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Lui & Lei

Le avventure del giovane MC - il terzo anno - Ho fatto danno cap 5


di ilromantico73
07.04.2020    |    4.599    |    14 9.0
"Potrai mai perdonarmi? Resterai mio amico”..."
Sono tornato, spero di scrivere di più in questa quarantena forzata.



Le ragazze tornarono al tavolo. Erano state al bagno veramente tanto tempo. Troppo. Forse era tutta una strategia per dar tempo a Giorgio di parlarmi. Uscimmo dal locale sempre ridendo e scherzando, Giorgio era decisamente più espansivo con me, mi sorrideva, mi dava la mano e rideva ad ogni cosa dicessi. Mi era fin troppo chiaro il suo modo di fare, alla fine un corteggiamento resta un corteggiamento. Arrivati sotto casa di Lucilla ci salutammo, Giorgio si girò verso di me ed esclamò:

“il mio numero lo hai. Chiamami” e mi baciò in bocca. A stampo. Questa volta non indietreggiai perché sapevo di non dover suscitare sospetti e mi aspettavo qualcosa di simile. La cosa che non mi aspettavo è che lui aprisse leggermente le labbra e mi passasse la sua lingua sulle mie. Bastardo! Mi sorrise e se ne andò. Avrei voluto pulirmi la bocca ma sarebbe stato troppo sospetto. Dopo che se ne andò con Marina restai solo con Lucilla davanti al suo portone di casa.

“Certo che non perdi tempo te” esclamò all’improvviso “e io che speravo quasi di avere ancora qualche chance per conquistarti.” Rise, ma sembrava anche avere un tono più dispiaciuto che divertito.

“Mi dispiace” replicai, “non dovevo legare subito così velocemente con un tuo amico, ma sai c’è stata subito simpatia e anche intesa” deglutii pensando al suo bacio “capisci?”

“Sì lo capisco. Ti va di salire su da me a fare due chiacchiere?” Avrei voluto dire di no ma le parole di Giorgio mi risuonavano in mente. Dovevo tagliare i rapporti con lei. Subito. Probabilmente era il momento migliore per farlo dato che era comunque già delusa da me. Con un’andatura da condannato a morte salii su da lei. La casa era vuota. Tutte quelle gnocche in mutande e reggiseno erano ancora fuori a divertirsi o a far divertire qualcuno. Lucilla mi portò in camera sua, si spogliò davanti a me mentre io cercavo di non pensare a lei in termini sessuali. Non era facile, mi ero masturbato ma ormai erano passate diverse ore e sotto si sarebbe potuto comunque risvegliare qualcosa. Si mise un pigiama a mio avviso troppo corto e troppo attillato e si sdraiò sul suo letto.

“Vieni qua accanto a consolarmi?” disse picchiettando col palmo della mano sul materasso accanto a lei. Sapevo che non era una buona idea ma mi sentivo anche tremendamente in colpa dato che quella situazione l’avevo creata io.

“Ok, ma tra poco devo andarmene” risposi. Mi sdraiai accanto a lei, vestito. Mi si appoggiò accoccolata sulla spalla. Iniziavo a sentire dei brividi tra le gambe.

“Ti devo chiedere scusa” ruppe lei il silenzio.

“Perché?” chiesi stupito.

“Per questa serata” mi era chiaro a grandi linee cosa volesse dire e di cosa si scusasse ma dovevo fingere di non sapere per restare credibile. “Vedi, le mie compagne in mutande e reggiseno, il mio amico gay. Era tutto preparato per te. Volevo capire se fossi sicuro della tua scelta o se ci fosse ancora spazio per me.” Si fermò e mi parve di sentirla singhiozzare. “Mi sento così stupida e me ne vergogno. Potrai mai perdonarmi? Resterai mio amico”. Mi sentii una merda, lei si scusava per aver fatto qualcosa di decisamente meno grave di quanto fatto da me. Non sapevo cosa fare, mi si presentavano tre strade davanti. La prima era confessare tutto, ma la scartai immediatamente. Ero troppo vigliacco. La seconda era fingermi incazzato e sdegnato e andarmene via dicendole che tra noi era tutto finito. Probabilmente sarebbe stata la scelta più efficace ma per quanto vigliacco non ero così stronzo da scaricare tutta la colpa su di lei. La terza era quella che scelsi, le avrei detto che non ero arrabbiato, che la capivo ma che non avrei mai potuto darle quello che voleva. Mi sarei allontanato da lei e via via ci saremmo persi di vista. Era la scelta congeniale per me, vigliacca e non troppo aggressiva. Presi fiato per iniziare il mio pippone quando lei alzando la testa e guardandomi negli occhi esclamò “ti piacciono i pompini?”

