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4 “Donne” in una stanza - 1° parte


di LittleMargot
20.09.2015    |    1.254    |    2 9.5
"Con tenerezza lo baciò sulle guance mentre si stava sistemando la camicia, quindi uscì dalla camera e anche dall’ufficio..."
(nota: seguito di "Questione di altezza", con accenno velato a .... scopritelo!!)

Quel lunedì mattina, negli uffici della Gothelm Corporation, nessuno si stava preoccupando per l’assenza di Marc Gothelm e Alejandro Gutierrez. Erano quasi le 11, e benché più di qualche volta Marc non si fosse presentato in ufficio al mattino del lunedì, mai era capitato che mancasse anche Alejandro, considerato da tutti il braccio destro di Marc, ovviamente nessuno era a conoscenza della loro seconda identità. L’ipotesi che più circolava tra il personale dell’azienda, però, era quella che Marc avesse portato con sé Alejandro per fare baldoria in qualche locale idoneo per un tipo come il loro titolare. In un certo senso ci avevano quasi azzeccato, certamente la baldoria l’avevano fatta, ma a modo loro. Comunque, giusto per rispetto ed educazione, quando Angela attraversò l’atrio dell’ufficio di Marc, che poi era la zona dove c’era la postazione lavorativa di Alejandro, si fermò un attimo a guardare la scrivania di quest’ultimo, sempre in perfetto ordine. Sistemò gli occhiali e i capelli come se dovesse parlargli prima di entrare nell’ufficio del capo, guardò quella sedia, e una specie di sensazione elettrizzante passò per la sua mente: “Vorrei essere io la tua titolare, Alejandro”, mormorò tra sé, “mica per i soldi... ma saprei cosa fare con te per divertirmi, se non fosse per il marito da guardia che mi ritrovo... ah! Alejandro, abitiamo a pochi isolati di distanza, e non ci siamo mai incontrati per strada, nemmeno per caso o per sbaglio!”, e sbuffò. Giunta alla porta dell’ufficio di Marc bussò pur ben sapendo che non c’era nessuno all’interno, e non ricevendo risposta entrò. Guardò l’angolo in cui Marc teneva le mazze da golf, sorrise tra sé pensando come ad un uomo di quel calibro potessero piacere passatempi che lei giudicava puerili, ma si sarebbe certo ricreduta se fosse stata a conoscenza di certe visite in minigonna e tacchi alti che lui riceveva talvolta dopo le 19.30 quando in ufficio non c’era più nessuno degli impiegati, tranne il fidatissimo Alejandro. Liberatasi da certi pensieri Angela si avvicinò alla massiccia scrivania di Marc e vi pose sopra il registro con i documenti da firmare o dei quali doveva prendere visione, e tra questi vi era un fax molto importante giunto poco prima da Roma. Guardò ancora la scrivania prima di richiudere la porta, riattraversò l’ampio atrio dove lavorava Alejandro, guardò ancora la sua scrivania e una fitta la prese allo stomaco, si era immaginata seduta sulle sue gambe a farsi fare piacevoli massaggi al seno, si mordicchiò le labbra, e s’avviò nel corridoio, pensierosa.
“Qualcosa ti turba?”, chiese Philip, l’assistente del capo contabile, “posso aiutarti in qualche modo?”.
“No, grazie”, rispose Angela sconsolata andando verso il suo piccolo ufficio quasi in fondo al corridoio, camminando veloce sulle sue scarpe basse color marrone, che più si addicevano a una donna di 70-80 anni piuttosto che a una giovane trentenne come lei, ma il marito non le permetteva di vestirsi alla moda, con qualcosa di elegante, appariscente o chic, o di avere un taglio di capelli che fosse diverso da quello di Nonna Papera! No, suo marito non glielo permetteva, e prima di lui non glielo avevano mai permesso nemmeno i suoi genitori... ‘guai ad attirare l’attenzione, è peccaminoso’ si era sentita recitare quotidianamente fin da quando era bambina.

Erano quasi le 14.30 quando delle sonore risate gioiose che arrivavano dall’atrio vicino agli ascensori avevano fatto intuire a George, addetto alla portineria, che Marc ed Alejandro stavano per arrivare. Aperta la porta, Marc salutò George con un sorriso smagliante di quelli che ti mettono una carica positiva anche se è appena lunedì, ma lavorare alla Gothelm Co. significava avere l’umore in positivo tutti i giorni, da lunedì mattina a venerdì sera, e a qualche impiegato dispiaceva che il sabato e la domenica gli uffici fossero chiusi. Ad una riunione dell’anno precedente, in Ottobre, durante la quale qualcuno aveva paventato l’idea di poter venire al lavoro anche al sabato mattina, Marc oppose un energico quanto garbato rifiuto, motivandolo col fatto che al sabato ci si debba dedicare alla propria persona e alla vita privata, al menage famigliare, ad altre cose, insomma, oltre al fatto che al sabato mattina lui stesso aveva bisogno di starsene in ufficio per poter svolgere con tranquillità a serenità delle cose importanti che altrimenti non avrebbe potuto fare nelle altre giornate, e lo disse con una tale e seria convinzione che ad Alejandro quasi scappò da ridere ben sapendo quali erano, per la maggior parte, gli impegni importanti di quasi tutte le mattine dei sabati in cui Marc andava in ufficio. Terminata quella riunione, infatti, Alejandro gli chiese, in disparte, quali sarebbero stati gli impegni del sabato successivo, e Marc rispose, tranquillamente: “controllo del bilancio mensile dalle 9 alle 10 ed analisi intima ed approfondita a Veronica dalle 10 alle 12... pare abbia uno dei canali bassi che non sintonizza bene”, e gli strizzò l’occhio.
