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Il guinzaglio ha due estremità


di velo
06.04.2020    |    424    |    2 7.8
"Le conficcò le dita nelle mammelle e le piantò il cazzo dentro; con una botta tale che i suoi umori le schizzarono fuori in uno spruzzo gorgogliante e si..."
Guardava gli occhi della cagna e, come ogni volta, un brivido di vago disagio
gli pizzicò la base della schiena.
Quegli occhi adoranti e sofferenti nella medesima espressione, pieni di lacrime rapprese
miste a una subordinata, fosca gioia, lo inchiodavano sempre alla stessa verità.
Ancora una volta si trovò a domandarsi chi possedesse davvero chi.
E allora il suo, di sguardo, si fece di pietra. Ossidiana dura e fredda; tagliente.
"Girati." Le ordinò in tono incolore.
La ragazza ruotò goffamente su se stessa con buffi passettini sui gomiti e sulle ginocchia,
impedita com'era nei movimenti a causa dei polsi e delle caviglie legati stretti
dalla ruvida, grossa corda e gli mostrò le terga.
Osservò soddisfatto per qualche istante quelle natiche addestrate a restare immobili.
Prese ad accarezzarle. Dapprima delicatamente, quasi sfiorandole, assaporando
nel palmo ruvido la serica consistenza della pelle e il lieve calore che emanava.
Avvertì la sottilissima peluria di lei rizzarsi sull'epidermide.
Poi prese a palpeggiarla in maniera sempre più rude e prepotente, affondando le
dita in quel plastico materiale che si deformava ubbidiente per poi tornare alla sua forma originale come morbida, pallida cera sotto la sua azione creatrice.
Aprì con un movimento quasi liturgico delle mani quelle natiche, come a voler dividere
in due succulenti bocconi una fragrante pagnotta appena sfornata e lasciò cadere
una grossa stilla di saliva sullo sfintere a forma di asterisco.
Guardò la bava colare pigramente lungo la fessura fra le natiche, per continuare
poi la sua traslucida danza sulle valve della vagina, polposa e ben disegnata.
Lo spettacolo lo fece indurire e questo, quasi in automatico, portò la sua mano alla
cinghia dei pantaloni. La sfilò con pigra calma, soppesandola nella mano; carezzando
con voluttà il cuoio freddo. Scelse con cura una gag ball, quella con la sfera rossa,
e la collocò nella bocca di lei, allacciandole la cinghietta dietro la nuca.
Fece oscillare distrattamente davanti al suo volto la fibbia della cintura.
Gli occhi della donna si spalancarono in un' espressione intraducibile.
Un flash cremisi, bordato di collera, esplose nella mente di lei !
Tutto il suo corpo era in balìa di un feroce bombardamento: le cosce, le natiche,
la schiena, ogni suo muscolo, ogni sua fibra erano straziati da implacabili artigli,
ora roventi, ora gelidi che, come uno sciame di terribili insetti, straziava le sue carni.
Voleva urlare ma la sua lingua veniva schiacciata come un contorto lumacone
contro la sfera di gomma grondante saliva mentre i suoi sensi impazzivano,
incapaci di discernere fra il dolore e il piacere.
Si sentì afferrare per i capelli e sollevare brutalmente verso l'alto. "In piedi cagna !"
Le sue guance vennero saldamente strette fra le dita del suo aguzzino,
il bavaglio le venne sfilato. "Dillo, puttana !" ringhiò lui.
"Merito di essere condotta al palo della tortura, Padrone."
La sfera di gomma rossa fu fatta slittare nuovamente al suo posto, con uno schiocco umido.
Con poche, sapienti mosse le sciolse le caviglie dai vecchi legacci e le assicurò ognuna all'estremità di un lungo palo che la costringeva a tenere le gambe spalancate.
Agganciò il nodo in cui lei aveva imprigionati i polsi ad una grossa trave scura, facendole
piegare la schiena fin quasi a potersi guardare fra le cosce.
In un' immagine rovesciata, vide l'uomo liberarsi dei pantaloni. Lo sentì contro di lei.
Le conficcò le dita nelle mammelle e le piantò il cazzo dentro; con una botta tale
che i suoi umori le schizzarono fuori in uno spruzzo gorgogliante e si abbatterono a terra con uno scroscio denso ed osceno.
La sbatteva con foga animalesca, brutalmente posseduto a sua volta dalla dispotica impellenza di venirle dentro SUBITO a quella troia; di sferzarle l'utero con selvagge,
sadiche e potenti frustate di fiamma liquida che schiantasse e tormentasse col fuoco più crudo e devastante quel suo buco stretto, fradicio e gemente.
I suoi guaiti, intrappolati nel bavaglio, le rimbalzavano nel fondo della gola, le gonfiavano il petto fin quasi a farlo scoppiare e suonavano, alle sue stesse orecchie, per nulla dissimili da quelli di una cagna in calore che, in mezzo alla strada, ritta sulle frementi zampe inferiori, urla il suo scomposto richiamo; volgarmente bramosa di essere posseduta, riempita.
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