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La nascita di Marta


di Marta-trav
12.01.2016    |    33.670    |    24 9.5
"Ho cominciato a muovere dentro e fuori il dito, proprio mentre il mio uccello, che fino a quel momento se ne era rimasto flaccido, in attesa, cominciava a..."
Avrò avuto dieci anni. Si chiamava Elena. Era la mamma di una mia compagna di classe delle elementari. Veniva spesso a trovare mia madre. Erano diventate amiche. Avrà avuto circa quarant’anni. Non aveva un viso particolarmente bello. Non mi colpiva per gli occhi o per la bocca. Intendiamoci, era una bella donna. Ma come tante altre. Niente di speciale. Però sapeva colpirmi (più che altro turbarmi) per come vestiva. Nulla di particolarmente vistoso. Ma indossava sempre gonne (mai pantaloni) e, soprattutto, indossava sempre scarpe con il tacco. E, se d’inverno non ci facevo particolarmente caso, d’estate Elena turbava le mie giornate. Indossava sempre sandali con il tacco alto. Sarà stato sette o otto centimetri. Anche dieci, in alcuni casi. E a me faceva impazzire. Aveva sempre lo smalto rosso sulle dita dei piedi.
Si fermava a chiacchierare con mia madre sul balcone ed io, nella penombra dell’ingresso di casa, mi sedevo sul pavimento, mi calavo i pantaloni e le mutande e, stando ben attento a non essere visto, fissavo quei piedi e quelle scarpe, che distavano da me pochi metri, ed immaginavo di baciare e di leccare quei piedi. Di farmi masturbare da quei piedi. Di annusarli. E poi cominciavo a masturbarmi veramente.
Attribuisco ad Elena il merito di aver saputo svegliare, peraltro inconsapevolmente, la mia parte femminile. All’epoca avevo lo stesso numero di scarpe di mia madre. Il trentotto. Quindi, appena rimanevo solo in casa, cominciavo la mia trasformazione. Mi spogliavo completamente ed indossavo le scarpe con il tacco di mia madre. Camminavo per casa e sculettavo. Immaginavo di essere Elena. Il pene, seppur ancora piccolo, era già in tiro. Bastava poco e venivo. Qualche volta anche senza masturbarmi.
Da quel periodo della mia vita ho iniziato ad osservare con un’attenzione diversa le donne. Nel senso che non guardavo le tette o il culo, come invece facevano i miei compagni di scuola. No. Io guardavo i piedi. E li guardo tuttora. E’ la prima cosa che guardo in una donna. Per questo non vedo l’ora che arrivi la primavera. Perché le donne cominciano ad indossare le scarpe aperte. Con il tacco. Ed a me verrebbe voglia di fare come loro. Ma, purtroppo, non posso.
Qualche anno fa mi è capitato di andare a fare un corso di aggiornamento in una città della Lombardia. Era febbraio. E, passeggiando per il centro, un pomeriggio ho visto due strafighe biondissime che facevano shopping. Ed erano in sandali. Tacco 12. Con i piedi fasciati in collant velatissimi. Color carne. Non ho saputo resistere. Sono entrato in un bar. Ho preso il solito caffè prima di chiedere dove fosse la toilette ed, una volta raggiunta, mi sono masturbato immaginando di essere io al posto di una di quelle due. Di indossarle io quelle scarpe. Sono venuto dopo meno di un minuto.
Ma torniamo ai miei turbamenti adolescenziali.
Crescendo, i miei hanno iniziato a darmi sempre più spazio. Come era giusto che fosse.
Spesso, il fine settimana, andavano in una casa in campagna che possedevamo vicino la città dove abitavamo. Ed io rimanevo solo per tutto il week-end.
Non mi accontentavo più di indossare soltanto le scarpe di mia madre. Volevo di più. Ed allora cominciavo a vestirmi da donna. Mettevo lo smalto alle unghie dei piedi. Indossavo i collant. Indossavo addirittura le mutandine con l’assorbente. Mettevo una gonna. Mi truccavo. E mi masturbavo.
Ma non bastava. Qualche volta uscivo così vestito sul pianerottolo di casa. Dove c’erano le porte di altri tre appartamenti. E mi masturbavo sulle scale che conducevano al piano inferiore.
La sera, poi, alzavo la tapparella del salone e mi sdraiavo supino sullo schienale del divano, poco distante dalla finestra. Nudo. Con i soli sandali indossati. E mi masturbavo.
Qualche altra volta ancora, osando ancora di più, poggiavo le ginocchia sullo stesso schienale e i piedi sul davanzale della finestra. Risultato? Il mio culo era praticamente proiettato verso l’esterno. Verso un palazzo di sei piani. Dove abitavamo molte persone che conoscevo.
Ed in più, con le mani, cercavo di dilatare il sedere. Di rendere più visibile il mio buchino, qualora ce ne fosse stato bisogno. E poi mi masturbavo.
Ma le fantasie e le mie attività finivano così. Non sono mai andato oltre. Non immaginavo un oltre.
Per più di otto anni mi sono vestito da donna quando ho potuto. Ma sempre in casa. E mi sono masturbato un’infinità di volte.
L’ultima e più importante esperienza adolescenziale l’ho fatta a diciannove anni. Appena conseguita la patente. Era mattina. Ero solo in casa. Ho messo lo smalto sulle unghie dei piedi. Ho aspettato che asciugasse. Ho infilato in uno zainetto tutto il materiale che mi serviva. Ho indossato una tuta e sono uscito. Ho preso la macchina di mia madre e mi sono diretto nel grande parcheggio vicino la scuola dove mi ero da poco diplomato. Ho parcheggiato un po’ in disparte. Mi sono sfilato i pantaloni della tuta. Ho indossato un paio di autoreggenti bianche che avevo rubato dal cesto della biancheria sporca del bagno di una mia zia – sicuramente appartenevano ad una mia cugina – ho infilato una minigonna bordeaux e i sandali con il tacco che ormai erano diventate le mie seconde scarpe. Tacco otto centimetri. Nere. Solo un po’ troppo piccole rispetto al mio piede che, nel frattempo, era cresciuto. Ma le facevo andar bene lo stesso. Sopra ho tenuto la felpa della tuta. Così vestito ho messo in moto ed ho fatto un giro per il quartiere. E credo che qualcuno abbia pure visto le gambe mie fasciate nelle autoreggenti. Perché ai semafori la gente buttava distrattamente un’occhiata dentro la macchina e veniva colpita dalle mie gambe nude. Ma non credo di aver incontrato qualcuno che conoscevo. Appena ho potuto ho parcheggiato e, anche quella volta, mi sono masturbato.
Poi ho iniziato l’università, mi sono fidanzato, mi sono sposato e ho avuto un bambino. Per anni, cioè, la donna che era in me è tornata a dormire.
Ma, per quelli come me, c’è sempre un ritorno.
Ed infatti un giorno, circa sei anni fa (avevo già compiuto i trent’anni), sono andato a fare una passeggiata in montagna con un mio amico. Tornato a casa ho accusato un fastidio nella zona anale. Verosimilmente dovuto allo sfregamento della pelle durante la lunga camminata della giornata. Per guardare esattamente dove mettere un po’ di crema lenitiva ho poggiato lo specchio di mia moglie a terra, in bagno, e mi sono guardato sotto. Dove non mi ero mai visto prima.
