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Mia moglie Valeria - Dopo i 40 anni - Cambiamenti - Capitolo 13 - Il locale (parte terza)


di Marta-trav
24.12.2022    |    8.653    |    4 9.1
"Per contro, vidi il ragazzo, il suo padrone, pulirla con delle salviette umidificate, con tenerezza, sussurrandole qualcosa all’orecchio..."
“Allora, ti sei divertita?”, mi chiese Matteo, premurosamente.
Erano, ormai, le quattro di mattina.
Stefano, accanto a me, si stava dando una sistemata ai capelli, davanti allo specchio.
Avevamo tutti necessità di farci una doccia rigenerante.
Optammo per non farcela lì nel locale e per tornarcene a casa, il prima possibile.
Ci pulimmo rapidamente con alcune salviette umidificate e disinfettanti.
Sul mio corpo, ovunque, c’erano tracce di sperma secco. Soprattutto sul viso. Alcune delle quali, peraltro, ancora fresche.
I miei capezzoli erano esageratamente indolenziti e doloranti. Quando, finalmente, Matteo mi aveva tolto quelle due pinzette, che mi aveva applicato molte ore prima, i miei capezzoli, di un insolito colore rubino scuro, erano indecentemente pronunciati verso l’esterno, come non lo erano mai stati prima, anche per effetto di tutte quelle pressioni sulla catenella che univa le pinzette e che, uomini e donne, si erano divertiti ad impormi.
Ma, soprattutto, erano sensibilissimi. Un semplice spostamento d’aria mi procurava fastidio. Mi domandavo se e quando sarebbero tornati normali.
Per questo motivo decisi di non indossare il reggiseno con il quale ero venuta e che recuperai, insieme al vestito rosso, dalla stanza dei preparativi.
Non avevo alcuna notizia di Marta.
L’ultima volta che l’avevo vista era legata, ricoperta di cera, con la figa arrossata e con un grosso gancio da macellaio che le stava entrando nel culo.
Poi, nel corso della serata, non l’avevo più vista.
Aprendo l’armadietto per recuperare le mie mutandine, ho visto che le sue erano ancora lì, insieme alle chiavi della macchina ed alla sua borsetta.
Quindi, o era ancora nel locale, infilata chissà dove. Oppure se ne era andata, sempre chissà dove, in compagnia di chissà chi. Magari proprio dell’uomo che l’aveva infilzata con quell’enorme gancio ricurvo.
Mi ripromisi di chiamarla appena possibile. Anche perché avevo lasciato, nella sua macchina, il borsone con i vestiti che indossavo la sera precedente, quando sono uscita di casa, ufficialmente per andare a cena con le mie colleghe.
“Si, tantissimo”, gli risposi.
“Sono contento. Non sempre, la prima volta che si viene in questo locale, si va via soddisfatte ed appagate”, disse lui.
Anche Elena era sparita.
L’avevo incontrata più volte nel corso della serata/nottata.
Ci eravamo parlate, confidandoci le rispettive emozioni.
“Sei già stata da Danny?”, mi domandò lei, durante uno di quegli incontri casuali, nel corridoio del piano interrato, tra una prestazione e l’altra.
“No, chi è?”, le risposi.
“Dopo te lo faccio conoscere”, mi disse lei, sempre con quel suo sorriso malandrino, infilandosi velocemente in una di quelle stanze di tortura sessuale.
Elena si muoveva all’interno di quel girone dantesco, quello dei lussuriosi, con assoluta familiarità, come se si trovasse nella cucina di casa sua.
Era completamente nuda, eccezion fatta per le scarpe. Un paio di decolleté nere, lucide, chiuse davanti e con il solito tacco altissimo. Un paio tra i tanti custoditi nel suo scrigno segreto, nella sua camera da letto, dove avevo avuto l’onore di entrare anche io qualche tempo prima.
Evidentemente Elena sapeva bene quale tipo di scarpe dover indossare in una serata come quella.
“Una donna sottomessa deve indossare sempre scarpe chiuse davanti, preferibilmente nere”, mi aveva detto Matteo ad inizio serata, nella stanza dei preparativi, ormai alcune ore prima.
Io le indossavo del tutto casualmente. Elena le indossava per esperienza.
Avrei dovuto chiamare anche lei. Chissà dove era finita.
Neppure Matteo ne sapeva niente.
