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Un’eccellente segretaria


di LittleMargot
11.09.2016    |    2.230    |    1 9.2
"“Mi cambio, voglio iniziare già da oggi”, disse Angela all’improvviso..."
Seguito de: Il brevetto "TX-770"

Il via vai di gente che andava di qua e di la con i loro bagagli non impedì ad Alejandro di notare, con sua sorpresa, l’imponente sagoma di chi era andato ad attenderlo.
“Bentornato Alejandro!”. Marc lo prese per le spalle, ad Alejandro era sembrata la stretta di un boa dell’Amazzonia.
“Ciao, piccolo”, rispose malizioso, “porti tu il carrello con i bagagli?”.
“Non male, vedo che hai una valigia in più rispetto l’andata, bene!”. Appena fuori andarono ai parcheggi, e poco prima c’era l’area per la restituzione dei carrelli. “Aspetta qui”, disse Marc. Poco dopo fece ritorno con la ‘Lincoln Continental’, scese dall’auto e caricò i bagagli.
“Se sapevo che venivi a prendermi, e con la Lincoln, avrei fatto più acquisti in Italia”.
“Ti avevo detto che con la carta aziendale avresti avuto... carta bianca. OK, a posto, a bordo!”. Appena in auto Alejandro fece un appunto in agenda: ‘Mercoledì 30 Aprile 2014, ore 14.40, rientro dall’Italia e Aleja sulla Lincoln del boss’. “Te la sei cavata in poco tempo al ritiro bagagli”, disse Marc dopo aver avviato l’auto.
“Fortuna! Sono usciti tra i primi dalla ‘giostra’, tutti assieme”. Erano quasi al centro città, ad un tratto Marc girò a destra anziché a sinistra come Alejandro si aspettava. “Ma agli uffici si va di la”.
“Come? Non ho sentito”. Alejandro ripeté. “Non capisco”, replicò Marc facendo la faccia di chi cade dalle nuvole, e Alejandro intuì.
“Eccoti arrivata, mistress”, disse Marc parcheggiando in uno spazio libero vicino al condominio dove abitava Alejandro. Scesero e scaricarono i bagagli, Marc ne prese due per ogni mano alzandoli come fossero piume, lasciando ad Alejandro i più leggeri.
“Bentornato dottor Gutierrez”, disse il portiere, “oh, dottor Gothelm, non l’avevo notato”, aggiunse scherzando. Usando i due ascensori portarono su tutti i bagagli in una volta. Alejandro aprì la porta e sentì un gradevole profumo.
“Ho mandato Alice a fare le pulizie stamane e ad arieggiare, ho fatto bene? So che sarebbe venuta domani mattina, ma ho pensato di anticipare, visto che la casa è chiusa da due settimane”.
“Ottimo”, rispose Alejandro spingendo dentro le valigie. “Allora, a domani, così ti faccio un resoconto”.
“Nemmeno per sogno. Domani e venerdì ti riposi, magari prepari una nota qui a casa, ciò che credi opportuno, anche se per me è già tutto a posto. Piuttosto, sistema con cura il contenuto delle valigie! Ti aspetto sabato mattina alle 10”.
“Non hai incontri particolari?”.
“Sì, un incontro a casa mia, con Aleja”.
“D’accordo!”, replicò con sorriso smagliante, “Stavolta verrò già preparata e truccata, e con la Porsche!”.
“OK! Passo e chiudo!”, concluse Marc dandogli un puffetto sul viso. Scese, risalì in auto e tornò in ufficio dove, fino alle 19 circa, sarebbe stato impegnato con le pratiche dell’apertura della nuova filiale a Boston; proprio da lì qualche giorno prima aveva ricevuto una cassa piena di carte, libri, oggetti e diari vecchi che aveva portato alla villa, voleva dare tutto ad Alejandro a cui interessavano le vecchie pubblicazioni, e avrebbe messo ordine tra quei cimeli di famiglia abbandonati da decenni. Alle 19.30 aveva un appuntamento con Pamela, sentiva già un formicolio al gingillino e anche all’orifizio posteriore: lei gli aveva telefonato al mattino dicendo che l’avrebbe sorpreso con un look particolare, aggiungendo che due sere prima si era vista con Jennifer.

Alle 19.10 tutti gli impiegati erano già andati via, l’ultimo come sempre era George, il fedele addetto alla portineria. Poco dopo Marc chiamò il servizio di vigilanza al piano terra, era di turno una persona molto fidata per ciò che riguardava la tutela della privacy sua e delle sue ospiti, non a caso aggiornava sempre il calendario bisettimanale dei turni dei guardiani. “Sì, dottor Gothelm? Mi dica”, rispose Carlos, un uomo robusto di 65 anni, che aveva passato la sua vita lavorativa nelle forze armate iniziando quasi ventenne nel corpo dei marines, ma il suo sogno era l’aviazione. A metà anni ’70 fu inviato in Europa, era sergente e faceva parte dei contingenti N.A.T.O.; era un tiratore scelto o, meglio, un ‘cecchino’, anche se, come diceva, ebbe la fortuna di non essere mai stato in zone operative a rischio, come nella Berlino dell’epoca di Honecker, del ‘muro’ e della ‘cortina di ferro’ con Breznev dall’altra parte. Restò in Europa fino a metà anni ’80, a servizio dell’Intelligence inglese e francese, faceva spesso la spola tra Gran Bretagna e Francia. A causa di un’insubordinazione, nell’Ottobre 1980 a Parigi, la sua carriera fu segnata: non poté più ambire ad alcuna promozione. Nel 2009 andò in pensione e gli fu dato il grado di sergente maggiore il giorno prima del congedo. Era ancora molto in gamba e gli fu facile, due mesi dopo, entrare a lavorare per una società di vigilanza che dopo alcune settimane di prova lo aveva assegnato al grattacielo dove aveva sede la ‘Gothelm Co.’, e si ritenne fortunato ad essere stato scelto per quell’incarico. Era piacevole incontrarlo, ma nessuno capiva perché fosse sempre felice e sereno, in pace con sé stesso, visto che, dalle testimonianze di chi lo conosceva, la sua felicità interiore nacque in lui dopo il rapporto molto negativo fattogli per insubordinazione.
“Attendo una visita tra poco, ho già sbloccato il pass con il codice mio”.
“OK dottor Gothelm, io non vedo, non sento, non parlo. Per voi, questo ed altro”. Tre minuti dopo una BMW X6 50i color nero zaffiro metallizzato passò a velocità ridotta davanti la postazione di Carlos. Lui conosceva la bellissima autista di quell’auto (anche se non aveva voluto guardare per rispetto) che però, avendo inserito il pass datole da Marc, era entrata come se fosse della ‘Gothelm Co’: per quell’incontro era meglio se scendeva dall’auto stando già all’interno dell’edificio piuttosto che venendo da fuori. Non c’era di che preoccuparsi, ma la prudenza non è mai troppa.

Marc, sereno ed eccitato allo stesso tempo, era seduto sulla sua comoda poltrona. Aveva appena premuto il pulsante per aprire la porta d’ingresso dal corridoio presso gli ascensori. Ebbe un fremito interiore quando sentì un lontano ‘tacchettare’ ed il rumore di una porta che si apre per richiudersi subito dopo. Guardò l’orologio, Pamela era puntuale. Il rumore cadenzato dei tacchi nel corridoio deserto gli entrava nelle orecchie con l’immagine di uno stantuffo caldo che entrava ed usciva dal cilindro ben lubrificato, il suo giocattolo era già duro. “Mhhh... tacchi alti e a spillo: stivali bianchi o decolté azzurre?”, mormorò. La porta del suo ufficio si spalancò, Marc rimase fermo ad osservare quella fulgida bellezza appena apparsa nella sua visuale. Con fare disinvolto la bionda Pamela dai capelli mossi e spumeggianti pose il borsone da piscina su una sedia e mise le mani ai fianchi. Portava a pennello l’impermeabile bianco suggeritole da Jennifer, con la cintura in vita che metteva in risalto le sue forme, apparendo agli occhi di Marc come il ‘tenente Sheridan’ al femminile, mancava solo che mimasse il gesto della pistola con le dita per fare ancora più centro di quanto aveva appena fatto. Fece due passi verso la grande scrivania slacciando con mossa sensuale la cintura, lentamente iniziò a sbottonare l’impermeabile partendo dal basso. Fissava Marc mostrando appena la lingua che roteava attorno alle labbra rosse sgargianti e, mentre la mano destra sbottonava, la sinistra teneva uniti i lembi dell’impermeabile finché, all’ultimo bottone, fece una specie di piroetta, non affrettata, dandogli per un secondo le spalle, giusto il tempo per togliersi con inusitata eleganza mista a malizia quel bianco ricoprimento e farlo volare sulla sedia, e così riapparve davanti a Marc, era di un rosso che avrebbe turbato la mente anche al più docile e mansueto toro di tutto il pianeta.