“Tra un po’ ti raggiungo”, disse Marc ad Alejandro, “vai pure avanti”. I due si salutarono dandosi il ‘5’, George sorrise nel vedere l’impatto tra quelle due mani, sembravano un gigante ed un bambino, quindi Marc imboccò il corridoio di destra per fare il giro dei vari uffici e salutare i suoi dipendenti.
“Qualche novità, Ralph?”, chiese al supervisore dei siti produttivi.
“Praticamente tutte buone, riusciamo a rispettare le tabelle di marcia con gli ordini. La filiera numero 4 di Houston è entrata in manutenzione come programmato, nessun infortunio rilevante a parte una caduta accidentale nel reparto di stoccaggio 2 sempre a Houston, una caviglia slogata, mentre nel reparto componenti elettronici a Philadelphia un addetto alla movimentazione dei materiali ha preso la scossa con i carica batterie dei trans-pallets... niente di serio, l’ispettorato del lavoro ha già fatto tutti gli accertamenti, non erano stati indossati i guanti di gomma da parte dell’operaio, comunque, solo un po’ di paura, e nient’altro. Quanto alla conversione della vecchia fabbrica di armi a Boston, le cose vanno a rilento, è una trafila un po’ lunga con i permessi per gli appalti alle ditte che dovranno farci i lavori, i progetti per le nuove linee produttive sono stati approvati già da 7 mesi... beh, lo sapete, si tratta solo di sistemare gli ambienti di lavoro, il budget è corretto, comunque è questione di poco e... perché sorridete? C’è qualcosa che non so?”.
“An, no... niente, pensavo ai trans-pallets e mi è venuto da ridere, così...”, rispose Marc congedandosi dal precisissimo ma anche poco loquace Ralph. Poi Marc si trattenne una decina di minuti nell’ufficio che gestisce le questioni legali, poi passò agli uffici amministrativi e infine alla segreteria.
“Ben arrivato dottor Gothelm”, lo salutò Angela alzandosi in piedi. Marc la salutò e contraccambiò con un sorriso, ma in fondo gli dispiaceva molto vederla così imbacchettata ed austera nei modi di fare e nel look personale, era un’ottima impiegata, perfetta nel suo lavoro, ma ai suoi occhi aveva quel non so che di una persona che mai sarebbe riuscita ad emergere o a farsi notare, avrebbe voluto capire cosa si celasse dietro quella sua inquieta solitudine sul lavoro, ma non aveva mai avuto il coraggio di affrontare quella situazione direttamente con lei, gli sembrava di essere poco, se non per niente, pertinente, e, comunque, invadente. “Stamattina ho portato nel suo ufficio tutti i documenti che necessitano di essere controllati da voi e che richiedono la vostra firma”, continuò, “ed ha telefonato vostro fratello Wolfgang, stamattina era a Boston a seguire il da farsi per quella vecchia fabbrica da sistemare, mi ha accennato a dei documenti d’archivio, molto vecchi, recuperati all’interno della fabbrica un paio di settimane fa, gli è dispiaciuto di non avervi ancora detto nulla, comunque si farà vivo lui in questi giorni”.
“Ah, bene, grazie”, rispose Marc, “ottimo tempismo”, le disse con un sorriso di quelli che ti caricano per un’intera giornata. Quindi, con passo atletico, si diresse verso il suo ufficio salutando gli altri che non aveva visto prima. “Eccomi qui, Alejandro”, gli disse Marc, “ho molto da fare fino alle 19 almeno, dai disposizioni a George che non mi venga passata nessuna telefonata, neanche quelle interne, scusami ma ho dimenticato di dirglielo, ero un po’ su di giri. Poi, alle 19, vieni in ufficio da me, dobbiamo parlare a quattr’occhi di una cosa molto importante”, concluse con una strizzatina d’occhio contraccambiata dal sorriso smagliante di Alejandro che nella mente di Marc faceva rivivere tutte le emozioni di quelle ultime settimane.
“Mi raccomando”, rispose Alejandro in tono autorevole, “lavora con profitto, altrimenti una certa ‘mistress’ potrebbe anche punirti severamente”.
“Davvero?!”, rispose Marc, “Allora vorrà dire che giocherò a minigolf fino alle 19...”.
“Ah!”, replicò secco Alejandro tirandogli addosso una gomma da cancellare che Marc prontamente schivò prima di entrare, ridendo, nel suo ampio ufficio.
Marc entrò e si adagiò comodamente sulla sua ampia poltrona, quindi cominciò a controllare i documenti che Angela aveva portato lì al mattino, per buona parte si trattava delle solite cose di ordinaria amministrazione, però alcuni documenti richiedevano una certa attenzione, avendo a che fare con questioni amministrative, sindacali, contrattuali ed anche tecniche. Ebbe un sobbalzo quando vide il fax arrivato da Roma la mattina stessa, un fax inviato dalla ‘Berenghi Medical S.p.A’ con sede nella zona periferica di Roma. Il suo pensiero andò subito alla titolare, Mara Berenghi, a quella donna graziosa che mai aveva conosciuto realmente di persona, se non in videoconferenza, e che esercitava un certo fascino su di lui. Aveva intuito che era di corporatura minuta, e quei capelli a caschetto, corti con quel taglio che ricordava ‘Aleja’ stimolavano ancor più il suo desiderio, ma si era rassegnato all’idea che in mezzo c’era un oceano e che certamente era una donna sposata e soddisfatta in pieno sia della vita sentimentale che di quella professionale, per cui era meglio metterci una pietra sopra e non pensarci più. Doveva ancora iniziare a leggere il fax che già la sua mente andò ad immaginare degli scenari difficili per la trattativa sull’utilizzo del brevetto per il prototipo che la ‘Berenghi Medical S.p.A.’ stava per fare omologare dal ministero in Italia.