“Capita spesso, come ti dicevo. Sai con chi vieni, ma non sai con chi andrai via”, mi disse quel ragazzone di ventotto anni, che, nelle ore appena trascorse, aveva abusato di me in tutti i modi. E, soprattutto, aveva acconsentito a che molte altre persone, principalmente uomini, ma anche donne, facessero altrettanto.
Durante quelle ore, il mio punto di vista su quanto mi stava succedendo, aveva subito più di un cambiamento.
Ho accettato di venire in quel locale per fare un favore ad un’amica. Peraltro appena conosciuta.
Dopo aver scoperto il significato del braccialetto nero che ci era stato dato all’ingresso, ho pensato seriamente di scappare. Poi, dopo l’arrivo di Elena e, soprattutto, dopo il primo orgasmo che mi ha provocato la mia amica con le sue dita, ho invece deciso di rimanere e di provare a giocare.
Matteo mi ha introdotto in quel mondo, dalla porta d’ingresso principale. Mi ha preparata e mi ha accompagnata per mano (vabbè, sarebbe meglio dire con un guinzaglio) in quell’universo parallelo.
Mi ha portata nel piano di sotto, mi ha fatto assistere alle prestazioni, più o meno estreme, di alcuni clienti del locale.
Mi ha convinta a provare. Mi ha ordinato di provare.
Mi ha fatto passare dal ruolo di spettatrice a quello di attrice protagonista.
Mi ha fatto provare situazioni nuove e stravaganti.
Mi sono sentita un oggetto. Inizialmente un oggetto di proprietà di Matteo. Poi, successivamente, un oggetto a disposizione di chiunque, uomo o donna che fosse, avesse voluto approfittare della mia disponibilità.
Fino a sentirmi dire di volerne ancora.
In quelle ore ero passata da un rifiuto totale ad una completa ed incondizionata disponibilità sessuale.
Matteo se ne era accorto subito e se ne era compiaciuto. Lo riteneva un suo merito. Quello di aver convinto un’amica della sua donna, piuttosto cauta all’inizio, a provare situazioni e sensazioni assolutamente nuove per lei, fino a diventare, nel giro di poche ora, la peggiore delle troie, affamata di sesso, di uomini, di cazzi e di sperma.
Certo, mi sarebbe piaciuto che Elena mi avesse fatto conoscere quel Danny di cui tutte le donne, nel locale, dicevano un gran bene.
Ma non era stato possibile.
Un motivo in più per tornare un’altra volta in quel locale, mi dissi.
Erano passate circa sei ore da quando quell’uomo e quella donna, elegantemente vestiti, avevano spiegato a me e a Marta, le regole, poche a dire il vero, di quel locale.
In quelle sei ore erano crollate molte delle mie certezze.
I valori, insegnatimi dalla mia famiglia, cattolica e praticante, erano finiti, insieme alla mia dignità ed al mio pudore, dentro l’armadietto, unitamente alle mie mutandine.
Molti tabù erano stata superati. Molti pregiudizi crollati, frantumati.
Nessun limite aveva caratterizzato il mio ruolo durante quella serata, un po’ perché lo imponeva il braccialetto di colore nero che indossavo, ed un po’, molto più di un po’, a dire il vero, perché lo desideravo io.
Ora la serata era finita e, insieme a Matteo e a mio marito, stavo tirando le somme di quanto era accaduto in quelle sei ore.
Devastata. Se mi avessero chiesto di riassumere, in un’unica parola, come mi sentivo in quel momento, non avrei avuto dubbi a rispondere “Devastata”.
Avevo perso il conto degli orgasmi avuti. Avevo perso il conto di quanti uomini avevo fatto godere.
Non credevo che, in una stessa serata, potessi godere così tante volte, ogni volta in maniera più intensa rispetto alla precedente.
Eppure era successo.
E Stefano mi aveva aiutata a gestire quei momenti, tenendomi per mano, parlandomi all’orecchio, baciandomi con amore.
Il mio corpo, per tutta la serata, è stato percorso da fremiti di piacere, quasi convulsioni, in alcuni momenti.
Non riuscivo a gestire le mie emozioni.
Poi, ad un certo punto, è arrivato improvvisamente mio marito, materializzandosi davanti a me dal nulla. E tutto è migliorato.

Iniziai a guardarmi intorno.
La presenza di molte persone, uomini e donne, addette alla vigilanza ed alla sicurezza del locale, mi faceva costantemente sentire sotto osservazione.
