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GIULIETTO (prima parte)


di jeepster
25.09.2015    |    17.488    |    3 6.0
"Abbracciandolo Sandro sussurra: «Il mio Giulietto, finalmente!» «Professo’, ormai solo te me chiami ancora Giulietto» «E tu invece sei l’unico che mi..."
Roma, 1966. Sandro e Giulietto entrano ridacchiando nella stanza in penombra, dove regna un generale disordine; è illuminata solo da una lampada appoggiata su un comodino di fianco al letto. Abbracciandolo Sandro sussurra: «Il mio Giulietto, finalmente!»
«Professo’, ormai solo te me chiami ancora Giulietto»
«E tu invece sei l’unico che mi chiama professore; te l’ho detto mille volte: non sono un professore! Sono Sandro e basta… però per me tu sarai sempre Giulietto, il meraviglioso "angioletto" che ho incontrato in quel cinema quattro anni fa»
«Sì ma poi è passato ‘n sacco de tempo prima che avemo fatto quarcosa… me credevo che nun t’ero piaciuto… »
«Già, ho lasciato passare un anno, non potevo, eri ancora troppo giovane, rischiavo la galera»
«Però dopo ce semo rifatti, stavamo sempre appiccicati… finché nun sei sparito ‘n’artra vorta… t’ero venuto a cerca’ all'artra casa e la vicina tua m’ha detto ch’eri partito… poi ce siamo rivisti a Villa Borghese ma nun era più come prima…. Che te credi? L’ho capito subito che te n’eri trovato ‘n artro... – si guarda attorno – nun voi accenne la luce? »
Sandro prende una grossa torcia elettrica a pile che si trovava ai piedi del letto.
«No, si è rifulminata la lampadina… Raffaele ha detto che stasera me ne porta una che va bene per la corrente a 220; se devo cercare qualcosa uso questa! »
«Che t’avevo detto? Lo sapevo io... allora se chiama Raffaele quello novo!»
«Ma no, Raffaele mi fa da autista, mi aiuta con la mia attività di commercio d’arte, è il mio segretario»
«Se, se… er segretario!... lassamo sta’ va».
Giulietto gli si avvicina e si fa passare la torcia, l’accende e comincia a puntarla in faccia a Sandro che cerca di schernirsi, poi dopo aver scherzato un po’ butta la torcia sul letto e abbraccia Sandro, dapprima affettuosamente, poi con un intenzione più esplicitamente sensuale. Cominciano a spogliarsi a vicenda lasciando cadere a terra i propri indumenti fino a restare completamente nudi.
I due si abbracciano e si accarezzano, poi Giulietto si china davanti a Sandro, tenta di iniziare un rapporto orale ma Sandro non riesce ad eccitarsi.
«Professo’, com’è?... Hai insistito tanto pe’ rivedemme e mo ch’è successo? Nun te va più?»
Chiede il ragazzo restando in ginocchio guardando Sandro dal basso.
«È come se tu non fossi più lo stesso di prima, ora che sei quasi un uomo fatto, faccio fatica a ritrovare il ragazzo che ho tanto amato»
Giulietto si alza in piedi.
«Vordì che mo nun me voi più bene? Guarda che io so’ sempre er Giulietto de prima» dice abbracciando l’altro teneramente.
«Ma certo che ti voglio ancora bene! Solo che adesso mi sembri… diverso!… il tuo corpo non è più dolce come una volta, ti sono cresciuti tutti questi peli… e anche il carattere mi sembra cambiato, sei più serio, forse più triste… quasi preoccupato, senza più l’entusiasmo di una volta».
Giulietto si stacca.
«Pe’ fforza! Mo me tocca anna’ a lavora’, faccio er manovale, è pe’ questo che ho fatto i muscoli… devo porta’ i sordi a casa senno’ ce sfrattano ‘n’artra vorta… però nun è stata corpa mia. Er principale de prima se lo so bevuto, faceva ‘n sacco de ‘mpicci e po’ erano puro tre mesi che nun pagava nessun operaio, ce dava giusto quattro sordi pe tenecce bboni e facce continua’ a lavora’; così dopo ce la semo pijata tutti ‘n der culo… Poi adesso c’ho pure ‘n’artra spesa: me so fidanzato! Se chiama Anna, è ‘na brava ragazza, de brava famija… così mo giù alla marana l’hanno smessa de cojonamme perché c’ho er pisello corto; loro stanno ancora lì a fasse le pippe!… poi vabbè, puro se so’ fidanzato, ogni tanto me piace de anna’ co’ l’ommini… comme co’ te, ma mica so frocio io!… o come dite voi studiosi: “omminosessuale”… e poi ogni tanto se scaja puro quarche lira».
Sandro finisce d’indossare una vestaglia appoggiata alla spalliera del letto mentre dice: «Beh, con me ti andrebbe male!... Io sono “quello che dà du’ lire”… è così che sono famoso giù al fiume, dove vado a incontrare i ragazzi. Però anche quando in giro c’è qualcuno che paga molto bene, come Pierpaolo per esempio, loro continuano a preferire di venire con me. Lo sanno che io gli voglio bene, lo sentono; l’amore che provo per loro vince su ogni cosa e così mi hanno preso tutti in simpatia. Si comportano sempre bene con me, pure i più delinquentelli. A volte ne carico in macchina anche tre insieme e ce ne andiamo in campagna a fare i nostri giochetti; uno rimane di guardia e agli altri due faccio fare a uno una cosa e all’altro un altra, poi quando mi stufo dico: “cambio!”… e loro si scambiano i ruoli».
Giulietto si dirige verso una sedia su cui è sistemato un giradischi e alcuni dischi “long playing” appoggiati sulle gambe della stessa.
«Vedo che c’hai un giradischi… Perché nun sentiamo ‘n po’ de musica?... famme vede' che dischi c’hai… Mozarte, Straviski… nun li conosco. Morandi ce l’hai?»
«Ho venduto un suo quadro proprio la settimana scorsa, si vende bene, ci ho guadagnato un bel po’»
«Davero?... ma che Morandi fa pure i quadri?»
«Certo, è un pittore… cos’altro dovrebbe fare?»
«Ma come?... pe’ me Gianni Morandi è er più forte cantante italiano, pe’ te no?... già, tu sei un matusa, me sa che a te te piace Claudio Villa»
«Ma no, io intendevo Giorgio Morandi: è un importante pittore italiano»
«Ah ecco, nun è lo stesso Morandi, mo ho capito!… vabbè, allora accendo un po’ la radio».
Ce n’è una che si trova su un’altra sedia vicino a quella del giradischi.
L’apparecchio trasmette uno dei successi del momento: “Piccolo ragazzo” di Milva (“…piccolo ragazzo, tu corri sul mio prato, piccolo ragazzo, tu piangi e ti ho sentito…”).
Giulietto, tutto nudo, comincia ad accarezzarsi in modo sensuale, si tocca il membro mimando una masturbazione, accenna una danza per sedurre Sandro che sembra voler stare al gioco. Questi prende la torcia rimasta sul letto e la usa per illuminare il ragazzo come fosse un riflettore.
Appena la canzone sta per finire, Sandro va a spegnere la radio, butta di nuovo la torcia sul letto e recita l'inizio di una sua poesia: «“Traversare un paese… e lì vedere cheti fanciulli ridestarsi a un soffio di musica e danzare…” ».

(continua)
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