Indossava un corsetto in latex liscio come la seta, di colore rosso con effetto metallizzato e brillante, e così erano anche i lunghi guanti che le coprivano le braccia fino oltre il gomito. Non portava coppette ai seni, così poteva mettere in mostra tutto il suo bel davanzale fiorito. Si voltò un attimo dandogli le spalle per fargli ammirare l’intreccio di lacci in seta, quindi tornò a guardarlo, avanzando ancora di un passo. Sotto il corsetto c’era la foresta nera: non indossava mutandine, perizoma o tanga. Le autoreggenti rosse, velate, coprivano le splendide gambe fino all’inguine e, sotto, facevano bella mostra un paio di stivali rossi in perfetta armonia col resto dell’abbigliamento, facendo un tutt’uno con guanti e corsetto, stesso colore ed effetto ottico, solo che erano in vera pelle e di gran marca, con un discreto plateau da un pollice e tacchi da 3 pollici (circa 7,5 cm), certamente bassi ma comunque molto sexy e che, in più, le davano notevole agilità e possibilità di muoversi ad un buon ritmo senza dover temere per l’equilibrio. Marc si alzò dalla poltrona e Pamela fece un altro passo verso di lui, aprì la bocca in modo accattivante e si sfiorò gli incisivi col dito medio della mano sinistra. Marc sudava freddo, sentiva il suo gonfiore aumentare ancora, specie quando Pamela si avvicinò al suo borsone muovendosi in modo da far sentire lo strisciamento delle suole sul pavimento. Chissà cosa avrebbe tirato fuori, questo pensava Marc. Aprì piano la cerniera, infilò dentro una mano, e tirò fuori alcuni fogli. Marc inarcò le sopracciglia. “Prima il piacere”, disse Pamela con voce sussurrata esibendo quei fogli, “e poi il dovere”, continuò passando una mano sulla farfallina. Li pose sulla scrivania: “Questa è la fattura trasmessa oggi dalla GAR.TOM. S.r.l. a seguito del bonifico che hai fatto, metti sulla copia una firma per ricevuta, domani la darai al bravo Philip della contabilità”, e Marc firmò. “Queste invece sono le autorizzazioni arrivate da Boston per l’utilizzo di quell’area esterna come parcheggio mezzi aziendali e anche, per l’area adiacente...”, e tenne la suspense vedendo il volto teso di Marc, “... per costruirci un centro relax e benessere per i dipendenti, l’autorità sanitaria e la municipalità hanno dato il consenso senza alcuna pregiudiziale, olèèè!”, disse con energia schiaffeggiando Marc con quegli stessi fogli che guardava quasi incredulo, “Serve adesso la tua firma davanti un ufficiale notarile, la qui presente Pamela, che certifichi la tua identità personale. Poi... via libera ai progetti di costruzione e ai lavori! Ho lasciato detto a casa che si tratta di una pratica un po’ lunga, almeno due ore... per gli altri”, disse maliziosa.
“Wowww! Wowww!”, esultò Marc alzando i pollici, Alejandro aveva fatto scuola, “Sì! Sì! Fantastico! Firmo subito! Ecco qua, uno, due, il prossimo, e stop!”.
“Ottimo, metto via le ricevute e... ahhh!”.
“Dopo, dopo”, disse Marc che l’aveva stretta tra le braccia e sollevata di mezzo metro per portare il collo di lei alla portata della sua lingua.
“Ah ah ah... fermati, no”, disse Pamela tra le risa per il solletico che le stava facendo Marc. Agitava le gambe aperte a più non posso e le avvinghiò strette attorno al ventre di Marc che a passo deciso andò nella stanza degli incontri. La distese sul grande letto e si pose sopra di lei, ma solo per pochi secondi, giusto il tempo di provare il piacere di sentirla dibattersi sotto di lui, quindi si rovesciò di lato e i ruoli corretti furono subito ristabiliti, con Marc disteso sotto Pamela che lo dominava stando a cavalcioni sul suo addome. In un minuto Marc era già tutto nudo, Pamela gli stava seduta sopra e si dondolava a destra e sinistra per sentire lo strusciamento di quel grande giocattolo che le procurava brividi di piacere. Le gambe erano protese in avanti per torturare il viso ed il collo di Marc con i tacchi e le punte degli stivali.
Marc allungò una mano verso il cuscino, sotto c’era un profilattico in attesa di uscire allo scoperto. “Tutto a posto con Jennifer?”, chiese.
“Sì, certo. E’ passata al lavoro da me, ho atteso di essere sola per cambiarmi così, lei mi ha aiutata. Poi ha preso la mia auto per andare a casa sua, l’avrà parcheggiata nei dintorni, e io sono venuta qua con il suo bolide che è più noto qui in parcheggio, solo che a guidarlo era un’altra persona. Poi passerò da Jennifer, già cambiata, e ognuna riavrà la sua auto. Peccato, però... certo che te le studi per bene, eh, bambolotto!?”.
“Non voglio che corri rischi”.
“Desideravo vederti, e volevo farlo in un look insolito. Ovvio, non potevo venire con la mia auto, parcheggiarla nei paraggi e fare una passeggiata vestita così, ma, adesso... basta chiacchiere, wow!! Ma è il tuo bla bla bla a fartelo venire duro?!”. Marc rise vedendo come Pamela roteava tra le dita il profilattico ancora sigillato nella sua confezione e, preso un telecomando, premette un pulsante. Si avviò lo stereo, collegato al PC, con una playlist che aveva preparato ad hoc, aprendo con ‘Caramelo’, di Olga Tañon. Al ritmo della musica Pamela muoveva il bacino su quello di Marc, poi si piegava per avvicinare la bocca alla sua, senza riuscirci, ed altrettanto per Marc. Poi si mise a cavalcioni e, quindi, a 4 zampe con Marc braccato sotto di lei che faceva flessioni sempre più accentuate, oscillando avanti e indietro, e anche di lato, per portare sempre di più la farfallina a sfiorare il giocattolo di Marc e, naturalmente, la sensuale bocca sulla sua, oltre ai sodi capezzoli. Lui chiuse gli occhi e sentì quel corpo profumato e leggiadro planare con dolcezza sul suo ventre dalle forme toniche e dagli addominali sviluppati e molto potenti, alzò le gambe per avvinghiare quell’esile corpo, ma lei fu più veloce bloccando quelle possenti gambe stendendovi sopra le sue premendo i polpacci con le punte degli stivali, portando la sua preda ad una sottomissione volontaria più che gradita. Pamela, eccitata per ciò che voleva fare (cosa che stimolava anche Marc), si alzò per andare al suo borsone. Rientrò nella stanza da letto con addosso lo strap-on, Marc era già nella giusta posizione ed aveva spalmato di vaselina il suo orifizio anale. Pamela si avvicinò, lo accarezzò, lo abbracciò, ed avvicinò il sex-toy al bersaglio. Salì con dolcezza su Marc in modo da penetrarlo cavalcandolo e, quando iniziò, dallo stereo uscirono le prime note di ‘The beat goes on’, di Britney Spears, con un ritmo musicale a cui Pamela adeguò i suoi movimenti, provocando ancora di più l’eccitazione di Marc che ormai era in suo potere.
“Mmmhhh... aaahhhh”, iniziò Marc godendo di quella prigionia, “ooohhh...”.
“Shhhh!!”, ordinò Pamela schiaffeggiandogli la schiena con autorevole malizia. Mentre spingeva, con una mano si sfiorava la farfallina. Poco dopo scese da quella posizione e si tolse lo strap-on facendo cenno a Marc, con uno schiocco di dita, che era il momento di distendersi supino. Lei si pose a cavalcioni, di spalle, sul suo petto, e mentre con la bocca gli massaggiava il gingillo, lui, con la lingua, iniziò a stimolarle il clitoride.
“Aaahhh”, fece subito lei inarcandosi come se fosse stata attraversata da una scarica elettrica, e riprese subito tra le labbra quel caldo salsicciotto.
“Ohhmm... mmmhhh”, mugulava Marc muovendosi a scatti strisciando la schiena sul letto. La bionda spumeggiante non mollava la presa di bocca; stringeva i pugni e, per quel che poteva, le dita dei piedi per cercare di trattenere la forte sensazione di goduria che le dava il tocco abile delle dita di Marc sul clitoride. Scivolò un po’ indietro col chiaro intento di ricevere un tocco particolare, e il suo desiderio fu subito esaudito: il tocco con successivo balletto della lingua di Marc sul clitoride e all’interno della farfallina fu qualcosa di potente. Pamela lasciò un attimo la presa di bocca, adagiò il seno sul ventre di Marc e respirò a pieni polmoni.
“Ooohhh...!! Aaahhh!!”, gridava di piacere agitando furiosamente le gambe allargate facendo sbattere gli stivali sul letto con la sguardo di Marc che andava a destra e a sinistra per eccitarsi alla vista di quei particolari martelli che andavano su e giù. Pamela era quasi all’orgasmo, e mantenne il controllo della situazione riprendendo in bocca il cetriolo di Marc, il preservativo non serviva.
“Nnnooo!! Mmmhhh... aaahhh, non ce la faccio”, gridò Marc.
