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Lui & Lei

Le sigarette


di alessandro1987
11.08.2015    |    7.411    |    2 9.5
"Lui fremette, e con lo sguardo si gettò sul seno di lei, parzialmente visibile, raccolto in un sensuale reggiseno nero, forse di pizzo..."
"Maledizione, ho di nuovo finito le sigarette," pensò, guardando deluso l'ennesimo pacchetto vuoto. Ultimamente aveva ripreso a fumare con una certa regolarità, forse per via del nuovo lavoro, chissà, ad ogni modo era di nuovo ora di scendere alla tabaccheria per la rituale conferma del proprio incorreggibile vizio.

Prese le chiavi e, aperta rapidamente la porta di casa, uscì ed iniziò a scendere. Percorreva i gradini a due a due, tipico di chi conosce bene il percorso; può sembrare strano, ma le scale non sono tutte uguali!

Attraversò il portone del palazzo ed arrivò infine in strada, si incamminò sulle strisce pedonali, occhi fissi verso l'obiettivo. Il distributore di sigarette era davvero una comodità, una sorta di àncora di salvezza, per non dire che l'avevano pure messo di fronte a casa, questi tentatori maledetti!

"Cazzo, ti pareva! le Marlboro sono finite, uff, mi tocca fare un salto dentro, voglia zero," pensava, e intanto percorreva quei 2 metri che lo separavano dall'ingresso della tabaccheria. Appoggiò la mano sulla pesante porta di vetro, fece un passo e al contempo spinse per aprirsi la strada. Nell'entrare, notò subito con lo sguardo una bella signorina, dietro il bancone, mai vista prima.

Era decisamente il suo tipo, capelli castano chiari, lisci e raccolti dietro, avrà avuto massimo 25 anni, un viso sexy e un gran bel seno, un biglietto da visita niente male. Si avvicinò, certo dimenticandosi rapido della scocciatura delle sigarette, raggiunse il bancone e fece per aprir bocca, ma fu subito interrotto dalla voce di lei: "Ciao, dimmi tutto!"

Altro che tutto. Certo, forse non era un latin lover navigato, ma c'era comunque una certa consapevolezza del fatto che iniziare il dialogo con una donna, dando piena voce a quello che gli passava per la mente in quel momento, beh, forse non fosse il caso. Decise quindi di mascherare i propri, più reconditi, pensieri, e rispose: "ciao, senti, avete le marlboro rosse? il distributore le ha finite."

"Sicuro!, aspetta che te le prendo," e fece per girarsi. Per i successivi 3 secondi, e forse più, non vi era parola sensata che sarebbe potuta uscire dalla bocca del nostro eroe. Gli shorts della ragazza erano l'unica cosa che il suo cervello potesse recepire in quel momento. Oltre, ovviamente, al contenuto. Era un culo meraviglioso, alto, sodo, le gambe lunghe e snelle si accompagnavano perfettamente ad un colorito abbronzato, nell'insieme un qualcosa di celestiale a cui gli abiti non davano che il tocco finale, o il colpo di grazia, a secondo del lato della barricata.

Cercò di indovinare le forme di ciò che non era concesso agli occhi di vedere, ma dovette interrompersi, purtroppo il pacchetto di sigarette non era andato a nascondersi, per aiutarlo: "ecco qui," riprese lei. Lui subito alzò lo sguardo, per poi ripiombare a metà altezza, e ancora di nuovo su, in un istante, credendo stupidamente di non essere stato notato. Lei sorrise, forse intuì qualcosa, e dopo che lui ebbe preso le sigarette e pagato, lo salutò, più con gli occhi che a voce, e lo guardò allontanarsi, mentre il povero e maltrattato (involontariamente) ragazzo girava veloce i tacchi per non peggiorare la sua situazione.

Se vi state chiedendo di quale situazione stia parlando, beh, dovete provare ad immaginare quello che aveva appena visto. A pochi passi da lui, qualche istante prima, c'era un corpo splendido di donna, così vicino eppure incredibilmente distante, un qualcosa che non avrebbe lasciato indifferente una persona con molti più anni ed esperienza sulle spalle di lui, figuriamoci un giovane ragazzo, in preda alle tempeste dell'età.

Salì a casa, chiuse la porta dietro di sé, si sedette sul divano, in preda ad una febbrile eccitazione. "Cazzo, ma quanto figa era," iniziò, "e poi da dove sbuca, dov'è finito Gianni? ma ti pare che io mi debba trovare di fronte una tipa simile, così a caso". "E poi, che figura da imbecille! Potevo almeno dirle due parole, ma anche una parola, qualcosa!" E si martoriava così, ripercorrendo con la mente tutti gli istanti che aveva appena vissuto.

