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Mia moglie Valeria - Dopo i 40 anni - Cambiamenti - Capitolo 14 - Il bilancio


di Marta-trav
23.09.2023    |    9.927    |    10 9.4
"La coppia accanto a noi si fermò e si mise a guardarci..."
Matteo e Stefano sembravano due vecchi amici, nonostante si conoscessero solo da un paio d’ore e tra i due corressero diciassette anni di età di differenza.
“Sei proprio fortunato”, sentii dire da Matteo a mio marito.
“Credo proprio di si”, rispose lui, sincero ed orgoglioso.
Io li seguivo ad un metro di distanza, finalmente libera da collare e guinzaglio.
Non che mi fosse dispiaciuta quella sensazione di dominazione di Matteo su di me. Anzi.
Avevo deciso io di giocare secondo le regole del gioco di quel locale.
La mia totale sottomissione a Matteo e la mia silenziosa accettazione delle sue voglie e delle sue offerte rivolte agli altri clienti del Twist, mi avevano resa fiera di me stessa e mi avevano fatta sentire desiderata.
Mi avevano fatta sentire femmina.
Ero riuscita a non pronunciare quella parola, che più di una volta si formò nella mia testa. Soltanto lì, fortunatamente.
Eppure, più di una volta, durante quella stravagante serata di sesso estremo, sono stata consapevole di aver oltrepassato il limite. Quantomeno quello che ritenevo tale fino a poco prima.
Non avevo, in quel momento, alcun ripensamento. Non vedevo di cosa pentirmi.
Ero soddisfatta di quanto fatto e di quanto subito. Assolutamente appagata, psicologicamente e fisicamente. Soprattutto sessualmente.
Sentivo, tuttavia, il bisogno, quasi la necessità, di lavarmi.
Avevo la patatina in fiamme, il culo in fiamme, la bocca intorpidita e i capezzoli indolenziti.
Non ero riuscita a tenere il conto di quanti uomini, effettivamente, avevano goduto per merito mio.
Non credo che sarei andata molto lontana dalla realtà se avessi detto che, almeno una ventina di uomini, quella sera, mi avevano scopata, davanti, dietro e sopra.
Una ventina di uomini che avevano goduto su di me, ricoprendo il mio corpo di sperma.
Una ventina di uomini e qualche donna.
Ora eravamo nel parcheggio del locale, diretti verso le nostre macchine.
Io sarei tornata a casa con mio marito. Avevamo molte cose di cui parlare.
Matteo sarebbe tornato a casa da solo.
La macchina di Marta, con dentro il mio borsone, era ancora dove l’avevamo parcheggiata ad inizio serata.
Di Elena nessuna traccia. Matteo non se ne preoccupò più di tanto. Ci disse che normalmente finiva così.

Dopo che mi accorsi che Stefano era lì e non prima che quel ragazzo, più o meno coetaneo di Matteo, mi avesse eiaculato sul ventre, provai a chiedere a Matteo una piccola pausa.
Lui, con una dolcezza e una tenerezza inimmaginabili fino a qualche istante prima, quando appariva duro e burbero, mi accarezzò e mi diede un dolce bacio sulla bocca, scusandosi con gli spettatori in attesa del loro (eventuale) turno.
Mi slegò le cinghie di contenimento dai polsi e dalle caviglie. E slacciò anche le catenelle annodate ai due occhielli fissati sul lato lungo del tavolo, quelle che tendevano le due pinzette che tenevano schiusa la mia patata.
Non mi tolse, però, né le pinzette sui capezzoli, né quelle sulle grandi labbra della mia passerina.
Come a dire “Tanto tra poco ricominciamo”.
Potei comunque rimettermi in piedi, finalmente.
Un diffuso dolore articolare, determinato dalle varie posizioni, tutt’altro che comode, che mi aveva fatto assumere Matteo fino a quel momento, si sparse rapidamente in ogni angolo del mio corpo.
