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SCHIAVA DEI MIEI ZII (Parte seconda).


di ragazzoserio71
07.04.2022    |    34.223    |    8 9.7
"Mi spogliarono completamente e mi fecero inginocchiare..."
Continuavo a fissare l’elefantino di vetro azzurro, sul comodino. Mia zia se n’era appena andata, dopo avermi dato la buona notte con un bacio sulla fronte, quasi materno. Le sue parole riguardo all’elefantino, continuavano a girarmi nella testa. Mi aveva detto che se avessi voluto approfondire quegli argomenti, bastava mettere l’elefantino sul portaoggetti del mobile fuori dalla mia stanza. Ma cosa intendesse dire veramente, non lo avevo capito.
Mi avrebbe spiegato come funzionavano quel mondo e quei giochi? O mi avrebbe dato qualche dimostrazione pratica, magari come le avevo visto fare nei confronti di quella ragazza a lei sottomessa?
Ero sua nipote e probabilmente non sarebbe mai successo, ma pensando a quell’eventualità mi bagnai, e dovetti nuovamente masturbarmi. Poi mi addormentai.
L’indomani passò normalmente. Alla mattina cercai di abbandonarmi alla lettura, ai miei amati libri. Avevo bisogno di svagare la mente. Cosa che mi riuscì solo in parte. Non riuscivo a dimenticare l’immagine dei miei zii con quella ragazza. Il pomeriggio io e la zia andammo a fare spese in un grande ipermercato e ci concedemmo pure una bevuta in un locale, ed una chiacchierata tra donne. Mi chiese degli studi, dei miei ragazzi, se ne avevo avuti o ne avessi uno fisso. Chiacchiere normali. Come se quello che era successo il giorno precedente, fosse stato letteralmente cancellato.
Anche la cena assieme allo zio, fu normale e tranquilla. Ma quando tra noi c’era silenzio, io non riuscivo ad evitare di pensare a quello che avevo visto.
Finito di cenare li salutai, dissi che me ne andavo in camera a leggere. Appena mi alzai, la zia mi chiese se mi stavo annoiando. Mi chiese, guardando anche lo zio, se volessi andare da qualche parte, magari dove potessi trovare dei coetanei. Lei mi avrebbe accompagnato volentieri. Era carinamente preoccupata per me.
Dissi che per ora mi andava bene riposare, per ricaricarmi, visto che gli ultimi periodi di scuola erano stati impegnativi. Aggiunsi che non mi stavo annoiando, e che ero loro molto grata per l’ospitalità.
Intervenne lo zio, dicendole di lasciarmi tranquilla, che sapevo quel che volevo. A suo modo, gli uscirono parole gentili. Lo ringraziai con lo sguardo, sostenendo il suo. Anche se per pochi secondi, perché ancora mi intimoriva.
Arrivata in camera presi un libro a caso dalla mia valigia, e mi buttai sopra al letto, togliendomi solo le scarpe. Rimasi in jeans e maglietta, si stava bene così, anche come temperatura.
Dopo cinque minuti sbuffai e appoggiai il libro sulle ginocchia. Guardai l’elefantino, sopra al comodino.
Mi accarezzai l’interno coscia, da sopra i jeans. Evitai di toccarmi in mezzo alle gambe, qualcosa si stava già risvegliando, e a mio modo, cercavo di dominare la situazione.
Mi alzai di scatto, facendo cadere il libro a terra. Presi l’elefantino e lo portai sul mobile appena fuori dalla mia stanza, nel corridoio. Lo appoggiai sul porta oggetti, come mi aveva detto di fare la zia.
Mi rimisi a leggere, anche se di vera lettura non si poteva di certo parlare. Continuavo a rileggere le stesse pagine, senza capirne il contenuto.
Cosa mi avrebbe detto la zia su quell’argomento? Che parole avrebbe usato? Mi eccitava saperne di più.
Passò una mezzora abbondante e poi si udirono dei passi nel corridoio. Si fermarono davanti alla mia porta.
Il cuore iniziò a battermi forte nel petto. Bussarono. Era la zia.
Vedendomi con il libro in mano, chiese se mi stava disturbando. Sorrisi negando con la testa, dissi che mi ero già stancata di leggere.
