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Quel volo...


di Membro VIP di Annunci69.it Daiquiri
24.04.2013    |    7.646    |    5 9.2
"Gli risposi che sentivo la sua lingua dentro di me, cosa che mio marito interpretò come una mia fantasia, mentre Marco baciava e succhiava le mie labbra ed..."
Quel lunedì mattina l’aeroporto sembrava più affollato del solito ed io ero terribilmente in ritardo.

Tutto era iniziato a casa, di buon’ora, quando già pronta per uscire, ricordai di non aver stampato la relazione che avrei dovuto presentare al cliente. Il tempo di avviare il laptop e stampare quella dozzina di pagine, che l’orologio già indicava un ritardo di venti minuti sulla mia tabella di marcia.

Viaggiavo spesso per lavoro ed il Roma-Milano delle 08:00 era diventato il mio volo più frequente, quell’anno. Il rientro era generalmente “open”, per lasciar spazio ad eventuali imprevisti di lavoro, ma il viaggio di andata era ormai cronometrato con la precisione di una missione spaziale.

Tranne quella mattina, in cui tutto sembrava andar storto. Prima la stampa, poi il tassista che avrebbe dovuto già essere in pensione da un pezzo, poi la caotica folla nell’aerostazione, così saltai il mio solito caffè in uno dei bar dell’aeroporto e mi diressi di corsa verso il gate d’imbarco, visto che il chek-in lo avevo gia fatto online.

Arrivata al gate un pò in affanno, fui assalita da un’ondata di panico: Non vedevo la solita piccola e ordinata folla di uomini e donne d’affari in coda per l’imbarco, nè tantomento li vedevo seduti nelle poltroncine riservate all’attesa d’imbarco, alle prese con i loro palmari e tablet.

Guardai l’orologio e sebbene il lieve ritardo sulla mia solita tabella di marcia, sembravo essere ancora in orario, ma lì non c’era nessuno ad aspettare il mio volo.

Verificai la stampa del foglio di check-inn con l’orario ed il gate del volo e tutto sembrava dover essere a posto, ma quel dannato lunedì qualche altra cosa stava andando controvento.

Corsi al tabellone dei voli in partenza e scoprii con una fitta alla cuore che il mio imbarco era stato spostato in un’altra ala dell’aeroporto. Sicuramente le persone in attesa dei quel volo erano già state avvisate dagli altoparlanti, ma io quella mattina sembravo essere in ritardo su tutto.

Probabilmente imprecai ad alta voce, perchè al mio fianco, un ragazzotto, che sembrava più perso di me, mi disse che anche lui avrebbe dovuto prendere lo stesso volo e notato che io ero certamente più pratica di lui nella conoscenza dell’aerostazione, mi propose di portare il mio trolley se io lo avessi velocissimamente guidato verso il corretto cancello d’imbarco.

Accettai, perchè i miei tacchi 12 e la mia gonna stretta mal conciliavano con una corsa, per di più trainando quel piccolo ma pesante trolley, carico del mio laptop, alimentatore, mini proiettore e tutto quel che una donna manager deve sempre portare con sè.

Corremmo, senza dirci altro se non le mie indicazioni su dove voltare e le sue indicazioni sull’orario, ormai prossimo alla chiusura dell’imbarco.

Arrivammo al gate che tutti erano già usciti. Le due assistenti d’imbarco nel vederci correre verso loro, capirono che avremmo dovuto salire sul quel volo e furono davvero gentili, comunicando qualcosa via radio e facendoci segno di sbrigarci, mentre finalmente davamo loro la carta d’imbarco.

Corremmo anche lungo il corridoio snodabile che si aggancia al portello del velivolo e trovammo il personale di bordo un pò scocciato per il nostro ritardo. A bordo, le solite facce di gente d’affari, che leggevano il giornale o ci guardavano con un pò di disprezzo, per quei cinque minuti di ritardo che stavamo procurando al “loro” volo.

Attraversai il corridoio dell’aeromobile non senza imbarazzo, sicuramente rossa in viso per la corsa, un pò affannata e con la camicetta bianca un pò in disordine, ma almeno ero a bordo !

Il ragazzo fu gentile nel portare il mio trolley fino al mio sedile e sistemarlo nella cappelliera in alto, mentre sulle spalle teneva ancora uno di quei zainetti più adatti ad uno studente di liceo che ad un ragazzo di venticinque / trent‘anni. Chissenefrega, pensai, almeno è stato gentile !