“Dai!!”, lo incitò Pamela lasciando libero per un nanosecondo quel gingillino. Marc le avvinghiò le cosce con le sue robuste braccia, bloccandola in modo che la sua lingua potesse avere un’intervista unica ed esclusiva con la farfallina di lei che si sentì attraversare da un’altra scarica elettrica, ancora più forte: la sua agitazione fu totale, il materasso chiedeva pietà sotto l’incessante martellamento di quegli stivali rossi. “Ooohhh... ooohhh... ooohhh”, fece Pamela appena giunta all’orgasmo, con le mani tremanti e la mente al galoppo. Riprese il dolce boccone tra le labbra, e dopo nemmeno mezzo minuto sentì quella cosa assumere una dimensione fuori dai modi, per sentire poi al palato un certo sapore molto particolare tra i mugulii di piacere di Marc. Con le palpitazioni alle stelle si distese esausta allungando una mano per prendere un fazzolettino di carta. Marc lasciò libere quelle bellissime gambe che, divaricate, si distesero rilassate, in una posizione di sogno a luci rosse, per un buon quarto d’ora.
“Cosa farai per il tuo compleanno?”, chiese lei prima di entrare in doccia.
“Niente di speciale, dopotutto, festeggio tutti i ‘non compleanno’”.
“Venire da te è come andare nel paese delle meraviglie”, rispose dandogli un tocco malizioso sulle labbra.
Poco dopo le 21 Pamela, con un look normale ed insospettabile, baciò Marc dandogli una carezza sul viso prima di andare all’ascensore con la borsa sportiva contenente effetti speciali che all’indomani avrebbe riposto sotto chiave in un angolo del suo armadio personale in ufficio.

I due giorni seguenti trascorsero in modo ordinario per Marc e il suo staff, a parte una video-call-conference con Mara Berenghi nella tarda mattinata di venerdì, che fu sufficiente a turbarlo per tutto il pomeriggio: aveva un chiodo fisso per lei, ed il turbamento continuò anche in serata e per tutta la notte, con sogni di situazioni eccitanti.

Alle 9.50 di Sabato 3 Maggio il palmare di Marc... Valery, intonò un motivetto particolare. Vista l’immagine della sua mistress preferita col frustino in mano, era fuori dubbio chi fosse che stava chiamando. Andò alla grande vetrata del corridoio superiore e col telecomando aprì il cancello per sentire, un attimo dopo, il rombante motore della Porsche nera che entrava nel cortile. Con un altro pulsante aprì il portone blindato sotto il portico d’ingresso e tornò nella stanza palestra. Valery rimase sorpresa vedendo la sua sfolgorante mistress indossare un look del tutto inedito: tolse con un dito, facendolo roteare, il giubbotto nero in pelle, mettendo subito in mostra un corsetto in raso color fucsia brillante con reggiseno incorporato e coppette imbottite, color fucsia e bordate di nero, con piumette blu elettrico intenso. Si girò per mostrare la schiena, con i lacci in seta che s’intrecciavano per formare un fiocco con due asole larghe. Sulla minigonna in pelle, di colore blu elettrico intenso, spiccava una cinturona fucsia con bordature dorate, mentre le braccia, in guanti lunghi di raso nero, parevano ansiose di catturare la gigantessa in bianco; il grosso anello all’anulare sinistro conferiva un senso di dominio. Le autoreggenti nere a trama molto leggera facevano spiccare meglio gli stivali in pelle, tinta fucsia come il corsetto, con un plateau da mezzo pollice e un tacco basso (tre pollici) ma dalla forma molto sensuale ed elegante. Si pose col piede destro messo di lato. Valery avvertì un senso di eccitazione vedendo quel volto sorridente, con i capelli neri corvini a caschetto con i tirabaci: pareva la stesse sfidando, e le scattò una decina di foto.
“Sei bellissima!”, disse Valery che, acceso lo stereo, si chinò per baciarle l’anello. Sollevò Aleja quanto bastò per portare le sue morbide labbra nella perfetta posizione di attacco verso il suo collo indifendibile e la ‘domina’, appena fu in posizione, si avvinghiò al corpo di Valery stuzzicandole i fianchi con i tacchi e partì subito con la lingua verso il bersaglio. Valery godeva di quella situazione e dopo qualche minuto, eccitata, riportò Aleja con i piedi per terra ed indietreggiò verso il materassone.
“Sei pronta?”, chiese Aleja.
“Certo!”. Giratasi di scatto si lanciò verso il materassone e vi si gettò sopra facendo finta di scappare da qualcuno. Aleja le prese subito la gamba destra che con quello stivalone bianco pareva più grande di quello che era. La preda iniziò ad annaspare, come se stesse nuotando, ma senza potersi spostare perché la cacciatrice, oltre a tenerle una gamba ben salda con le sue piccole mani, aveva puntato la pianta del piede sul bordo del grande materasso reclinandosi un po’ all’indietro e, anche, Valery non ci stava mettendo tutta la sua forza. I movimenti frenetici e sensuali di Valery eccitavano Aleya il cui pacco si era già messo in evidenza uscendo allo scoperto: sotto la minigonna non aveva nulla. Dopo 10 minuti di ‘furiosa lotta’ Aleja allentò la presa e Valery andò un po’ in avanti mettendosi supina. Aleja le tolse il perizoma e, risvoltata in su quella seducente minigonna bianca, le si distese sopra avendo cura di porre il grande e duro giocattolo di Valery sotto il suo, ed iniziò ad andare su e giù. L’eccitatissima Valery allargò le braccia così che Aleja la bloccasse, non poteva far altro che fremere e sbattere le gambe, facendo eccitare ancora di più Aleja che stava guardando il lettino da ‘visita medica’ con quel foro fatto a pennello. “Padrona Aleja, pietà!”, implorò Valery che se la stava godendo tutta.
“Shhhh!”, disse Aleja toccandole le labbra con un dito per poi tornare a bloccarle il braccio. La grande biondona si dibatteva energicamente, alla piccola moretta sembrava di essere sulle montagne russe. Poi Aleja piegò le gambe e le allargò mettendole di traverso su quelle di Valery che, fatte le ultime sbattute, le rilassò lasciandole inerti e divaricate: era immobilizzata sotto la sua padrona che riprese a far strusciare i gingilli.
“Mmmhhh... mmmhhh”, mugulava Valery.
“Ahhh... ahhhh!”, esclamò Aleja che si bloccò per trattenersi: era il momento di andare al lettino speciale. Girò Valery a pancia in giù e, presa una delle corde che stavano sulla panca per addominali, si sedette sul suo lato B incrociandole le mani dietro la schiena. Fatto il fiocco le mise tra le mani i due capi liberi per poter sciogliere il nodo in caso di necessità. “Una piccola variante, ti ho legata qui, e adesso... su!”, e l’aiutò ad alzarsi. Stavano ritte l’una di fronte all’altra: Aleja, guardando la vittima in tono severo ed eccitante, le pose un braccio attorno al fianco e la condusse al lettino, una breve passeggiata di sei passi molto particolare, battendo i tacchi in maniera sincrona come se fosse un’esercitazione militare. Come nell’altro incontro, Valery si distese sul lettino e Aleja la tirò per farle inserire il gingillo nell’ampio buco. Le divaricò le gambe e la legò ben stretta, non era possibile una caduta accidentale, quindi da un ben noto cassetto prese la vaselina medicale ed un preservativo.
“Aleja, prima di iniziare la perforazione in cerca di petrolio, prendi il telecomando e fai partire la numero 16”.
“L’ultimo desiderio della condannata sarà esaudito”, disse in tono superbo e malizioso. Il senso di freschezza sull’orifizio posteriore procurato dalla vaselina che veniva spalmata da una mano leggera con il guanto sterile (sopra quello di raso) bastava a tenere viva l’eccitazione della gigantessa bionda che poteva soltanto alzare un po’ la testa e far roteare ed inarcare i piedi per quel poco che era consentito. L’operazione di spalmatura si concluse con uno schiaffo alle natiche cui seguirono alcune frustatine date ad arte e dei portentosi massaggi. Aleja si pose davanti a Valery, su uno sgabello, dandole il fianco in modo che potesse osservarla mentre si toglieva la minigonna mostrando le sue gambe creole, depilatissime, lisce, belle sode e anche profumate. Poi si girò in modo da essere di fronte a Valery con il suo giocattolo turgido in evidenza col quale iniziò a schiaffeggiarle il viso con movimenti di torsione abbastanza rapidi. Poi, con un tocco di sensualità, glielo mise tra le labbra e, dopo aver ricevuto delle adeguate succhiate e dei morbidi tocchi di lingua, lo estrasse e ci srotolò sopra il preservativo.