“Sarà molto dura spuntarla bene qui, con quel caratterino che deve avere quella donna! Chissà quante clausole e quanti cavilli che vorrà imporre, controrichieste e aggiustamenti che pretenderà...”, mormorò Marc tra sé mentre leggeva il preambolo di quel fax, “ma sarà una lotta molto piacevole, a colpi di offerte e controfferte, rialzi e ribassi, e riuscirò a spuntare un contratto vantaggioso, comunque per entrambi, eh, anch’io sono un osso duro, e con me ce n’è da rodere, piccola Mara...”, continuava mormorando tra sé. Ma, ad un certo punto, sgranò gli occhi: “E questo cosa vuol dire?! No! Non ci posso credere... ‘si accettano le condizioni da Voi proposte nell’offerta dello scorso 16 Febbraio’...’per quanto ai trasformatori ed adattatori per il voltaggio e la frequenza dell’energia elettrica si approva lo standard di produzione U.S.A. con fornitura delle suddette apparecchiature da parte di aziende da Voi scelte, con componentistica elettronica sia di marca U.S.A. che tedesca oppure la costruzione delle parti elettriche ed elettroniche con componenti già adatti per la rete elettrica U.S.A., con l’avvertenza che apparecchiature così concepite potranno essere commercializzate per il solo mercato interno U.S.A.’... beh, è anche ovvio, però mi lascia carta bianca nella scelta dei fornitori, ma qui mi si toglie il gusto della trattativa! Ma com’è possibile?”, mormorava ancora tra sé, “Che ci siano degli intoppi burocratici per l’omologazione ministeriale da parte dell’Italia?! O c’è qualcos’altro sotto?! A me pare sia tutto in perfetto ordine se non di più, e anche secondo i miei tecnici che sono già andati in Italia ben tre volte per i controlli e i test... ma, se è così, io controfirmo ed accetto subito, comunque con riserva di ufficializzare il tutto con un incontro di persona”. Quindi Marc scrisse anche la risposta proponendo a Mara Berenghi di fissare un incontro presso il suo ufficio legale in Italia che si occupa delle contrattazioni e dei brevetti, e che ci sarebbe andato lui di persona oppure una persona di fiducia dello staff con piena delega a trattare. Stampò quel foglio e lo firmò, e lo pose dentro il cassetto dei fax in partenza, sarebbe stato spedito la mattina successiva. Ebbe anche la tentazione di telefonare alla Berenghi S.p.A., ma guardò l’ora e comprese che con il fuso orario di ben 7 ore molto difficilmente poteva esserci qualcuno a rispondere al telefono se non il custode notturno, dato che in quel momento, a Chicago, erano già da poco passate le 17. Marc si alzò e prese una lattina di tè verde dalla piccola dispensa che teneva in un ripostiglio presso il suo bagno personale, se la scolò in un batter d’occhio, quindi si risedette alla sua poltrona per continuare a lavorare diligentemente fino alle 19 come aveva promesso, ad eccezione di una telefonata di cinque minuti con Samantha, ma era in fibrillazione per l’ottima transazione che stava conducendo in porto, ed aveva già pensato alla persona di fiducia da mandare in Italia per la trattativa su quel nuovo brevetto.
Alle 18.30, come di consueto, il personale cominciava già ad andarsene, Marc lo capiva dalla consolle a parte che gli mostrava l’immagine dei suoi dipendenti quando davano il ‘logout’ dalla rete aziendale, per lui era come se lo salutassero. Andava fiero del fatto di essere riuscito a creare un’azienda che oltre ad essere ‘high-tech’ era anche ‘high-touch’, e lui di ‘touch’ se ne intendeva molto, in tutti i sensi. Guardava con ammirazione il gagliardetto appeso alla parete a lato, datogli tre anni prima dal sindaco in persona, a lui e ad altri 5 imprenditori per lo stile di direzione e management, e per il clima di soddisfazione personale dei dipendenti. Alle 18.50 se n’era andato anche George dalla portineria, praticamente erano rimasti soltanto Marc ed Alejandro.
Alle 19 in punto, senza sgarrare di un minuto, Marc chiamò Alejandro col telefono interno, gli chiese di fare il ‘logout’ e andare nel suo ufficio. Un paio di minuti dopo Alejandro aprì la porta, Marc provò una certa emozione, nella sua mente c’era ancora l’immagine di Aleja della serata precedente.
“Eccomi Marc”, disse Alejandro entrando ed accomodandosi su una comoda sedia imbottita.
“Abbiamo più di una cosa di cui parlare”, iniziò Marc, “ho deciso di affidare un incarico molto importante ad una persona di fiducia... e qui la persona che gode della mia massima fiducia, in tutti i sensi, sei tu... anche se più di qualche volta mi inchiappetti per bene”, disse poi con un velato sorriso cui ne corrispose uno di analogo da parte di Alejandro,
“Dai, dimmi, non tenermi sulle spine! Per quale nuovo giro esplorativo stai chiedendo la mia preziosissima opera?”, chiese Alejandro nello stesso tono malizioso di Aleja.