Disse di aver visto l’elefantino sul porta oggetti, e mi chiese se ero sicura di approfondire quell’argomento.
Risposi di si.
Mi guardò negli occhi e disse che mille parole, non valevano come un’esperienza. Aggiunse dicendomi che quando avrei detto elefantino blu, tutto sarebbe finito, tutto sarebbe ritornato normale. Avrei potuto dirlo in qualunque momento. Uscì dalla stanza, sarebbe ritornata tra un paio di minuti.
Rimasi come una statua di cera, ferma lì, con il libro in mano e il cuore che accelerava i battiti.
Quando ritornò, aveva uno sguardo diverso. Non si era cambiata e nemmeno aveva oggetti in mano, ma dov’era andata? Forse a dire allo zio di quello che stavamo facendo? Mi si raggelò il sangue.
Che non glielo dicesse, sarebbe stato troppo ingenuo anche il solo pensarlo. Ma il fatto che lui lo sapesse, mi sconvolgeva.
Con tono secco e deciso, mi disse di gettare il libro. Lo stavo per appoggiare sul pavimento quando alzando il tono di voce disse che non me lo avrebbe ripetuto un’altra volta. Lo lasciai cadere da una quindicina di centimetri. Poi disse di alzarmi e mettermi in piedi. Era seria e la sua voce dava ordini decisi.
Lo feci, ma iniziai a sorridere. Era questo che voleva farmi capire? Il dare e ricevere ordini?
Vedendomi divertita, disse che non c’era niente da ridere, anzi. Spensi il sorriso, ma solo per farla felice.
A quel punto, con tono ancora più deciso, disse di togliermi pantaloni e mutandine, aggiungendo che ero una troietta. Lo sguardo con cui mi guardava, era come ad avvertirmi che le conseguenze di un mio rifiuto, avrebbero causato seri provvedimenti.
Quella situazione e quell’ultima frase fecero breccia. Era come se qualcuno avesse azionato un interruttore.
Iniziai ad entrare nella parte. Mi tolsi pantaloni e mutandine e rimasi nuda la parte di sotto, davanti a mia zia. Ero eccitata. Fissava la mia vagina, poi mi appoggiò una mano sul fianco. Quel tocco mi procurò un fremito. Appoggiò l’altra mano sull’altro fianco. Le sue mani erano grandi, accingevano quasi tutta la mia vita, o almeno così mi sembrava. Era tutto amplificato.
Mi fece girare, ora le davo la schiena e davanti a me c’era il letto. Mi alzò una gamba e mi fece appoggiare il piede sul materasso. Non diceva una parola, sentivo solo il suo respiro sul collo. Da sotto appoggiò una mano in mezzo alle gambe e mi sfiorò il clitoride. Ero sull’orlo dell’orgasmo, mi tremavano le gambe.
Tolse la mano di scatto e mi diede una forte sculacciata su una chiappa. Tolsi la gamba dal letto per l’improvviso bruciore. A quel punto mi appoggiò una mano sulla pancia ed una sulla testa e mi disse di appoggiarmi con le mani sul letto e di allargare le gambe. Ero con il sedere alto, rivolto verso di lei.
Appoggiò un dito sul mio ano, sussultai e lei lo tolse subito. Chiamò a voce alta mio zio e gli disse di venire in camera.
Mi prese il panico. Ora avevo paura, ero alla loro mercè. Non riuscivo a parlare, iniziai a tremare e a venire. Non capivo. Avevo paura e il mio corpo continuava a farmi avere orgasmi.
Si iniziarono a sentire i passi dello zio nel corridoio, mia zia era in silenzio. Mi stava accarezzando le natiche.
Quando lo zio fu quasi davanti alla porta e stava per entrare, urlai elefantino blu.
Mia zia gli intimò di non entrare e lui se ne andò. Ero sconvolta.
La zia ora era ritornata in sè. Aveva lo sguardo materno e preoccupato. Mi mise sotto le coperte così com’ero, e mi diede un bacio in fronte. Andò a prendere l’elefantino e lo mise sul mio comodino.
Chiuse la luce e se ne andò.
Il giorno dopo, stranamente, mi sentivo bene. Non ero turbata. Mi era piaciuto molto, e avrei voluto approfondire ancora. Sembrava che una voglia insaziabile si fosse impadronita di me, o forse quel mondo nuovo, stimolava la mia curiosità.
