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Lui & Lei

Buon vicinato 1


di Membro VIP di Annunci69.it elmatador89
02.01.2021    |    4.502    |    1 9.8
"Essendo io l'addetto alla spesa in casa mia, ero sempre io a portare i sacchetti con la spesa alla signora Luisa, così si chiama..."
Parte 1: INTRODUZIONE + ASSAGGIO

Quale maschio etero non ha mai fantasticato sulla vicina? Il pensiero di avere un’amante, una donna disponibile alla porta accanto, è di per sè eccitante, no?

Bene, accade che io e la mia compagna viviamo in un palazzo in cui non si da molta confidenza per le scale (non che mi dispiaccia...). Ci sono voluti 2 anni per avere un quadro chiaro delle persone che abitano negli appartamenti intorno al nostro. Abitiamo al secondo piano. A fianco a noi abitano madre e figlia. I genitori sono separati, il padre è andato via poco dopo che noi ci siamo trasferiti in questo appartamento. E non è difficile capire perché: urla e liti madre-figlia a tutte le ore, e per i motivi più futili: dire che non ci stanno con la testa è un eufemismo. E c’è da dire che non credo che l’uomo potesse godere di benefit particolari: la signora ha una sessantina di anni, poco curata, non esattamente una donna di casa (lo si intuisce dal cattivo odore che pervade le scale ogni qualvolta aprano la porta di casa), nè, ad occhio, una donna di letto. Al piano di sotto, un appartamento di studenti (maschi) e una donna, single, sulla cinquantina. Un bel fisico, e capelli non tinti, che tendono al grigio. Scambiate due parole ogni tanto, sembra molto sveglia. Al piano di sopra, direttamente sopra di noi, una vedova sui 65/70 anni, donna minuta, sul metro e 60, aggraziata e con una voce delicata. Accanto a lei, una donna separata sulla cinquantina che vive con il figlio trentenne. Bella donna, un po’ troppo magra per i miei gusti, ma sicuramente una di quelle donne che sanno sbizzarrirsi su un letto in compagnia di un uomo. Il condominio delle meraviglie, potrebbe pensare il lettore: circondato da donne single o separate! Scopriremo che ci sono pro e contro.

Come dicevo, i rapporti in condominio non sono stretti, ma solo cordiali.
Durante il lockdown si sono intrecciati un po’ di rapporti tra le donne del palazzo, in particolare sulla nostra colonna: noi, la vicina single del piano di sotto, la signora vedova del piano di sopra. in particolare, abbiamo tentato di supportare la signora del piano di sopra, che vive da sola: è diventata vedova circa un anno dopo il nostro trasferimento qui, e la sua unica figlia vive fuori Bologna.

Considerata l’età a rischio, noi e la vicina del primo piano ci premuravamo di chiederle sempre se le servisse qualcosa dal supermercato quando andavamo a fare la spesa, e lei accettava di buon grado. Essendo io l'addetto alla spesa in casa mia, ero sempre io a portare i sacchetti con la spesa alla signora Luisa, così si chiama. Arrivavo, suonavo, lei mi vedeva dallo spioncino, si sentiva un gran sferragliare delle 200 serrature con le quali chiude la porta da quando vive sola, e la porta si apriva di un terzo, mi allungava i soldi, prendeva le buste, ringrazia a e spariva dietro la porta. Scendendo le scale si sentiva altro sferragliare.

Una volta finito il lockdown, i rapporti con la signora e la vicina di sotto erano diventati più amichevoli: se ci si incontrava per le scale si scambiavano volentieri due parole.

Un giorno, mentre alternavo lo smart working con le faccende domestiche, sento un rumore provenire dalla finestra del bagno. La mia compagna, Benedetta, era al lavoro: per lei purtroppo lo smart working non esiste. Mi affaccio, e sui fili per stendere trovo un tappeto: non può che essere caduto alla signora Luisa. Lo porto in casa, aspetto le 17 per la fine del mio turno di lavoro, e glielo porto sù. Suono, e sento: "Un attimo!" La signora guarda dallo spioncino, mi vede, e apre sferragliando.

