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Gay & Bisex

un amore (4)


di pinghe69
14.09.2012    |    8.519    |    2 9.2
"Guardandolo, pensando alla sua spontanea confessione , mi resi conto della sua sincerità nel rapporto con me..."
Hamed era venuto ad abitare da me. La mattina usciva presto per andare a lavorare, lo rivedevo la sera dopo le diciotto. La nostra vita seguiva un copione fisso.
Al suo rientro la doccia. Aveva certamente lo scopo di togliergli di dosso la fatica accumulata nel suo peregrinare con un borsone di merce contraffatta sulla spiaggia o in altro posto dove c’era la gente. La doccia però era anche la gioia di ritrovarsi di stare abbracciati accarezzati dallo scrosciare dell’acqua. Ogni volta che lo aiutavo a spogliarsi era come scartare lentamente un cioccolatino pregustando il suo dolce sapore. Ero affascinato dal suo corpo, che sebbene stanco, esprimeva una energia forte e nello stesso tempo dolce. Il suo sguardo di gazzella le sue risate mi riempivano il cuore. Certo che ci toccavamo, certo che il più delle volte mi inginocchiavo davanti a lui per prendergli il cazzo in bocca, per leccarlo con la stessa avidità con cui si addenta una bella fetta di una torta, ma il gioco sessuale era solo una componente, c’era qualcosa di più, quando mi perdevo nel suo sguardo era come si mi penetrasse nel profondo, allora ci stringevamo abbracciati con tutta la nostra forza, più che baci ci sfioravamo le labbra e le parole erano solo parole d’amore.
Ci rilassavamo sul letto. Aspettandolo, preparavo sempre uno spuntino generalmente del formaggio e della frutta. Nudi ci gustavamo quello che avevo preparato, i nostri corpi diventavano la tavola dove l’altro appoggiava il suo cibo , così il piccolo pasto diventava un gioco erotico. Tralasciando i baci che ci scambiavamo ogni volta che l’uno offriva all’altro una fetta di mela o di altro frutto tenendone una metà nella sua bocca, le parti del corpo più coinvolte erano i capezzoli, a tutti e due piaceva da morire averli succhiati e mordicchiati, e verso la fine del pasto i nostri cazzi venivano omaggiati con vera passione. Terminate le cibarie ci scatenavamo in un appassionato sessantanove, con foga le nostre bocche risucchiavano il cazzo del partener, per poi rallentare il ritmo, andare ad accarezzare poi leccare lo scroto fino a portare le nostre lingue all’ingresso delle nostre viscere, per poi risalire verso l’asta svettante , la lingua accarezzava le cappelle infuocate, poi il cazzo spariva nella bocca dell’altro fino a colpirgli le tonsille. Questa danza riprendeva forza, ognuno sembrava volere scopare la bocca dell’altro ma soprattutto voleva inondare la sua bocca col una sborrata liberatrice. In quei momento si capiva perché i francesi chiamavano l’orgasmo la dolce morte. Lentamente lasciavamo che le onde del piacere si placassero in un sereno dormiveglia.
Generalmente la cena era l’unico momento del nostro rapporto dove la ragione prevaleva su i sensi. Era l’occasione per parlare. Una volta avevo usato una frase in francese, Hamed mi corresse la pronuncia, da quel giorno si stabilì un patto, io gli parlavo in francese e lui mi correggeva eventuali errori, Hamed mi parlava in italiano ed io gli facevo lo stesso servizio di correzione. Guardavamo la televisione solo durante la cena, ci dava l’occasione per verificare le nostre opinioni politiche, non sempre coincidenti, ma mai causa di liti.
Finita la cena era il letto di nuovo ad accoglierci, nudi, spesso l’uno accoccolato sulla spalla dell’altro, parlavamo fintanto che morfeo non imponeva i suoi diritti. Dormendo tutti e due su un fianco accadeva spesso che io mi ritrovassi con la mia schiena appoggiata al suo ventre. Questo contatto era inizialmente involontario ma aveva il pregio o il difetto di svegliarmi, da quel momento nulla era casuale. Incominciavo lenti movimenti per assestare meglio il mio fondo schiena contro il suo inguine. In qualche maniera volevo portare il suo sesso nel solco fra i miei glutei. Quando raggiungevo questo risultato, era tale il piacere che quella presenza mi dava che, restavo immobile concentrato , contraevo e rilassavo i muscoli del culo e mi eccitava la sensazione che avevo che il suo cazzo rispondesse, sebbene involontariamente, a questo mio massaggio. Capitava non spesso che Hamed si svegliasse e prendesse coscienza delle mie infide manovre. Rideva divertito mi attirava tutto contro di lui, mi mordeva il collo, io, abbandonate le precauzioni, cercavo, con fare spudorato, di portare il suo cazzo in tiro contro il mio ano. Hamed non si tirava ovviamente in dietro, guidava con perizia il suo sesso affinché penetrasse nelle mie viscere. Lo aiutavo con colpi vogliosi dei miei fianchi. Se sempre c’era una componente di dolore nella sua penetrazione, era tanta la voglia di accoglierlo dentro di me che quasi non la sentivo. Io mi scioglievo per il benessere che mi avvolgeva, in quei momenti avevo la sensazione di avere liberata in me la parte femminile della mia natura.