Si accese una sigaretta, cercò di calmarsi, di pensare ad altro. Non funzionò. "Devo tornare giù, con una scusa, tornare giù, sì, e chiederle di vedersi". Subito ritornò

sui suoi passi: "chiederle di vedersi? ma pensa te, questa non so chi sia, lei non conosce me, figurati se le chiedessi una cosa simile cosa mi risponderebbe!". "Sono un cretino," aggiunse, questa forse non la pensò e basta, ma la disse proprio ad alta voce. Non è che avesse particolari colpe, in fondo, era rimasto colpito da una ragazza, e non poteva levarsela dalla testa. Solo che, come tutti gli uomini, non sapeva gestire la cosa, e di sicuro in quel momento non era in grado di elaborare un piano efficace.

Si fumò un'altra sigaretta, e, per nulla calmatosi, ritornò a pensare, sul divano, con la testa tra le mani. "Ok, devo tornare giù, non importa cosa farò, devo tornare, assolutamente."
"Può anche essere che in questo momento sia arrivato qualcun altro, più sveglio, e che se la stia cucinando per bene, cazzo, devo sbrigarmi." Era completamente andato di testa, e dire che fino a qualche decina di minuti prima il suo unico interesse era comprare le sigarette.

Riprese le chiavi di casa, scattò giù dalle scale, aveva chiuso la porta di casa? Ma che domande, chi se ne frega! Attraversò nuovamente la strada, riaprì la porta vetrata e ripiombò nel locale. Un'impresa! Solo che, non aveva pensato ad alcuna scusa per parlarle di nuovo, a niente proprio, si era messo in moto senza prima schiarirsi le idee.

Ma il destino voleva dargli una mano.

Diversamente da prima, ora c'erano 2 persone in fila, e quindi aveva tempo per pensare. Non che sperasse di trovare chissà quale brillante argomento per una piacevole conversazione, ma almeno un qualsiasi lurido motivo per fare la coda doveva averlo, no?
"Trovato!" esclamò, ma solo nella sua testa, si intende. Si era appena ricordato che, in effetti, la tabaccheria era anche un bar. Non un bar particolarmente accessoriato,
un classico baretto, ma più che sufficiente per i suoi scopi. Se avesse ordinato qualcosa al bar, avrebbe potuto sedersi e pensare a qualcosa di più costruttivo che non una cazzatella mordi e fuggi da pochi secondi. Rinvigorito da quella geniale trovata, quantomeno rispetto a ciò che il suo cervello in quel momento era in grado di elaborare, si calmò un po', e preparò la sua parte.

"Oh ciao, non dirmi che te le sei fumate già tutte," disse lei, quando se lo ritrovò davanti dall'altro lato del bancone. "Eh?, no no, ah ah, veramente volevo fare colazione!". Coglione. Era quasi l'una, colazione? Però lei sorrise e rispose: "Ok, siediti pure ad uno dei tavolini, cosa ti porto?". Ecco, ripensandoci, se vuoi fare
colazione di norma hai anche una qualche vaga idea di cosa ordinare, ma non era questo il caso, si intende. Ma la risposta non tardò ad arrivare: "Un cappuccino e una brioche, con la marmellata," aggiunse, "grazie mille". Frittata completa. Indovinate cosa non beveva e non mangiava MAI per colazione il nostro diversamente intelligente amico? Si, esatto.

Si sedette al tavolo, ebbe tutto il tempo di mettersi a suo agio, e di osservare la ragazza preparare il cappuccino. Era veramente bella, ma era più che bella, non aveva veramente alcun senso che fosse lì, in un misero bar. E non sono di parte, è la mia spassionata e veritiera opinione: era alta, e quelle gambe, quelle gambe, perfette, toniche, la slanciavano ancora di più. Non stupisca quindi che lui fosse totalmente rincoglionito.

Lei si avvicinò con il vassoio, si chinò per poggiare la tazza sul tavolino. Lui fremette, e con lo sguardo si gettò sul seno di lei, parzialmente visibile, raccolto in un sensuale reggiseno nero, forse di pizzo. I seni, spinti dalla gravità, mai così amica come in quel momento, sbocciavano grazie ad essa in tutta la loro generosa dimensione, docili ma anche imponenti, sontuosi e carichi, un richiamo animale e inconfondibile.

