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Qualcosa che non ti aspetti - 2


di adad
15.06.2021    |    7.661    |    12 9.1
"” Renzo rimase a fissare lo schermo del computer con gli occhi sbarrati..."
Durante la cena e poi, durante la breve passeggiata, sembrò che il clima si fosse rasserenato fra loro due, in realtà entrambi si rendevano conto che c’era qualcosa di non detto che li impacciava, che li faceva parlare a pezzi e bocconi, a sì e no. Si ritirarono presto in camera: erano stanchi del viaggio e stressati da quanto era successo nel pomeriggio.
Si spogliarono senza guardarsi e si infilarono sotto le lenzuola alle due estremità del letto, coprendosi bene col lenzuolo, nonostante facesse caldo. C’era il climatizzatore, è vero, ma a nessuno dei due piaceva l’aria condizionata, per cui la tenevano accesa giusto quel minimo da smorzare l’afa.
Stavano per spegnere le abat-jour e rannicchiarsi ognuno nel proprio angolo, quando, esasperato, Renzo raccolse tutto il suo coraggio e:
“Senti, Mimmo, - disse – parliamone, per favore. Sono stato uno stronzo, oggi, lo ammetto e sono pronto a chiederti mille volte scusa. Ho commesso un’azione inqualificabile, ma parliamone, non lasciamo che resti del rancore fra noi. Per me, sei un amico troppo importante…”, e intanto era scivolato sotto il lenzuolo, facendoglisi più vicino.
Mimmo si volse a guardarlo, un sorriso triste gli si era disegnato sulle labbra.
“Non potrà mai esserci rancore fra noi… soprattutto dopo quello che è successo.”
“Cosa vuoi dire, che per te non è niente quello che è successo?”
“Tutt’altro. Ascolta, Renzo, ho passato i venticinque anni della mia vita nel terrore… terrore che gli altri scoprissero la mia mostruosità…”
“Ma quale mostruosità? Mimmo, per favore…”
“Sono un uomo con la figa, Renzo! – disse Mimmo con amarezza – non è una mostruosità, questa? Vuoi chiamarla anomalia? Chiamiamola anomalia, tanto non cambia niente: ho una figa, proprio dove tu… tutti gli altri avete l’uccello!
Non sono come te… non sono come gli altri. Credi che se mi vedessero, non scoppierebbero a ridere tutti quanti, che non mi prenderebbero in giro? Un tempo, quelli come me li chiudevano nei baracconi… e la gente pagava per vederci e riderci addosso…”
“Non sono più quei tempi. Mimmo.”
“Lo so… e infatti i miei non mi hanno venduto ad un circo… ma ciò non toglie che si vergognassero di me pure loro e non vedevano l’ora che me ne andassi.
Ho passato la vita nel terrore che gli altri capissero… da piccolo mi imbottivo le mutandine con i fazzoletti, per far sembrare che dentro c’era qualcosa… Vi ho invidiato… Oh, Renzo, non immagini quanto vi ho invidiato… anche te… Vi ho invidiato perché nessuno vi ha tolto niente… perché avete tutto quello che dovete avere… perché potete andare con una ragazza… come avrei voluto pure io… Perché non sono una donna, Renzo! Ho la figa, ma non sono una donna, non mi sento sento una donna! Sono un uomo come te, ma non lo sono… non posso esserlo. Freud deve aver pensato a me, quando ha parlato dell’invidia del pene… L’invidia del pene… che tragica beffa! L’invidia e la paura... queste sono state le compagne della mia vita, Renzo.”
“Mi dispiace, Mimmo, non potevo immaginare…”, disse Renzo, prendendogli la mano.
“Nessuno può immaginare… solo chi le vive queste cose e le paga, un giorno dopo l’altro. E poi sei arrivato tu…”
Renzo gli strinse la mano ancora più forte e chiuse gli occhi, aspettandosi chissà quali rampogne.