“Un giro di esplorazione abbastanza lungo, e non solo di esplorazione, visto che avrai potere di delega nel rappresentarmi, anzi, nel rappresentare la Gothelm Co.”, disse Marc.
“Stai scherzando, vero?”, chiese Alejandro che si era un po’ incupito per la preoccupazione. Certo, lui era anche Aleja, la mistress dominante di Valery, cioè Marc, ma quello era un gioco tra loro due, mentre Marc adesso stava parlando seriamente di questioni aziendali.
“Non sto scherzando... anche se domani è il 1° Aprile. Leggi questo”, e Marc porse ad Alejandro il fax giunto in mattinata da Roma.
“Ma è fantastico, la Berenghi accetta tot-court la nostra offerta senza rilanciare e in più ci lascia anche campo libero nella scelta dei fornitori... vuoi allora chiedermi di preparare la bozza di contratto da spedire in Italia, giusto? Grazie Marc, da domani mi metto subito all’opera”, disse Alejandro con entusiasmo.
“Alt, alt, alt...”, lo fermò Marc alzando la mano destra, “non è questa l’intenzione... ho parlato di un lungo giro di esplorazione. In realtà, ho pensato di spedire te in Italia per una decina di giorni a condurre la trattativa in mio nome, dopodiché invierai le bozze qui via fax od altro, io le controllerò e se ci saranno degli aggiustamenti da fare li segnalerò, cosa ne dici?”.
“Io non so che dire, mi sembra un sogno”, disse Alejandro trasecolato, “dieci giorni... magari ne basterebbero due o tre”.
“Ho detto dieci e dieci saranno, magari anche due settimane, così potrai fare anche il turista, svagarti un po’ e, perché no... fare conoscere Aleja anche da quelle parti. Che ti sembra come idea? Viaggerai in prima classe e ti porterai tutto il bagaglio necessario, fossero anche 4 o 5 valigie , sarai spesato di tutto, potrai prendere in affitto un’auto adatta ad Aleja... la mia pantera!! Sei d’accordo?”, chiese infine Marc.
“Certo, mia piccola Valery”, rispose Alejandro.
“Molto bene, allora domani mattina partirà il fax per la Berenghi, ho scritto che ci andrò io o una persona di fiducia con delega, è prematuro scrivere che ho già deciso di mandare te. Aspettiamo una loro conferma per la data dell’appuntamento e poi invieremo i dettagli”, disse Marc.
“Sarà bellissimo...”, disse Alejandro, “Roma, con il Colosseo, il Lungotevere, Piazza di Spagna, la Fontana di Trevi...”
“...con Aleja che passeggia di notte durante le sue ‘vacanze romane’... e che magari si fa anche un bel giro in Lambretta”, stuzzicò Marc.
“Certo che sì!”, replicò Alejandro, “Ma se non ricordo male si trattava di una Vespa...”..
“Ah! Per caso ti ha punto?”, disse Marc sorridendo, “Molto bene, adesso parliamo di un’altra questione molto importante e di prim’ordine”, riprese Marc, “e cioè dell’organizzazione dell’incontro a quattro per il pomeriggio di domenica ventura, il 6 Aprile”.
“Ottimo, direi”, disse Alejandro, “il discorso prende una piega eccitante”.
“Come già ti ho detto ieri sera, Jennifer e Samantha hanno apprezzato molto il video con l’esibizione di Valery che si dibatte per liberarsi dalle corde con cui era stata legata ad arte dai suoi maldestri rapitori, e così mi hanno chiesto di organizzare un incontro con loro due, e io ho prospettato loro un incontro a quattro, cosa questa che le ha stuzzicate, per non dire eccitate, molto di più. Ti ho già detto che Jennifer, parecchio attiva, non vede l’ora di cavalcare il mio palo con me in versione Valery, e comunque la vedrò qui domani sera, verso le 19.30. Mi ha telefonato venerdì, tre giorni fa, ma ho preferito non dirtelo subito, non volevo che si potesse turbare la nostra atmosfera di ieri. Ufficialmente viene qui per mettere a posto dei documenti contabili per alcune forniture che abbiamo fatto alla ditta per cui lavora. Certo, forse troveremo anche 5 minuti per leggere quella roba là che in realtà è già a posto, però, già lo sai, viene per una lunga cavalcata nella prateria, e dovrò esserci io da solo, in versione ‘Marc’, naturalmente. Anche se ti conosce, preferirei non ti vedesse qui, lei è un po’ sul riservato, a differenza di Pamela, Deborah e Veronica, e non vorrei metterla in difficoltà, spero che tu mi comprenda...”, disse Marc.
“Comprendo benissimo, non preoccuparti”, lo rassicurò Alejandro.
“Ti ringrazio per questo”, riprese Marc, “sei una mistress davvero adorabile”. Fece un attimo di pausa. “Un’ora fa ho telefonato a Samantha, così per salutarla, mi ha detto che si era sentita al mattino con Jennifer per dirle che ha un impegno per sabato pomeriggio, e così l’incontro è stato spostato a domenica, loro saranno alla villa verso le 17, e sarà meglio che arrivino prima di te, ovvero, che è la stessa cosa, è meglio che tu arrivi dopo di loro due, ma non molto dopo, basteranno una ventina di minuti, verso le 17.30, giusto il tempo che si ambientino, e poi farai la tua entrata in scena come Aleja, fin dal cortile della villa...”, disse Marc mordendosi le labbra.
“Fortissimo!!”, si emozionò Alejandro, “Allora uscirò di casa già in versione Aleja, forte, mi divertirò a far rombare il motore della Porsche sotto quei tacchi!”.