Il mio scopo, in quel locale, era tuttavia quello di capire se, tra i numerosi clienti, ci fosse anche mia moglie. Nulla di più. Non mi sarei certo messo nei casini. Non c’era bisogno che mi seguissero come se fossi in cerca di guai.
Dopo che mi furono spiegate le regole del locale, iniziai a girare per la sala principale, quella dove si accedeva una volta sbrigate le formalità per l’ingresso.
In ogni angolo della sala erano presenti grossi vasi di vetro trasparente.
Ogni vaso era pieno di preservativi, a disposizione di chiunque.
In quel locale si respirava odore di sesso selvaggio, primordiale e trasgressivo.
Candele di ogni forma e dimensione rischiaravano gli angoli più bui della sala.
Il gioco di luci e ombre che ne derivava, con i suoi caldi e mobili chiaroscuri, esaltava il senso di peccato che impregnava l’aria di quel posto.
Se non avessi avuto necessità di trovare risposte alle mie domande, certezze ai miei dubbi, mi sarei sicuramente lasciato avvolgere da quell’atmosfera languida e provocatoria che si percepiva chiaramente in quel locale.
Ma ora dovevo sapere. Ero lì per questo, non per cercare sesso facile.
Mi misi a girare ed a curiosare tra i divani ed i tavolini, fingendo interesse.
Uomini e donne, in atteggiamenti spregiudicati, ovunque.
Qualche uomo mi fece chiaramente intendere di essere disponibile affinché io potessi godere delle grazie delle loro compagne.
Mi morsi le labbra, prima di rifiutare quelle offerte, così allettanti.
Nessuna di quelle donne, tutte intente a soddisfare le richieste dei loro uomini, o di chissà chi, era Valeria. Per fortuna, pensai. O peccato.
Arrivai in fondo alla sala.
Una rampa di scale conduceva al piano inferiore, un’altra a quello superiore.
Mi era stato spiegato cosa avrei trovato sia di sotto, sia di sopra.
Decisi di proseguire l’esplorazione dal piano di sotto.
La luce rossa del corridoio che mi trovai davanti era assolutamente in linea con il tema della serata.
Uomini e donne entravano ed uscivano dalle varie stanze, in un via vai continuo.
Alcuni, vestiti, si capiva benissimo che fossero lì in veste di semplici spettatori.
Altri, ma, soprattutto, altre, si capiva altrettanto bene che, invece, fossero impegnati in attività sessuali più o meno estreme.
La prima stanza nella quale entrai era alla mia destra.
Una donna, rossa di capelli, in una posizione assolutamente innaturale, aveva le tette, ormai di colore viola, legate con alcune corde, i polsi e le caviglie assicurate da una barra di metallo, il corpo ricoperto di cera ed un gancio in metallo infilato nel culo. L’uomo che era dietro di lei stava manovrando la corda alla cui estremità era assicurato il gancio in metallo.
La donna, per effetto dei movimenti imposti dall’uomo alla corda, subiva una trazione verso l’alto del suo corpo, letteralmente tirata dal gancio che aveva infilato nell’ano.
Un altro uomo le stava selvaggiamente scopando la bocca. Fiumi di saliva fuoriuscivano dalle labbra di quella ragazza che, tuttavia, sembrava gradire le perverse attenzioni che stava ricevendo.
La scena era molto eccitante. Ma, purtroppo, non avevo molto tempo da perdere.
Uscii da quella stanza ed entrai in tutte le altre.
La riconobbi dalle scarpe.
Il piccolo tatuaggio sul collo del piede destro mi diede l’ulteriore conferma.
Valeria era alla gogna.
Completamente nuda, fatta eccezione per le autoreggenti e le scarpe rosse, mia moglie era immobilizzata dentro quello strumento punitivo di contenzione, di controllo e di tortura.
Il suo collo e i suoi polsi erano immobilizzati dentro assi di legno provviste di cerniere.
Una barra di metallo, simile a quella che avevo già visto bloccare le gambe della donna nella prima sala nella quale ero entrato, immobilizzava anche le caviglie di mia moglie, facendo in modo che le gambe rimanessero divaricate.
Sui capezzoli delle tette di mia moglie erano fissate due pinzette.
Le pinzette erano collegate da una catenella.
Alcuni uomini si divertivano a premere verso il pavimento la catenella, sicuramente amplificando il dolore sui capezzoli e sul seno di Valeria.