E ho scoperto un mondo nuovo. Ho visto il mio buchino riflesso. Fino a quel momento avevo sempre considerato l’ano solo come la parte terminale del mio sistema digestivo. Nulla di più.
Ma da quel giorno ho scoperto che, invece, è molto di più.
Incuriosito da quel nuovo spettacolo ho cominciato a massaggiare il mio buchino. E mi piaceva. Non provavo vergogna. Provavo piacere.
Tanto per continuare a massaggiarlo un po’ meglio ho provato anche ad inserire la punta di un dito all’interno, ma non scivolava bene.
Lì vicino c’era il detergente intimo che mia moglie usa per il bidet. Me ne sono messo un po’ sulla punta del dito medio e ne ho spalmato un po’ sul buchino. Ho riprovato a far entrare la punta del dito e questa volta è entrato quasi subito. Fino all’attaccatura dell’unghia.
Cominciava addirittura a piacermi di più. Ho finito di inserire tutto il dito medio. E ho scoperto quanto è liscio e caldo l’interno del culo. Ho cominciato a muovere dentro e fuori il dito, proprio mentre il mio uccello, che fino a quel momento se ne era rimasto flaccido, in attesa, cominciava a svegliarsi.
“Mi sto eccitando!” mi sorpresi. Più muovevo il dito nel culo, più il mio uccello si induriva e si sollevava.
Incredulo ho voluto provare di più, mentre fuori dalla porta mia moglie stava allegramente chiacchierando con una vicina di casa.
Ho provato ad infilare un secondo dito. L’indice. C’è stata un po’ di resistenza. Ma poi ho capito che dovevo rilassare i muscoli anali. Così facendo, con la gambe flesse ed il sedere a circa venti centimetri da terra, dove era posizionato lo specchio di mia moglie, che mi restituiva l’immagine del mio buchino arrossato e dilatato, sono riuscito a far entrare anche il secondo dito. E poi ho cominciato a ruotarli. Per quanto il movimento del polso mi permetteva.
E, da quel giorno, il mio buchino è diventato il mio compagno di giochi preferito.
Da lì in poi è stato un crescendo. Purtroppo ho sempre avuto poco tempo a disposizione. Il ruolo di marito e padre mi assorbe molto tempo. Ma, piano piano, mi sono ritagliato dei momenti per me e ho cominciato a giocare.
Ho iniziato con alcune carote. Poi sono passato alle banane. Infine ai cetrioli e alle zucchine. Preferisco i cetrioli, perché sono più duri e bitorzoluti, ma uso quasi sempre le zucchine perché le trovo più facilmente e di dimensioni maggiori.
Credo di essere arrivato a penetrarmi con zucchine con un diametro anche di sei/sette centimetri.
Ma, come si dice, l’appetito vien mangiando.
Ed allora non mi è più bastato travestirmi in casa e penetrarmi con le verdure. Volevo sempre di più.
In una città del nord, dove mi trovavo per lavoro, qualche anno fa, passeggiando distrattamente per il centro, sono casualmente passato davanti ad un negozio di scarpe da donna. Ma era un negozio particolare. Aveva in vetrina soltanto scarpe sexy, tutte con tacchi a spillo, insomma, da pornostar (o da prostituta, se preferite). E di tutti i numeri. Ci ho pensato un po’ su ed alla fine mi sono deciso ad entrare.
Ho richiesto un paio di sandali con tacco 12 che avevo visto in vetrina. Bianchi. Legati alla caviglia con un cinturino e con una sola fascetta a trattenere le dita. Bellissimi. Ho chiesto il numero 43. La commessa mi ha guardato e mi ha sorriso maliziosamente. E’ andata nel retro a prenderli. Quando è tornata mi ha detto: “Se non le vanno bene possiamo anche cambiarli…”. Io ho risposto, arrossendo, che avrei dovuto farli provare a mia moglie e poi le avrei fatto sapere. Ma credo che la commessa abbia capito benissimo che, invece, erano per me…
Sono uscito dal negozio. Ero eccitatissimo, Sono entrato in un supermercato e ho comprato due paia di collant. Sono tornato in albergo e ho indossato sia i collant, sia i sandali. E, indovinate un po’, mi sono masturbato.
Quella notte ho dormito nudo, con i collant e con i sandali calzati.
Tornato nella città in cui abito ho cominciato a rifornire il mio piccolo guardaroba segreto. Tutto nascosto in cantina. Ogni tanto, appena posso, scendo in cantina, mi spoglio completamente, infilo delle autoreggenti e i sandali bianchi e giro un po’ per i corridoi delle cantine, sentendomi donna.
Alla fine mi masturbo. La zona delle cantine è piena di macchie, oramai secche. E’ il mio sperma. Sparso qua e là.
Ma, ad un certo punto, anche questo non mi è bastato più. Ed allora ho osato ancora un po’ di più.
Una sera ho infilato tutto il necessario in uno zainetto e sono uscito con la macchina.
Raggiunto un posto appartato, in ombra, ho dato inizio alla mia fantasia. Mi sono spogliato completamente in auto, ho indossato un paio di autoreggenti e ho calzato i miei meravigliosi sandali bianchi. E così, nudo e con un’erezione che cominciava a farmi male, sono uscito a passeggiare all’aperto. Non ho resistito molto. Mi sono masturbato ed ho disperso sulla strada una discreta quantità di sperma.
Ma, come ho detto, ero in un luogo piuttosto isolato. Al buio. E non ero soddisfatto. Ma questa prima uscita all’aperto era servita a far nascere Marta. Che sono io quando mi trasformo.
Da adesso in poi, infatti, sarò Marta. E parlerò di me al femminile.
Il gioco del travestimento continuava. Mi eccitava sempre di più. Finalmente avevo trovato anche il posto giusto dove divertirmi.
Una sera sono scesa in cantina, mi sono spogliata, ho indossato un completino intimo (reggiseno e perizoma contenitivo), un paio di autoreggenti color carne, una minigonna beige, una canottiera rubata nel cassetto di mia moglie, i miei sandali bianchi e sono salita in macchina in garage. Sono partita da casa già donna. Ho raggiunto il luogo prescelto. Si tratta di un piazzale ben illuminato al termine di una strada dove ci sono solo alcune case. Il piazzale era deserto. Ho aspettato un po’ e poi sono scesa dalla macchina. Ero finalmente Marta. Vestita da donna ho passeggiato per tutto il piazzale. E’ stata la prima volta che riuscivo a vedermi donna. All’aperto. A camminare per grandi spazi con le mie scarpe con tacco a spillo. A vedere i miei piedi velati nelle autoreggenti.