Il pomeriggio andai con mia zia a Berlino, città meravigliosa, fu una giornata stupenda. Anche questa volta, sembrava che quello che era successo la sera precedente, fosse stato letteralmente cancellato.
Passarono un altro paio di giorni di tranquillità. Nonostante la mia voglia, desistetti dal mettere l’elefantino sul mobile in corridoio. Ogni notte mi masturbavo tre o quattro volte, prima di prendere sonno.
Al terzo giorno, dopo quella fatidica sera, misi nuovamente l’elefantino sul porta oggetti.
Questa volta non ero impreparata. Ero sotto le coperte, ma completamente nuda. Avevo una voglia irrefrenabile, ero un fiume in piena.
Dopo un’ora circa di attesa, arrivò la zia. Indossava una vestaglia nera trasparente, si vedeva tutto. Non aveva reggiseno e le sue enormi tette leggermente cadenti terminavano con capezzoli appuntiti, che sembrava volessero bucare il tessuto. Sotto, indossava degli slip bianchi, in contrasto.
Non ero attirata da lei e nemmeno dal suo corpo, ma la situazione mi faceva impazzire. Nella mano destra teneva una valigetta in pelle nera.
Cosa c’era dentro quella valigetta?
Salutai la zia, ma mi rispose in malo modo, dicendomi di stare zitta. Era già entrata nella parte.
Mise la valigetta sul comodino e poi con un colpo, mi tolse le coperte. Vedendomi nuda, sorrise.
Dalla valigetta tolse un collare in cuoio nero, al quale c’era attaccata una catenella d’argento. Un guinzaglio.
Me lo mise e mi ordinò di camminare come una cagna sul pavimento. Obbedì e fu gratificante. Mi piaceva camminare a quattro zampe completamente nuda. Poi prese un dildo di plastica di medie dimensioni e mi ordinò di stare ferma.
Inumidì con una crema il mio ano e inserì il dildo. Provai dolore ma anche molto piacere.
Mi disse di stare con la guancia appoggiata al pavimento, e il sedere bello alto. Poi chiamò mio zio a voce alta e gli disse di raggiungerci.
Iniziai ad agitarmi ma non mi mossi e non dissi nulla. Il mio cuore batteva fortissimo e mi sentivo il viso in fiamme. Quando mio zio entrò nella stanza, era come se avessi fatto un ulteriore gradino, di quel viaggio perverso. Non lo vedevo, ma immaginavo cosa stesse vedendo lui.
La zia gli disse di accarezzarmi le natiche, era lei che conduceva il gioco. Appena sentii le sue mani toccarmi, iniziai a respirare forte e venni.
Poi la zia gli impartì un ordine in tedesco. Cosa doveva farmi?
Sentivo muovere il dildo nell’ano, mi procurava un immenso piacere. Era lui che lo stava muovendo? O era la zia? Poi gli urlò nuovamente qualcosa in tedesco. Forse non aveva ancora eseguito l’ordine. Iniziai ad avere paura. Uno schiaffo sulle natiche mi procurò una scossa al cervello, oltre che ad un gran bruciore.
La zia ordinò di nuovo qualcosa in tedesco, quasi gridando. A quel punto, dissi “elefantino blu”. Ero impaurita, tremavo e venivo in continuazione.
Se ne andarono entrambi. Attesi sempre nella stessa posizione per una quindicina di minuti e poi mi alzai. L’elefantino era stato rimesso sul comodino, accanto alla valigetta aperta. Riposi il guinzaglio e il dildo nella valigetta, e dopo averla chiusa, la misi in corridoio, appena fuori della porta.
Mi sentivo svuotata e felice. Dopo pochi minuti mi addormentai.
Il giorno dopo, al pomeriggio, decisi di parlare con la zia di tutto questo. Appena iniziai il discorso, mi zittii immediatamente.
Disse che al di fuori del gioco non bisognava parlarne. Era un gioco intimo e personale. Il gioco non doveva diventare vizio, altrimenti avrebbe preso lui il controllo, e non noi. Tenere distaccati i due mondi e quindi non parlarne, serviva proprio a creare una barriera invisibile, per cercare di impedire che ciò accadesse.
