e che niente potrà cambiarvi.
 
Autostima e social network
Secondo i risultati di una ricerca americana, l’utilizzo del social network Facebook favorirebbe l’incremento della propria autostima. Lo studio in questione è stato condotto da Hancock e colleghi della Cornell University (New York) ed ha coinvolto 63 studenti della stessa università.
Le condizioni sperimentali erano così strutturate: gli studenti del primo gruppo potevano navigare liberamente su Facebook senza alcun impedimento, quelli del secondo gruppo, invece, rimanevano di fronte al monitor spento. Infine, un terzo gruppo di studenti rimaneva di fronte a degli specchi, collocati davanti ai monitor. Dopo tre minuti, ad ogni partecipante veniva dato un test per valutare la propria autostima. Nel gruppo di controllo, ovvero quello formato dagli studenti che osservavano i computer spenti e da quelli posizionati davanti agli specchi, non si registrava alcun aumento nei livelli di autostima, mentre gli studenti che avevano navigato Facebook riportavano aumenti significativi della stima di sé.
Hancock e colleghi hanno ipotizzato che Facebook mostrerebbe un’immagine positiva di noi stessi, mentre, al contrario, uno specchio ci ricorderebbe chi siamo veramente e per questo potrebbe avere un effetto negativo sulla nostra autostima.
Naturalmente non tutti gli utenti abituali risentono di un incremento dell’autostima, anzi, alcune ricerche hanno suggerito una correlazione tra l’uso intensivo di Facebook e narcisismo e, più in generale, tra l’utilizzo dei social network e altre patologie.
 
Autostima e bullismo
Pare che la stima attribuita a noi stessi possa avere un sua influenza nei fenomeni di bullismo. Tuttavia, in letteratura, la relazione tra autostima e bullismo, fornisce dati in parte contraddittori.
La maggior parte degli studi sembra concorde nel sostenere che i bambini vittime di bullismo soffrono di scarsa autostima, hanno un’opinione negativa di sé e delle proprie competenze (Menesini, 2000).
I bulli invece appaiono spesso caratterizzati da un’alta autostima. In una importante ricerca sul tema (Salmivalli, 1999) si è indagata l’autostima a 14 e 15 anni e i risultati hanno evidenziato che i bulli hanno un’autostima più alta della media, combinata a narcisismo e manie di grandezza. Un ulteriore studio ha evidenziato che i bulli sono soggetti popolari, e ciò ha portato i ricercatori a ipotizzare che la popolarità potrebbe condurre ad un innalzamento dell’autostima e delle condotte aggressive, in quanto il bullo non avrebbe paura di essere sanzionato dal gruppo di pari (Caravita, Di Balsio, 2009).
Comunque questi dati sono stati più volte smentiti, in quanto il fatto che i bulli percepiscono sé stessi come ben visti non vuol dire che essi realmente lo siano. Spesso accade che le persone che hanno un comportamento da bullo si mostrano come superiori e potenti, ma in realtà essi non pensano questo di sé stessi.
I dati che supportano l’ipotesi che i bulli hanno una positiva percezione di sé, ritengono che essa è spesso inconsistente. Per esempio Salmivalli (1998) ha trovato nei bulli un’alta autostima per quanto riguarda le relazioni interpersonali e l’attrazione fisica, ed una bassa autostima per quanto riguarda l’ambito scolastico, quello familiare, quello del comportamento e quello delle emozioni (Salmivalli, 2001).
In conclusione, le ricerche sono concordi nel sostenere che l’essere vittima di bullismo correla con la bassa autostima, meno chiaro è invece il ruolo che gioca l’autostima nel comportamento antisociale del bullo. Le correlazioni emerse dalle varie ricerche tra autostima e comportamento aggressivo sono poco concordanti.
 
L’autoefficacia
Con il termine autoefficacia (Bandura, 2000) si intende la fiducia nelle proprie capacità di escogitare le strategie che ci consentono di affrontare nel modo ottimale qualsiasi evenienza. Il concetto di autoefficacia dipende da molte variabili, quali:
l’esito brillante di precedenti situazioni problematiche affrontate;
le esperienze vicarie, date dall’aver visto altri fronteggiare contesti situazionali difficoltosi ed esserne usciti vittoriosi;
le autopersuasioni positive;
lo stato di benessere derivante dall’aver superato prove particolarmente impegnative;
la capacità di immaginarsi vincenti in esperienze gravose.
Come si evince da questa lista, anche il concetto di autoefficacia interviene nelle valutazioni che la persona compie su se stessa e che, in ultima analisi, definiscono la sua autostima.

4 anni fa
Singolo
Puglia, Taranto
CERTIFICATO

Qui dal 10.04.2019 -
Grazie. Sarebbe utile anche nell altro 3d

4 anni fa
Coppia
Toscana, Firenze
Qui dal 04.07.2019 -
Guarda @ade, tanta stima ma il lunedì 31 luglio nun gliela si fa.
Come se avessi accettato
😄

4 anni fa
Singolo
Puglia, Taranto
CERTIFICATO

Qui dal 10.04.2019 -


Distilleria vende vino sputato agli eventi.