“Mmhhh...”, iniziò Valery sforzando dei movimenti come se stesse cercando di liberarsi, ma era solo per darsi più carica erotica, stimolando ancora di più il desiderio di Aleja che, alcuni secondi dopo, stava già iniziando ad esplorare l’imbocco del lato B di Valery. “Aaahhh... piano... piano”. La piccola si avvinghiò con forza a quel corpo maestoso e sexy, si sporse di lato e ci girò attorno ponendosi sotto, con il ventre aderente alla faccia inferiore del lettino e col gingillino che premeva quello di Valery. Gambe e braccia erano ben salde mentre si muoveva alternativamente su e giù. Valery era inebriata, si mise a ridere cercando di divincolarsi: per come Aleja si stava muovendo le pareva di avere un plotone di formiche che le stavano punzecchiando il cetriolo. Aleja risalì sopra e dopo qualche minuto di preliminari era pronta per l’affondo. Premette il pulsante per far partire la canzone richiesta, ‘The beat goes on’, che aveva dato a Marc (ora Valery) molta eccitazione durante l’incontro di tre giorni prima con Pamela.
“Wow!”, esclamò Aleja che aveva ben inteso. Distesa sopra Valery, fece il primo affondo con il suo gingillo, avvolgendo quel grande corpo con le braccia per stare in perfetta aderenza ed equilibrio facendo solo movimenti di bacino e di addominali al ritmo della musica che usciva dallo stereo, lasciando le gambe, tese, fuori dal lettino, in posa eccitante e perfetta per il video che ne sarebbe poi uscito. “Ooohhh...”. mormorava Aleja che, intanto, aveva preso il cetriolo di Valery con le mani guantate di raso nero, infatti si era tolta il guanto sterile.
“Mmmhhh... mmmhhh”, gemeva Valery. Faceva di tutto per trattenersi, sentiva di essere vicina all’eiaculazione, era eccitatissima già dalla notte per il sogno in cui aveva fatto all’amore con Mara Berenghi che stando sopra a cavalcioni aveva preso in custodia il suo sodo gingillo con le ‘grandi labbra’. Aleja la sentiva scalpitare come una preda che vorrebbe liberarsi e fuggire, ed il fatto di tenerla in suo potere la eccitava ancora di più.
“Ooohh... aaahhh”, mugulava Aleja che aveva in mente le più svariate immagini erotiche, ed il ritmo di quella musica non faceva altro che amplificarle al massimo.
“Aaahhh... mmmhhh”, pareva lamentarsi Valery, col lettino che tremava per quanto si dibatteva tra le corde che la trattenevano.
“Arrivooo...”, ansimò Aleja che sentì il suo attributo gonfiarsi e irrigidirsi, e lo sentì anche Valery, eccome, meno male che Aleja aveva abbondato con la vaselina.
“Nooo... ahiiiaaa... sììì... ahiaaa... sììì”, diceva a raffica Valery.
“Ooohhh... ooohhh”, fece Aleja avvinghiata a Valery premendosi forte su di lei mentre il suo giocattolo spruzzava come un innaffiatore da giardino. Aleja, inebriata dall’orgasmo, andava ancora su e giù in attesa che il suo arnese si sgonfiasse, ma senza abbandonare la presa del gingillo di Valery.
“Ahhhh... ooohhh”, gioiva a voce alta Valery facendo intendere ad Aleja che era questione di un attimo, e così fu. Quella super banana emise uno spruzzo così forte che ad Aleja parve di sentire una scarica elettrica sul palmo della mano e, un minuto dopo, entrambe stanche, sfinite ma soddisfatte, si rilassarono, con Aleja che, ovviamente, era rimasta distesa sopra il corpo di Valery.
Cinque minuti dopo Aleja scese dal comodo lettino e spense la videocamera. Fece un po’ di pulizia ed igiene intima, a sé stessa ed alla sua vittima. Valery tirò i capicorda che aveva sempre tenuto tra le dita e sciolse il nodo principale liberando le mani che distese in avanti e, facendo così, sciolse anche i nodi che tenevano le caviglie legate alla struttura del lettino (Aleja le aveva legato attorno ai polsi anche le cime di quelle corde). Scrollò le gambe e in due minuti si liberò, sotto lo sguardo malizioso di Aleja. Si sedette sul lettino per guardare la sua piccola mistress, si distese supina e chiuse gli occhi. Un attimo dopo sentì la dolce pressione del corpo di Aleja che si era appena messa a cavalcioni sul suo addome.
“Tutto bene?”, chiese la gigantessa.
“Eccome!”, rispose la piccoletta che si adagiò sopra Valery con le mani incrociate sotto il mento ed i gomiti puntati sul lettino. Soffiò di lato movendo uno dei tirabaci, ruotò la testa un po’ all’indietro per guardarsi le gambe, tenute sollevate e incrociate alle caviglie, con le ginocchia premute su quei forti addominali. Si guardarono a vicenda negli occhi, fu Valery a rompere il ghiaccio.
“Devo parlarti di Angela Robinson, la nostra eccellente segretaria”.
“Ti ascolto”, disse Aleja in tono dolce.
“Suo marito, anzi, il suo compagno, dato che non sono legalmente sposati, l’ha messa alla porta, non la vuole più con sé! La casa è di lui compreso tutto il resto, a parte i pochi vestiti di lei: la povera Angela non ha speranza di ottenere qualcosa”. Aleja rimase turbata.
“Ecco perché era cupa, già prima che io andassi a Milano! Però... io credevo fosse sposata con Tom”.
“Tutti lo pensavamo, lei ne ha sempre parlato come suo marito, e così anche ad amici e conoscenti e, forse, anche ai parenti, ma mi ha detto come stanno in realtà le cose e, in un certo senso, è meglio così, credimi! Ma il litigio in cui lui le ha intimato di andarsene è stato la settimana scorsa, giovedì. In breve, Tom si è invaghito di un’altra, più giovane e sensuale, così mi ha detto lei. Mi dispiace, Angela sarebbe una bella donna, ma quel look che indossa... che poi, da quanto ho capito, è Tom che le ha sempre vietato di essere alla moda e sexy”.
“Perché me ne parli così in privato? Hai un’idea su cosa fare?”
“Sì. Anche lei non vuole più stare con lui. Qualche settimana fa, una certa domenica pomeriggio, lei l’ha colto in flagrante in un parcheggio a pochi isolati da casa. L’ha presa molto male, non vuole più stare a Chicago e ho pensato di trasferirla a Philadelphia in attesa che si attivi la fabbrica di Boston. Lei è d’accordo, è già entusiasta”.
“Capisco! Lunedì inizierò a preparare la sua pratica”.
“Non c’è solo questo, padrona Aleja”, disse rubandole un sorrisetto malizioso.
“Parla, piccola schiavetta!”.
“Angela mi ha raccontato tutto nei particolari. Quando ha scoperto la tresca era una domenica particolare, in un certo senso. Stordita da ciò che aveva appena visto, la sua prima idea è stata quella di andare fino a casa tua”, ed Aleja fece un’espressione davvero strana, “e così ha fatto. Ha parcheggiato vicino al palazzo dove abiti, il primo spazio libero che ha trovato, e, quasi arrivata all’atrio d’ingresso, ha visto uscire in tutta fretta una ragazza splendida, di media statura, giubbotto nero in pelle, capelli a caschetto con i tirabaci, occhiali da sole e un paio di stivali neri da urlo, con le zeppe, che subito è andata via in taxi. Hai capito a cosa mi riferisco?”.
“Già! Ora anche lei sa cosa fa ogni tanto Alejandro Gutierrez”.
“No!”, la rassicurò, “Non ti ha riconosciuto. Mi ha parlato di quella ‘splendida ragazza’ perché ne è rimasta colpita ed affascinata: vorrebbe essere lei così, con un look bello e accattivante, decisa, sicura e sexy. La prima cosa che ha pensato è che poteva essere una tua amica che era appena stata da te, e che una persona in gamba come sei tu può certo avere delle bellissime amiche come quella ragazza che era appena uscita, secondo lei, da casa tua! In un certo senso aveva ragione. Ha suonato il tuo campanello, ma non c’eri. Sai, me ne ha parlato perché spera che tu conosca quella ‘ragazza misteriosa’, vorrebbe conoscerla anche lei, le piacerebbe poter essere sua amica, ma si sente piuttosto attempata rispetto a quella... ‘ventenne’, eh sì, questa è l’impressione che ha avuto. Io le ho detto che non so nulla e che doveva parlarne con te. Che dici?”.
“Ho appena avuto un’idea folgorante!”, disse Aleja con gli occhi che le brillavano, “Angela avrà la sua rivincita e qualcuno si pentirà di averla messa alla porta. Senti un po’...”, disse stendendosi sopra Valery abbracciandole la testa e ponendo la bocca al suo orecchio bisbigliandole a bassa voce la sua idea come temesse che qualcuno potesse sentirla o, ipotesi più verosimile, per dare un tocco in più di malizia a quello che stava facendo.
“Ah ah ah ah ah... sì, sì... fortissimo”, disse eccitata sbattendo le gambe, “O.K., sì, sì... fenomenale!”. Esposta l’idea, Aleja scese dal lettino e un attimo dopo scese anche Valery. Erano in piedi, l’una di fronte all’altra. “Dai, andiamo in soggiorno di sotto”, disse Valery ponendole una mano sulla spalla.