Ho raggiunto una panchina, a circa duecento metri da dove avevo lasciato la macchina. Ho tolto la minigonna. Dalla borsetta che mi ero portata appresso (anch’essa sottratta dall’armadio di mia moglie) ho tirato fuori tutto il necessario: lubrificante, profilattico e una zucchina bella grande. Ho sfilato il perizoma, ho infilato il profilattico sulla zucchina, ho versato un po’ di lubrificante sulla punta della zucchina ed un altro po’ sul mio buchino e ho cominciato a penetrarmi. Come tutte le volte ho inizialmente provato dolore. Ma poi, abituatami alla dilatazione, ho cominciato a provare piacere. Sono riuscita ad inserire almeno venti centimetri di vegetale dentro di me, dilatando il mio ano più che potevo. Era tutta dentro. La sentivo meravigliosamente bene. Mi piaceva. Mi sentivo piena. Il mio uccello, che durante la penetrazione, come solitamente mi succede, si era leggermente ammosciato, era tornato rigido e dritto. E pulsava.
Ho sfilato la canottiera ed il reggiseno e così vestita (sandali e autoreggenti) e con la zucchina ben piantata nel sedere me ne sono andata in giro per il piazzale. Speravo di essere vista da qualcuno. Ma non credo che qualcuno mi abbia vista. Ho passeggiato per un po’, sculettando e stando attenta a non farmi uscire la zucchina. E, immaginando di essere una vera donna, posseduta non da una zucchina ma da un uomo vero, mi sono masturbata. Godendo come mai mi era successo in precedenza.
Ormai Marta era in me ed io mi sentivo veramente Marta.
Quindi ho osato ancora di più.
Approfittando di una gita al mare di mia moglie e di mio figlio e dopo aver fatto un ordine in internet, su un sito specializzato in materiale per trav, mi sono preparata in casa.
Mi sono completamente depilata (tanto ormai è di moda), ho messo lo smalto rosa sulle unghie dei piedi, ho infilato un paio di autoreggenti nere a rete, il solito perizoma contenitivo, un reggiseno con spalline trasparenti, due seni finti, un vestitino con bretelline sottili che arrivava abbondantemente sopra il ginocchio (lasciando intravedere il bordo di pizzo delle autoreggenti), un trucco abbondante (fondotinta, ombretto, matita sul bordo degli occhi, rossetto, matita a disegnare il bordo delle labbra e mascara per allungare le ciglia), unghie finte rosso fuoco sulle dita delle mani, orecchini a clip, una parrucca lunga e nera e, per finire, un paio di sandali appena acquistati in rete, con tacco 15 e senza zeppa.
E, per finire l’opera, ho indossato anche un cuneo anale. Di quelli in lattice. Con un diametro di sei centimetri! Doloroso da infilare ma poi comodo da tenere.
Mi sono specchiata. Questa volta ero davvero Marta.
Rischiando non poco sono uscita di casa così vestita. Ho raggiunto il garage. Sono salita in macchina e sono uscita. Erano le sei di pomeriggio.
Solo per fare una prova, prima del vero debutto in pubblico di Marta, ho raggiunto un parcheggio un po’ isolato e sono scesa dalla macchina. Ho fatto il giro della macchina ed ho camminato un po’. Devo dire che non è assolutamente facile camminare con un tacco a spillo di 15 centimetri!
Ero comunque soddisfatta. Sono risalita in macchina e, con il cuore che batteva a mille ed il cuneo anale ben piantato nel culo, ho raggiunto la periferia della città. Ho parcheggiato lungo una via piena di vetrine, con tanta gente a passeggio e, facendomi forza, sono scesa. Ho chiuso la macchina e via.
Ho cominciato a passeggiare, facendo finta di guardare le vetrine. In realtà cercavo di intravedere le reazioni sul volto delle persone che incontravo.
Tutti mi guardavano. Mi guardavano le donne ma mi guardavano soprattutto gli uomini. Ed era quello che cercavo e volevo. Perché lì, in mezzo alla strada, vestita come una prostituta, io ero Marta. E chi ama travestirsi, chi si sente donna come me, vuole essere vista. Vuole sentirsi addosso gli occhi degli uomini. Vuole far invidia alle loro compagne.
Ed io, per la prima volta, ho pensato di fare il grande salto. Quello che ancora mi mancava. Diventare donna completamente. Fare l’amore con un uomo. Un uomo vero.
Presa da questi pensieri mi ero allontanata dalla macchina un po’ troppo. Ho deciso di tornare indietro. Sentivo occhi voraci si di me. Occhi che avrebbero voluto spogliarmi, toccarmi, leccarmi. Soprattutto scoparmi. Gli occhi di tutti gli uomini che ho incontrato.
Tutto questo mi eccitava un mondo. Il mio uccello, compresso nel perizoma contenitivo, mi faceva male. Appena ho potuto, ancora in macchina, mi sono masturbata.
Ormai avevo deciso di concedermi a qualcuno. Con il quale sarei stata disposta a tutto. Ma non volevo arrivare troppo impreparata al mio primo incontro.
Quindi un pomeriggio che ero sola in casa mi sono sdraiata sul divano e ho alzato le gambe, fino a farle arrivare oltre la testa. In questa posizione, molto scomoda, mi sono masturbata stando bene attenta ad indirizzare il getto del mio sperma nella mia bocca. Volevo sentire il suo sapore prima di farmi venire in bocca dal mio primo uomo.
E sapete una cosa? Mi è piaciuto. Un odore un po’ forte, pungente. Ma un sapore delizioso.
Ormai ero pronta.
Il difficile era trovare un uomo.
E così ho pubblicato questo messaggio su un sito specializzato in incontri con trav:
“Trentotto anni. Marito e padre felice. 184 centimetri di altezza per 78 chili di peso. Fisico asciutto (non palestrato, senza pancia). Con la passione del travestimento. Dall’età di dieci anni. Finalmente deciso, pur con timore, a fare il grande salto!
Appena posso (purtroppo ho poco tempo a disposizione solo per me) mi trasformo in Marta.
Finora sono riuscita a tenere gelosamente nascosto il mio piccolo segreto. Negli anni sono riuscita a mettere da parte un discreto guardaroba, che tengo ben nascosto in cantina.
Ma non mi basta più travestirmi in privato. Sento la necessità di sentirmi veramente donna. Di essere completamente donna. Ho bisogno di un uomo che mi tratti da donna.
In questi ultimi anni, tuttavia, nel mio buchino è entrato un po’ di tutto (zucchine, carote, cetrioli, banane) ma mai un vero uccello. E ho finalmente deciso che è arrivato il momento di provarlo.
Vivo in una piccola città. Dove sono molta conosciuta (non come Marta, bensì nei miei vestiti da maschietto). E comunque più volte, inventando cene di lavoro o improbabili partite di calcetto, pur sapendo di rischiare molto, ho frequentato, di sera, luoghi appartati, non necessariamente al buio. Anzi, ho sempre cercato luoghi con una sufficiente illuminazione pubblica, in prossimità di case, con macchine parcheggiate. E, con la remota speranza di essere vista da qualcuno, mi sono spogliata completamente in macchina e sono uscita all’aperto completamente nuda, con il solo smalto sulle unghie dei piedi e con bellissimi sandali bianchi con tacco 12. Legati alla caviglia e con una sola fascetta a trattenere le dita. Qualche volta indossando autoreggenti. Penetrandomi con quello che avevo a disposizione.
Non cerco una storia. Non voglio relazioni. Non posso e non voglio permettermi errori. Ho una famiglia da mantenere. Quindi solo incontri di breve durata, massimo una serata o una notte (da organizzare per tempo). Voglio solo sentirmi donna.