Il volo durò poco, giusto il tempo di rimettermi a posto la camicetta ed i pensieri, prima di quell’incontro di lavoro cui tenevo davvero molto. Dimenticai immediatamente quel che era accaduto in quella frenetica mattina e mi concentrai al meglio sul mio lavoro.

Incontrai nuovamente lo sguardo di quel ragazzotto dopo essere atterrati a Linate, mentre fuori dal velivolo, cercavo di correre più veloce degli altri per accaparrarmi un taxi.
Stavolta portavo da sola il mio trolley e nel sorpassarlo, lo ringraziai per la sua galanteria.
Con un sorriso un pò insolente, mi rispose che era stato divertente correre con me. “Imbecille !”, pensai, mentre il mio sorriso si trasformò in un ghigno di disprezzo.

Arrivai nell’ufficio del mio cliente con sufficiente anticipo per ricomporre il mio look e rifarmi il trucco. Finalmente il tempo per un caffè e poi tre ore di filate di riunione per fare la mia solita figura di grande professionista. Accettai un veloce pasto offerto dal mio cliente in un moderno lauch-bar di quelli tipici milanesi, poi tornai in ufficio, per salutare i miei interlocutori, riporre tutte le mie apparecchiature nel mio trolley e congedarmi da loro fino al prossimo incontro, giusto tra una settimana.

Erano le 15:00, avevo portato a termine con successo la mia “missione”, ero un pò stanca e stressata, ma c’era il tempo per un pò di rilassante shopping per Via Montenapoleone e dintorni, prima di rientrare a casa. Telefonai in ufficio da mio marito, ma la sua assistente mi disse che era in riunione e lasciai detto che avrei preso l’ultimo volo di rientro per Fiumicino.

Due rapidi calcoli e stabilii che avevo almeno tre ore per me, tutte da dedicare alle vetrine dell’unica Milano che adoravo: Quella dello shopping !

Tramite il mio iPhone fù facile fare il check-inn online per il volo MI-RM delle 22:00. Poi mi godetti quella meritata pausa, smettendo per un pò di pensare al lavoro ed a ogni altra cosa seria.

Intorno alle venti ero di nuovo in aeroporto, con il mio solito trolley ed un paio di voluminosi shoppers di elegante cartoncino patinato, che dovevano valere una buona parte di quel che avevo speso nei mie due negozi preferiti di Milano.

Al gate, le solite facce di gente d’affari che si sposta tra Roma e Milano per un solo incontro in giornata, proprio come me. Curiosamente, c’era anche quel ragazzotto, alto ed un pò stralunato, col suo zainetto, seduto a giocare con il suo iPad. Lo ignorai completamente, sedendomi in un’altra fila, alle sue spalle.

Ne approfittai per chiamare mio marito, che non avevo sentito per tutta la giornata. Non che noi ci si telefonasse spesso, ma volevo avvisarlo di ordinare qualcosa dal ristorante vietnamita che avevamo non distante da casa, poichè quella sera non desideravo altro che un bagno caldo ed una cena un pò particolare.

Più che marito e moglie, al telefono sembravamo due colleghi, abituati come eravamo a messaggi stringati e privi di ogni vena di emotività. Non che non lo amassi, ma avevo sempre trovato stupide le smancerie tra un uomo ed una donna.

Avevo appena finito di chiudere la conversazione che alle mie spalle sentii dire qualcosa che all’inizio non credevo fosse rivolta a me: “Ciao, ti sei ripresa poi oggi ? Stamane sembravi sconvolta !”. Alzai un pò lo sguardo sopra i miei occhiali da vista e mi accordi che era di nuovo lui, quel ragazzotto.

“Dici a me ?” gli risposi, senza dedicargli più attenzione di quanta ne meritasse.
“Si, dico a te, oggi è stato proprio divertente correrti dietro !” e poi: “Posso ?” disse senza attendere la mia risposta e sedendosi sulla poltroncina al mio fianco.

Non risposi e finsi di cercare qualcosa nella tasca del trolley, tanto per non lasciarli spazio.
“Marco”, continuò senza che glie lo avessi chiesto. “Sò di essere più giovane di te, ma volevo dirti che il nostro breve incontro mi è piaciuto molto”.