“Cosa?” strabuzzai gli occhi.

“I pompini, ti piacciono i pompini?” ripeté con rinnovato entusiasmo. Non sapevo cosa rispondere, cioè la mia testa urlava li adoro ma non era la risposta da dare. Cercai di ricorrere alla mia ormai palesata omosessualità.

“Intendi farli o riceverli?” chiesi mentre il mio cervello urlava disgustato dall’idea di farne uno.

“Oh già” rispose “entrambi diciamo.”

“Beh riceverli non mi fa impazzire” mentii “farli al contrario mi piace sempre di più” mentii ancora più spudoratamente.

“Perfetto, semplicemente perfetto” continuò.

“Perfetto cosa? Non capisco!” effettivamente non avevo idea di cosa stesse parlando.

“Perfetto che non ti piacciano granché” continuavo a non capire “vedi mi hanno sempre detto che non sono particolarmente brava a farli e questa cosa mi ha sempre deluso, dato che ero convinta di avere una buona tecnica, ma visto che a te non piacciono e sei gay potrai darmi una valutazione più obiettiva.”

“Ma ti rendi conto di che cazzata stai dicendo? Puoi davvero pensare che io creda a una cosa del genere? È uno dei più tristi tentativi di abbordaggio mai visti. Smettila con questa buffonata.” Questo le avrei urlato in faccia se solo avessi avuto tempo, se solo avessi avuto modo. Peccato che nei miei trenta secondi di pausa Lucilla mi aveva slacciato i pantaloni, tirato fuori l’uccello e iniziato un pompino. No, non un pompino, un signor pompino. Io cercai di non pensare a cosa stesse facendo, ma era brava, troppo brava per rimanere insensibile, oltre al fatto che ormai l’effetto delle seghe era assolutamente sparito. Ormai ero in completa erezione e non avrei resistito ancora a lungo.

Non volevo, non dovevo, non potevo venire. Soprattutto non così presto. Le avevo detto di essere gay e di non gradire particolarmente i pompini, se dopo due minuti scarsi le avessi inondato la bocca sarei stato decisamente poco credibile. Cercai di resistere, di pensare ad altro: operazioni matematiche complesse, la formazione dell’Italia nei mondiali dell‘82. Peccato che non fossi un genio in matematica e seguissi poco il calcio, arrivato a Zoff ero a un passo dall’orgasmo. Iniziai a pensare a cose più tristi, più brutte, la fame nel mondo, i poveri, le serie TV anni ‘80. Funzionava avevo ricacciato l’orgasmo in fondo ai miei testicoli. L’A-team, Mac Gyver, lei accelerò, Magnum P.I., i baffi di Magnum P.I., dovevo pensare ai baffi di Tom Selleck, non era Lucilla a farmi un pompino ma Magnum P.I. con i suoi terrificanti baffi.

“ARGHH!!!” non ce la feci le scoppiai in un intensissimo orgasmo in bocca. Colse impreparati sia me che Lucilla che iniziò a tossire e sputare il mio sperma. Non ci potevo credere, le ero venuto in bocca, dopo tutti i miei fermi propositi di restare amici, di dichiararmi gay mi ero fatto fare un pompino e le ero venuto in bocca. Ma c’era di peggio, avevo sborrato immaginandomi i baffi di Tom Selleck sulla cappella. Quell’immagine avrebbe perseguitato i miei sogni per gli anni a venire.

“Però non devo essere proprio malaccio, alla fin fine se ti ho fatto venire così” tossicchiò Lucilla mentre si puliva il viso e la bocca dal mio seme. Aveva un sorrisino a metà tra lo stupito e il soddisfatto. Si sentiva sicuramente trionfatrice e molto probabilmente lo era, io al contrario mi sentivo di merda, ancora una volta ero stato totalmente incapace di sottrarmi agli eventi che mi si paravano davanti. Avrei voluto alzarmi e andarmene via, tornare a casa e farmi piccolo piccolo nel mio letto per compatire la mia incapacità. Lucilla però non era dello stesso avviso. Si sdraiò nuovamente accanto a me mentre io mi tiravo su a sedere, si tolse il minuscolo sotto del pigiama e con tono quasi supplichevole mi chiese:

“non hai voglia di ricambiare il piacere?”