Che, tuttavia, non si lamentava.
Dalla mia posizione, assistevo alla scena di profilo.
Nonostante in quella stanza facesse molto caldo, sentivo gocce di sudore freddo scendermi lungo la schiena.
Un uomo, piuttosto giovane, ben messo fisicamente e con un cazzo mostruoso, in completa erezione, si atteggiava a “padrone” di quella femmina, di mia moglie.
Ne decideva le sorti, secondo il suo libero ed insindacabile arbitrio.
Sceglieva, nel gruppo degli spettatori, il fortunato di turno.
Il prescelto si avvicinava alla coppia ed aveva libertà completa nell’abusare di mia moglie.
A patto che indossasse il preservativo.
Mi tornarono in mente le parole dettemi all’ingresso, sulla disponibilità delle donne presenti nella sala, disponibilità che veniva tarata in base alla colorazione del braccialetto che la donna indossava. Mi fu mostrato un foglio con il significato dei diversi colori dei braccialetti.
Il braccialetto di colore nero permetteva, a chi avesse voluto, di fare tutto, ma proprio tutto, alla donna che lo indossava che, si dava per scontato, avesse scelto liberamente di indossare il braccialetto di quel colore.
Tutto tranne le due pratiche indicate nel foglio, giudicate poco igieniche.
Al polso destro di Valeria era infilato proprio un braccialetto di colore nero.
Valeria aveva liberamente accettato di essere sottoposta a quei trattamenti. Su questo non c’erano dubbi.
Proprio in quel momento il ragazzo nudo accanto a mia moglie che, tra le mani, teneva saldamente un guinzaglio fissato ad un collare legato al collo di Valeria e che, agli occhi di tutti, risultava inequivocabilmente come il padrone di quella donna, il suo proprietario, aveva fatto segno ad un uomo, qualora avesse voluto, di avvicinarsi.
L’uomo non se lo fece ripetere due volte.
Si avvicinò cautamente alla coppia, si posizionò dietro la donna che, per la posizione imposta dalla gogna, si trovava piegata a novanta gradi, si abbassò i pantaloni e i boxer mostrando un cazzo eretto di medie dimensioni, si infilò un preservativo e, senza tanti riguardi, entrò dentro mia moglie.
Lei si limitava ad emettere qualche gemito.
Il ragazzo, ogni tanto, dava qualche strattone al guinzaglio, come a voler trasmettere qualche segnale alla sua cagna.
“Se vuoi, falle anche il culo”, disse il ragazzo all’uomo che stava scopando mia moglie.
Lui, che aveva le mani sui fianchi di Valeria e che la stava penetrando con violenza, non diede segno di voler interrompere il piacere che, evidentemente, provava nello sfondarle la figa.
Tuttavia, dopo averle affondato ancora numerosi colpi, tutti accompagnati da possenti spinte di bacino, si sfilò da mia moglie, si alzò in punta di diedi, prese la mira e, con un colpo secco, le entrò dentro il culo.
Ebbi l’impressione che il buchino di Valeria non facesse alcuna resistenza a quell’intrusione.
Ebbi la sensazione che Valeria ne avesse già presi tanti, quella sera. Davanti e, soprattutto, dietro.
L’uomo la scopava con forza maggiore rispetto a quando le era dentro la figa.
Valeria gemeva. Il ragazzo strattonava il guinzaglio.
La monta andò avanti per qualche minuto ancora, finché l’uomo, ormai prossimo a sborrare, si sfilò rapidamente dal buco di Valeria, si tolse, altrettanto rapidamente, il preservativo e, con un movimento fulmineo, aggirò lo strumento di tortura nel quale Valeria era immobilizzata e le venne in faccia, inondandola con almeno quattro schizzi di sperma.
Non vidi Valeria aprire la bocca per leccare quel seme caldo che le stava impiastricciando il viso.
Per contro, vidi il ragazzo, il suo padrone, pulirla con delle salviette umidificate, con tenerezza, sussurrandole qualcosa all’orecchio.
Valeria annuiva.
L’uomo che se l’era appena scopata si risistemò e torno nel gruppo degli spettatori.
Il ragazzo, dopo aver detto chissà cosa a Valeria, torno a guardare nel gruppo degli spettatori.
Fermò il suo sguardo anche su di me.
Temei che mi indicasse, che mi scegliesse, che mi chiamasse lì da loro.