Davvero insolente, pensai, un pò indispettita per quel “più giovane” che feriva il mio orgoglio di donna. decisi allora di mettere in pratica tutta la mia più raffinata e spietata tecnica per far sentire un uomo, specie se più giovane e meno esperto, un vero imbecille.

“Ragazzo”, dissi, spostando gli occhiali sulla punta del naso e guardandolo negli occhi: “Cosa ti fa pensare che io abbia voglia di sprecare il mio tempo con te? Desidero solo tornare a casa e di non essere scocciata da un ragazzino“. Fui proprio stronza, come sapevo essere nel far sentire gli uomini piccoli ed inutili, ma la sua risposta mi lasciò del tutto impreparata: “...un pò acida, ma ti scoperei lo stesso”, mi disse con un sorriso disarmante e lo sguardo che puntava dritto al mio decoltè.

Rimasi per un attimo senza parole, un bel pò scocciata da tanta presuntuosa arroganza, ma intimamente compiaciuta per quel complimento così genuino e sfrontato. Alzai lo sguardo su di lui e ne feci una rapida ma precisa scansione: Moro, poco meno di un metro e ottanta, barba del giorno prima, capelli un pò troppo lunghi per essere ordinati, jeans un anonimo pullover a “V” dal quale spuntava il girocollo di una t-shirt bianca. Troppo giovane e sciatto per i miei gusti e tuttavia molto carino, seppure poco elegante. Nulla a che vedere con la classe di mio marito o dei miei rari amanti, tutti uomini professionalmente e socialmente arrivati, di buon gusto, curati e raffinati.

“Maddai, lascia stare, ragazzo !”, gli dissi, riabbottonando quel bottone della mia camicetta sotto il quale il suo frugava il suo sguardo. “Non dirmi che non ti piacerebbe fare due chiacchiere con un ragazzo come me”, continuò lui con la solita presuntuosa sicurezza.

Stavo davvero per rispondergli per le rime, quando gli altoparlanti comunicarono che il nostro volo era stato annullato e che avremmo avuto maggiori informazioni al banco dell’imbarco. “Un bel cazzo di casino”, imprecai, pentendomi di quella frase poco elegante, mentre quell’imbecille al mio fianco sembrava invece molto divertito.

Attendemmo che il personale di terra ci raggiunse per comunicarci che per un guasto tecnico il nostro volo era rimasto a Fiumicino e che sarebbe partito solo l’indomani mattina. Essendo poi l’ultimo volo della serata, la compagnia aerea ci avrebbe ospitati in una albergo nei pressi dell’aeroporto, dove saremmo stati accompagnati da un bus navetta.

“Woww !!!” Fu l’unica espressione divertita di quell’imbecillotto, nello sconforto collettivo di quella cinquantina di persone che non sarebbero rientrate a casa, quella sera. Senza alcuna ragione, mi accorsi di essere un pò divertita anche io da quella inattesa evenienza e dai goffi tentativi di abbordaggio che quel ragazzotto avrebbe continuato a farmi, quella sera.

Stavolta rifiutai di farmi portare sia il trolley, sia le buste dei miei lussuosi (e lussuriosi) acquisti milanesi, senza lasciare a quel ragazzotto altre facili possibilità di “aggancio”, nè lui trovò altro modo, se non quello di seguirmi fino al pullman messo a disposizione dalla compagnia aerea. Salendo a bordo scelsi volutamente di sedermi in una fila con due poltroncine libere e lui non si lascio sfuggire l’occasione di sedersi al mio fianco.

Durante il breve tragitto fino all’albergo, mi divertii a fagli sentire la mia telefonata con mio marito, stavolta più tenera del solito, perchè a lui fosse chiaro che avevo un uomo che mi dava ogni genere di soddisfazione. Lui ascoltò la mia conversazione guardandomi con quell’aria sempre un pò divertita e quando terminai la telefonata, mi chiese qualcosa sul mio lavoro e mi raccontò qualcosa del suo, un banalissimo tecnico di studi di registrazione musicale. Proprio non avrei saputo che farmene di un ragazzotto così, pensai.

Una volta scesi dal pullman, in coda alla reception dell’albergo per il check-in, mi chiese a che ora sarei scesa per la cena. Gli risposi che avrei saltato la cena quella sera, sapendo invece che che sarei comunque scesa al ristorante. Subito dopo e senza alcuna ragione, me ne pentii un pò, di quella bugia.