Una strana sensazione di vertigine mi annebbiò la vista quando poggiai finalmente i piedi a terra, su quei tacchi altissimi.
Le autoreggenti, qua e là, riportavano i segni delle battaglie. Strappi, smagliature e buchi testimoniavano la brutalità con la quale, alcuni dei miei partner occasionali di quella lunga serata, si erano presi cura di me.
Anche le scarpe erano malmesse. Soprattutto sporche di tracce di sperma maschile, ormai secco.
“Lì c’è mio marito”, dissi, avvicinandomi all’orecchio di Matteo.
Lui si voltò verso il gruppetto di spettatori, tra i quali, se non gli avessi chiesto una breve pausa, avrebbe sicuramente scelto il prossimo che mi avrebbe scopata, e lo individuò agevolmente.
Gli fece segno di avvicinarsi.
Stefano ci raggiunse, i suoi occhi fissi nei miei.
Non ci dicemmo niente.
Fu Matteo a prendere la parola per primo.
“Volete andar via o continuare ancora a giocare?”, ci chiese, rivolto a tutti e due.
Stefano lo guardava e mi guardava, in silenzio.
Temevo quello che potesse dire, quello che potesse fare.
“Meglio che decida lei”, rispose, invece, Stefano, assolutamente calmo e pacato.
Si voltarono entrambi verso di me.
Alternavo il mio sguardo tra mio marito e quello che, fino ad un attimo prima, era stato il mio padrone.
Rimasi in silenzio, un silenzio carico di tensione.
“Voglio giocare ancora”, dissi poi, improvvisamente, sorprendendo tutti e due.
Matteo annuì e sorrise.
Stefano mi guardava, stupito e preoccupato.
“Va tutto bene, Ste”, gli dissi.
Matteo, come se quell’uomo non fosse mio marito, allungò le mani sul mio corpo.
Tolse le pinzette dalle grandi labbra della mia vagina. E tolse anche quelle dai miei capezzoli.
Provai dolore. Un’evidente smorfia di sofferenza si dipinse sul mio volto.
Ringraziai silenziosamente Matteo per quella inaspettata concessione.
Poi mi infilò due dita nella figa, facendomi trasalire.
“Secondo me ha ancora tanta voglia”, disse Matteo rivolto a Stefano. “Guarda quanto è bagnata”, continuò.
Stefano, che non mi parve troppo infastidito da quella impertinente libertà che si era appena preso quello sconosciuto, proprio davanti a lui, quella di infilare due dita nella figa della moglie, gli rispose a tono.
“Mi sa che hai ragione”, disse mio marito a Matteo.
Nella sala c’erano altre persone, forse speranzose che potessero riprendere i giochi appena interrotti.
“Scusateci, ma dobbiamo andare”, disse loro Matteo.
Un brusio di disapprovazione si levò dal gruppetto.
“Volevano scoparti tutti”, mi disse Stefano all’orecchio, a bassa voce.
“A quanto pare”, gli risposi, sorridendo.
Matteo cedette il guinzaglio a mio marito, in una sorta di passaggio di consegne.
“Andiamo”, ci disse.
Lo seguimmo per il lungo corridoio, tornammo al piano terra e salimmo a quello superiore.
Stefano mi tirava con il guinzaglio, ma non lo faceva brutalmente e selvaggiamente come aveva invece fatto Matteo.
Si preoccupava di non farmi male, si voltava in continuazione per vedere se soffrissi troppo.
Preferivo, indubbiamente, le poche accortezze di Matteo.
Se un oggetto avevo deciso di essere, allora nessuno doveva preoccuparsi di cosa provassi o desiderassi.
Avrebbe dovuto usarmi, e basta.
E Stefano non era bravo come Matteo.
Anche al piano superiore c’era un lungo corridoio, stavolta illuminato da una luce blu.
Le varie stanze, a destra e a sinistra, erano chiuse con delle pesanti tende scure.
I gemiti delle donne e i grugniti degli uomini erano perfettamente udibili.