“Cos’è quella?”, chiese Valery notando sulla poltrona in soggiorno una borsa cartonata di notevoli misure.
“Regalini per te”.
“Oh, Alejand... cioè, Aleja!”. Aprì i pacchetti piccoli, c’erano i souvenir caratteristici di Milano e Venezia, ed anche un piatto con un dipinto della città di Trieste vista dal mare. “Davvero belli e carini, e qui dentro cosa ci sarà?!”, disse guardando la scatola molto grande.
“Apri”, disse Aleja. Il suo primo pensiero fu che potesse esserci un vestito particolare comprato in un sexy-shop a Milano, ma appena aprì la scatola e prese in mano quella bambola antica, la sua espressione in volto esternò meraviglia e stupore.
“Bellissima! Stupenda! E anche antica, direi, un’opera artigianale che... ma dove l’hai comprata?”.
“A Milano, in un piccolo negozio della stazione centrale”.
“Sembra un ritratto tridimensionale, come se l’artista avesse una modella che posasse”.
“Può darsi, infatti la proprietaria del negozio mi ha spiegato”, e qui sorrise maliziosamente, “che questa bambola rappresenta una persona realmente esistita 800 anni fa, e si trattava di una strega di nome Margot”, ma non raccontò i particolari.
“Ah ah ah ah ah, buona questa! Il nome che avevi pensato per me, dato che mi chiamo Marc Gothelm! La storia di questa bambola ti è stata davvero raccontata dalla padrona del negozio? Gli altri clienti ascoltavano con pazienza, giusto? Ma cosa non ti inventeresti per me”, disse abbracciando Aleja tenendo la bambola in mano, “è da dire, però, che per avere 800 anni ha un look piuttosto all’avanguardia, eh? Corsetto azzurro in seta, stringhe, guanti lunghi, stivali oltre il ginocchio. Forse era una persona facoltosa, o davvero una strega come ti è stato raccontato! Ah ah ah ah ah, cosa non si direbbe per vendere un oggetto molto costoso! Bellissima davvero, Lunedì porterò Margot nel mio ufficio e li resterà, a fare la guardia!”.
“Comunque la padrona del negozio me l’ha regalata”.
“Sul serio?!”, rispose attonita, “Al negozio sei andato in versione Aleja e hai fatto colpo sulla padrona e i clienti che c’erano dentro?”.
“No, ero in versione ‘macho’!”, rispose in tono ilare, “Sono felice che ti piaccia Margot. Sai, non c’erano altri clienti in quel momento in negozio, così ha dedicato tutto il tempo a me. Se avessi potuto vedere anche tu quella donna ed il suo look, beh, saresti andato davvero fuori di testa!”, continuò mentre Valery, e non solo lei, ascoltava con molta attenzione, “Poco ci mancava che fuori di testa ci andassi anch’io! Quanto avrei voluto fare all’amore con lei! Solo a guardarla mi era venuto il gingillo duriss...ahiaaa! Ahh! Ahio!!”, gridò all’improvviso Aleja battendo furiosamente il piede destro sul pavimento e portandosi la mano sulla natica destra, tra la preoccupazione di Valery e il sorriso malizioso di una terza presenza o, volendo, anche di una quarta.
“Cos’hai?”, chiese Valery allarmata.
“Un dolore acuto qui, una specie di puntura e una scarica elettrica”, rispose Aleja, “mah... un capillare? Un nervettino ribelle?”.
“Acciacchi da età che avanza? Aspetta che guardo, magari è stata un’ape”, e rise. Guardò, ma non c’era niente. “Dai, non è nulla, forse hai tenuto le gambe troppo in tensione mentre mi trapanavi. Su, a tavola! Niente catering stavolta: pizzette, un po’ di torta, pasticcini e bibite!”.
“O.K.! Come mai così spartana stavolta?”.
“Ieri, tornando poco dopo le 18, come Marc, ovvio, ho visto che c’era festa nel giardino dei miei vicini, i Wilson, che tu conosci. Eh, vicini, la loro casa è ad un ottavo di miglio dalla mia, ma non ci sono altre case in mezzo, perciò sono i miei vicini più vicini. Vedendomi arrivare, il signor Wilson Sr. che era al cancello mi ha fatto segno di entrare ed unirmi alla festa del primo compleanno della nipotina, Lucy. Il tempo passa veloce, mi son detto. Sono stato lì un’ora, poi mi hanno quasi pregato di portarmi via un po’ di cose, tante ne erano avanzate. E’ stato carino, e George, il fratello di Lucy, vivacissimo e sempre pronto a fare scherzi! Pensa, ha già 6 anni, li ha compiuti a Marzo. Quel giorno gli ho portato di persona un regalo, un pallone da basket adatto a lui, con la firma di un campione che ero andato a trovare apposta mentre si allenava”.
“Ha già 6 anni?”, chiese Aleja.
“Sì, è nato il 5 Marzo 2008”, e a quelle parole Aleja sentì una stretta alle spalle.
“Forza! Basta chiacchiere, ho fame!”. Con Margot sotto braccio, Valery andò al tavolo seguita da Aleja.
Intanto, al piano di sopra, nella stanza palestra, due bellissime donne, tra loro abbracciate, rotolavano sul materassone senza che si deformasse. “Niente male la tua futura casetta!”, disse Lolita Montero che stava sopra la sua maestra Margaret O’Brien, “E comunque, anche il mio futuro appartamento è bello, non trovi?”.
“Certo! Peccato che quando ricominciamo l’esistenza terrena non ricordiamo nulla di quelle passate, a meno che non ci incontriamo in una situazione importante, un’emozione: ci tocchiamo, basta un abbraccio, una stretta di mano, un tocco qualsiasi e come in un flash-back vediamo i nostri passati, e questo solo per noi, del gruppo che ha avuto a che fare con Margot! La rincontreremo?”
“E’ sempre stata con noi, almeno nello spirito! Se il destino vorrà, la ritroveremo, ma lei sarà già grandicella per noi, visto che riprenderà il suo corso da dove si era fermata”, rispose Lolita.
“In questi secoli mi sono sempre chiesta a cosa si riferisse quando lanciò il suo anatema, ma non lo sapremo mai: quando il fato si compirà non saremo più eteree, e la strada è già ben aperta, vista la data di nascita del mio ‘nemico giurato’ e futuro amico d’infanzia! Chissà cosa facevano nei vari intermezzi, lui e gli altri, ah ah ah... sono certa che tutto si sistemerà al meglio! Giusto?”, disse con un guizzo che capovolse la situazione, per il piacere di Lolita che si ritrovò a stare sotto.
“Certo, maestra! Al nostro rifugio segreto, adesso!”, e un brivido di energia misteriosa attraversò quella bellissima casa.
“Brrrr”, fece Valery, “wow! Di colpo mi sento ancora carica ed eccitata!”.
“Anch’io”, fece Aleja che la guardò negli occhi, e posero giù le pizzette. Valery, alzatasi, uscì di scatto dal soggiorno per tornare al piano superiore con Aleja lanciata al suo inseguimento. Entrò nella stanza palestra e si gettò sul materassone, dopo tre secondi Aleja le stava già sopra. Qualche minuto di gioco, e Valery era già impacchettata e pronta a ricevere il secondo trattamento della giornata.
Alle 20 la Porsche nera uscì dal cancello di quella maestosa villa. Aleja sporse la testa fuori dal finestrino per salutare con un bacio la sua Valery che la stava guardando dalla grande finestra, premette sull’acceleratore e si mise in strada, dando un’occhiata alla cassa che stava sul sedile del passeggero. Valery le aveva detto che era arrivata da Boston e che conteneva vecchi ricordi e cimeli di famiglia trovati nella vecchia fabbrica che stava per riavviare. Sarebbe stato difficile, come Aleja, salire con quella cassa la sera stessa: l’avrebbe lasciata in macchina, chiusa nel garage, per prenderla all’indomani.
La mattina dopo Alejandro scese in garage, prese la cassa e la portò di sopra. La mise nella camera che usava solo come guardaroba e per gli attrezzi domestici. Era stata pulita bene di fuori, ma non aveva voglia di aprirla. La sua mente andò ad Angela Robinson, decise che l’avrebbe ricevuta in casa mercoledì 7, in tarda mattinata, alle 11.

Lunedì mattina fu per Alejandro un ingresso trionfale, con la consegna di souvenir vari e un rinfresco verso le 10.30. Nell’ufficio di Marc vide su uno scaffale la bambola di Margot che dominava a tutto campo. Quindi portò avanti il suo lavoro, diede ad Angela l’appuntamento come deciso con Marc, e anche la giornata successiva volò via rapidamente.