Fatto il chek-in prima di lui mi avviai verso gli ascensori perdendolo di vista. Appena preso confidenza con quella camera d’albergo, usata soltanto da viaggiatori in transito, mi gratificai sotto una doccia bollente, durante la quale mi accorsi che insaponavo e massaggiavo il mio corpo, da quarantacinquenne ben portati, con un certo compiacimento, pensando forse un pò a quelle attenzioni di quel trentenne.

Poi, sul lettone (detesto prendere letti singoli, fanno tanto rappresentante di commercio), mi compiacqui per aver sempre previsto nel mio trolley un mini set di creme e cremine idratanti per il corpo. Accesi la tv ed annoiata dai soliti telegiornali, selezionai un canale di diffusione musicale, scegliendone uno di allegra musica jazz. Di lì a poco, mi sarei rivestita, sistemata i capelli e poi scesa al ristorante, per mangiare qualcosa.

Quel bussare alla porta mi colse del tutto impreparata, quasi nuda e per di più con i capelli bagnati. Era certamente un errore, mi avvosi nel grande telo da bagno bianco e mi avvicinai alla porta della camera dicendo “...siii ???”.
“E’ la cena, signora, rispose il cameriere da fuori la porta”.
“Un attimo”, dissi io sistemandomi meglio il telo da bagno ed aprendo appena un pò la porta per chiarire l’equivoco, rimanendo comunque al riparo da guardi indiscreti.

Intravedevo parte del carrello con cui di solito si servono i pasti in camera, ma compresi immediatamente di esser stata fregata: “Cena per due !” diceva una voce divertita che riconobbi appartenere a Marco, quel ragazzotto forse più insolente che imbecille, che era di nuovo tornato all’attacco.


Aprii poco di più la porta e lui con quel suo solito disarmante sorriso mi disse “Dai, presto, fammi entrare, poi ti racconto !”. Rimasi un attimo dietro la porta, decidendo cosa fare, poi tenendo il telo bianco ben serrato sul mio corpo, aprii del tutto la porta, lasciando sfilare nella mia camera prima il carrello apparecchiato per due e poi lui, che con fare divertito scimmiottava un cameriere. “Signora....”, disse, mentre con tanto di salvietta al braccio, entrava con spregiudicata sicurezza nella mia camera, forse un pò troppo in disordine.

“Sei proprio un cretino !” gli dissi, ridendo un pò dentro di me per quella buffa situazione.
Ero praticamente nuda sotto il telo da bagno ed avevo lasciato entrare questo ragazzotto, ancora vestito come lo avevo visto la mattina in aeroporto. Gli mancava solo lo zainetto, pensai.

“Si può sapere che ti sei messo in testo, ragazzo ?” gli dissi con un tono troppo poco arrabbiato per essere credibile. Lui rispose che non aveva voglia cenare da solo e poichè gli avevo detto che non sarei scesa al ristorante, tanto valeva cenare in camera, insieme. Così aveva ordinato per due ed una volta che il cameriere se n’era andato, aveva percorso due piani ed un corridoio lungo mezzo chilometro, prima di trovare il numero della mia camera, che aveva carpito durante il mio ceck-in alla reception.

“Bastardo !”, pensai, molto divertita all’idea di quello scemotto in giro per tutto l’albergo con il carrello apparecchiato. “Sei un vero insolente, non si piomba così in camera di una signora”. E lui: “... solo per farle piacere, Signora !”.

Avevo deciso di stare un pò al suo gioco e lasciarlo un pò fare, prima di rispedirlo, naturalmente in bianco, in camera sua. Raccolsi un pò delle mie cose, lasciate quì e lì per la stanza, presi i due shopper di acquisti milanesi e mi chiusi in bagno, più che altro per mettere a fuoco i miei pensieri e decidere la mia prossima strategia. Decisi immediatamente, ma mi ci volle un buon quarto d’ora per darmi una sistemata, così come avevo deciso di presentarmi a lui.

Asciugai i capelli e mi truccai leggermente con un filo di mascara ed il mio solito eyeliner, seppure molto leggero, per non dare l’impressione di essermi truccata per lui. Dai due shoppers, estrassi i regali che mi ero fatta nel mio pomeriggio milanese: Un completino intimo color verde petrolio ed una vestaglietta di seta bianco perla. Presi l’altro telo da bagno grande, quello asciutto e lo avvolsi intorno al mio corpo, annodandolo con cura appena sopra i seni. Decisi di non indossare calze nè scarpe, rimanendo con le pantofole di tela bianche messe a disposizione dall’albergo. Poche gocce del mio profumo, sui polsi e sul collo, incorniciavano quel mio essere un pò puttanella, quella sera. E finalmente uscii dal bagno.