“Preferirei che arrivassi con un taxi, la tua Porsche è abbastanza conosciuta nei paraggi dove abiti, la conoscono anche Jennifer e Samantha, si rovinerebbe l’effetto sorpresa”, puntualizzò Marc.
“Hai ragione, non avevo pensato a questo”, disse Alejandro.
“Magari, per il ritorno, ti farai dare uno strappo da una di loro due. In fondo, non sei uno sconosciuto... prima o poi, anzi, più prima che poi, capiranno che mistress Aleja e Alejandro Gutierrez sono la stessa persona, per cui farai il viaggio di ritorno in buona compagnia. E’ inteso che il taxi lo pago io.... sì, inutile che dici no, su questo voglio essere chiaro, non voglio che ci rimetti dei soldi. Ciò che ti chiedo è di essere la stessa Aleja di ieri, e magari di inventarti qualche gioco o situazione particolare visto che saremo in quattro e, visto che non avrò tanto tempo, stavolta, ti occuperesti tu del servizio di catering per la cena? La facciamo arrivare direttamente calda calda, tanto, andranno Samantha e Jennifer ad aprire al fattorino, non è il caso che ci vado io visto che sarò Valery”.
“Temi ti possa saltare addosso?”, chiese Alejandro con malizia.
“Altroché, ho di quelle paure....”, e si mise a ridere di gusto. Poi guardò l’ora: “Certo che il tempo passa veloce quando si parla di cose piacevoli, sono già le 20, l’ora perfetta per scendere al ristorante, che ne dici?”. Alejandro rispose col doppio pollice in su, stile Arthur Fonzarelli detto Fonzie, quindi Marc spense il suo computer. “O.K. allora, dai, andiamo, spegniamo tutte le luci, e l’ultimo...”
“...chiude la porta”, concluse Alejandro.

La sera seguente, martedì, alle 19.10 Alejandro bussò alla porta dell’ufficio di Marc, ed entrò. “Bene, Marc, gli impiegati sono già tutti andati via, l’ultimo come al solito è stato George, un quarto d’ora fa”.
“Perfetto, allora... sai, un po’ mi dispiace che te ne vai, ma questa è la prima volta che Jennifer sceglie una sera tra settimana, di solito predilige il sabato mattina, uno ogni tre... magari vuole farmi il ‘pesce d’aprile’ adesso, di sera...”, disse Marc velando un sorriso furbetto.
“Dai, guarda che comprendo benissimo, cerca piuttosto di avere un’ottima serata. Cenerete insieme, dopo?”, chiese Alejandro.
“Eh, no, no... deve essere a casa prima delle 22.30 e sai bene che abita a una mezz’ora da qui, anche se a quell’ora il traffico è molto più scorrevole”, disse Marc.
“Allora, buona serata ad entrambi, mi farai sapere com’è andata, così magari potrà essere utile ad Aleja per inventarsi qualcosa...”, disse Alejandro con voce sussurrata. Marc sorrise, e si salutarono. Un paio di minuti dopo in quegli uffici regnava un silenzio assoluto.

Alle 19.25 un ‘bip’ dalla consolle della portineria e un led rosso che si era acceso fecero intendere a Marc che la sua solitudine sarebbe durata ancora soltanto un minuto. Schiacciò il pulsante del citofono e, viste quelle sembianze a lui ben note davanti all’ingresso dei suoi uffici, non esitò un attimo ad aprire quella porta che alcuni secondi dopo si richiuse alle spalle della persona che era appena entrata. Lui stava comodo sulla sua poltrona, sguardo fisso alla porta del suo ufficio personale che aveva lasciata aperta per l’occasione.
Un rumore sordo come di qualcosa che viene mollata sopra un tavolo, e poi il classico rumore dei tacchi femminili sul pavimento, un rumore ritmico e sensuale che a poco a poco si faceva sempre più intenso mano a mano che la fonte da cui provenivano si avvicinava. Un classico rumore di strisciata fece capire a Marc che Jennifer aveva appena svoltato dal corridoio nell’atrio che costituiva il ‘regno’ di Alejandro, ed il rumore si faceva sempre più intenso, come più nitida era quella figura quasi tutta in bianco che ormai era a qualche passo dalla porta del suo ufficio. Infine, ecco l’apparizione sulla soglia della porta, una splendida donna di 35 anni, alta 1,70 con un fisico asciutto e slanciato, un vitino invidiabile, 55 kg di peso e un passato, abbastanza recente, di atleta dilettante con una formazione locale, la sua specialità era la corsa ad ostacoli, solo che adesso invece che agli ostacoli atletici doveva far fronte agli ostacoli burocratici ed organizzativi, in special modo per il suo tempo libero.