Cerco un uomo maturo (tra i 45 e i 60 anni), anche di colore.
Sono disposta anche ad uscire in pubblico “en femme” per il mio uomo. Garantisco il massimo della femminilità (smalto sulle unghie dei piedi, tacchi a spillo – posseggo numerose paia di scarpe – autoreggenti, perizoma contenitivo, minigonna, trucco, parrucca, seni finti, unghie finte sulle dita delle mani, ecc…). Solitamente indosso un cuneo anale (sei centimetri di diametro).
Preferirei incontri in motel appartati. Dove prepararmi ed attendere l’arrivo del mio uomo.
E, dopo esserci conosciuti, decidere insieme cosa fare: rimanere lì oppure uscire all’aperto e realizzare la mia fantasia erotica preferita: fare sesso all’aperto. Pur con le dovute precauzioni, ma con la speranza di essere comunque visti. Come avrete capito sono un po’ esibizionista…
Sono timida e riservata. Arrossisco spesso. Ma sono disposta a tutto. Anche senza profilattico. Per il piacere completo. Mio e del mio uomo.
Ho timore di questa prima vera esperienza. Ho paura di chi possa essere il mio primo uomo. A cui offrire la mia verginità anale. Ho anche paura che possa non piacermi (l’esperienza, non l’uomo). Ma ho soprattutto il timore che, invece, possa piacermi molto. Che, cioè, senta la necessità di riprovare. Con lo stesso uomo o con uomini diversi. Di non riuscire più a farne a meno.
Ma ormai sono decisa a provare. E non vorrei rimanere delusa.
Per tutti questi motivi pretendo massima serietà, massima igiene e, soprattutto, dimensioni abbondanti. Anzi, più che abbondanti. Soprattutto in larghezza. Del resto sono ormai abituata ad una dilatazione di sei centimetri.
Ho una voglia matta di sentirmi la donna di qualcuno. Di soddisfare il mio uomo.
Non lo cerco bello, muscoloso, alto e biondo. No. Voglio soltanto che sappia che davanti a lui c’è una donna vera, che saprà capirlo e, spero, soddisfarlo. Che non si porrà problemi di cuore o di pudore. Alla quale potrà chiedere di tutto. Cercherò di non deludere il mio uomo, di farmi desiderare, di fargli venire una voglia matta di baciarmi. Ma, soprattutto, di scoparmi.
Non vedo l’ora di assaggiare un vero uccello. Di leccarlo e di ingoiarlo. Di farmi venire in bocca.
Ma, senza dubbio, di prenderlo dentro di me. Di sentirmi aperta. Di sentirmi piena. Io, che durante l’amore non toglierò mai i sandali con tacco a spillo e le autoreggenti.
Voglio essere e vedermi donna a tutti gli effetti.
Sono pronta.
Marta”.
Per giorni ho vissuto nell’ansia della risposta. Controllavo freneticamente la mia casella di posta elettronica. Ma niente. Nessuno si accorgeva di me.
Poi, circa un mese dopo, improvvisamente, mi arriva un messaggio. Era di un tal Antonio. Di 55 anni. Sposato con figli. In cerca, anche lui, di nuovi stimoli. Aveva già avuto esperienze con trans (così c’era scritto sulla e-mail). Ma voleva provare con una trav. E, fra tutte quelle che avevano inserito i loro annunci sul sito, aveva scelto me. Colpito dalla passione e dalla voglia con la quale, secondo Antonio, era stato scritto l’annuncio.
“E adesso cosa faccio?” mi sono chiesta. “Rispondo? Ma chi sarà questo Antonio?”.
“Se continuo a farmi domande del genere non arriverò mai da nessuna parte” mi sono poi detta.
E così ho risposto.
Ho detto ad Antonio che ero disponibile. Per la serata del giorno dopo (avrei trovato una scusa per mia moglie. La solita cena di lavoro). Che mi avesse fatto sapere se andava bene anche per lui.
Due minuti. Tanto è durata l’attesa per la risposta di Antonio. Che mi ha detto che andava bene anche per lui. E che, se non avevo problemi, ci saremmo potuti incontrare in un motel di cui mi ha inviato l’indirizzo.
Lo conoscevo. O meglio, non c’ero mai stata. Ma sapevo dove era. E poteva andar bene. Quindi accettai la proposta e dissi ad Antonio di incontrarci per le nove. Io sarei comunque arrivata prima per prepararmi.
Ormai era fatta.
Il giorno dopo ero agitatissima. Non ho mangiato niente tutto il giorno. Alle 19 ho salutato mia moglie, dicendole che sarei rientrato tardi.
Alle 20 ho raggiunto il motel. Il tizio della reception mi ha svogliatamente consegnato le chiavi della stanza.
Appena entrata nella camera mi è venuto l’ultimo dubbio. “Ma cosa sto facendo?” mi sono chiesta. Poi basta. Dubbi spariti. Ho deciso di andare fino in fondo. E ho accettato di regalare la mia verginità anale in quella stanza che, seppur squallida, sarebbe stata la mia alcova, almeno per quella sera.
Sono andata in bagno e, per iniziare, mi sono fatta un bel clistere. Non si sa mai.
Poi mi sono fatta una doccia, ripassando con il rasoio alcune parti del corpo (gambe, ascelle e petto). Mi sono asciugata. Ero completamente depilata. E liscia.
Ho liberato l’intestino e mi sono fatta un bel bidet, sia per lavarmi, sia soprattutto per titillare un po’ il mio buchino.
Infatti, subito dopo, ho inserito il cuneo anale nel mio buchino. Ormai entrava abbastanza agevolmente. Poi ho applicato lo smalto sulle unghie dei piedi. Avevo scelto, per l’occasione, uno smalto rosso fuoco. Ho aspettato che asciugasse e, nel frattempo, mi sono truccata, in maniera non troppo vistosa, ma comunque di classe.
Ho poi indossato il solito perizoma contenitivo, stando attenta a far passare la sottile striscia di pelle al lato del cuneo anale.
Poi ho infilato delle autoreggenti bianche, velate.
Ho deciso di non indossare il reggiseno con il seno finto.
Ho messo su una parrucca nuova acquistata per l’occasione. Bionda. Non molto lunga.
Ho applicato gli orecchini e indossato una collana di perle bianche e alcuni bracciali.
Ho indossato un bellissimo vestitino rosa a rete, non molto scollato e con le maniche lunghe. Ma veramente corto.
Poi ho applicato le unghie finte sulle dita delle mani. Dello stesso colore di quelle dei piedi.
Ed infine ho calzato un paio di scarpe nuove, acquistate anch’esse per l’occasione. Un paio di sandali completamente trasparenti, senza cinturino alla caviglia, con tacco 15 e con zeppa di 5 centimetri.
Mi sono specchiata. Ero Marta. Ero donna. Stavo per diventare donna a tutti gli effetti. Mai, come in quel momento, ho sperato che il mio uccello potesse sparire improvvisamente.
Poi hanno bussato alla porta.
Terrore, paura, vergogna sono alcune delle sensazioni provate in quel momento.
Ho chiesto chi fosse.
Dall’altra parte mi sono semplicemente sentita rispondere: “Antonio”.