In quelle stanze si stava scopando.
Matteo, che era ancora nudo ed ancora visibilmente eccitato, ci precedeva di qualche metro.
“Ecco, qui va bene”, ci disse, entrando in una stanza dove una coppia stava consumando un rapporto in un modo piuttosto tradizionale, quasi banale pensai, dopo quello che mi era successo due piani più sotto.
Lei alla pecorina e lui dietro di lei, le mani sui fianchi della donna.
Matteo si sdraiò in posizione supina sul letto futon non occupato.
Mi tornarono in mente le parole e l’entusiasmo con i quali Elena mi aveva parlato di quel ragazzo. “Piacerebbe anche a te”, mi aveva detto.
Ed ora era davanti a me, completamente nudo, straordinariamente eccitato e con quella meraviglia di cazzo che aveva in mezzo alle gambe totalmente eretto, che svettava fiero come un’asta di bandiera.
“Mettimi un preservativo”, mi disse.
Cercai una reazione sul volto di Stefano. Che non ci fu.
Mi avvicinai al vaso in vetro presente nella stanza. Presi un preservativo e glielo infilai.
Mio marito, lì accanto, osservava con un’espressione neutra la scena davanti ai suoi occhi.
Mi muovevo con naturalezza, per nulla impacciata, per nulla a disagio.
Senza che nessuno mi dicesse cosa fare, per la prima volta in quella serata, presi io l’iniziativa. E mi impalai su Matteo, infilandomi il suo bastone nella figa.
Scivolò dentro di me immediatamente, tanto era bagnata, lubrificata e viscida la mia patata.
Lo sentii risalire dentro di me. Me lo sentii nello stomaco. Il contatto con i suoi testicoli, che avrebbe significato la fine della corsa dentro di me di quell’asta, non arrivava mai.
Gli chiesi se potevo togliermi il collare ed il guinzaglio. Mi disse di si.
Iniziai a cavalcarlo, sotto lo sguardo di mio marito, che era dietro di me, in piedi.
Le mie mani erano incollate sui pettorali di Matteo.
Sentivo il cazzo di quel ragazzo abbattere le ultime resistenze dei miei muscoli vaginali. Quello era, indubbiamente, il cazzo più grande che fosse entrato dentro di me durante quella straordinaria serata.
Matteo stava dilatando, con il suo attrezzo, quel poco che c’era ancora da dilatare.
Dalla mia posizione, non potevo vedere mio marito.
Me lo immaginavo, tuttavia, ancora in piedi, ad osservare quella donna, sua moglie, quella troia che stava scopando davanti a lui con uno sconosciuto.
Me lo immaginavo con un’espressione sbalordita, incredula.
Però, e ne ero sicura, me lo immaginavo anche eccitato.
“Ste, scopami il culo”, gli dissi, voltandomi, con voce roca e suadente.
Nella sua testa dovette improvvisamente crollare quell’ultima, sottile barriera che, fino a quel momento, gli aveva impedito di dare libero sfogo ai suoi istinti primordiali.
Mentre cavalcavo Matteo e sentivo l’orgasmo montarmi dentro ed avanzare a passo di carica, l’ennesimo della serata, vidi Stefano avvicinarsi, spogliarsi rapidamente, quasi con violenza, mettersi in ginocchio dietro di me, afferrarsi il cazzo, già in completa erezione, con la mano destra, poggiarlo sul mio buchino posteriore ed entrarmi dentro con una spinta poderosa.
Per la prima volta in vita mia, avevo due cazzi dentro di me.
La sensazione di pienezza e di riempimento fu così violenta e travolgente che venni subito, gridando tutto il mio godimento, come non avevo ancora potuto fare durante quella serata. Matteo me lo aveva sempre impedito.
Sentire quei due cazzi muoversi contemporaneamente dentro di me, in un movimento ritmico ed alternato, separati soltanto da una sottile membrana, mi stava facendo letteralmente impazzire.
La coppia accanto a noi si fermò e si mise a guardarci.