Un volto ovale perfetto, carnagione olivastra, capelli neri lunghi fin sopra le spalle con taglio del tipo a scalare e belli mossi, due occhi grandi e profondi, scuri, sopracciglia curate alla perfezione e ciglia ben mascarate, un naso ben proporzionato e con la puntina leggermente all’insù, due splendide labbra carnose e luccicanti di un rosso sfavillante, tra le quali spiccava il biancore dei suoi denti perfetti. Sorrise maliziosamente guardando Marc fisso negli occhi, mentre lui osservava quell’impermeabile bianco panna o bianco sporco, comunque alla Sheridan, con la cintura che stringeva ad arte il suo girovita mettendo in risalto le sue forme sinuose oltre ad una bella 4° di seno. Muovendo due dita Jennifer slacciò la cintura dell’impermeabile, quindi passò ai bottoni, aprendoli lentamente uno ad uno, dall’alto verso il basso. Al termine di quella cerimonia, con abile mossa della mano destra ed usando due sole dita, Jennifer si sfilò l’impermeabile lanciandolo verso una poltrona, guardando fiera il sussulto di Marc alla vista di cotanta grazia che si stagliava impavida davanti a lui. Teneva la mano sinistra sul fianco, il corpo leggermente inclinato e il viso in avanti, in atteggiamento di sfida. La minigonna, anzi, la ‘microgonna’ in pelle color blu elettrico sfavillava grazie ad un cinturino, stampato, di brillantini rossi, mentre le gambe ben tornite ed affusolate, sode e slanciate, erano avvolte in un paio di autoreggenti rosse in pizzo e ricamate con dei cuoricini, e svettavano sugli alti tacchi delle décolleté in vernice rossa. Sopra la microgonna una cinturona rossa con fibbia dorata, una camicetta bianca aderentissima che nascondeva alla vista, lasciandone intuire i tratti, il corpetto rosso in pizzo ricamato con annesso baby-doll per le autoreggenti, ed era palese che non indossava né mutandine, né perizoma, né tanga. Alle mani spiccava il rosso vivo delle lunghe unghie posticce nonché una borsetta tinta blu elettrico che non s’intonava però proprio bene con tutto il resto, a parte la microgonna, anche se così, con quella distribuzione di colori, assomigliava abbastanza ad una forma vivente della bandiera nazionale, a parte le strisce, visto che le stelle gliele avrebbe fatte vedere di persona entro breve. Un passo alla volta, con cadenza lenta e sinuosa, si avvicinò a Marc che, dalla sua comoda poltrona, con il telecomando avviò lo stereo che iniziò a far uscire dalle sue casse una melodia adatta alla situazione, mentre il portellino della ghiacciaia si aprì offrendo una bottiglia di champagne dentro il classico secchiello con i cubetti di ghiaccio, il vassoio con i due calici allungati in pregiato vetro artistico di Murano erano già pronti sul tavolino a fianco del divano. Jennifer si sedette sulle gambe di Marc, pose la borsetta sulla scrivania, gli passò le braccia attorno al collo ed iniziò a stuzzicarlo con la lingua, mentre ai bottoni della sua camicia Armani ci avrebbe pensato un attimo dopo.
“Salve, mio piccolo Marc... speriamo che Valery non s’ingelosisca...”, iniziò lei con voce suadente.
“Non lo so, però mi tiene sempre sotto controllo”, rispose lui.
“Perfetto, vorrà dire che domenica riceverà la lezioncina che si merita”, continuò carezzandogli il naso con l’indice sinistro, passandolo sulle labbra fino a sotto il mento per passare poi sulla camicia della quale vennero presto sciolti i due bottoni superiori.
Marc cominciò ad avvertire subito un certo gonfiore tra le parti alte delle gambe, ma non poteva prendere l’iniziativa, Jennifer dominava e comandava il gioco, sapeva come portarlo al massimo dell’eccitazione e del godimento, così da poter dare anche lui il massimo per lei. Giunse al terzo bottone, al quarto... all’ultimo. Si alzò in piedi e lo osservò, non certo dall’alto verso il basso in maniera marcata perché anche così, seduto in poltrona, Marc appariva davvero alto. Si sollevò un po’ dallo schienale, quanto bastò a Jennifer per sfilargli la camicia e farla volteggiare sulla poltrona dove aveva lanciato il suo impermeabile. Quindi gli tolse la canotta, e con salda presa gli afferrò la cintura dei pantaloni. A quel punto Marc dovette alzarsi, e si lasciò trainare da Jennifer, rivivendo in un certo qual modo l’esperienza dell’altra sera con Aleja. Era un gigante a fianco di un’esile creatura, esile solo nel corpo, ma ferrea e forte nella personalità, almeno per quanto riguardava la sfera che interessava a Marc. Lei si pose dirimpetto a lui, e fece strusciare la sua camicetta bianca sul suo torso nudo, Marc fu colto da brividi di piacere lungo la schiena. Jennifer lasciò la presa della cintura e si girò su sé stessa con una specie di mezza piroetta. Ancheggiando cominciò a sfilarsi lentamente la camicetta bianca, la fece volare sul posto prescelto, quindi alzò le braccia e fece mezzo passo indietro per farsi accogliere tra le braccia di Marc che la strinse a sé con grazia in modo tale che potesse rigirarsi di fronte a lui ed afferrarlo ancora per la cintura. Lo guardò in faccia, muoveva la lingua all’interno della bocca e mandava baci a labbra socchiuse e poi anche raccolte come per dire ‘U’. Fece un passo indietro ed infilò una gamba tra quelle di Marc, con la mano libera si sosteneva a lui aggrappandosi ad un braccio, così alzò la gamba e la strusciò per qualche volta su e giù, fino all’inguine di Marc, e con la punta della scarpa premeva su quel gonfiore pulsante che anche un cieco avrebbe notato.
“Jenny...”, iniziò Marc, “...non so se potrò resistere molto così!”.
“Ho detto per caso che puoi parlare?!”, disse quindi Jennifer in tono soffiato e seducente, “E chiamami ‘padrona’, intesi?”.
“Certo, padrona Jenny...”, obbedì Marc. Un attimo dopo Jennifer si pose in perfetto equilibrio, gli sbottonò i pantaloni, ne tirò giù la cerniera e questi si afflosciarono sul pavimento. Quindi cinse i suoi fianchi e accarezzò quel turgido paccone protetto soltanto da un paio di mutande nere tipo boxer.