Ancora un secondo, un respiro profondo e ho aperto la porta.
Più basso di me. Ma, del resto, io, con quei tacchi, raggiungevo quasi i due metri di altezza. Fisico impalpabile. Magro ma con un abbozzo di pancia. Stempiato. Moro. Occhi scuri. Barba incolta (di qualche giorno). Vestito in maniera dozzinale. Scarpe troppo usurate. Profumo da quattro soldi utilizzato per coprire, forse, odori meno gradevoli.
Non proprio un bell’uomo. Ma cosa mi aspettavo? Un figo va mica con una trav!
“Sei stupenda” mi ha subito detto, consegnandomi una scatola di preservativi.
“Grazie”, ho risposto io abbassando timidamente lo sguardo. “Entra”.
La faccio breve. Non ci siamo detti molto. Gli ho semplicemente chiesto se voleva rimanere lì o uscire. Anche se, vestita in quel modo, avrei dato un po’ troppo nell’occhio. Lui ha accettato di rimanere lì. Dunque ora era certo. A quell’uomo ed in quella stanza avrei donato la mia verginità. Quello era l’uomo che mi avrebbe resa donna. E visto che era quello che a me interessava di più non badai più, per il resto della serata, all’aspetto fisico di Antonio. Ma soltanto a soddisfarlo, facendomi desiderare. Ho preferito subito dirgli, a scanso di equivoci, che il mio uccello avrebbe comunque raggiunto dimensioni importanti. Ma che non doveva preoccuparsi. Tanto io ero soltanto passiva.
Non ha detto niente.
E’ andato in bagno. Non credo a farsi la doccia. Non ho sentito l’acqua scorrere. E’ uscito quasi subito vestito del solo asciugamano legato attorno alla vita.
L’immagine complessiva rendeva Antonio ancora meno bello. Un po’ di peli sparsi sul petto. Una pancia un po’ troppo abbondante. Ma a me, ormai, non interessava più.
Lo stavo spettando seduta in poltrona. Con le gambe accavallate. Il solo vedere il mio piede sollevato, fasciato in quella calza bianca, che tratteneva il sandalo per la sola fascetta davanti, mi ha fatto indurire l’arnese, troppo costretto nel perizoma contenitivo.
Antonio si è avvicinato, mi ha sfiorato la gamba sollevata con la sua mano rugosa e si è fatto scivolare di dosso l’asciugamano.
Ormai, come ho già detto, era troppo tardi per i sensi di colpa. E comunque la vista dell’uccello di Antonio, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, ha restituito ancora più vigore alle mie voglie, ormai incontrollabili.
Era enorme. Ancora a riposo, pendente verso il basso, perfettamente perpendicolare al suolo, ma lungo almeno 15/20 centimetri.
Antonio doveva aver notato la mia sorpresa.
“Non era quello che volevi? Non era quello che hai chiesto nel messaggio pubblicato sul sito? Vedrai quando me lo renderai dritto e duro! Sarà molto più lungo e più largo!” ha detto Antonio.
Si. Era proprio quello che volevo. Appena avevo visto Antonio ero rimasta un po’ delusa.
Ma ora, davanti a quel pezzo di carne, mi ero ricreduta e tranquillizzata. E mi sono data da fare.
L’ho toccato. Per la prima volta. Non sapevo se divorarlo subito, se fargli un pompino, se leccarlo, se irrigidirlo masturbandolo. In realtà avrei voluto subito piazzarmelo dentro. Muovermi intorno al quel cazzo invitante. Ma volevo godermi la serata. E quindi ho optato per la bocca.
Ho cominciato a scoprire il glande. Rosa. Liscio. Odorava di sudore. Non doveva neanche essersi fatto il bidet in bagno. Ma, ormai, non me ne fregava niente.
Dopo averlo scappellato per un po’ l’ho avvicinato alla bocca e, finalmente, realizzando un sogno, vedendomi e sentendomi donna, ho cominciato a leccarlo. Dall’esterno, su e giù, lungo l’asta, sul glande, fino a raggiungere i testicoli. Un po’ pelosi, ma grandi anche loro. E’ stata la prima cosa a entrare completamente nella mia bocca. Un testicolo prima, l’altro poi. Mentre, con gli occhi, un po’ guardavo il viso di Antonio, che stava sicuramente apprezzando quel trattamento, ed un po’ guardavo i miei piedi, le mie scarpe, le mie gambe. E vedevo una donna che stava iniziando a fare un pompino al suo uomo.
Non ho resistito ancora molto. Pochi secondi e l’ho preso finalmente in bocca.
Fantastico! Meraviglioso! Delizioso! Non immaginavo di poter mai riservare questi aggettivi alle sensazioni date dall’uccello di uomo nella mia bocca.
Come è possibile che le donne, di solito, si rifiutano di soddisfare i loro uomini con il sesso orale?
Io ce l’avevo in bocca da pochi secondi e già pensavo alla prossima volta che avrei ripreso un pene in bocca.
Poi mi sono dedicata al presente. Ora c’era quell’uccello da far rivivere.
E, comunque, cominciava già a reagire.
Ho iniziato ad avvolgere tutto il glande con le labbra. Con la lingua giocavo con il buco del glande. Con la mano scappellavo il glande.
Antonio doveva apprezzare sicuramente perché ha cominciato a chiudere gli occhi ma, soprattutto, ad ingrandire il suo arnese, che cominciava a raggiungere dimensioni veramente abbondanti. E ancora non era in erezione completa.
Ma io dovevo portarcelo assolutamente.
E allora ho cominciato a fargli un pompino vero, muovendo la bocca su e giù con regolarità. Ingoiandolo fin dove arrivava.
E intanto cresceva sempre di più. Fino a raggiungere, finalmente, l’erezione completa.
Che è stato per me il segnale che ero stata brava. Che ad Antonio il mio lavoro con la bocca era piaciuto. Ed era piaciuto anche a me. Che, invece di fermarmi, ho continuato a pompare. Ero senza controllo. Volevo fare quel pompino. Volevo portarlo a termine. Non volevo fermarmi. Il sapore, l’odore, le sensazioni date dal mio primo rapporto orale volevo godermele fino alla fine.
E’ per questo che, quando Antonio ha cercato di allontanarmi da sé, io ho fatto resistenza. Per fargli capire che volevo che mi venisse in bocca. Che tanto non sarebbe stato l’unico orgasmo della serata.
Antonio deve averlo capito perché ha messo una mano sulla mia testa, che ormai mi ero inginocchiata davanti a lui, e ha cominciato a dettare i tempi del pompino. All’inizio ancora piano, poi sempre più veloce. Con la mano destra, intanto, accarezzavo i testicoli di Antonio. Li ho sentiti deformarsi, indurirsi e rilassarsi proprio mentre il glande aumentava di dimensioni e dal suo buco stava uscendo, direttamente nella mia bocca, una quantità di sperma che mai, nelle innumerevoli masturbazioni alle quali mi ero sottoposta, avevo raggiunto.
Uno, due, tre, quattro, cinque fiotti. Uno più grande e profondo dell’altro. Tutti nella mia gola e nella mia bocca.