Le sue parole mi fecero riflettere, e nei giorni successivi, nonostante ne avessi una gran voglia, evitai di mettere l’elefantino sul porta oggetti.
Più i giorni passavano e più la mia voglia cresceva, ma non me la sentivo più di mettere l’elefantino sul porta oggetti. Non vedevo i miei zii come dei perversi, pronti a divertirsi con la nipote. Iniziai a pensare che probabilmente volessero darmi i giusti insegnamenti su quel tipo di sessualità, ma che comunque tutta la situazione fosse comunque pesante per loro.
Il penultimo giorno del mio soggiorno, la zia mi disse che l’indomani mattina, sarebbero arrivati una coppia di loro amici da Berlino, verso tarda mattinata. Mi chiese se potevo intrattenerli fino al suo arrivo, logicamente dissi di si. Mi dispiaceva comunque, perché essendo stato l’ultimo giorno del mio soggiorno, mi sarebbe piaciuto passarlo io e lei, magari bighellonando da qualche parte a fare shopping.
Arrivarono verso le undici del mattino. Erano pressappoco coetanei degli zii, forse qualche anno più giovani.
Lei era simpaticissima. Capelli molto corti di colore rosso, molto giovanile. Lui di bassa statura, più basso di lei di una decina di centimetri, paffuto e con il viso serioso, tipo mio zio.
Eravamo seduti in soggiorno, avevo offerto loro una birra e del succo di mela. Lei parlava perfettamente l’italiano, mentre lui nemmeno una parola. Non sapevo di cosa parlare e si stava creando un silenzio imbarazzante. Lei si alzò dalla poltrona, si avvicInò al tavolino, e prese l’elefantino blu, che ora mia zia aveva riposto in salotto. Da un paio di giorni infatti era sparito dalla mia camera.
Tenendolo in mano, disse di aver bei ricordi di quell’oggetto, e poi mi guardò. Avevo il viso in fiamme, probabilmente il rossore dominava le mie guance. Sorrise nel vedermi imbarazzata ed ebbe un guizzo nello sguardo, tipo quello di mia zia.
Mi disse, indicandomi un portaoggetti in ceramica, che se avessi voluto, potevo mettere l’elefantino lì dentro. Stava a me la scelta.
Iniziai ad avere il respiro affannato e in mezzo alle gambe un fuoco ardente. Il silenzio imbarazzante continuava. Con una forza ed una sfacciataggine che non mi appartenevano, mi alzai, presi l’elefantino e lo misi nel porta oggetti. Poi rimasi in piedi ad attendere.
Mi spogliarono completamente e mi fecero inginocchiare. Lui tirò fuori il pene dai pantaloni e mentre lei mi spingeva la testa, iniziai a succhiarlo. La situazione mi stava mandando fuori di testa, ero bagnata fradicia.
Poi lei mi mise un bavaglio in latex sulla bocca e me lo legò stretto, non sarei riuscita a parlare, nemmeno volendo. Prese sempre dalla sua borsa una corda e mi legarono le mani, belle strette.
Ero impaurita ma in estasi. Loro due rimasero comunque vestiti. Mi misero sopra il tavolo della cucina e mentre lui mi alzava le gambe, vidi lei con un fallo di plastica in mano, dalle dimensioni surreali.
Mi prese il panico e mi resi conto in quel preciso istante, di non poter dire la mia parola segreta, di non avere il controllo. Iniziai a scalciare, impaurita, ma loro erano più forti di me.
Ad un tratto, non so da dove, arrivò mia zia. Si fermarono e dopo averla salutata, se ne andarono.
Io stavo piangendo. Dopo avermi liberata e aspettato che mi calmassi e rivestissi, ci sedemmo sul divano.
Disse, come le avevo già sentito dire, che mille parole non valgono più di un’esperienza. Avevano architettato il tutto, era una messa in scena. Disse che se volevo approfondire quel tipo di sessualità, dovevo farlo soltanto con persone che conoscevo bene e di cui mi fidavo. Dovevo avere io il controllo, altrimenti poteva diventare molto pericoloso.
Ancora oggi, a distanza di anni, ricordo bene quelle parole. La mia sessualità ha comunque preso quella direzione, soltanto come gioco e non come vizio. Tutto per merito loro.
Daria
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