Non lo fece. Per fortuna o purtroppo.
Proseguì nella sua ricerca e scelse una coppia.
La coppia accettò la proposta.
L’uomo era piuttosto grassoccio.
Una pancia prominente caratterizzava il suo addome. Pochi capelli, ormai grigi. Una barba incolta. Un’espressione da ebete. Indossava una camicia bianca, molto probabilmente fatta su misura, ed un paio di pantaloni verdi, abbondanti e sgualciti.
Ai piedi un paio di scarpe di pelle bianca.
La sua donna, invece, sempre ammesso che lo fosse, era praticamente nuda.
Aveva grosse tette, ma flaccide e cadenti.
Belle gambe, per l’età che aveva. Un culo ancora sodo e una figa un po’ troppo pelosa per i miei gusti.
Indossava solo un paio di scarpe con il tacco alto, nere.
Lei si accovacciò tra le gambe di mia moglie ed iniziò a leccarle la figa, non proprio pulitissima pensai.
Tuttavia sembrava apprezzare quel sapore, sicuramente un mix formato dagli umori di Valeria, dalle tante lingue che sicuramente l’avevano assaggiata e, temevo, dal sapore di qualche maschio che le fosse entrato dentro senza protezioni.
Anche Valeria sembrava apprezzare quel trattamento.
L’uomo, da parte sua, si abbassò i pantaloni rivelando un cazzo piuttosto corto ma decisamente largo in circonferenza.
La compagna interruppe la leccata a mia moglie, prese un preservativo, lo infilò al suo compagno e, con la mano, indirizzò il cazzo del suo uomo verso la figa di Valeria.
L’uomo le scivolò dentro immediatamente.
Lui la scopava da dietro, lei, inginocchiata, la leccava dove riusciva.
Valeria gemeva, indubbiamente di piacere.
L’uomo disse qualcosa alla sua donna.
Lei si alzò, aggirò la gogna e si posizionò davanti a Valeria.
Le avvicinò le labbra alle sue. Le diede un casto bacio.
Poi, di colpo, diede uno strattone alla catenella che congiungeva le pinzette attaccate ai capezzoli di mia moglie.
Valeria emise un grido, di dolore.
Il ragazzo strattonò il guinzaglio, con più forza del solito.
La ragione mi diceva di avvicinarmi a quelle persone, dirgli chi fossi e porre fine a quelle attività perverse.
Ma mi venne in mente che anche Valeria avrebbe potuto porre fine a quei trattamenti, se solo lo avesse voluto.
Ne aveva la possibilità ed il diritto.
Tuttavia non lo faceva. E questo mi lasciava supporre che lei gradisse quei trattamenti, in qualche modo.
E quindi me ne rimasi al mio posto, a guardare la scena.
L’uomo, senza attendere ulteriori indicazioni dal ragazzo, si sfilò dalla figa di Valeria e le entrò nel culo.
Iniziò a pomparla selvaggiamente.
Da una parte della gogna, un uomo, non proprio bello, stava scopando mia moglie nel culo.
Dall’altra parte, la sua donna stava baciando la mia, stavolta con la lingua, tornando, di tanto in tanto, a dare strattoni decisi alla catenella.
I capezzoli di Valeria subivano una decisa trazione verso il basso, allungandosi visibilmente.
Li vedevo, distintamente, di un colore violaceo.
Il ragazzo assisteva alla scena, sempre con il cazzo fieramente eretto.
Anche il mio, dentro i pantaloni, iniziava a farmi male.
Stavo assistendo alla mia cornificazione, in pubblico. Stavo assistendo alla devastazione di mia moglie. Quella seduta la stava indubbiamente distruggendo. Eppure io ero eccitato. Molto eccitato. Come tutti, dentro quella stanza, dentro quel locale. Sicuramente come Valeria.
Decisi di aver visto abbastanza, per il momento.
Uscii dalla stanza, imboccai il corridoio e me ne tornai al piano di sopra.
Mi sedetti al bar ed ordinai un bicchiere di vino bianco, possibilmente ghiacciato.
Dovevo placare i miei bollenti spiriti.
Dovevo riflettere su quanto avevo appena visto. Metabolizzare il fatto che mia moglie, a pochi metri da me, di sua spontanea volontà, stava subendo trattamenti che, fino a pochissimo tempo prima, non credo che neppure potesse immaginare. E sembrava che ne traesse anche piacere.