“Sei arrivato tu… e mi hai costretto a mostrarmi come sono… e non hai riso di me, non mi hai preso in giro…”
“Ho fatto di peggio…”
“E’ vero… - e sorrise Mimmo – ma mi hai salvato la vita. Mi hai strappato dalle mie malinconie, mi hai fatto capire che non potevo addossare a me stesso o ad altri la colpa di essere come sono… mi hai fatto capire che è stupido incaponirsi a desiderare cose che non si possono avere… che è stupido continuare a rimpiangere una vita normale con una donna che non posso amare. Ma ho capito anche che ci sono altre cose che posso avere, ho capito che non per questo mi sono preclusi certi piaceri… Devo solo riprogrammarmi…”
“Grazie, Mimmo…”, mormorò Renzo.
“Di cosa?”
“Mi hai liberato da un senso di colpa, che mi stava straziando.”
“Capisco… ma stai sereno, hai solo ucciso la mia vecchia vita…”
“Sei fantastico…”, disse Renzo, fissandolo negli occhi.
Mimmo fece spallucce:
“Sono solo io… - e poi inaspettatamente - Ti va di rifarlo?”, chiese.
“Accidenti, se mi va!”, si ringalluzzì Renzo.
“Stavolta lo facciamo bene, però…”
“Sì…”, disse Renzo e lentamente si chinò a sfiorargli le labbra con le sue.
Indugiarono entrambi un momento, poi le labbra si aprirono e le lingue si incontrarono… timorose all’inizio… esitanti… ma ben presto avvinghiate in una folle danza d’amore.
Renzo, intanto, aveva strattonato via il lenzuolo che li copriva e già infilava le mani sotto gli slip di Mimmo a sfiorarne il sesso delicato. Mimmo fremette a quella carezza indiscreta, ma non più nuova, e allargò le gambe per fargli capire il suo gradimento. E Renzo capì… del resto, non era certo un novellino. Ma novellino non lo era più neanche Mimmo, che infatti dopo un poco:
“Leccami… - sospirò – come hai fatto oggi…”
“Quella è la mia specialità…”, ghignò Renzo e, scivolatogli fra le gambe, gli sfilò gli slip, poi si accucciò e immerse la lingua nel suo sesso fremente.
Mimmo sospirò con aria beata: lentamente stava entrando nel suo nuovo mondo. Infatti:
“Voglio farlo pure io. - disse ad un tratto – Voglio leccarti pure io…”
Renzo sollevò la testa stupito e subito un sorriso gli irradiò il volto:
“Non osavo sperare che me lo chiedessi.”, fece e si tolse in fretta gli slip, sfoderando un uccellone turgido da far invidia a tanti.
Gli si pose quindi sopra a sessantanove e riprese il suo appassionato lavoro.
Mimmo rimase un attimo sconcertato alla vista di quel grosso organo mezzo scappucciato, che gli penzolava sulla faccia. Certo, sapeva benissimo come era fatto un cazzo, ma era la prima volta che ne vedeva uno in carne e ossa, duro e a pochi centimetri dalla sua bocca; era la prima volta che ne sentiva l’odore ferino, che ne ammirava la selvaggia, aggressiva potenza. Mentre Renzo gli divorava il sesso con sempre maggiore famelicità, Mimmo prese in mano quel cazzo fibrillante, meravigliandosi del suo calore, della soffice levigatezza della guaina, del licore che vedeva colare con un filo traslucido dalla boccuccia in cima al glande. Vinse il ribrezzo suscitatogli dall’odore, un odore forte ma nello stesso tempo conturbante, e se lo accostò alle labbra. Tirò fuori la lingua raccolse la goccia sospesa a mezz’aria. Il liquido denso e viscoso gli pizzicò sulla superficie della lingua, spingendolo a sollevare leggermente la testa e ingoiare l’intero glande. Ma era troppo e troppo presto: quel corpo estraneo in bocca, viscido e spugnoso, lo disgustò e si ritrasse, voltando la testa.
“Non sei obbligato, se ti fa schifo…”, si sentì allora dire da Renzo.