Lei non poté fare a meno di notarlo, con gli occhi fissi sul suo seno, era buffo, ma anche dolce, le piaceva quell'attenzione. Prese il gioco in mano: "Vuoi della cannella nel cappuccino?", "no, grazie, va benissimo così," rispose lui, distogliendo controvoglia gli occhi da quel corpo così invitante. "Sai, a molti piace, ma io non lo capisco!" riprese lei, avendo capito di essere risultata interessante. Il ragazzo, in un lampo di lucidità, rispose: "Oh, se è per quello non lo capisco nemmeno io, a me il cappuccino piace classico, sì, normale insomma." Menzogna spudorata. Seguirono i classici 2 secondi di imbarazzato silenzio, tipici di quelle situazioni in cui si ha così tanto da dire, e da dirsi, che i pensieri si accavallano e non esce nulla, un maledetto imbuto.

E'ancora lei a gestire il tutto: "Abiti qui vicino? immagino di sì, altrimenti non saresti tornato così in fretta dopo pochi minuti," sorrise. "Eh, proprio di fronte alla strada, si, lì dove vedi quel vecchio portone di legno," e tese il braccio, allungando al contempo l'indice attraverso la vetrata del bar, in direzione della sua abitazione.
Lei guardò per un istante là dove veniva indicato, ma subito si girò ancora verso di lui e continuò: "ah, ecco, e vieni spesso qui a fare colazione?"
"Qualche volta," cioè mai, rispose lui.

Un attimo prima che l'ennesimo silenzio alzasse la voce, coprendo i pensieri dei nostri due ragazzi, si sentì un sordo rumore di porta che sbatte. "Che palle, non so dove sia il fermaporta, aspetta un attimo, scusa," disse lei, e si allontanò un attimo. Lui cercò di riordinare i pensieri, non riuscendoci, complice l'armonioso ancheggiare della misteriosa ragazza, che allontanandosi lo aveva ipnotizzato per l'ennesima volta.

La pausa fu però positiva, infatti, al ritorno di lei, partì all'attacco: "ma non ti ho mai vista qui, sei nuova?" chiese lui. "Diciamo di si, in realtà sono qui soltanto oggi, mio zio Gianni non poteva proprio esserci stamattina, e mi aveva chiesto di venire a sostituirlo, anzi, direi più che altro a fare presenza, visto che alla fine è un giorno parecchio piatto."

"Ma certo, è nipote di Gianni! come ho fatto a non notare, cioè, almeno mi pare, ci sia una certa somiglianza, ma poi che cavolo me ne frega," pensò il ragazzo.
"Sei la nipote di Gianni! ora capisco, piacere Luca," e fece per allungare la mano verso di lei, che subito rispose, accompagnando la stretta di mano alla sua voce: "piacere, Silvia."

Finalmente, un passo avanti, ora almeno Luca sapeva il nome della sua piacevole torturatrice.

Le ore successive furono piacevoli, dopo le rispettive presentazioni il dialogo era proseguito quasi senza intoppi, lui si era ormai accampato a quel tavolino, e lei, divertita, chiacchierava, eccome se chiacchierava, e poi quel giorno sembrava che i clienti abituali si fossero dimenticati dell'esistenza di quel bar, certo non un buon auspicio per gli affari, ma non era quello il momento di preoccuparsi di certi dettagli.

"Ma quindi forse ti ho già vista da piccola!" disse Luca, "magari nel parco giochi in fondo a via Aselli, mia mamma mi portava spesso lì", aggiunse. "E' possibile, ci andavo pure io, però non penso tu possa riconoscermi dai tuoi ricordi, ero cicciottella e avevo i capelli più chiari di adesso, e pure un po' ricci," rispose lei. "Ah ah, dai, cicciottella tu? non vedo come! hai un fisico splendido!" riprese lui, ormai sciolto. Lei sorrise, e i loro occhi si incontrarono dolcemente per qualche istante, fino a che lei non interruppe esclamando: "perché non andiamo al parco giochi?!".

"Al parco giochi? Ahah, che idea! a fare che? Vuoi andare sullo scivolo?" rispose Luca, ridendo. "Ah ah, e se fosse?! Se non vuoi portarmici puoi dirmelo!" disse Silvia, accennando un broncio malriuscito. "Ma no dai, ti ci porto, ma per il bar come fai?" - "Tanto oggi non viene nessuno, e poi sono quasi le 18, posso anche chiudere, altrimenti se tardiamo ancora sarà il parco a chiudere," aggiunse ridendo. "Ahah, ok, andiamo."