Quanto può scendere in basso un uomo, quale può essere il suo limite, il suo minimo? Non ne avevo la più pallida idea ma alla vista di quella fica curata non ricordai nemmeno il mio nome e gliela divorai. Letteralmente. Scopammo tutta la notte, in tutte le posizioni, la feci venire non so quante volte e io con lei. La mattina successiva alle sei lei dormiva nuda e sfinita nel letto, io avrei fatto altrettanto se solo non avessi avuto l’uccello dolorante e il desiderio di scappare quanto prima da quella casa. Mi alzai e mi vestii, uscii in silenzio dalla camera e mi diressi verso la porta. All’altezza della cucina la mora, la troppo mora, si affacciò alla porta.

“Ehi bellezza, se hai altri amici gay come te che ci possono scopare tutta la notte e farci urlare a quel modo ti prego di presentarceli. In alternativa passa pure tu qualche fine settimana se hai tempo” si avvicinò, mi appoggiò le labbra sulla bocca e una mano sul pacco, rise si girò e rientrò in cucina. Avrei voluto rispondere con qualche battutina sagace e sarcastica come sapevo fare, ma in quel momento non mi venne in mente nulla se non che forse sarei dovuto passare davvero. Aveva delle labbra morbidissime.

Mi diressi verso casa come un moribondo, quella mattina a Bologna l’aria era fresca e frizzante, c’erano già i bar aperti e avrei voluto fermarmi a fare colazione ma avevo finito tutti i soldi per cui arrivai fino a casa nella speranza di trovare qualche avanzo. Entrato in casa beccai Sergio e Ludovico che facevano colazione in cucina, erano ancora vestiti per cui erano sicuramente rientrati anche loro in quel momento. Sul tavolo un vassoio pieno di paste. Amavo, adoravo visceralmente Ludovico quando faceva queste cose. Mi sedetti con loro e mi spolverai tre paste e un cappuccino.

“Ma che hai combinato stanotte per avere tutta questa fame?” mi chiese Ludovico.

“Ludo davvero, lascia perdere” ma tanto già sapevo che non lo avrebbe fatto per cui gli raccontai tutto per filo e per segno. Giorgio, quanto aveva scoperto, cosa mi aveva detto, il pompino e la notte di sesso, tutto per filo e per segno.

“Cazzo!” esclamò Ludovico “e ora come farai?”

“Ludo non lo so, come avevi detto te è andato tutto per il peggio e ora non so davvero come uscirne.”

“Ma che me ne frega di quello, tanto era evidente da subito che avresti fatto casino, io voglio sapere come farai adesso a scoparti la coinquilina di Lucilla senza farti beccare. Sai già quando è sola nei fine settimana o le hai dato il tuo indirizzo di casa?”

“Ma che cazzo dici? Possibile che in questa situazione tu possa anche solo pensare a una cosa del genere?” lo odiavo, lo odiavo profondamente. Anche perché era stato il mio primo pensiero. Da casa delle ragazze a casa mia non avevo fatto altro che pensare a come avrei potuto fare per scoparmi la mora e rimpiangevo di non averle dato il mio indirizzo di casa quando mi aveva baciato alla fine. Detestavo essere così simile a Ludovico, ma soprattutto odiavo il fatto che lui si accettasse così come era mentre io mi ero offeso da solo e profondamente vergognato per quei pensieri.

“Ci vorrebbe Camilla, lei saprebbe consolarmi” sospirai.

“Spero tu stia scherzando” replicò Ludovico.

“Perché?” chiesi indispettito, cosa voleva dire su di me o su Camilla?

“Perché se Camilla fosse qua ti chiederebbe la taglia di reggiseno della mora e se potete fare una cosa a tre. Non è una cretina come te.”