Mercoledì 7 alle 10.55 Angela suonò il campanello di Alejandro; il portiere non era lo stesso di quella domenica pomeriggio e non le fece caso, nemmeno le aveva chiesto chi stesse cercando. Indossava il suo tipico look da lavoro: camicetta beige, gonna lunga marrone chiaro, una borsa non da ragazza giovane, un paio di scarpe basse tipo mocassino, marroni come la borsa, tacco ampio e basso, ed aveva i capelli raccolti in un chignon. Si sentiva insicura ed inadeguata. L’ascensore giunse al 13° piano, dove abitava Alejandro, e al ‘gong’ di segnalazione d’arrivo al piano corrispose un tremore interno nel suo corpo, si sentiva a disagio ed inopportuna. “E’ permesso?”, chiese aprendo la porta; entrò nell’ampio ingresso e la richiuse. “Dottor Gutierrez, sono qui”. A passo incerto andò verso il soggiorno, bellissimo e finemente arredato, c’era anche un bel divano che faceva angolo. Non vide nessuno e rimase impalata quando, d’un tratto, l’hi-fi si accese ed uscirono le note musicali di ‘Mrs Robinson’, di ‘Simon and Garfunkel’. Ad Angela piacque, la sentì come una dedica personale e speciale tutta per lei, ma non immaginava minimamente la sorpresa che l’attendeva alle sue spalle, poco dietro l’altro varco che dal soggiorno conduceva alla zona notte. Sentì un rumore di passi, si girò, e appena vide la stessa ‘ragazza’ di quella domenica pomeriggio con lo stesso abbigliamento, trasalì. “Oh, ma allora lei conosce il dottor Gutierrez e...”, iniziò con gioia, ma si bloccò: nonostante la penombra, quel sorriso smagliante di chi aveva di fronte le aveva fatto capire chi in realtà ci fosse sotto quegli abiti femminili, stupendamente sexy ed eccitanti. Le sue pulsazioni salirono, pose la borsa sul tavolo mentre quella figura in nero, con i capelli a caschetto con i tirabaci, corsetto e minigonna in pelle, collana in perle, cappello da sceriffo, guanti lunghi in raso e stivali neri lucidi con le zeppe, mosse altri passi per andarle incontro, “... è incredibile, siete strepitosamente attraente, io, io... allora eravate voi quel pomeriggio, io...”, diceva Angela emozionata mentre la canzone volgeva al termine.
“Aleja!”, si presentò porgendole la mano.
“Angela”, contraccambiò con le gambe che le tremavano. Aleja le cinse i fianchi, ed a quel tocco Angela sentì che le sue forze la stavano lasciando; reclinò la testa indietro abbandonandosi a quella salda presa carica di dolce erotismo. Tenendola tra le braccia, passo dopo passo Aleja la condusse nella camera grande e la distese sul letto. Angela sbottonò la camicetta lasciando vedere solo l’intimo, Aleja le tolse i fermagli del chignon, le sciolse i capelli, e le salì sopra. Angela, ad occhi chiusi, sentì quelle morbide mani che le toglievano le scarpe, la gonna, la camicetta, fino a lasciarla col vestito di base fornitole da Madre Natura, cioè completamente nuda. “Dottor Gutierrez. cioè, Aleja, io...”, ma Aleja le pose con dolcezza un dito sulle labbra, e tacque. Prese un preservativo da un cassetto del comodino e si tolse la minigonna sotto la quale non c’era nulla. Si adagiò distesa sul corpo di Angela che, ad occhi chiusi, pareva stesse sognando. Inspirò profondamente ed abbracciò Aleja tenendola stretta: il suo profumo misto all’aroma emanato dal corsetto in pelle la inebriava ed eccitava. Muoveva le gambe, allargandole per sentire meglio il contatto con Aleja ed il suo gingillo; sentì come una scarica elettrica ai tocchi di lingua sui capezzoli e poi sul collo, e poi ancora sui capezzoli. Strinse le gambe attorno a quelle di Aleja, con le piante dei piedi pattinava su quegli splendidi stivali, e sentì un formicolio interno. Allargò ancora le gambe ed Aleja scivolò indietro per massaggiarle il clitoride con la lingua. “Aaahhh... aaahhh”, iniziò Angela a cui non pareva vero ciò che stava provando. “Sììì... Aleja... sììì”, e le sue gambe si misero a vibrare. La lingua giocava con il clitoride e le dita delle mani guantate di raso nero giocavano con i capezzoli, Angela sentiva gli umori umidi dentro di lei. “Ooohh... ooohhh... aahhh... mi fai impazzire”, mormorava e mugulava. Aleja, eccitatissima e col cetriolo duro a puntino, sentì il corpo di Angela vibrare, era giunto il momento di insaccare il giocattolo. “Mmmhhh... aaahhh... ahhhh”, gridò Angela allargando le gambe slanciandole in alto mentre Aleja, con movimenti sinuosi, faceva andare il fallo su e giù in quell’umidissima farfallina. La lingua non le risparmiava né i capezzoli, né il collo. “Ooohhh!”, esclamò Angela sentendo la forte pressione di qualcosa che si stava gonfiando tra le pareti vaginali ed i canali uterini.
“Mmmhhh...”, fece Aleja cercando di trattenersi.
“Aaahhh! Aaahhh!!”, esclamò Angela agitando le gambe sbattendole con vigore sul letto, “Sto per godereee... sììì... aaahhh... aaahhh... sono tuaaa... sììììì”. Angela era giunta all’orgasmo, ed il gingillo di Aleja esplose con impeto facendola sentire come se fosse in estasi tra le nuvole. Finiti i fuochi d’artificio Aleja si distese rilassata sopra Angela che, in preda all’orgasmo, continuava a trovarsi in uno stato di godimento che mai aveva provato. Dopo 15 minuti si misero sedute sul letto, Angela fissava Aleja e la accarezzava. “Mi hai fatta sentire un’altra, immagino che hai già qualche idea per il ‘dopo party’”.
“Sì! Mi sistemo un po’, usciamo a pranzo, e poi... vedrai”.
“Ma io sfiguro vicina a te. Posso fare una doccia?”. Aleja le fece cenno di ‘sì’ con un sorriso incoraggiante.
Alle 12.30 Aleja ed Angela (con i capelli sciolti) uscirono, andando con l’ascensore dirette nell’interrato. C’erano un paio di persone, ma chiunque vedeva solo due amiche che, a braccetto, andavano a prendere un’auto. Aleja aprì il suo garage e qualche minuto dopo la Porsche con le due ragazze a bordo era già in strada. “Sei uno splendore, sia come Aleja che come Alejandro. Io, invece, mi sento scialba, inadeguata, e vecchia, anche se ho solo 30 anni, fatti a Gennaio!”.
“Questione di come ci si sente dentro, io ne compirò 38 il 24 Agosto, beh, ma cosa dico, lo sai, tra le tue mani passano tutti i moduli delle buste paga”.
“Già, e nell’Ottobre 2000 ti sei laureato, a 24 anni appena compiuti, ed io ero ancora una teenager”.
Giunsero al parcheggio di un ottimo ristorante con cucina tipica mediterranea, i padroni erano nipoti di migranti napoletani degli anni ’50. “Qui si mangia divinamente!”, disse Aleja mentre Angela non credeva ai suoi occhi, non avrebbe mai immaginato di poter pranzare, un giorno, in un ristorante così raffinato e con una compagnia così stimolante. Verso le 14.30 uscirono, più che soddisfatte, e tornarono all’auto.
“Adesso cosa proponi di bello?”.
“Cambio di look”, rispose Aleja facendo l’occhiolino.
Dopo un breve giro per le strade della città ad Angela venne un tremore, “per di qua si arriva a casa mia, cioè, a casa di lui che...”.
“Lo so”. Passata quella casa svoltò a sinistra e parcheggiò non distante dalla Est Ontario St.. “Ora facciamo due passi”. Scesero e si presero a braccetto. “Eccoti arrivata! Comunque ti tengo compagnia dentro”, disse Aleja quando furono davanti al salone di bellezza ‘Michael Anthony’, “so che ti piace molto questo salone, però si cambia look”.
“Avrei dovuto prendere appuntamento, non so se...”, ma lo sguardo di Aleja era la risposta al suo dubbio, ci aveva pensato lei a prenotare la seduta. Entrarono e furono accolte cordialmente, Aleja diede alcune indicazioni al parrucchiere, mostrando ritagli di foto tratti da una rivista.
“Ho molto piacere, avremo una nuova signora Robinson!”, disse dando istruzioni ad una collaboratrice per la cura di viso, mani, piedi e unghie, “Trattamento completo!”.
Alle 17 l’opera fu terminata. Angela rimase di sasso quando si guardò allo specchio: i capelli erano bellissimi, brillanti e voluminosi, con un taglio a scalare verso le spalle; il leggero trucco al viso dava molto risalto agli occhi; le unghie delle mani erano splendide e i piedi parevano morbidissimi. Un ritocco alle labbra e poté così sorridere genuinamente di sé stessa. “Et voilà”, disse il parrucchiere dando l’ultimo leggero tocco di spazzola vicino l’orecchio destro, “non resta che andare in boutique!”, disse allegro.
“Davvero belli, sentirò la vostra mancanza quando sarò a Philadelphia”.
“Anche noi di lei! Mi ha fatto molto piacere darle un tocco rinnovato e del tutto inedito, spero conserverà un buon ricordo di noi”.