Il mio corpo era scosso da fremiti di piacere. Brividi di godimento accompagnavano le spinte di quei due uomini dentro di me. Le mie tette, finalmente libere da costrizioni, sussultavano sotto i colpi possenti di quei due stalloni. Sentivo il cuore pronto ad esplodere. Gridai quando Matteo mi afferrò le tette e strinse i capezzoli con le dita, ancora doloranti per il trattamento subito.
Urlavo selvaggiamente io mio piacere, finalmente libera di poterlo fare.
Vibravo come scossa da una scarica elettrica.
Pretesi che i miei uomini si invertissero di posizione. E se la figa non mi diede sensazioni nuove sotto i colpi, comunque violenti, di mio marito, sentii invece il mio buchino posteriore, profanato da quell’animale enorme che aveva Matteo in mezzo alle gambe, cedere definitivamente ed arrendersi alle dimensioni imposte da quello straordinario cazzo.
Un altro orgasmo stava sconquassando il mio corpo e, soprattutto, il mio cervello.
Sembravo vittima di convulsioni, agitavo violentemente la testa, i capelli disegnavano strane figure nell’aria.
Urlavo di piacere, tutto quello represso durante gli innumerevoli altri orgasmi della serata, che Matteo mi aveva imposto d vivere silenziosamente.
Urlavo e ne volevo ancora.
“Voglio che mi venite in bocca!”, gridai.
“Io sto per venire…”, disse Stefano.
“Liberatemi!”, gridai ancora.
Si sfilarono da me, tutti e due, repentinamente.
Mi misi in ginocchio sul letto, a bocca spalancata, ad aspettare.
Stefano, senza preservativo, avvicinò immediatamente il suo cazzo alla mia bocca aperta e mi rovesciò dentro almeno quattro schizzi di sperma.
“Ahhhhh”, urlava mentre si svuotava.
Mi sentivo posseduta. Ero posseduta.
Il Dio del sesso, o il demone, sempre ammesso che esistesse, si era indubbiamente impossessato della mia anima.
Non mi riconoscevo nei miei gesti, nelle mie parole, nelle mie voglie.
Tuttavia desideravo prepotentemente dare soddisfazione a quei due maschi.
“Ahhhhh”, continuava a gridare Stefano, ormai completamente svuotatosi nella mia bocca.
Non bevvi il suo seme, non ancora.
Alla mia destra Matteo, che si era tolto il preservativo ed aveva il cazzo in erezione ormai da alcune ore e che, tuttavia, durante quella stravagante serata, non aveva ancora sborrato, si stava masturbando.
“Lascia fare a me”, gli dissi, sostituendo la sua mano con la mia ed avvicinando la mia bocca, impiastricciata dallo sperma di mio marito, a quello straordinario cazzo, pericolosamente duro.
Mi tornarono in mente le parole di Elena, quando mi raccontò dell’impegno che doveva metterci per far venire quello stallone, tutte le volte che facevano sesso.
Lo stavo masturbando con forza.
Stefano, accanto a me, si godeva lo spettacolo.
Sua moglie, cioè io, nuda, inginocchiata su un letto, con la bocca piena del suo sperma, con la figa ed il culo ormai sfondati, in attesa che uno sconosciuto le sborrasse in bocca.
Doveva veramente essere eccitante, quella scenetta, per Stefano. Quello che aveva sempre desiderato, da quanto mi aveva confidato recentemente.
Stefano mi incitava a darci dentro.
“Dai Valeria, fallo sborrare!”, mi diceva.
“Vengo…vengo…”, urlò Matteo.
Mi avvicinai ancora di più al suo cazzo ed aprii la bocca, puntando il suo glande direttamente sulla mia lingua, già imbiancata dalla crema di mio marito. Non moltissima, a dire il vero.
“Vengo…”, ringhiava ancora Matteo, sotto i colpi della mia mano.
E finalmente sborrò.
“Ahhhhh…ahhhhh…ahhhhh”.