“Sarà fredda, ormai”, dissi, indicando la cena, ancora nascosta sotto i coperchi che apparecchiavano quel carrello. Lui intanto aveva sistemato un pò la stanza, organizzando un vero e proprio angolo da cena, avvicinando il carrello ed una poltroncina ai piedi del letto matrimoniale. Aveva poi scelto con cura la miglior illuminazione possibile e cambiato la musica dalla, che ora suonava una suadente musica longue.

Mi accomodai ai piedi del letto, con lui sulla poltroncina ed alzammo, divertiti, i coperchi di quel che aveva ordinato per noi due; Vitel tonnè, pane al sesamo, formaggi, miele e macedonia. Del buon vino bianco era nel cestello pieno di ghiaccio e poco dopo emanava aromi fruttati dai nostri due bicchieri.

Spizzicammo con piacere quella cena, bevendo con gusto quell’ottima Falanghina ghiacciata, mentre ci raccontavamo qualcosa delle nostre vite, così tanto diverse tra loro.
Il piacere del contrasto tra il sapore del formaggio e quello del miele, sposava alla perfezione con quel vino fresco e fruttato, che scivolava giù con leggerezza.

Stavamo appunto gustando quel trio di aromi così diversi eppure così tra loro intimamente legati quando la suoneria del mio iphone mi ricordò di mio marito, rimasto solo a Roma. Risposi a quella telefonata, dapprima pò imbarazzata, poi sempre più divertita. Mi sdraiai a pancia in giù sul letto ed iniziai a raccontargli della mia giornata, di tutti gli inconvenienti e perfino di quell’imbecillotto che mi aveva aiutato e poi disturbato in aeroporto. Tralascia di digli che quel ragazzo era nelle mia camera, in quel momento e che mentre io parlavo al telefono con lui, stava sfiorando le mie caviglie ed i miei polpacci...

“Ti manco ?” Chiesi a mio marito, mentre Marco iniziava a baciarmi leggero le caviglie, ed io rimanevo a pancia in giu, lasciandolo fare. Mio marito sembrò apprezzare quel mio insolito essere tenera con lui ed iniziò a chiedermi cosa cosa mi sarebbe piaciuto fare, se lui fosse stato quì con me. Gli dissi, mentendo solo in parte, che ero sdraiata sul letto e che avrei voluto che lui mi accarezzasse ed baciasse le cosce e la schiena.

Marco, intanto sembrava prendermi alla lettera e dopo aver leggermente aperto le mie cosce, iniziava a risalire sotto il telo da bagno, fino a raggiungere la seta ancora immacolata della mia nuova vestaglia di seta.

Quella insolita situazione, quelle dita e quelle labbra che realizzavano le fantasie che dichiaravo a mio marito erano mentalmente più eccitanti di quanto stavo fisicamente provando, pensai, ma poco dopo mi accorsi che quel piacere era anche fisico e quelle dita erano arrivate sin dove il mio corpo era più sensibile a quelle attenzioni.

Dissi a mio marito che avrei voluto sentire le sue mani tra le mie cosce e che anzi, quella sera, in sua assenza, avrei desiderato le mani di qualsiasi uomo, cosa che eccitò molto mio marito, a cinquecento chilometri di distanza, che stupìto da quella mia novità e convinto che quello fosse soltanto un nostro gioco, mi chiese cosa avrebbe dovuto farmi, quello sconosciuto.

Gli dissi, che avrei voluto non vederlo, che avrei voluto rimanere sdraiata sul letto, mentre quelle mani salivano su per le cosce, fino a sentire la mia fichetta gonfia e calda di desiderio. Marco, intanto eseguiva alla lettera, risalendo sù per le mie cosce fino alle mie mutandine nuove, ormai già bagnate.

Poi mi girò supina, sciolse il nodo del telo da bagno, e lo sfilò, lasciandomi con la vestaglietta di seta bianco perla. Sciolse poi il nodo che la teneva ancora chiusa sul mio completino verde petrolio e con infinita lentezza scostò i lembi di quella vestaglietta, fino a scoprire tutto il mio corpo.