“Buongiorno Domenico! Mi devi scusare, mi è caduto mentre lo rientravo. sarei scesa più tardi, non volevo disturbare… E’ pulito comunque, eh!”

“Buongiorno, si figuri, nessun problema!”

La guardo, forse la squadro… ma ha indosso un camice, sporco di vernice. Sapevo già che dipinge, lo aveva detto in uno degli incontri casuali. Così le chiedo: “Tutto bene signora? Stava dipingendo? ”

“Sì, stavo… rimaneggiando un vecchio disegno che non mi piaceva più.”

Ci fu un attimo di pausa… “Benedetta è al lavoro?” mi chiese.

“Sì, oggi fino alle 20… altra giornata piena!”

“Eh, me lo diceva che ha turni un po’ massacranti… ma entra! Entra pure!”

Accettai volentieri, non ero mai entrato in casa sua. Era divisa come la nostra: sulla sinistra la cucina, sulla destra due camere, il bagno in mezzo. Entrammo, si diresse verso la cucina, che aveva trasformato in laboratorio di pittura: il cavalletto accanto al tavolo, ricoperto di colori e pennelli.

“Accomodati!” disse indicando il divanetto.

La casa era in ordine, e profumava. Lei si tolse il camice e lo poggiò sulla sedia. Ebbi così modo di ricordare cosa mi aveva colpito di questa donna: un culetto scolpito da far invidia a certe ventenni, contenuto da un bel paio di jeans, comodi, ma aderenti quanto basta a far gridare a quel culetto “Sono ancora sodo, che credi?!?”.

Ammetto che il pensiero di essere in casa con una donna ancora capace di attirare la mia attenzione, giusto al piano di sopra casa mia, mi turbò per un attimo. Quindi cercai supporto nell'ambiente che mi circondava. Vidi una decina tra piccoli dipinti e foto appese al muro. Allora mi alzai e andai a guardare più da vicino. Perlopiù erano paesaggi, e un paio di foto dei nipoti. Chiesi se i quadri erano suoi, e rispose di sì. Mi raccontò che dipingeva da quando era entrata in pensione, ma che aveva quasi smesso durante la malattia del marito. Poi parlò parecchio… tanto. Mi raccontò della sua vita, mi offrì “un caffè, una cedrata, qualcosa?”. Accettai la cedrata, molto fresca, che sorseggiai mentre mi raccontava della sua vita e di quanto amassero viaggiare, lei e il marito. Ma capii che per viaggiare intendeva prettamente nei confini regionali, sconfinando in toscana e in veneto. Era gente semplice, come avevo immaginato, con una vita di lavoro alle spalle. Ci ritrovammo sul divano con lei che mi stordiva di parole mentre mi mostrava delle foto da un piccolo raccoglitore che non ricordo nemmeno da dove avesse tirato fuori. Foto di lei da giovane col marito e i figli… poi i nipoti… poi un altro album. Non mi ero accorto che in tutto questo si era seduta accanto a me, appoggiandosi a me, mentre mi mostrava le foto. Sentivo il calore del suo corpo minuto. E mi ritrovai con una mezza erezione, che tentai di reprimere: i pantaloncini della Domyos non mi avrebbero aiutato in alcun modo a nasconderla, quindi dovevo impegnarmi. Dopo qualche altra foto, fece una pausa: “Scusami, ti sto annoiando… sai, essendo sola quando mi capita qualcuno con cui parlare… perdonami”

“Nessun problema! Anzi!” la rassicurai “fa piacere anche a me parlare… sono solo in casa tutto il giorno anche io. Lo smart working è alienante!”