Questa che ho descritto, era la cronaca abbastanza ripetitiva, di quella parte del giorno che vivevamo insieme.
Le cose belle non durano all’infinito. Una sera durante la cena, Hamed, imbarazzato, mi dette la notizia che la settimana successiva sarebbe partito per la Francia. Mi sentii crollare il mondo addosso. In Francia aveva i suoi fratelli, che lo reclamavano poiché volevano insieme mettere in piedi una attività economica autonoma che, li liberasse dal ricatto della malavita. Lui in Italia aveva dovuto accettare quel lavoro , sebbene faticoso e per certi versi illegale perché ricattato. Fino a quando era venuto a vivere da me, aveva abitato con altri otto ”vu cumprà” il due stanze. Alloggio e merce erano riforniti da personaggi collegati certamente alla malavita. Non pagando più l’alloggio, aveva potuto risparmiare gli euro che gli sarebbero serviti per il viaggio in Francia. Per un attimo mi venne da pensare che ero stato usato. Guardandolo, pensando alla sua spontanea confessione , mi resi conto della sua sincerità nel rapporto con me.
Arrivò l’ultima sera che restavamo insieme, mi volle portare a salutare gli altri che avevano lavorato con lui. Mentre vidi quanta solidarietà c’è tra i poveri, vidi anche in che condizioni sub umane possono vivere questi immigrati sfruttati dalla nostra malavita.
Tornammo a casa, non c’era voglia di parlare, ci spogliammo e ci mettemmo a letto, io mi ero accoccolato sulla sua spalla. Hamed mi accarezzava, nessuno riusciva a dire una parola. Ero paralizzato, avevo la morte nel cuore.
Hamed prese a riempirmi di teneri baci sul viso, poi incominciò a sfiorare le sue labbra alle mie, senza pensarci insinuai la mia lingua nella sua bocca. Questo gesto divenne i segnale della nostra ultima battaglia erotica.
“non ti muovere – mi disse – lascia fare tutto a me stasera”.
Ci mise tanta passione che io che all’inizio ero di ghiaccio, divenni infuocato. Hamed prese ad accarezzare e a leccare ogni centimetro del mio corpo, prima la schiena, poi scese verso il voglioso lato B, mi leccò la parte posteriore delle cosce, i polpacci fino a succhiarmi le dita del piede. Mi fece girare sulla schiena. Prese a baciarmi il viso, si soffermò sulla mia bocca in cui introdusse la sua lingua guizzante, mi tormentò a lungo i capezzoli, fino a prendermi in bocca il mio cazzo che stimolato da tanta passione erotica si era alzato orgoglioso. Credevo che volesse concludere la sua prestazione con un goloso pompino. Non fu così. Si staccò dal mio cazzo mi scavalcò mettendosi sopra di me.
“Ho sempre saputo, che ogni volta che mi leccavi o mi violavi con le dita il mio culo, volevi trasmettermi il tuo desiderio di prendermi, di farmi tuo. Eri però troppo gentile per insistere e cercare di realizzare questa tua voglia. Stasera è Hamed che vuole farti questo regalo come pegno di un rapporto che non finisce con la mia partenza”. Disse queste parole mentre riprendeva in mano il mio cazzo e cercava di posizionarlo sul suo buchetto vergine. L’operazione non era semplice, il mio cazzo era molto più grosso delle dita che lo avevano penetrato, sembrava che la cappella non riuscisse a trovare la giusta strada. Ogni volta scivolava nel solco. Con la saliva lo aiutai a rendere più accessibile l’ingresso del suo antro. Finalmente la cappella riuscì ad aprirsi la strada, per un lungo momento rimase in mezzo al guado, senza una spinta decisa non avrebbe vinto la lotta contro il suo sfintere. Fu Hamed che forzò la situazione con un potente colpo dei fianchi. Ero dentro di lui, sicuramente doveva sentire un dolore terribile, questo però non lo distolse dalla sua decisione di essere totalmente mio . Io non riuscivo a muovermi, un tumulto di sentimenti e di sensazioni attraversava la mia testa e il mio corpo, ero spettatore più che attore di questa insperata situazione. Hamed incominciò un lento su e giù, io lo guardavo e riuscivo a malapena accarezzarlo sul petto e sulla guancia, poi quel lento massaggio fece crescere in me l’orgasmo che esplose, la mia sborra si scaricò nelle viscere di Hamed mentre lui mi crollava sul petto. Ci ritrovammo abbracciati, io gli baciavo il viso , gli occhi continuando a dirgli come in una nenia “ grazie, grazie, grazie…” Così abbracciati ci colse il sonno. Io che generalmente ho il sonno leggero, quella notte piombai in un sonno profondo. Mi svegliò la luce del sole, allungai una mano per cercare Hamed, il letto era vuoto , sul cuscino accanto al mio c’era un biglietto con scritto la semplice parola “ciao.”

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