“Metti il piede sinistro sulla sedia, veloce!”, ordinò Jennifer. L’eccitatissimo Marc eseguì all’istante, facendo attenzione a non incespicare per l’ingombro dei pantaloni, e Jennifer gli slacciò la prima scarpa. Con lo stesso rituale toccò alla seconda, e si poterono sfilare i pantaloni. Marc era rimasto in boxer e calzini. “Prendi lo champagne e andiamo, fai strada!”, disse Jennifer prendendo la sua borsetta. Con la mano destra di Jennifer che gli procurava dei dolci brividi sulla schiena, grazie anche al cubetto di ghiaccio che gli aveva strofinato sulla pelle, Marc s’incamminò verso la stanza da letto abbinata al suo ufficio privato, nessuno ne era a conoscenza tranne Alejandro e le donne che facevano parte della sua cerchia d’elite, nonché la fidatissima signora Grey dell’impresa di pulizie (che al sabato pomeriggio trovava quella porta aperta, all’uscita doveva solo richiuderla dietro le spalle). Quella porta sempre chiusa a chiave (elettronica) era un mistero per molte altre persone. Jennifer si voltò un attimo e Marc digitò il codice segreto per aprire quella porta. La stanza era profumatissima di essenza di rose fresche, gradite a Jennifer, il letto, una ‘king-size’, era addossato alla parete opposta, ed aveva una struttura molto forte, era alto e con un materasso di notevole spessore, sul comò c’erano toys e gadget allo scopo (che di solito erano tenuti chiusi a chiave in un cassetto blindato all’interno della stanza), alle pareti quadri moderni dal tema inequivocabile. Nella parete destra c’era una porta che comunicava con il bagno personale di Marc (sbloccata anch’essa col codice prima digitato) che, quindi, era munito di due porte, la prima comunicante direttamente con l’ufficio. Marc pose il secchiello con lo champagne su un comodino e si girò verso Jennifer dando le spalle al grande letto. Jennifer lo guardò in atto di sfida, pose una mano sul comò per tenersi bene in equilibrio, quindi sollevò una gamba ponendo la punta della scarpa sulle mutande di Marc. Una leggera spinta ed il gigante cadde supino su quel lettone, un momento dopo la ‘tigre rossa’ era già sopra di lui, fu questione di un minuto sfilargli le mutande ed i calzini.
Marc stava già quasi godendo di piacere, ma sapeva come trattenersi, e Jennifer era maestra nell’assecondare Marc in questo sforzo sempre più difficile mano a mano che i minuti passavano. Lei si sedette sul suo petto stuzzicandogli il viso con quei tacchi lunghi e sottili, che parevano frecce munite di un dolce veleno. Passò la punta delle scarpe nelle orecchie di lui, che con mossa inaspettata le afferrò i polpacci. Uno sguardo autorevole di Jennifer, senza profferire nemmeno una sillaba, fece sì che lui lasciasse la presa. Si pose a cavalcioni sul suo addome, quindi si distese su di lui, con le labbra iniziò a stuzzicare il suo collo, quindi passò a dei veloci tocchi di lingua sulle labbra e sul collo, sorrideva mostrando i suoi denti bianchi brillanti. Gli accarezzò le spalle, quindi si girò, sempre stando distesa sopra di lui, ma dandogli le spalle.
“Stringimi...”, disse lei con voce bassa e roca carica di sensualità.
“Come?!”, chiese Marc sorpreso.
“Non farmi ripetere!”, fu pronta Jennifer, “E’ un ordine! Taci e obbedisci!”. Marc non se lo fece certo ripetere, e cominciò a stringere quel corpo che sprizzava sensualità da ogni poro con una forza dapprima dolce e poi moderata, per lui, ma che faceva sentire in Jennifer un effetto di piacere non descrivibile, tanto che mise le gambe in alto, le allargò, quindi le unì e iniziò a spingere per mettersi in posizione di ‘candela’, però la salda presa di Marc glielo impediva, ma lei lottava di piacere contro quella forza sulla quale sapeva di non poter prevalere, almeno fisicamente, ma di cui era consapevole di esserne la padrona, e ai suoi ordini l’aveva posta in essere. “Mmmhhhh... mmhhhh... aaaahhh...”, iniziò a mugolare Jennifer che aveva così appena imboccato l’autostrada ad 8 corsie per l’orgasmo, visto che il grosso paccone di Marc stava premendo con forza contro il suo lato ‘B’. Quindi lei pose i le mani sul letto e cominciò ad ondeggiare per strusciarsi su quegli attributi maschili che parevano un cannone della ‘Bismark’ (viste le origini tedesche di Marc) pronto a sparare. “Ahhhh....”, fece Jennifer con un gridolino più forte, “stringi!”. Le gambe velate di rosso iniziarono a dimenarsi nell’aria per una battaglia contro il tempo, poggiò i piedi sul letto e con destrezza si tolse le scarpe. “Oooohhhh.... aaaahhhh....”, gemeva di piacere Jennifer, mentre Marc era quasi allo stremo nel suo tentativo di trattenere il botto il più possibile che gli fosse consentito date le circostanze. Jennifer rimise i piedi sul letto e riprese a scalpitare. “Lasciami! Lasciami!”, ordinò a Marc che rapido eseguì. La bella mora ci mise un secondo ad aprire il cassetto del comodino a fianco del letto dove Marc teneva i preservativi (sapeva che non servivano per evitare certe sorprese, visto che lui era sterile, ma era meglio che quel fatto non fosse noto a troppe persone), altrettanto ci impiegò per estrarne uno dalla sua custodia sigillata, e, con mani di fata, lo srotolò lentamente sul ‘palo’ di Marc che chiuse gli occhi perché temeva di non farcela, ma Jennifer lo conosceva bene, e sapeva dove e come toccare per poter assaporare ancora qualche minuto di goduria per arrivare all’orgasmo. Sorrise, e in un nanosecondo fu sopra di lui; infilò la punta di quel ‘cannone’ nel suo ‘oblò’ per poter mirare sul ‘giusto bersaglio’, e iniziò con un lento saliscendi che via via iniziò ad aumentare di ritmo. Jennifer sembrava si stesse librando a mezz’aria, stando reclinata all’indietro andando su e giù sentendo i suoi umori liquidi. “Ahhhhh.... ahhhhhh....”, cominciò a gemere di nuovo Jennifer stringendo i pugni ma senza fermarsi.