A mio marito raccontai praticamente tutto, dicendogli che desideravo che quello sconosciuto mi girasse e che mi spogliasse, fino a vedermi in reggiseno e mutandine, per poi sfilarmi anche quelle. E Marco, ancora una volta obbedì, abbassando le spalline del mio reggiseno nuovo e scoprendo i miei seni maturi ma ancora sodi per la mia età.

Era strano sentire quelle mani su mio corpo, così più giovani delle mie. Tutti i miei uomini, mi accorsi, erano stati più grandi di me, perchè da donna di successo qual’ero, avevo sempre scelto uomini socialmente affermati e quindi più maturi di me. Fino a quella sera.

Ora invece quel ragazzo, così lontano dai miei gusti, mi stava prendendo o forse ero io che mi stavo dando a lui, lasciando che mio marito partecipasse a distanza a quei miei desideri ed a quel mio lasciarmi andare.

Mentre sentivo l’eccitazione infuocarmi il ventre, alzavo leggermente i fianchi, lasciando che quel ragazzo sfilasse le mie mutandine. A mio marito, stavolta con voce un pò ansimante, confessai che ero eccitata e che avrei voluto che quello sconosciuto sentisse sul suo volto il calore della mia fica. Anche lui si stava eccitando, ma non sapeva che intanto Marco aveva aperto ancora di più la mie cosce ed il suo volto era ormai ad un sospiro da quel ciuffetto morbido e ben curato che nascondeva appena un pò le porte del mio paradiso. Sentivo il calore del suo respiro sulle labbra, ormai, mentre io accarezzavo la sua nuca. Mio marito mi chiese allora se avessi voluto sentire la sua lingua dentro di me, ed il mio “siiii....” fu così intenso che la mia mano spinse la nuca di Marco finchè la sua lingua non mi fù dentro.

Mio marito interpretò bene quel mio gemito di piacere e mi chiese se mi stavo masturbando. Gli risposi che sentivo la sua lingua dentro di me, cosa che mio marito interpretò come una mia fantasia, mentre Marco baciava e succhiava le mie labbra ed il clitoride con infinita dolcezza, lasciando poi nuovamente sprofondare la sua calda lingua dentro di me.

Mio marito, ormai anche lui molto eccitato, mi confessò che anche lui si stava masturbando, pensando a me. Io gli risposi che sentivo davvero quella lingua dentro di me e lui si eccitò ancora di più, sentendomi così coinvolta dalle mie fantasie...
... come fossero vere, mi disse.

Marco intanto mi prendeva i fianchi con le mani ed affondava la sua lingua con colpi sempre più decisi e ritmici, spingendo ora la sua lingua sul mio clitoride, ora affondandola dentro di me.

Inarcai i fianchi ancora di più e spinsi la sua nuca tra le mie cosce, mentre le sue mani risalirono dai fianchi fino ai miei seni ed io scoppiavo un lungo gemito di piacere, godendo così intensamente da rimanere senza respiro. Anche mio marito credo fosse venuto in quel medesimo istante, perchè anche il suo respiro era molto affannato ed aveva smesso di parlarmi al telefono. Rimanemmo così tutti e tre, in silenzio, io e mio marito uniti al cellulare e quel ragazzo con le sue labbra sulla mia fica.

Piano piano ci stavamo riprendendo da quel lungo attimo di intensa passione e mio marito iniziò a dirmi dei nostri impegni per l’indomani sera, in casa di amici. Non avevo molta voglia di ascoltarlo, volevo soltanto restituire a quel ragazzo tutto il piacere che mi aveva regalato, ma non trovavo il modo per chiudere così brutalmente la nostra conversazione.

Marco, intanto si era alzato e ricomposto un pò. Lo guardai con occhi pieni di interrogativi, mentre cercavo di dire a mio marito che ero stanca e che avrei voluto dormire.
Marco intanto, portò il suo dito indice sulle sue labbra e piano piano, fece “Shhhhh...!!!”
Mi regalò un sorriso, di quelli suoi, sinceri ed un pò sfrontati ed uscì in silenzio dalla mia camera, proprio mentre davo la buonanotte a mio marito.

Rimasi ancora sul letto, ad occhi chiusi, cercando di rivivere ogni attimo di quella giornata e di quella imprevedibile e meravigliosa serata, desiderando l’indomani, incontrare quel ragazzo e conoscerlo più di quanto lui stesso mi avesse permesso di fare.

In fondo, l’indomani, c’era ancora un volo ad attenderci.


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