Un fiume di sperma, caldo e buonissimo.
Ne fece molto di più di Stefano. Mi riempì la bocca.
La sua sborra si mescolò, nella mia bocca, con quella di mio marito, in un mix straordinariamente delizioso, dal sapore acre e pungente.
Appena raccolsi con la lingua l’ultima goccia che ancora usciva dal cazzo di Matteo, bevvi tutto, senza pensarci un secondo di troppo.
Stefano era stravolto in viso, sudato e sfigurato.
Matteo era appagato e soddisfatto.
“Brava”, mi disse Matteo.
Stefano rimase in silenzio.
La coppia, accanto a noi, ci stava ancora guardando.
“Beata lei”, disse la donna di quella coppia, evidentemente rivolta a me.
L’uomo che era con lei le lanciò un’occhiataccia carica di rancore.
“Vi aspetto di sotto”, ci disse Matteo, allontanandosi da noi, con il cazzo, per la prima volta in quella serata, a riposo.
“Ok”, gli dissi io.
Io e Stefano ci guardavamo negli occhi. Nessuno dei due sapeva cosa dire all’altro.
Ci demmo una sistemata con le salviette a disposizione nella stanza.
Lui si rivestì. Io, invece, ero già pronta.
Ci alzammo dal letto, salutammo la coppia ed uscimmo dalla stanza.
Stefano mi prese per mano e mi condusse al piano di sotto, lui vestito ed io completamente nuda, con le autoreggenti ormai distrutte e con le scarpe rosse, appena comprate, testimoni dei bagordi e delle avventure di quella strana serata.
Ora, anche senza collare e guinzaglio, ero tornata ad essere la sua donna.
Ero certa che lui fosse fiero ed orgoglioso di me.
Passammo nella stanza dei preparativi, dove avevo lasciato il mio vestitino ed il mio reggiseno.
E lì ritrovammo Stefano.
Che mi chiese se mi fossi divertita, durante quella serata.

Ci salutammo nel parcheggio. Promettendoci di risentirci a breve. Magari per organizzare qualche altra serata trasgressiva.
Stefano e Matteo si diedero la mano.
Uno era l’uomo della mia vita, mio marito, il padre dei miei figli. L’altro era un ragazzo di ventotto anni che mi aveva appena fatto conoscere i meandri più nascosti del sesso, regalandomi, nel corso della serata, innumerevoli orgasmi e sensazioni ubriacanti.
Stefano accese la macchina e partimmo.
Esattamente come la volta che tornammo a casa dopo il mio incontro con Tony in quel bar della periferia di Milano, anche stavolta, all’interno dell’abitacolo, regnava sovrano il silenzio.
Fui però io ad infrangerlo, senza attendere che arrivassimo a casa.
“Ste, voglio che tu sappia una cosa”, dissi a mio marito.
“Cosa?”, mi rispose lui, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé, sulla strada.
“Ti amo”, gli dissi, poggiandogli una mano sulla gamba.
Stefano azionò l’indicatore di direzione, accostò la macchina e si fermò.
Si voltò dalla mia parte.
In quell’abitacolo c’era odore di sesso. I nostri corpi ne emanavano a profusione.
Non riuscivo a trovare una posizione comoda su quel sedile.
Sentivo dolore ovunque.
Ma un dolore piacevole. Quello del quale non si ha paura. Quello che vuoi provare ancora e ancora.
Il mio sedere era in fiamme.
“Anche io ti amo, Valeria”.
Mi chiedevo se quello scambio di sentimenti fosse sufficiente a mettere la parola fine a quella stravagante serata.
Ero stanchissima.
Ma trovai ancora la forza di dargli un bacio. Un bacio vero.
Una ventina di chilometri ci separavano ancora da casa nostra.
Appena possibile, saremmo andati anche a recuperare la mia macchina, ancora parcheggiata nel punto dove, molte ore prima, all’inizio di questa stravagante serata, mi ero incontrata con Marta.
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