“Mmmmmhhhh... mmmmhhhhh...”, diceva Marc dimenando le possenti gambe, “non resisto... non resisto...”.
“Sì! Ancora un attimooooohhhh...”, quasi gridò Jennifer, “dai... dai...”, disse sentendo un ingrossamento inverosimile al suo interno.
“Sto per venireeee!!!”, fece Marc girando la testa.
“Sì, sìììììì... vieni.... aaahhhhh... aaaahhhhhhh... “, gli fece eco Jennifer.
“Oooohhhh... oooohhhhh...”, disse Marc mentre veniva, col suo grande e grosso arnese che pulsava forte all’interno della farfalla di Jennifer che continuava ad andare su e giù con gli occhi estatici del pieno orgasmo appena raggiunto.
Marc allargò le braccia sfinito mentre Jennifer, pure lei sfinita, si adagiò sopra di lui, petto a petto, le mani di entrambi erano unite tra loro. Qualche minuto dopo Marc aprì gli occhi e guardò fisso in quelli di Jennifer: “Champagne?”, disse lui così, semplicemente, con un’aria bambinesca. Il sorriso di Jennifer era inequivocabile, lei si alzò ed andò a prendere i bicchieri che erano stati lasciati nell’ufficio, quindi tornò in camera e li riempì di quanto dovuto.
“Cin cin”, disse lei alzando il calice per toccare quello di Marc.
“Cin cin!”, rispose lui dandole un bacio in bocca e toccandole il nasino con il suo.
I minuti passavano veloci, e venne il momento per Jennifer di andarsene via. “Bene, Marc”, disse, “prendo la borsa che ho lasciato in portineria, faccio una rapida doccia e mi metto dei vestiti più consoni per il rientro a casa di una brava impiegata”.
“Fai con comodo”, replicò Marc, “e togliti le unghiette prima di lavarti la schiena”.
“Spiritoso”, rispose lei facendogli una piccola linguaccia di quelle che fanno venire certe voglie, specie ad uno come Marc Gothelm.
Jennifer era già pronta per andarsene, erano le 21.45, orario perfetto per un rientro comodo e tranquillo. “Ah, scusami, per domenica pomeriggio...”, iniziò Jennifer mentre a Marc si bloccò il respiro temendo non potesse partecipare, “...userò anche questo”, continuò mostrando a Marc lo strap-on che aveva in borsetta, “però fino a domenica preferirei lo tenessi tu, l’ho comprato oggi pomeriggio, ho deciso che giocherò anche con il lato ‘B’ di Valery”. Marc sorrise ed annuì, il suo pensiero andò al fatto che domenica il suo lato ‘B’ sarebbe stato oggetto di parecchie attenzioni, tra Jennifer ed Aleja, ma questo lo sapeva solo lui: Jennifer non sapeva di Aleja, e Aleja non immaginava certo che Jennifer avrebbe voluto usare uno strap-on. “Sei grande Marc, e non solo fisicamente”, disse Jennifer avvicinandosi a lui e accarezzandolo con dolcezza, “fortunata colei che riuscirà ad accalappiarti sul serio!”. Con tenerezza lo baciò sulle guance mentre si stava sistemando la camicia, quindi uscì dalla camera e anche dall’ufficio. Solo il rumore di quei tacchi rossi che si allontanavano per quel corridoio sarebbe stato l’ultima cosa a fargli compagnia in quell’ufficio prima che anche lui se ne andasse, verso le 22.10, stanco ed esausto, ma felice per la bella serata appena trascorsa e col pensiero rivolto alla domenica che stava per arrivare.

Quei giorni passarono veloci. Sabato mattina Marc andò in ufficio per sistemare alcune faccende, stavolta non aveva impegni extra. Andò in segreteria, e vide che il fax lampeggiava. Si avvicinò, c’era un unico foglio, arrivato alle 4.25 del mattino, le 11.25 in Italia. Lo prese e lesse con attenzione. “Ah, molto bene, benissimo...”, disse tra sé sorridendo. Piegò quel foglio e lo mise dentro una busta. “Perfetto!”, disse, “Domani sera a cena una certa ‘mistress’ di mia conoscenza troverà una gradita sorpresa sotto il piatto!”. Era da poco passato mezzogiorno quando Marc chiuse tutto ed uscì dall’ufficio per andare al ristorante.

* * * Fine 1° parte * * *

Nota: pur essendo certi luoghi di ambientazione in un contesto reale, si fa presente che i nomi dei personaggi e di società, aziende e il settore merceologico sono di pura fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o persone omonime è puramente casuale.
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