Distilleria vende vino sputato agli eventi
Un distillatore australiano ha deciso di portare il concetto di riciclo ad un livello completamente nuovo, prendendo il vino sputato in una conferenza di degustazione di vini e trasformandolo in uno spirito chiamato Kissing a Stranger.

Peter Bignell ha avuto questa idea mentre era in un gruppo a degustare vini. Come da tradizione, nella degustazione, la maggior parte veniva sputata in un secchio. Questa pratica consente agli assaggiatori di provare molti vini diversi evitando l’ubriachezza. Per Bignell, però, si trattava di uno spreco.
Bignell, che normalmente produce whisky di segale nella sua distilleria australiana alimentata da biodiesel, si è accordato con gli organizzatori per raccogliere il vino dopo la conferenza, con l’obiettivo di distillarlo. Bignell ha così portato 500 litri di vino raccolti in una distilleria, utilizzando la loro attrezzatura per processarlo.

Dodici mesi dopo Bignell aveva trasformato il vino sputato in uno spirito a 80 gradi battezzato “Kissing A Stranger” (Baciare uno sconosciuto), che avrebbe un sapore paragonabile al brandy non invecchiato. Potrebbe venire la preoccupazione che bere il distillato sia pericoloso, ma il calore nel processo di distillazione riesce in realtà ad eliminare la maggior parte dei germi. E voi lo provereste?

4 anni fa
Singolo
Puglia, Taranto
CERTIFICATO

Qui dal 10.04.2019 -
* kissing a stranger.

4 anni fa
Singolo
Puglia, Taranto
CERTIFICATO

Qui dal 10.04.2019 -
Sessualità femminile, più orgasmi in relazioni omosessuali
Una ricerca dell’Università dell’Arkansas svela che le donne raggiungono più del 32% del piacere con partner femminili
La sessualità femminile è un mondo che non smette mai di stupire. È vero: per il gentil sesso l’orgasmo è un insieme di fattori fisiologici e psicologici. Per gli uomini è più facile arrivare al piacere anche senza coinvolgimenti emotivi. Ma questa è storia vecchia. Oggi sappiamo di più nell’ambito della sessualità femminile: la donna raggiunge più orgasmi con un’altra donna. Saranno felici di saperlo le coppie omosessuali, perché a rivelarlo è la scienza.

Sessualità femminile: nelle coppie omosessuali più orgasmi rispetto a relazioni etero
Le donne raggiungono più facilmente l’orgasmo con altre donne che con gli uomini. Una ricerca dell’Università dell’Arkansas ha diffuso statistiche interessanti sul mondo della sessualità femminile. Nello studio sono state messe sotto esame coppie da tutto il mondo di età compresa fra i 18 e i 65 anni.

Nel campione di donne in coppia con altre donne, in alcuni casi si raggiungono anche 55 orgasmi al mese. La media delle donne eterosessuali è 7.

Ciò accadrebbe perché gli uomini sono troppo concentrati sulla propria soddisfazione. “La conoscenza del corpo femminile porta le donne a sperimentare più orgasmi”, spiega la dott.ssa Kristen Jozkowski al The Sun.

Su 2.300 donne, quelle in coppie omosessuali hanno il 32% di orgasmi in più. E questo anche se le coppie etero hanno rapporti più frequenti. Lo studio approfondisce una ricerca pubblicata lo scorso autunno dalla Indiana University School of Public Health-Bloomington e dal Center for Sexual Health Promotion. Il precedente studio si era focalizzato sul legame tra orgasmo, piacere sessuale, tocco genitale e stimolazione.

In un sondaggio condotto su più di 1.000 donne tra 18 e 94 anni, i ricercatori hanno scoperto che sono numerosi i fattori che contribuiscono al piacere femminile. A seconda delle preferenze, si va dalla stimolazione genitale, posizione e pressione. Solo il 18 % ha dichiarato di raggiungere l’orgasmo grazie alla penetrazione.

Preliminari e varietà: la chiave del piacere femminile
I dati più significativi emersi dalla ricerca hanno portato i ricercatori a coniare l’espressione “orgasm gap”. L’86% di orgasmi nella sessualità femminile contro il 65% per le coppie donna-uomo. Il sesso penetrativo tradizionale sembra non soddisfare più di tanto. Come anche la minore propensione ai preliminari, al contrario indispensabili tra lesbiche.

Nel 72% dei casi, la stimolazione del clitoride è un contributo prezioso per l’orgasmo. Un’immagine della sessualità femminile che dimostra quanto la varietà, insieme ai preliminari, siano alla base di un rapporto sessuale soddisfacente.

Dal web notizia del 2018.


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