Ci pensai un attimo, probabilmente Ludovico aveva ragione, come sempre, Camilla avrebbe reagito quasi sicuramente così. Però non volevo dargli ragione per cui cercai di assumere un atteggiamento superiore guardandolo con sufficienza. Non dovette venirmi particolarmente bene dato che Ludovico mi guardò con un’espressione che significava chiaramente cosa ti avevo detto? e se ne andò a letto.

Rimasi seduto in cucina, Sergio stava finendo di sorseggiare il suo tè. Era troppo aspettarmi conforto da lui? Aveva capito di cosa avevamo parlato? Aveva almeno chiaro chi fossi io? Lo guardai, stava ridacchiando da solo mentre sorseggiava, chissà cosa gli stava passando per la testa. Mi convinsi che fosse meglio non scoprirlo per cui mi alzai per andare a letto.

“Buonanotte Sergio.”

“Ohi zio...” mi fermai a guardarlo, se solo mi avesse parlato di una sua amica di nome Katia questa volta lo avrei picchiato “ma secondo te tra queste coinquiline di Lucilla ci sarebbe qualcuna che me la dà?” tirai un sospiro di sollievo, rispetto alle sue solite uscite questa era tutto sommato normale.

“Non ne ho idea Sergio, mi informerò.”

“Forte zio. Forte” e ricominciò a sorseggiare il tè ridendo da solo.

Andai a letto e dormii tutta la domenica. Un sonno agitato, sensi di colpa, rimorsi, baffi di Magnum P.I.. La sera ero più stanco della mattina, sul cellulare ben dieci chiamate perse. Tre di Camilla, due di mia mamma e ben cinque di Lucilla. Mi sentivo come Huston, avevo un problema. Recuperai per prime le chiamate di chi mi manteneva e di chi me la dava con regolarità, infine richiamai Lucilla.

“Ciao” rispose una voce bassissima con un tono quasi mortificato.

“Ciao Lucilla, mi hai cercato?” che cazzo stavo chiedendo? Era ovvio che mi avesse cercato, avevo cinque chiamate perse.

“Sì, beh, ecco” tentennava “no ecco è che volevo sapere come stavi.”

“Sto bene, grazie” cercai di essere telegrafico.

“Ok, ma... sei arrabbiato con me? Mi odi?”

“No Lucilla, non ti odio, sono solo arrabbiato con me stesso. Non volevo che succedesse tutto questo.”

“Lo so, è tutta colpa mia, non dovevo insistere ma mi sei sempre piaciuto e speravo di piacerti anche io.”

“Ma infatti mi piaci tantissimo, davvero, solo che non nel modo in cui te avresti voluto” la sentii singhiozzare “mi spiace davvero, non volevo illuderti, sto davvero bene con te... ma come amici” lo avevo detto. Alla fine quello che avevo sempre voluto dire lo avevo detto, se solo non ci fosse stata nel mezzo una notte di sesso avrei anche potuto essere in tempo. Purtroppo c’era stata.

“Però alla fine siamo stati bene no? Voglio dire, è piaciuto anche a te no?” cazzo se mi era piaciuto.

“Sì Lucilla, mi è piaciuto, ma non è questo il punto, non doveva andare così. Non era questo che volevo.” Non sapevo come altro esprimerlo.

“Quindi cosa facciamo? Dobbiamo evitare di vederci per un po’?”

“Forse... forse è meglio.”

“Sì ma per quanto? Ti vuoi chiarire con qualcuno? Devi capire se davvero preferisci me o i ragazzi?” Non sapevo cosa rispondere, era tardi per qualsiasi risposta. Mi rifugiai così nella più vigliacca delle risposte, quella che tanto odiai quando fu Francesca, all’inizio del secondo anno di università, a darmi:

“ti chiamo io” e riattaccai.

Le gazzelle non diventano mai leoni e io non sarei diventato uno che sa gestire questo genere di cose. Le settimane passarono lente e normali, i corsi, qualche uscita con Camilla, altre con gli amici, tutto sommato potevo continuare la mia vita con una certa tranquillità, per quanto mi rodessi nel rimorso ero abbastanza allenato da conviverci. Non avevo richiamato Lucilla e avevo evitato di rispondere ad un paio di sue chiamate. Speravo che col tempo anche lei imparasse ad evitarmi, avrebbe incontrato sicuramente qualcuno meno imbecille di me ora che erano iniziati i corsi anche per lei.
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