Lei seduta sull'altalena, lui a spingerla. Non ci si poteva credere, tantomeno poteva crederlo lui, che infatti non ci credeva, ma fingeva di crederci perché era un sogno troppo bello. Lui la spingeva, accompagnando il movimento dell'altalena con le sue mani, lei era contenta, e si lasciava giocare con leggerezza. "Sai," riprese lei, "ripensandoci, è strano che ora io e te siamo qui, in questo posto, quando poche ore fa non sapevamo l'uno dell'altra!". "E' vero, è strano, ma mi piace stare con te," rispose lui. "Ah ah, una frase un po' anomala, detta da uno che conosco da circa mezza giornata," e si mise a ridere.

Luca un po' si rabbuiò, certo, non pretendeva di essere l'amore della sua vita, però sentiva forte qualcosa, e non gradiva che, proprio lei, se ne prendesse gioco così liberamente. Silvia saltò giù dall'altalena al volo, si girò verso di lui, e rapida gli andò incontro: "dai scemo! scherzo, non te la sarai mica presa per così poco, anche a me piace stare qui, insieme a te," disse, con tono di voce morbido e delicato.

Lui, quasi istintivamente, la prese per i fianchi, e la strinse forte a sé, non disse nulla, la guardava solamente, e la sentiva vicina, ancor più di quanto la distanza tra i due potesse far intendere. Lei sorrise, lo abbracciò, e stettero in quella posizione per interi minuti.

Dentro di sé, Luca si accorgeva di come, il corpo di lei, caldo e profumato, potesse risvegliare i suoi sensi, il suo essere uomo. Lei se ne accorse, lo guardò dolcemente, e disse: "Sento che ti sto creando qualche problema", sorrise maliziosa, e aggiunse poi: "torniamo al bar, ok? voglio essere ben sicura di aver chiuso bene tutto, non vorrei combinare casini", e dicendolo si sganciò da Luca, il quale non oppose resistenza, e la seguì, mentre si incamminava verso la strada, fuori dal parco giochi.

Silvia alzò in parte la saracinesca, prima abbassata, ed entrò, piegandosi agilmente a circa novanta gradi. Poi aggiunse: "dai, entra, almeno mi fai compagnia no?". Luca la seguì, con i postumi dell'erezione di pochi minuti prima, appena appena attenuati dalla breve passeggiata. Lei si diresse dietro il bancone: "siediti un attimo, al tuo tavolo preferito se vuoi, ah ah, io metto a posto due cose poi andiamo." Lui non disse nulla, docilmente si sedette e iniziò a guardarsi intorno, senza un motivo particolare, e si mise ad attenderla.

"Puoi darmi una mano un attimo?" chiese lei. La risposta non si fece attendere, il ragazzo si alzò in piedi e la raggiunse dietro il bancone, contento di poter essere d'aiuto.

"Ecco, se puoi avvicinarti, ed aiutarmi," disse lei, guardandolo maliziosamente. Luca rimase senza parole, la visione di ciò che lo attendeva gli balenò di colpo davanti. Silvia infatti si era, silenziosamente, levata gli shorts, ed era rimasta in mutandine. Le sue gambe erano davvero marmoree, nonostante la penombra si potevano distinguere facilmente tutti i muscoli, così ben fatti, e le sue cosce, scolpite dal migliore degli artisti.

"Ho voglia di te, Luca," riprese a parlare Silvia, "ho voglia di sentirti dentro di me.."
Lui lei si avvicinò, incredulo, allungò la mano verso le mutandine, nere e decisamente poco ingombranti, e la accarezzò dolcemente. Lei gemette, non appena sentì posarsi quelle forti dita maschili, pregustando tutto il resto. Luca iniziò a masturbarla, prima esteriormente, poi dentro, aumentava e riduceva il ritmo di continuo, per assaporare le diverse sensazioni di lei. Silvia, sempre in piedi, si era piegata leggermente verso il bancone del bar, appoggiandovi le mani, a braccia tese, e lui le rimaneva dietro, premendo con la patta dei pantaloni sul corpo di lei.

Il ragazzo le levò la maglietta, e poi il reggiseno, per raggiungere infine, con entrambe le mani, i suoi seni. Erano indescrivibili, il profumo del corpo della donna lo aveva mandato in delirio, e quelle tette al tempo stesso solide e malleabili certo non lo aiutavano a calmarsi. Continuò per diversi minuti a toccarle, a palparle, a giocare con quei capezzoli turgidi, mentre la sua erezione aveva ormai raggiunto dimensioni insostenibili.

Si chinò sul corpo di lei, con il petto, ora nudo, avvolgeva la schiena di Silvia, e intanto le mordeva il collo, e le spalle, con ferocia, sempre spingendole addosso, da dietro, tutta la sua mascolinità prigioniera.