Dovevo assorbire il fatto che più uomini, durante quella serata (ah, chissà quanti…) se l’erano già scopata o se la sarebbero scopata di lì a poco.
Dovevo cercare di scoprire chi fosse quel ragazzo che trattava mia moglie come se fosse roba sua.
I miei pensieri si rincorrevano alla velocità della luce, scontrandosi violentemente nella mia testa. Non riuscivo a trovare risposte alle mie innumerevoli domande.
Bevvi con calma il mio bicchiere di vino.
Qualcosa mi diceva di gestire meglio la fretta che sentivo di avere dentro.
Tanto, e di questo ne ero certo, Valeria si stava divertendo.
Ero certo che non avrebbe gradito una mia eventuale intromissione.
Poi, però, mi tornò in mente che mia moglie, in qualche modo, mi aveva invitato a partecipare ai suoi giochi perversi.
Ero sicuro che, prima di recarsi in quel locale, Valeria avesse fatto delle ricerche per capire di che luogo si trattasse, proprio come avevo fatto io un paio d’ore prima.
Chi l’aveva coinvolta ad andare in quel locale? Il ragazzo che era con lei, molto probabilmente. Lo avrà conosciuto sul sito? Oppure? Come aveva fatto a convincerla a fare quello stava facendo? Come era riuscito ad annientare la sua volontà, a renderla così sottomessa, a farle accettare di farsi fare quelle cose?
Tante domande, nessuna risposta. Per ora.
Ma Valeria, in qualche modo, voleva che io sapessi. Magari anche che partecipassi.
Aver lasciato quel foglietto nel cassetto che, sapeva, avrei sicuramente aperto prima di andare a dormire, mi sembrava un chiaro invito a raggiungerla.
E così avevo fatto.
Certo, mai e poi mai mi sarei immaginato di trovarla in quegli atteggiamenti.
Ma gli accadimenti dell’ultimo periodo e la consapevolezza che Valeria si fosse cacciata volontariamente, volutamente e consapevolmente, in quella situazione, unitamente alla certezza che, da tutta quella situazione, ne traesse addirittura piacere, godimento ed appagamento sessuale, mi spinsero a scolarmi rapidamente l’altra metà del bicchiere di vino ghiacciato che un ragazzo mulatto, di bell’aspetto, mi aveva servito poco prima e tornare immediatamente al piano di sotto.
Valeria non aveva bisogno di me perché si sentiva insicura.
Valeria aveva bisogno di me perché, e di questo ne ero certo, voleva farmi vedere fin dove era stata capace di spingersi. E di averlo fatto da sola. Perché stavolta, a differenza di quando l’avevo accompagnata a farsi scopare da Tony, io non le avevo chiesto niente, proprio niente.
Che fosse consapevole o meno di quello a cui andava incontro, Valeria lo aveva comunque accettato. E, secondo me, moriva dalla voglia di farmi vedere il livello di spregiudicatezza raggiunto, sapendo che ne avrei tratto piacere anche io.
Tornai nella stanza dove l’avevo lasciata una mezz’oretta prima.
Era ancora lì, ma era mutata la tipologia della seduta alla quale mia moglie era sottoposta.
La trovai sdraiata su un tavolo, in posizione supina.
Poggiava sul tavolo con la metà superiore del corpo, dal sedere in su.
Il sedere giungeva proprio al bordo del tavolo.
Le sue gambe, divaricate, erano legate, con delle cinghie di cuoio, alle gambe del tavolo.
La scena, stavolta, la potevo osservare frontalmente.
Davanti ai miei occhi c’era mia moglie legata su un tavolo, con la figa oscenamente offerta ed esibita.
Oltre la figa, potevo ammirare le tette di Valeria che, nonostante lei fosse sdraiata, svettavano sfacciatamente, sode e compatte, senza appiattirsi troppo per effetto della gravità.
“Che tette meravigliose!”, pensai. E ripensai anche a tutte le volte che glielo avevo detto, a quante volte le avevo chiesto di esibirle. Ed ora erano lì, davanti agli occhi di tutti.
Le pinzette erano ancora incollate ai suoi capezzoli. La catenella che le congiungeva appiattita sul suo ventre.
La testa poggiava sul tavolo.
Le braccia, aperte a novanta gradi rispetto al corpo, erano trattenute da due corde, legate alla parete della stanza.
Anche stavolta Valeria era completamente immobilizzata.