“Eh, lo immagino… Benedetta è spesso fuori” così dicendo poggiò l’album di foto sulle sue gambe, e continuò a sfogliarlo con la mano destra. La mano sinistra invece si poggiò sulla sua coscia. Parlava ancora lei… raccontava qualcosa, ma io ormai tenevo d’occhio quella mano, sperando fosse una mano di buone intenzioni. Non controllai, ma immagino che i pantaloncini si fossero del tutto arresi all’idea di non poter nascondere quella che sentivo essere una erezione ormai matura. La mano si mosse, la sentii passare sulla mia coscia e avvicinarsi lentamente al mio cazzo eretto. Ebbi un brivido quando la mano ci passò sopra, assaporandone forma e turgidezza.Il calore della mano attraversò il tessuto di pantaloncini e boxer. Lei sorrise, mi guardò, e disse con una voce calda, profonda e sensuale “Se faccio qualcosa che non ti va, dimmelo...”. Poi riprese a parlare, a raccontare. Nel frattempo la sua mano massaggiava il mio cazzo da sopra i pantaloncini. Ci mise poco a prendere iniziativa e salire verso la cinta, sollevò quanto bastava la maglietta e si intrufolò sotto l’elastico di pantaloncini e boxer… arrivando a meta. Dapprima schivò il cazzo in erezione, per arrivare alle palle e accarezzarle, sentirle e scaldarle, poi tornò indietro e impugnò il cazzo con decisione. Non ci vidi più, ormai la guardavo con una voglia enorme di sbatterla su quel divano. Lei capì. Guardandomi, mi disse “Io però ho solo sete...”. Posò l’album sul suo lato destro, liberò anche la mano sinistra dalla presa del cazzo, la estrasse e fece per abbassarmi i pantaloncini. Mi sollevai sul divano per agevolarla, e lei mi sfilò pantaloncini e boxer insieme, liberando il mio cazzo, che ormai non vedeva l’ora di conoscerla. Lei lo guardò, poi guardò me: “Non pensare male di me…” La stoppai, intervenendo in maniera decisa “Sà una cosa, Luisa? Ha ragione… lei parla un po’ troppo…”.
Così dicendo liberai il mio braccio dalla pressione del suo corpo, che ormai si era del tutto appoggiato sul mio lato destro, lo allungai, lo poggiai sulla sua schiena e salii fino ad affondare la mano nei suoi capelli. Ho una mano grande, che mi permise di afferrare la sua testolina quasi toccando entrambe le orecchie con pollice e mignolo, le girai il viso verso il basso e spinsi dolcemente ma con decisione la testa verso giù. La prima cosa toccata dal mio glande fù il suo palato interno: aveva spalancato la bocca.

La sua bocca accogliente mi stava facendo impazzire. Alternava movimenti ritmici su e giù a momenti di solo topping con le labbra e la lingua, che si concludevano sempre con un affondo, che io facilitavo facendole sentire la mia mano sulla sua testa. Era tutto molto rilassante ed eccitante allo stesso tempo. Una donna sulla settantina mi aveva accolto nella sua casa, la stessa casa dove aveva vissuto una vita col marito, e adesso aveva il mio cazzo in bocca. Sentivo la sua voglia, e vedevo i suoi movimenti delicati ma decisi. Con la mano sinistra le raccolsi i capelli, mi risistemai sul divano. Lei non tolse il cazzo dalla bocca neanche mentre mi muovevo. Con la sinistra le raccolsi i capelli, per darle un po’ di respiro, e tolsi la destra dalla sua nuca, facendola scivolare lungo la schiena fino al sedere. Le accarezzai dolcemente il sedere. Lei ebbe un sussulto, si sollevò, mi guardò con gli occhi sgranati. Aveva le labbra bagnate ma composte: “No! Non toccarmi per favore” disse. e si adagiò seduta sul divano, sguardo fisso nel vuoto. Capìì cosa stava pensando. Le accarezzai i capelli, le dissi “Mi spiace, non volevo…”. Una pausa che sembrò lunga una vita. La mia erezione non ne voleva sapere di andare giù, ma non era il caso di continuare. Sentivo che era cambiato il clima: era teso, e lei era combattuta dentro. Così mi alzai e mi tirai sù boxer e pantaloncini. Lei si girò a guardarmi: “Mi dispiace, scusami”. “Non scherzare” le dissi - “Per me non è successo nulla”.

Si alzò anche lei, ci avviammo verso la porta, uscii. “Ciao.” disse, e chiuse la porta, senza sferragliamenti.

Tornai giù frastornato. L’erezione non accennava a cedere.
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