Ma Mimmo voleva farcela, voleva farcela per lui, per dimostrargli quanto lo apprezzasse. Allora, tornò a impugnare l’organo pulsante, lo scappellò del tutto e anziché ingoiare il glande, stavolta cominciò a leccarlo tutt’attorno, scoprendo dopo un attimo che, passato il primo impatto, il sapore diventava piacevole, quanto avvolgente l’odore caldo e dolciastro del pube. Fissò un attimo la borsa pelosa dei coglioni, che gli penzolava sugli occhi, poi chiuse gli occhi e prese a leccare il glande con la stessa foga e la stessa passione con cui l’amico gli leccava la figa. Lo ricopriva un momento col prepuzio, mordicchiandone l’orlo carnoso, poi tornava a snudarlo e lo slinguava tutt’attorno, con la punta della lingua passando sotto la corolla, frugando nel taglietto rugiadoso, picchiettando sul filetto… imparando dai fremiti, che gli sentiva correre sotto la pelle, e insistendo là dove lo sentiva mugugnare e leccare con più foga.
“Basta… basta… - lo interruppe ad un tratto Renzo – mi stai facendo venire.”, e glielo tolse dalla bocca.
“Mettimelo… - disse, allora, Mimmo – vienimi dentro, come hai fatto oggi.”
“Lo vuoi davvero?”, chiese Renzo, rigirandosi con un movimento fluido e poggiandogli sulla figa la punta sbavata del grosso cazzo.
In tutta risposta, Mimmo gli passò le braccia al collo, lo trasse verso le sue labbra. E mentre la sua lingua anelante scivolava nella bocca di Renzo, il cazzo di Renzo gli scivolava solido e poderoso nella figa bagnata di saliva. Un duplice congiungimento che suggellava l’inizio di una insolita intesa. Né le labbra si staccarono, le lingua intrecciandosi e risucchiandosi vicendevolmente, mentre Renzo iniziava a scoparlo con colpi gagliardi di bacino.
Se la prima volta, lo shock aveva per lo più inibito ogni possibilità di piacere; adesso, sentire dentro di sé il vigoroso organo dell’amico, sentirlo scorrere nella sua intimità spinto dentro con colpi gagliardi, gli accese un fuoco sempre più vivo nelle visceri, un bisogno spasmodico di prenderne sempre di più, di averlo sempre più a fondo. Allora, sollevò le gambe, intrecciandogliele dietro le reni, venendogli incontro e aiutandolo a sbatterglielo dentro con maggior vigore.
Erano ormai due amanti appassionati e collaudati, quando Renzo contrasse tutti i muscoli del corpo, si inarcò e con un ultimo affondo, che tenne i due sessi schiacciati l’uno contro l’altro, si arrese ad un orgasmo incontrollato, a cui rispose quello, appena destato, di Mimmo.
Poco dopo i due giacevano fianco a fianco, entrambi stremati.
“E meno male che avresti dovuto tenermi d’occhio…”, disse Renzo, ancora ansimante.
Mimmo sorrise, ma quelle parole furono per lui un monito amaro, che non avrebbe potuto, né dovuto dimenticare.
Fecero ancora l’amore le notti successive, abbandonati l’uno all’altro, con una passione e un calore sempre più completi.

“Ci vediamo lunedì mattina in ufficio.”, disse Renzo fermando la macchina
davanti al palazzo in cui abitava l’amico.
Mimmo annuì con un sorriso, forse un po’ triste, e dopo una rapida occhiata intorno, gli diede un bacio sulle labbra. Molto di più avrebbe desiderato il suo cuore, ma la vacanza era finita.
“Dov’è finito Mimmo?”, chiese Renzo alla segretaria, vedendone vuota la scrivania e spento il computer.
Il giorno prima non si erano sentiti e lui ne sentiva stranamente la mancanza.
“Sarà in ritardo.”, rispose indifferente la signorina Patrizia.