Espressioni di lussuria si dipingevano tuttavia sul suo volto.
Ancora una volta ebbi conferma dell’assoluta disponibilità di mia moglie a subire quel trattamento.
Che era completato da altre due pinzette, molto più piccole di quelle che le torturavano i capezzoli chissà da quanto, stavolta attaccate alle grandi labbra della sua patata e tenute tese verso l’esterno da due catenelle in metallo, annodate a due occhielli, anch’essi in metallo, che sporgevano sul lato lungo del tavolo, proprio all’altezza del sedere di Valeria.
Riuscivo a vedere distintamente l’interno della figa di mia moglie, tenuta spudoratamente spalancata da quelle pinzette.
Il rosa vivo delle pareti della passera di Valeria era eccitante da morire.
Percepivo che quella parte del corpo di Valeria fosse stata oggetto delle attenzioni di molti partner occasionali, nelle ultime ore.
La vedevo arrossata, dilatata, martoriata, seviziata, maltrattata e torturata.
Valeria aveva ancora il collare. Il ragazzo, il suo padrone, teneva stretto nella sua mano il guinzaglio.
Che nessuno potesse pensare che quella donna, mia moglie, non fosse roba sua.
Continuava ad avere un’erezione straordinaria, senza che tuttavia nessuno, sicuramente non mia moglie, si prendesse cura del suo cazzo.
Un uomo era stato invitato ad avvicinarsi al tavolo.
Stavolta si trattava di un ragazzo. Più o meno della stessa età di quello che si ostentava a padrone di mia moglie.
Il ragazzo si avvicinò. Lo vedevo di spalle.
Forse anche Valeria, legata ed immobilizzata su quel tavolo, voleva rendersi conto di chi fosse colui che la stesse per scopare. L’ennesimo.
In quel frangente mi vide.
Valeria alzò la testa per vedere meglio chi stesse per entrarle dentro, l’ultimo di una lunga lista.
Guardò il ragazzo e gli sorrise, debolmente.
L’altro ragazzo diede l’ennesimo strattone al guinzaglio.
Mia moglie fece sparire quel sorriso appena accennato dal suo volto e tornò ad essere seria, inespressiva e remissiva.
Fu allora che il suo sguardo andò oltre quello del ragazzo che si stava abbassando i pantaloni, pronto a scoparsela e si posò su quello dei numerosi spettatori, incrociando il mio.
La sua espressione non mutò.
Rimase un po’ più del necessario con il collo sollevato, a guardarmi.
Poi riabbassò la testa, poggiandola sul tavolo e fissando il suo sguardo in un punto indefinito del soffitto, rassegnata ad accogliere un altro cazzo dentro di sé.
“Guarda quanto sono troia. Guarda come hai voluto che io diventassi. Se sono qui è per colpa (o merito) tuo”. Queste erano le parole silenziose che gli occhi di mia moglie mi avevano trasmesso.
Il ragazzo si prese il cazzo con la mano destra, lo puntò sulla figa di mia moglie, tenuta indecentemente allargata dalle pinzette e dalle catenelle e le entrò dentro, senza troppi riguardi.
Lei sussultò.
Tornò ad alzare la testa.
Dovetti spostarmi sulla mia destra per riuscire a vedere mia moglie negli occhi e non rimanere celato al suo sguardo dalla sagoma del ragazzo che se la stava scopando.
I suoi occhi erano incollati ai miei.
Mi parvero colmi di desiderio. E di condivisione.
Quello che stava facendo in quel momento, lo stava facendo per me. Questo voleva dirmi quello sguardo di Valeria.
L’alchimia che si era creata dentro quella stanza fece si che io e mia moglie riuscissimo ad alienarci dal contesto, a rendere invisibili, ai nostri occhi, tutte le altre persone presenti.
In quella stanza eravamo solo io e lei. Ed ero io che la stavo scopando.
Poi il ragazzo si sfilò improvvisamente da mia moglie, interrompendo quel nostro momento di intimità. Si tolse il preservativo e le sborrò sul ventre. Uno schizzo di sperma le raggiunse il seno destro.
Lei, pur consapevole delle conseguenze del suo gesto, alzò nuovamente il collo, mi sorrise e mi fece l’occhietto.
Il suo padrone, pur non potendo conoscere il motivo di quell’insolita presa di posizione della sua cagna, strattonò più del lecito il guinzaglio.
Valeria ne accettò gli effetti in silenzio.
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