“Non dubiti”, disse Angela aprendo la borsetta per prendere la carta di credito.
“Non serve”, disse il parrucchiere.
“Ma io”...
“Tutto OK”, la rassicurò Aleja e, salutato lo staff, uscirono per tornare all’auto. “E adesso un po’ di shopping!”.
Al Water Tower Place c’era l’imbarazzo della scelta per le boutique dove fare acquisti. Per non far torto a nessuno, Aleja prese un voluminoso carrello e propose di far visita almeno a 3 negozi rassicurando Angela di non preoccuparsi per la spesa poiché la ‘Gothelm Co.’ voleva omaggiarla anche con una speciale ‘buona uscita di trasferimento’. Angela provava un vestito dopo l’altro, con i suggerimenti di Aleja e delle commesse. Scelse tre abiti da sera lunghi con scollatura sulla schiena, uno nero con brillantini, uno blu intenso ed uno rosso; poi un tailleur tinta salmone, due camicette bianche con ricami in pizzo al collo e ai polsini, due completi giacca e pantalone stretti al polpaccio. Provò e mise in borsa tre corpetti intimi super sexy (due con i ricami in pizzo), due paia di reggiseno con coppette, mutandine, tanga e perizoma. Toccò alle calze, scelse tre paia di autoreggenti (due paia nere e uno rosso), due completi calze e corpetto in unico pezzo con un bel buco dove serve, e sei paia di collant classiche. Prese anche tre cappotti: uno nero con risvolto e doppio petto, uno rosso con i bottoni dorati e uno bianco classico. Angela, inebriata, prese anche quattro minigonne e due gonne poco sopra il ginocchio, due paia di fuseaux, due paia di blue-jeans aderenti. Aleja uscì a prendere un altro carrello, quanto avrebbe voluto che Marc fosse lì con loro! Tornata alla boutique (era già la terza) vide con piacere che aveva preso anche tre giubbotti davvero carini: uno nero in pelle, uno leopardato e uno di blue-jeans. Nella boutique successiva Angela prese due cappellini, tre foulard e tre paia di guanti (uno nero in pelle, un paio lunghi di raso nero come quelli di Aleja, e un paio rossi).
“Ed ora le scarpe!”, la stimolò Aleja che aveva fatto bene a prendere un altro carrello: ce ne sarebbe voluto un altro, visti gli sguardi che attiravano, come di chi avesse appena svaligiato qualche negozio.
“Ma tutta questa roba ci starà in macchina?”, chiese Angela.
“Ne dubito, chiamerò un taxi”, e Angela rise di gusto. La titolare di quel negozio non finiva più di ringraziarle per gli acquisti: due paia di decolté in vernice (un paio nere e uno rosse) con plateau da mezzo pollice e tacchi da 4 pollici; un paio di sandali neri lucidi con lacci alla caviglia, zeppa da 2 pollici e tacco da 5 pollici; un paio di ballerine comode; due paia di scarpe normali ma carine con tacco da 2 pollici e senza plateau; un paio di stivaletti texani al polpaccio con punta rialzata e tacco comodo da 2 pollici; due paia di scarpe da tennis di ottima marca; due paia di stivali neri (uno in pelle e uno in camoscio) alti al ginocchio con tacco da 4 pollici, plateau da un pollice e fibbietta con brillantini per quelli in camoscio; un paio di stivali bianchi in pelle e dello stesso modello dell’altro paio in nero; un paio di stivali neri a metà coscia con tacco molto sexy da 4 pollici e plateau da un pollice. Infine, quattro belle cinture (di cui due larghe con fibbiona) e due capienti borsette.
“Direi che può bastare”, disse Angela stanca ma raggiante.
“No!”, rispose la ‘mistress’ indicando un ottimo negozio di pellicce.
“Non posso approfittare fino a questo punto”, disse Angela.
“Andiamo!”, disse Aleja decisa. Angela prese due pellicce, morbide, bellissime, una in tinta grigio argentato e l’altra in tinta whisky. Passarono vicino a degli ampi servizi igienici.
“Mi cambio, voglio iniziare già da oggi”, disse Angela all’improvviso. Mentre lei si cambiava, Aleja telefonò alla reception dell’hotel presso il quale Marc aveva prenotato una stanza ad Angela per quei giorni prima della partenza, e informò che sarebbe arrivato un carico di bagagli da portare ad una certa stanza. Dopo 15 minuti Angela uscì da far girare la testa. Come intimo aveva il perizoma, autoreggenti nere e corpetto in pizzo con reggicalze; la camicetta bianca ‘staccava’ benissimo con la minigonna in jeans blu elettrico e gli stivali neri alti fino a metà coscia; i guanti neri ed il giubbotto in pelle completavano il quadro. A quella vista, ad Aleja si fece duro il pisello. Uscite dal centro commerciale trovarono subito un taxi. Il taxista accolse a bordo gli insoliti viaggiatori: pacchi e pacchetti, borse, borsoni e borsette, scatole varie; Aleja gli diede l’indirizzo dell’hotel dove recapitare il tutto, compreso il numero della stanza.
“O.K.!”, disse il taxista sorridendo sotto i baffoni mentre Aleja ed Angela si avviarono verso la Porsche che le aveva attese per più di 3 ore, erano già le 21.30.
“Aleja, devo passare per casa, da lui. Devo prendere degli effetti personali, mi ha telefonato ieri sera dicendomi che li aveva messi in uno scatolone e di andarli a prendere quanto prima altrimenti li getta nella spazzatura”.
“Che personaggio, no comment!”.
“Comunque andrò domani all’hotel, questa notte la passo ancora dalla mia amica, così domani, prima di venire in ufficio, raduno le mie cose che ho da lei e le lascio all’hotel, è stata gentile ad ospitarmi per questi giorni. Non sa che andrò via da Chicago, e non lo sa nemmeno lui!”.
“Glielo dirai?”.
“Sì!”.
Quasi alle 22 la Porsche fu parcheggiata nella stessa zona del pomeriggio, vicino al salone di bellezza. Passeggiavano a braccetto, sorridendo al rumore dei loro tacchi sul marciapiede. Davanti al portone Angela suonò il campanello, non aveva più le chiavi. “Chi è?”, chiese una voce roca.
“Io”, rispose Angela, e la serratura scattò. Giunte alla porta dell’appartamento, socchiusa, Angela bussò e la scostò un po’.
“Ecco qua le tue cos... che mi venga un colpo!!”, disse Tom posando lo scatolone sul mobiletto d’ingresso su cui aveva poggiato poco prima la bottiglia di birra che si stava scolando, “... ma che fai conciata così? Diamine!...”, la sua voce era tremula, il respiro affannato “e questa chi sarebbe?”, chiese.
“Una mia amica”. Tom era già in preda a certe voglie, oltre che agli effetti della birra.
“Angela”, disse Tom, “non è come pensi, Jacinta è solo un gioco per me. Se vuoi, possiamo restare assieme, vuoi che ci sposiamo?”.
“Lasciami perdere, tanto tra qualche giorno andrò via da Chicago”.
“Ma che razza di idee ti hanno messo in testa?! E’ stata lei, vero??”, chiese in un tono alterato che rimbombava sulle scale, “Vieni qua!”, disse prendendo Angela per un polso tirandola dentro casa con uno strattone facendola quasi cadere sul pavimento.
“Lasciami! Lasciami!”, gridò lei tentando di divincolarsi.
“La lasci subito!”, intervenne Aleja decisa, ma con timbro di voce femminile.
“Che vuoi, nanerottola?! Torna dai tuoi amici Puffi”, disse Tom sprezzante allungando il braccio sinistro con l’atto di respingerla con una manata sul petto, senza immaginare la conseguenza di quella mossa. Aleja, da brava judoka, si scostò di lato e con mossa fulminea afferrò il braccio di Tom, allungò una gamba verso di lui facendo strisciare la suola sul pavimento facendogli lo sgambetto. Tom perse l’equilibrio e si ritrovò steso a terra, con un braccio dietro la schiena e con il collo intrappolato dalla gamba destra di Aleja. “Ahh... ahia... mi lasci, fa male!”, la supplicava Tom al quale, però, quello stivale sotto il mento stava facendo un effetto particolare mentre agitava le gambe.
“Chiedi scusa ad Angela”, ordinò Aleja.
“Scusami, sì, perdonami, ti prego! Sono stato e sarò sempre uno stupido”, diceva Tom. Angela si chinò e lo guardò negli occhi. Nonostante tutto gli sorrise e gli diede una carezza sul viso prima di prendere lo scatolone, e Aleja lasciò la presa. Tom si rilassò ponendosi a pancia in su, e riprese il normale respiro sentendo sul petto la gradevole pressione dello stivale destro di Aleja.
“Niente rancori? Pace?”, chiese Aleja.
“Pace, sì...”, rispose Tom allargando le braccia.
“O.K., andiamo allora”.
“Addio Tom, e cerca di riguardarti”, disse infine Angela chiudendo la porta.