Sentivo la bocca piena. Densa, cremosa, gustosa. Non ci ho pensato due volte e ho ingoiato tutto.
Avevo appena fatto il mio primo pompino. E mi era piaciuto un casino. E, soprattutto, era piaciuto ad Antonio.
Che mi stava trattando da vera donna. Si rivolgeva a me al femminile. Mai ha fatto cenno alla mia vera identità. Per lui io ero semplicemente Marta.
Mi sono staccata la lui. Gli ho chiesto di darmi un minuto per risistemarmi in bagno. Lui ha acconsentito, ma prima, sorprendendomi, ma ha dato un bacio sulla bocca. Non uno di quelli teneri e affettuosi. No. Era un bacio di quelli passionali. Si è intrufolato dentro la mia bocca, ancora sporca del suo sperma, con tutta la lingua. Mi ha abbracciata. Con le entrambe mani mi ha stretta a lui. Che, in quel momento, non ha potuto non notare la mia eccitazione. E neppure si è lasciato sfuggire una toccatina nel mio sedere. Tanto per sincerarsi che il cuneo anale ci fosse veramente.
“Ora che vai in bagno non masturbarti, lo farai dopo, davanti a me. Lo farai per me” – mi ha detto lasciandomi.
Mi aveva turbata. Non mi aspettavo quel bacio.
Sono andata in bagno e mi sono sciacquata la bocca con acqua. Ho risistemato un po’ il trucco e ho sfilato un attimo il cuneo. Il buchino rimaneva dilatato. L’ingresso di quell’enorme pezzo di carne che, ci avrei scommesso, sarei riuscita a riportare alle dimensioni del pompino di poco prima, non avrebbe avuto grandi difficoltà ad entrare, qualora se ne fosse presentata l’occasione.
Liberai anche il mio uccello. Costretto dentro il perizoma era diventato violaceo. Mi faceva anche un po’ male. Mi chiedeva di essere masturbato. Ero ancora troppo eccitata. Del resto io ancora non ero venuta.
Ma ascoltai il consiglio di Antonio. Non mi sono masturbata ed ho anzi sostituito il perizoma contenitivo con un perizoma classico, bianco, completamente trasparente davanti e con un sottilissimo filo tra le natiche.
Sono tornata nella camera. Ormai non ero più agitata. Ero perfettamente a mio agio. Ero serena. Stavo facendo quello che sognavo da una vita. E lo stavo facendo bene. E Antonio me lo dimostrava.
L’ho trovato sdraiato sul letto. In posizione supina. Con l’affare a riposo. Ma comunque di notevoli dimensioni.
Non sapevo cosa fare, dove sedermi, cosa dire.
Antonio mi è venuto in soccorso.
Si è alzato. Mi si è avvicinato. Mi ha sfilato il vestitino rosa. E mi ha sfilato anche il perizoma che avevo appena indossato.
Sono rimasta nuda davanti a lui. Indossavo le sole autoreggenti bianche con i sandali. E il cuneo anale. Non sono riuscita a nascondere la mia eccitazione. Il mio uccello, di dimensioni assolutamente ridotte rispetto a quello maestoso di Antonio, era completamente in tiro. E non raggiungeva le dimensioni di quello a riposo del mio uomo.
Si è messo dietro di me. Mi ha baciata sul collo. Ha cominciato a leccarmi sul collo. Ha poggiato una mano sul mio pisello. Ha cominciato a menarlo. Su e giù. Poche volte. Poi mi ha chiesto di continuare da sola. Di poggiarmi con il culo sulla scrivania, di alzare le gambe sulla scrivania. Voleva vedermi mentre mi masturbavo da sola. Voleva godere di quello spettacolo. Infatti si è andato a sedere sul bordo del letto, a meno di un metro da me.
“Fai da sola” – mi ha detto.
“Ho il cuneo. Non posso sedermi su quella superficie rigida. Mi farà male” – gli ho risposto io.
“Non ti ho chiesto io di indossarlo. Non mi interessa se ti farà male. Potevi pensarci prima. Del resto hai detto che sei disposta a tutto” – ha risposto lui, intento a giocare con un profilattico ancora nuovo che aveva sfilato dalla scatola.
Ho fatto quello che mi ha chiesto. Mi sono seduta sulla scrivania. Ho alzato una gamba poggiandola sulla scrivania, in modo che lui potesse vedere perfettamente la forma della mia scarpa e del piede.
L’altra gamba era libera. Non riusciva a toccare terra, nonostante i tacchi.
In quella posizione, con il cuneo anale che spingeva dentro di me, mi sono masturbata per Antonio. Non ci ho messo molto a venire. L’eccitazione era decisamente al massimo. Ed anche io, quella volta, ho prodotto una quantità di sperma decisamente superiore al mio solito. Uno schizzo era addirittura arrivato sul mio mento.
Antonio deve aver apprezzato. Anche perché il suo membro cominciava a dare nuovi segni di vitalità.
Si è avvicinato a me. Con il dito ha raccolto un po’ del mio sperma che si era depositato sulle autoreggenti e poi mi ha messo il dito in bocca, dicendomi di leccare e ingoiare. L’ho assecondato anche questa volta. Ormai ero sua. Avrei fatto tutto quello che mi avesse chiesto Antonio.
E infatti Antonio ha chiesto ancora.
Di darmi una rapida sciacquata e di raggiungerlo subito nel letto.
Avevo conosciuto Antonio da meno di un’ora. Gli avevo fatto un pompino. Mi aveva inondata del suo nettare, di cui ancora avevo il sapore in bocca. Mi aveva chiesto di masturbarmi per lui. Per far drizzare nuovamente il suo membro. Ero venuta come non mai in precedenza. Ora mi chiedeva di raggiungerlo al letto. Ci stavamo preparando per il gran finale?
Sono andata in bagno e mi sono nuovamente sciacquata. Non mi sono dovuta risistemare nemmeno il trucco. Stavolta non ho sfilato nemmeno il cuneo.
Sono tornata da Antonio. Le gambe cominciavano a tremarmi su quei tacchi vertiginosi. L’orgasmo mi aveva spossata un po’. Ma, dentro di me, sapevo che il meglio sarebbe ancora dovuto venire. E che non mancava tanto.
Sculettando sui tacchi, con il cuneo anale ancora ben piantato dentro di me, ho raggiunto Antonio.
Che mi ha chiesto di sdraiarmi sul letto.
Indossavo soltanto le autoreggenti e i sandali. Avevo tolto i bracciali (un po’ troppo rumorosi), ma non la collana di perle e gli orecchini.
Il mio membro era ancora a riposo.
Mi ha fatta sdraiare in posizione prona. Ha cominciato ad accarezzarmi le gambe. E’ salito con la mano fino a raggiungere i glutei. Ha passato una mano nel solco. Si è fermato a giocare con la base rettangolare del cuneo anale che fuoriusciva dal mio buchino. Poi, d’un tratto, lo ha sfilato. Così, improvvisamente. Facendomi provare un dolore improvviso. Senza la dolcezza che aveva avuto fino a quel momento.
Il mio ano era rimasto dilatato. Almeno due/tre centimetri. Ha preso due dita e le ha infilate dentro con forza.