Contrariato, Renzo raggiunse la sua postazione e accese il computer. La prima cosa che vide fu una lettera… da Mimmo… per lui. La cosa non gli piacque… l’aprì e iniziò a leggere:

“Mio caro Mimmo, come vedi, la mia sedia è vuota stamattina e temo che lo resterà. Spero di non darti un dolore troppo grande, ma ho deciso di licenziarmi e andare via.”
Renzo si sentì gelare il sangue e si aggrappò ai bordi della scrivania: che significava tutto questo? Perché? Dove aveva sbagliato? Continuò a leggere:
“Mio adorato, lasciamelo dire almeno una volta, mio adorato… Come suona dolce per me. Ho passato una settimana d’incanto; purtroppo, è successa una cosa che non avevo messo in conto e mai mi sarei aspettato: mi sono innamorato di te. Può suonarti strano sentirtelo dire da un uomo, ma quello che provo per te non può che chiamarsi così: amore.
Non so cosa sono stati per te i giorni a Marina, per me sono stati più di una vacanza, molto di più: ho scoperto te, mio dolcissimo, paziente, amico, e attraverso te ho scoperto la vita, l’amore, il piacere del sesso. Tutte cose che mi erano ignote prima, nell’oscura prigione che mi ero costruito attorno.
Mi sono innamorato di te, ed è per questo che devo lasciarti. Non potrei chiederti di ricambiarmi, non ne ho il diritto: tu non appartieni al mio mondo, hai una persona che ami e che ti ama: restando farei un torto a te e a lei. Potremmo restare amici, certo, ma per me non sei più solo un amico e a lungo andare finirei con l’invidiare chi divide il tuo amore, il tuo letto, finirei col trasformare in veleno l’amore che adesso provo.
Riesco a sopportare l’idea di perderti, visto che finora non ho avuto niente, ma non di dividerti con qualcun altro.
L’unico modo perché io possa conservare intatto questo amore è andarmene: che io resti nella tua mente come il ricordo di un caro amico e tu nella mia come l’amante appassionato di quelle struggenti, indimenticabili notti.
Scompaio dalla tua vita e forse un giorno anche dai tuoi ricordi, ma tu non scomparirai dalla mia , dai miei ricordi, perché tua è la metà più preziosa del mio cuore.
E adesso smetto, prima di diventare patetico e melenso. Solo una cosa, l’ultima: grazie, Renzo, grazie d’avermi salvato. Addio, amore. vivi una buona vita e ricordami finché puoi.
Mimmo.
Dimenticavo: cancella questa lettera, che non venga letta da altri: queste parole sono solo per te.”

Renzo rimase a fissare lo schermo del computer con gli occhi sbarrati. Si sentiva annichilito. Certo, aveva riflettuto anche lui su come poter sistemare quella faccenda, una volta rientrati nella loro quotidianità; ma non voleva… non poteva rinunciarci, dopo tutto quello che era successo, tutto quello che si erano detti, che si erano dati. Un empito di rancore lo prese: perché aveva voluto decidere da solo? Perché non gli aveva detto niente? Era un bacio d’addio quello che gli aveva dato in macchina? Aveva già deciso di andarsene o lo aveva maturato durante la notte, quando lui stesso aveva riflettuto a lungo sul da fare? Perché non gli ho telefonato ieri mattina… Cristo santo! perché non gli ho telefonato? forse avrei fatto in tempo a fermarlo…
“Dove sei, brutto bastardo? – si chiese – Non si fa così… non si fa così…”, e strinse i pugni, conficcandosi le unghie nella carne.
Sentiva un groppo di pianto nella gola.
Rilesse una, due, dieci volte la lettera… razionalmente, capiva le ragioni dell’amico, le capiva, le giustificava… per certi versi gliene era anche riconoscente… ma l’ansia, il rammarico, il dolore dentro di sé non fu possibile placarlo.
“Mimmo… - sospirò con la voce carica di rimpianto – Perché mi hai fatto questo?”
Fissò a lungo le parole sullo schermo, poi scosse la testa e cliccò su ELIMINA.

FINE
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