“Diamine”, mormorò Tom ancora steso sul pavimento, “giuro che in tutta la mia vita non mi sono mai eccitato tanto come adesso”. Pensando alla scena di qualche istante prima si slacciò i pantaloni e mise in azione la mano.

La mattina dopo Alejandro raccontò tutto a Marc che rise al pensiero dello scontro tra Aleja e Tom. Gli disse che Angela non si aspettava una cosa del genere, con gli ultimi giorni a Chicago in un hotel di classe, e che era felice del contratto di trasferimento a Philadelphia per passare poi a Boston. Al pomeriggio Angela si presentò in ufficio col suo nuovo taglio di capelli e con un look bello, sobrio e allo stesso tempo accattivante, con un completo di giacca e pantaloni su camicetta bianca e decolté rosse, riscuotendo i complimenti dei colleghi. Alle 18 tutto il personale era in sala riunioni per una comunicazione del ‘boss’. “Eccoci qui, tutti assieme, non manca nessuno! Cose di pochi minuti, il tempo è denaro!”, disse ridendo, “E a me piace usarlo al meglio, il tempo, sapete quanti straordinari faccio di sera e anche al sabato mattina, vero?”, e più di qualcuno rise. “Vengo al sodo: Domenica siete tutti invitati alle 16 alla mia villa per la festa del mio compleanno, e anche per salutare la nostra bravissima Angela Robinson che Giovedì prossimo partirà per Philadelphia, lascerà un grande vuoto, ma sarà sempre nella nostra famiglia della ‘Gothelm. Co’! Grazie Angela!”, e le diede un forte abbraccio. Ci fu un bell’applauso, poi ognuno tornò alla sua postazione anche se mancava poco alla chiusura.

Domenica 11 Alejandro si alzò presto per sistemare le sue scartoffie, libri, soprammobili, cose di cui non voleva si occupasse Alice quando andava a fare le pulizie. Aprì le finestre per avere un po’ di corrente d’aria e prese la cassa che gli aveva dato Marc, tenendola sul pavimento a fianco della scrivania. La aprì: c’erano molte cose, svariati oggetti, ricordi, vecchie foto incorniciate, libri vecchi, un tubo di legno che pareva vecchissimo con bordature di cera secca o resina. Prese dei libri e iniziò a sfogliarli, erano registri con cifre di raccolti dal 1865 al 1870 di una tenuta agricola dalle parti di Yuma, poi altri quaderni contabili, una vecchissima Bibbia, album di foto. Prese un album e lo poggiò sulla scrivania per sfogliarlo quando squillò il cellulare. Si scostò di lato senza più guardare l’album e rispose, era Samuel. Intanto un soffio di corrente d’aria iniziò a far girare le pagine dell’album senza che Alejandro vedesse. Samuel gli chiese se avesse rivisto Valery, e che era preoccupato perché più di qualche sera, sul tardi, aveva girato per certe zone di periferia ma non l’aveva più vista. L’album si sfogliò da solo giungendo ad una pagina dove c’era la foto di una donna bellissima, di media statura e dall’aspetto gagliardo e fiero, mantella e stivaloni neri, cappello cilindrico basso, guanti neri, sorriso accattivante e capelli a caschetto con i tirabaci. Terminata la conversazione con Samuel si girò verso l’album, ed un colpo d’aria voltò la pagina: lui vide quella foto solo per una piccola frazione di secondo ma non ci pensò, davanti ai suoi occhi era apparso un ritaglio di giornale, una pagina ben piegata del ’Boston Globe’ del 23 Ottobre 1915. Prese quel foglio e lo dispiegò: c’era un breve trafiletto cerchiato in rosso, e lo lesse con attenzione:
“Due connazionali perdono la vita a Parigi. Apprendiamo della tragica scomparsa, a Parigi, di due nostre connazionali, Lady Margaret O’Brien (madre dei noti industriali di Boston, famiglia O’Connor) e di una sua carissima amica, una ex diva di teatro e cabaret, Laurencia Carmela Vittoria Montero Ferrer de lo Castillo, più nota col nome d’arte di Lolita Montero. L’incidente in cui le due anziane donne hanno perso la vita è avvenuto diversi giorni fa, il 12 Ottobre, ma la notizia è giunta in redazione solo l’altro ieri, va tenuto presente che l’Europa è in fiamme da oltre un anno per la guerra che vede contrapposti gli imperi prussiano ed austroungarico a Francia, Gran Bretagna, Russia e, da Maggio, anche all’Italia. Le circostanze dell’incidente non sono molto chiare, la carrozza su cui viaggiavano è sbandata e poi caduta nella Senna dal ‘pont de Bir-Hakeim’, a poche centinaia di metri dalla Torre Eiffel, per un inatteso imbizzarrimento dei cavalli che la trainavano. Da testimonianze si è appreso che, all’improvviso, mentre la loro carrozza era a metà del ponte, dall’altra parte è sopraggiunta una vettura d’ospedale a sirene spiegate che, imboccando il ponte, si ritiene abbia spaventato i cavalli facendone perdere il controllo al vetturino. Dagli appunti trovati nell’appartamento parigino che avevano affittato da una ventina di giorni dopo che erano state un mese a Londra, si è appurato che erano dirette ad una casa d’aste per tentare l’acquisto di un antico manufatto medioevale, una bambola che un antiquario di Milano aveva esposto qualche giorno prima ad una mostra all’aperto davanti al museo del Louvre e che aveva destato il loro interessamento. L’antiquario, Ferrucio Fonneli, raggiunto tre giorni dopo la disgrazia, si è detto profondamente dispiaciuto per l’accaduto, e che sarebbe stato meglio se gliela avesse regalata il giorno stesso dell’esposizione, visto che nessuno l’aveva comprata all’asta e che avrebbe dovuto riportarsela a Milano. La polizia francese afferma che dopo cinque giorni di ricerca i corpi delle due donne non sono ancora stati ritrovati e non si riesce a dare una spiegazione a questo mistero.”.
Alejandro sentì un nodo in gola e una stretta alle spalle come a Milano, prima di entrare in quel negozio all’interno della stazione centrale. Rilesse il trafiletto e si bloccò: “Che coincidenza! Lady Margaret, Lolita Montero, guarda caso, L.M. entrambe, come l’insegna di quel negozio, e la bambola medioevale di nome Margot, anzi, Little Margot, visto che quella donna la considerava la sua ‘piccola’, però, che coincidenze!”. Ripiegò il foglio di giornale, lo reinserì nell’album e rimise dentro la cassa tutto ciò che aveva tirato fuori.
Non pranzò, e puntuale andò alla festa di Marc, c’erano tutti i colleghi d’ufficio e anche qualcuno dello staff della fabbrica di Chicago oltre i vicini di casa di Marc, i Wilson, e due certe immancabili ed invisibili presenze. La festa fu un successone, e si protrasse fino a tarda serata.
Lunedì mattina si presentò in ufficio Jacqueline Bishop, dello staff della segreteria del sito produttivo di Chicago, per prendere le consegne di Angela e sostituirla fino all’assunzione della nuova segretaria, un compito non semplice.
Giovedì 15, nel primo pomeriggio, Marc e Alejandro accompagnarono Angela all’aeroporto. Aveva un bagaglio modesto, due valigie e un borsone, il resto era già stato mandato il giorno prima a Philadelphia col treno, alla casa dove avrebbe alloggiato per il primo periodo. Aveva appena terminato il check-in, e stette con loro fino al limite a cui potevano accompagnarla, cioè al varco per gli imbarchi.
“Ci mancherai”, disse Marc.
“Anche voi a me”, rispose Angela, e li abbracciò, “grazie di tutto, Marc, cioè, dottor Gothelm”.
“Va bene Marc, e anche un altro nome, se si potesse”, aggiunse sorridendo.
“Quale?”, chiese lei mentre Alejandro scoteva la testa.
“Non importa”, riprese Marc dandole una carezza ed un bacio sulla guancia, e così fece anche Alejandro. Quindi si avviò verso l’area d’imbarco, girandosi per salutarli un’ultima volta.
“Stiamo facendo l’abitudine agli aeroporti”, disse Marc.
“Già”.
“Cosa fai stasera dopo le 19.30?”, chiese Marc.
“Non saprei, magari darò una controllata al contenuto di quella cassa”.
“No!”, riprese Marc dandogli una pacca sulla spalla, “Mi dispiace per te, ma ci aspettano degli straordinari da fare in ufficio!”.
“E cioè?”, chiese Alejandro col sorriso malizioso.
“Jennifer e Samantha!”, rispose secco Marc. E mentre gli altoparlanti davano ai viaggiatori gli annunci delle partenze e degli arrivi, per Alejandro e Marc si annunciava, invece, una serata frizzante a piste tutte libere.

* * * F I N E * * *


Nota: racconto di pura fantasia. Pur essendo certi luoghi di ambientazione in un contesto reale, si fa presente che i nomi dei personaggi e di società, aziende e il settore merceologico sono di pura fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o persone omonime è puramente casuale.
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