Poi, però, ha infilato nuovamente il cuneo. Proprio nel momento in cui stavo per iniziare a protestare.
“Ora lascia fare un po’ a me” gli ho poi detto.
Mi sono girata e, per l’unica volta nel corso della serata, ho tolto i sandali. Lasciandoli a terra.
Ho cominciato a masturbarlo con i piedi.
Non so esattamente cosa provasse lui. Ma vi garantisco che vedere le mie gambe con le calze bianche, vedere i miei piedi con lo smalto rosso sulle unghie avvolgere quell’asta che, ormai, aveva ripreso le dimensioni raggiunte durante il pompino di poco prima, mi mandava letteralmente in estasi. Il rischio era che venissi così. E non potevo e volevo permettermelo.
Ho continuato a massaggiare quell’enorme bastone con i miei piedini. Su e giù. Ma non lo avevo mai fatto prima. Quindi ogni tanto davo degli affondi un po’ troppo violenti. E Antonio mi riprendeva.
“Dovrò punirti per questo…”, mi diceva ammiccando.
Ho spostato il piede destro sui suoi testicoli. Ci ho giocato per un po’. Ho anche infilato il piede nella zona compresa tra i testicoli e l’ano. Ma Antonio mi ha fermata. Mi ha afferrato la caviglia e si e portato il piede alla bocca. Lo ha baciato. Lo ha leccato. Mi ha detto che avevo dei piedi bellissimi. Ancora una volta aveva saputo farmi sentire desiderata. Ancora una volta aveva saputo farmi sentire donna.
Gli ho chiesto di seguirmi. Ci siamo alzati dal letto. Ho rimesso i sandali. La sua erezione era meravigliosa. Il membro superava l’ombelico di alcuni centimetri!
Ci siamo avvicinati alla scrivania. Dentro di me speravo soltanto che, questa volta, la sua erezione durasse di più del pompino di prima. Che durasse in eterno.
Mi sono inginocchiata davanti a lui. Che nel frattempo aveva afferrato un preservativo dalla scatola poggiata proprio sulla scrivania.
Ho preso nuovamente in bocca quel fantastico bastone. La circonferenza sembrava addirittura maggiore di quando, poco prima, lo avevo spompinato.
“Fammi tua. Rendimi donna” gli ho soltanto chiesto. “E butta via questo coso, che non serve” ho aggiunto strappandogli il profilattico dalle mani e gettandolo, insieme a tutta la scatola, in un angolo lontano della stanza.
“Prendimi da davanti” gli ho ancora chiesto.
Mi sono sdraiata con la schiena sulla scrivania, stando attenta a non poggiare più di tanto il sedere sul piano del tavolo.
Ho piegato le gambe. Ho sfilato il cuneo. “Sono pronta” ho detto. Antonio mi ha afferrata per il bacino. Io ho sollevato le gambe. Con le mani mi tenevo le natiche. Cercavo di aprirle il più possibile. Mi vedevo i piedi. Mi vedevo donna.
Antonio ha poggiato il glande sul mio buchino, già dilatato a sufficienza. Ha dato due colpi al mio uccello, di nuovo in tiro anche lui. Gli ho chiesto di lasciarlo stare. Non volevo venire subito.
Mi ha accontentata. Ha cominciato a spingere. E’ entrato senza grande difficoltà. Con la differenza che il cuneo anale che avevo indossato durante tutta la serata aveva si una circonferenza di sei centimetri, ma aveva una lunghezza contenuta, dieci centimetri al massimo.
L’asta di Antonio, invece, non finiva più. Continuava a spingere e ad entrare dentro di me. Ma non finiva mai. Non arrivava mai il contatto tra i suoi testicoli e le mie natiche.
Lo sentivo in pancia, lo sentivo nello stomaco. Lo sentivo quasi in gola, tanto era grande. Ero piena. Mi mancava il respiro. Ma lui continuava ad entrare, a farsi largo dentro di me.
“Ora mi esce dalla bocca” pensavo dentro di me. “Non può essere così lungo”. Mi stava aprendo in due. Mi chiedevo se dopo la mia vita sarebbe stata uguale a come era prima di incontrare Antonio. Temevo di dover ricorrere a qualche intervento chirurgico per ricucire qualche parte del mio intestino.
Poi è giunto alla fine. I suoi testicoli hanno finalmente toccato il mio sedere. Era tutto dentro. Di più non ci sarebbe entrato.
La vista di quell’uomo che mi stava scopando, la vista delle mie gambe e dei miei piedi, la vista delle scarpe che indossavo, le sensazioni che mi arrivavano dalla pancia e dal buchino mi rendevano femmina. Ormai ero Marta. Ormai ero donna.
Antonio mi ha sollevato le gambe. Praticamente me le ha messe in posizione verticale. Ero sdraiata con la schiena sulla scrivania e con le gambe a novanta gradi rispetto al corpo. Poggiate sulle spalle di Antonio. Che stava spingendo come uno stallone. Dentro e fuori. Usciva quasi completamente per poi dare una spinta possente, infilandomelo tutto dentro.
Ma volevo di più. Volevo provare anche altre posizioni. Allora mi sono sfilata da lui. Mi sono alzata. Lui mi guardava interrogativo. Gli ho detto di seguirmi. Mi sono poggiata con le mani sul davanzale della finestra. Ho steso le braccia. Ho piegato il busto e mi sono offerta di nuovo ad Antonio.
Sui quei tacchi altissimi il mio sedere era slanciato verso l’esterno. Antonio mi ha soltanto chiesto di flettere un po’ le ginocchia. Il mio buchino era troppo in alto per lui. L’ho accontentato. Mi ha afferrata per i fianchi ed è tornato dentro di me. E’ entrato senza problemi. Ormai la mia dilatazione era forse anche troppo grande rispetto alle dimensioni del membro di Antonio.
Ha ricominciato a pompare.
Io, piegata a novanta gradi, riuscivo a vedere le mie gambe velate, i miei piedi nei sandali. Le sue gambe pelose dietro di me. Vedevo il mio uccello che ballonzolava sotto la forza delle spinte di Antonio. Speravo che quel momento non finisse più.
Antonio ansimava, gemeva. Spingeva come un forsennato. Non era molto lontano dall’orgasmo. Ma io non volevo che finisse così. Avevo ancora altro in mente.
Anche questa volta mi sono sfilata da lui. Mi sono subito inginocchiata e ho preso in bocca quel meraviglioso oggetto. Che mi stava facendo impazzire. Che mi stava rendendo donna. Che mi aveva reso donna. Al quale avevo regalato tutta me stessa.
Ho spinto Antonio sul letto. Sono tornata a mettermi a novanta gradi. Alla pecorina. Il mio uomo, ormai infoiato come un animale, è tornato immediatamente dentro di me.
Io ero alla pecorina. Poggiavo il mio peso sulle gambe e sulle braccia. Antonio, dietro di me, mi afferrava per i fianchi. Pompava con forza. Sentivo quel bastone entrare dentro di me, aprirmi, farsi largo, riempirmi.