"Aspetta," disse lei, e si voltò. Lui rimase incantato dai suoi seni, visti frontalmente per la prima volta, così rotondi, così deliziosi, non poté fare a meno di iniziare a stuzzicarli con la bocca, piegando la testa verso di loro. Succhiava come un bambino, immaginando chissà quale nettare, e intanto teneva una mano sul sedere di lei, mentre con l'altra si impadroniva delle sue labbra.

Lei era completamente succube, godeva come non le era mai successo prima, si lasciava toccare, esplorare, sfruttare, in ogni angolo, in ogni momento. Decise di voler ricambiare e, inginocchiandosi, stabilì di aiutare il suo uomo a soffrire un po' meno. Lo aiutò a togliersi i pantaloni, e poi i boxer, facendo così fuoriuscire un cazzo bello duro e sofferente, una cappella arroventata e delle palle ormai in procinto di esplodere. Lo prese subito in bocca, e certo lo faceva con gusto, muoveva la bocca avanti e indietro, percorrendo tutta l'asta, dalla punta fino al ventre, si divertiva a sentirlo mentre emetteva versi animaleschi, come quando, tenendolo tutto in bocca, aveva iniziato a titillarlo con la punta della lingua, pungolandolo come un diavolo fa con i dannati, in attesa della scintilla che potesse far schizzare fuori tutto.

Muoveva le labbra con abilità, intorno al cazzo, sulle palle, e poi gustava appieno ogni centimetro della sua carne, godendo nel sentire come soffriva, per questa straziante attesa della liberazione.

Lui la fermò, con le braccia la sollevò con forza, e lei lasciò fare, avendo capito che era il momento di sfogarsi altrimenti. La mise piegata, a novanta gradi, appoggiata al bancone del bar, ormai completamente nuda e fradicia, la passera aperta, umida, invitante, lei la sentiva sbocciare ogni volta che il corpo di quell'uomo le si avvicinava, le loro carni si chiamavano a vicenda.

A tradimento, di colpo, la penetrò. Da dietro, con violenza, lei sentì la sua figa accogliere con desiderio quel pezzo di carne, duro e pulsante, bollente di passione.
Entrò senza difficoltà, fino alle palle, che sbatterono contro le cosce di lei, per poi allontanarsene, e di nuovo sbattere, in corrispondenza con i movimenti del bacino di Luca. Subito fu raggiunto un ritmo rapido, una foga alimentata da quelle ore di pensieri proibiti, che, ora si poteva dire, avevano attraversato la mente di entrambi.

Lui la scopava selvaggiamente, colpendola con la sua mazza in modo barbaro e primitivo, tenendo entrambe le mani sulle spalle di lei, per darsi forza, e spingere ancora meglio. Silvia, ormai abbandonatasi completamente, aveva piegato la schiena, arresasi al suo benevolo aggressore, la testa cadeva sul bancone, il sudore le imperlava l'intero viso, e le mani, bagnate anch'esse, a fatica tenevano la presa sul bancone.

D'improvviso, arrivò. Lei lo percepì un attimo prima, sentì il cazzo distendersi ulteriormente, e, con un gemito brutale, sentì gli schizzi di lui attraversargli il ventre. Luca venne ripetutamente, dentro di lei, con foga, ad ogni getto corrispondeva una stretta delle sue mani su quel bel corpo femminile, completamente privo di una propria volontà. Silvia teneva il culo bene in fuori per percepire ogni possibile sensazione, in quel momento non le importava altro che di godere e far godere.

I due ragazzi rimasero in quella posizione ancora qualche istante, uniti indissolubilmente, poi, lentamente, ripresero conoscenza, e lui la lasciò andare, sfilando il suo membro con dolcezza. A suon di baci e carezze si rivestirono, e infine, dopo aver controllato che tutto fosse di nuovo in ordine, si avviarono fuori, sulla strada ormai buia. Nessuno voleva dire nulla, nessuna parola sarebbe stata mai sufficiente, e, anzi, avrebbe rischiato di rovinare quei momenti meravigliosi.

"Ci rivedremo?" chiese lui, guardandola intensamente negli occhi, mentre intorno si era fatto un profondo silenzio. "Dipende," rispose Silvia, sorridendo, e aggiunse, "dipende, se passerai ancora dalle parti del parco giochi, in futuro, potresti trovarmi lì," e, con un occhiolino dolcissimo, iniziò ad allontanarsi, lungo il marciapiede.

Luca rimase a guardare nella direzione in cui l'aveva vista allontanarsi, fino a che non fu più visibile, poi, ancora tramortito da quella lunga giornata, attraversò la strada, e tornò a casa.





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