Sognavo quel momento da una vita. Ciascun uomo, sono convinta, ha una sua femminilità. Io, ora, non mi stavo accontentando di mostrare a qualcuno questa femminilità (come avevo già fatto quando ero uscita “en femme” per le vie della mia città). No. Ora io ero semplicemente una donna. Una femmina. Calda, dolce, sottomessa, attraente e, soprattutto, capace di soddisfare il suo uomo. Di concedersi completamente al suo uomo. Non desideravo altro.
Poi Antonio ha preso l’iniziativa. Ha poggiato le sue mani callose sulla mia schiena. Ha spinto con forza. Ho capito cosa voleva. Ho tolto il punto di appoggio delle braccia. Ora toccavo il letto soltanto con le gambe (sempre a novanta gradi) e con la testa. In questa posizione il mio buchino era oscenamente proiettato verso Antonio. Che, nel frattempo, aveva cambiato posizione anche lui. Ora poggiava il suo peso direttamente sui piedi, non più sulle ginocchia. E mi stava montando come fossi una vacca, una giumenta. E forse lo ero veramente. E lui era il mio toro, il mio stallone.
Poi ha fatto una cosa che mi ha sorpresa. Pur rimanendo dentro di me si è girato di centottanta gradi.
Ora mi dava le spalle. Ma soprattutto costringeva il mio intestino a prendere una forma alla quale non era abituato. Se avessi avuto una bella figa al posto del mio uccello c’era la possibilità che, in quella posizione, il membro di Antonio fosse fuoriuscito proprio dalle labbra della figa, dall’interno. Ma io non avevo una figa. E quindi le spinte di Antonio, ormai quasi violente, servivano solo a dilatare ulteriormente il mio buchino. A dargli una forma nuova. Ancora più grande.
“Potrei inserire una mano dentro di te” mi ha detto Antonio sfilandosi da me.
“Dovresti vedere quanto sei bella qui dietro” mi ha detto ancora.
Poi si è alzato. E’ andato a frugare tra la sua roba ed è tornato con il suo cellulare. E mi ha detto che mi avrebbe scattato una foto. Sia per farmela vedere, sia per tenerla come ricordo.
Come ho già detto non mi ero posta limiti, quindi ho accettato di buon grado.
Ha fatto qualche scatto mentre ero ancora nella posizione che mi aveva imposto poco prima. Che poi mi ha mostrato. Non credevo ai miei occhi. Quello non poteva certo essere il mio buchino. Enorme, con le pareti arrossate e con il buio che, fino a un attimo prima, aveva ospitato l’enorme membro di Antonio.
Ero fiera e orgogliosa di me. Mi piacevo ancora di più. Ero soddisfatta.
Istintivamente mi sono andata a toccare il buchino. Ma Antonio mi ha tolto la mano e ha infilato nuovamente la sua proboscide.
Eravamo al gran finale.
Il mio uccello era duro come non mai in precedenza. Mi faceva male. Ma non volevo toccarlo. Volevo venire solo dopo aver portato a godimento il mio uomo.
Non è durato ancora molto. Antonio ha ricominciato a spingere. Ad affondare sempre di più. A dare colpi sempre più decisi. Ad aprirmi ancora di più. E’ tornato a montarmi. Ancora qualche affondo e poi ho sentito un piacevole calore dentro di me. Una crema che si attaccava alle parte del mio intestino. Un liquido denso che mi ha permesso di dire che si, ero stata brava, anzi bravissima. Ero riuscita a riportare al godimento il mio uomo. Che anche questa volta aveva disperso dentro di me una quantità apprezzabile di nettare. Il cui sapore avevo ancora in bocca dal pompino di prima.
L’ho sentito perdere vigore, perdere dimensioni. Si è sfilato da me.
Istintivamente mi sono alzata per permettere allo sperma di uscire dalla mia cavità. L’ho raccolto con la mano. Ne usciva veramente tanto. Mi ha riempito il palmo della mano.
Mentre continuava ad uscire dal mio buco, mi sono portata la mano alla bocca ed ho leccato tutto quel nettare. Che poi ho ingoiato con avidità.
Antonio era visibilmente soddisfatto. Credo di essere riuscita a farlo godere veramente.
Credo di essere stata brava. Per essere la mia prima volta con un uomo. Ero soddisfatta di me. Di come mi ero comportata. Di come mi ero vestita, della femminilità che c’era in me. Di aver provato un po’ di tutto. Di essere stata presa in varie posizioni. Da davanti, da dietro, in piedi.
Avevo finalmente fatto l’amore con un uomo. Mi ero offerta completamente a lui. Gli avevo regalato tutto di me. Gli avevo dato la mia verginità. E non avevo chiesto nulla in cambio.
Poi Antonio ha detto che doveva andar via. Così, improvvisamente.
Gli ho chiesto di rimanere. Gli ho detto che avrei informato mia moglie che la cena di lavoro aveva preso una piega inaspettata. Che saremmo andati in una discoteca tra colleghi. Volevo rimanere ancora con Antonio. Volevo addormentarmi vicino a lui. Avrei voluto fare ancora l’amore con lui. Solo un po’ di riposo e via. Ero pronta a ricominciare, a concedermi nuovamente a lui. A dargli ancora di più.
Ma non c’è stato verso. E’ andato velocemente in bagno. Si è chiuso dentro. Credo che neppure questa volta si sia fatto una doccia. E’ uscito poco dopo, si è rivestito in fretta e mi ha detto “Grazie Marta. Sei stata meravigliosa. Tu sei veramente una donna”. E, così dicendo, ha aperto la porta ed è sparito per sempre dalla mia vita.
Mi ha lasciata lì, seduta sul letto, con il trucco in disordine, le autoreggenti smagliate, il buchino che ancora colava e, soprattutto, con un orgasmo ancora da raggiungere. Perché il mio uccello ancora chiedeva di essere menato.
Non sapendo cosa fare ho infilato nuovamente il cuneo anale. Era talmente grande la dilatazione del mio ano che credevo di perdere il cuneo semplicemente camminando.
Le gambe mi tremavano, ormai avevo difficoltà a reggermi su quei tacchi vertiginosi.
Mi sono masturbata seduta sul bordo del letto. Un po’ la delusione per come mi aveva lasciata Antonio, un po’ la stanchezza, il getto di sperma non ha raggiunto la quantità di quando, poco prima, mi ero masturbata per Antonio.
Mi sono spogliata completamente, mi sono struccata, mi sono fatta una doccia bollente, ho infilato tutto il “mio tesoro” nello zaino e ho rimesso i miei vestiti da maschietto.
Sono uscito dalla camera, ho restituito le chiavi al tizio della reception. Quando stavo per pagare le ore di occupazione della camera il tizio mi ha detto che era già tutto a posto. E allora me ne sono andato via.
Mi sono voltato un’ultima volta a guardare quel motel prima di salire in macchina.
Lì dentro ero stata consacrata a donna. Lì dentro avevo fatto l’amore con un uomo. Lì dentro avevo perso la mia verginità, regalandola ad uno sconosciuto. Lì dentro avevo scoperto che Marta aveva bisogno di più spazio. Di più tempo per sé.
Ma la serata ormai era finita.
Sono salito in macchia, ho inserito la prima e, con il buchino ancora aperto, che ancora pulsava, e che faceva un po’ male, ho preso la direzione di casa.
Mia moglie mi stava aspettando nel nostro letto.
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