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Rolling in the deep.


di Easytolove
23.02.2022    |    962    |    5 9.6
"Mi accorgo che è attraente, emana un fascino conturbante , vista da vicino ha una strana aria di sfida, sembra quasi che voglia prendersi gioco di me..."
Di mio marito,ho il lontano ricordo di quando, mi prendeva con forza e decisione, mi faceva sentire il suo grosso e duro arnese, che mi riempiva la voragine vogliosa che ho in mezzo alle cosce, ho nostalgia di quando lo sentivo tutto infilato nella gola, con i suoi spruzzi caldi, che mi soffocavano, lo imploravo di scoparmi ancora più forte, di farmi comprendere quanto fossi la sua troia.
La scorsa notte, il tentativo di risvegliare i suoi antichi ardori, si è rivelato un triste fallimento, gli ho succhiato per un quarto d’ora quel pezzo di carne moscia che gli ciondola tra le gambe, poi quando sembrava avesse raggiunto una consistenza nemmeno lontanamente paragonabile dall’essere qualcosa di duro e arrapato, ha provato a scoparmi, ma è venuto un secondo dopo avermi penetrata.
Ha farfugliato qualche scusa che non ho ben compreso, e poi si è addormentato.
Sono andata in bagno, e come sempre più spesso mi accade mi sono procurata da sola il piacere.
Mi chiudo con la chiave, metto le cuffiette allo smart phone, e poi mentre guardo un video che ho scaricato da un sito porno, mi tocco, seduta sul water, con le cosce spalancate, una mano che sfrega sotto alle mutande, la schiena appoggiata al muro, osservo e ascolto i gemiti e le evoluzioni di due ragazzine, immerse in un sessantanove.
Sono magre e minute, i capelli lunghi e lisci, i tratti somatici di due adolescenti.
Hanno le fiche depilate, minuscole, le tette appena accennate, le cosce magre, la pelle color latte.
I loro lamenti di piacere, mi penetrano la mente, la mano che sfrega il mio clitoride si muove sempre più rapidamente, l’orgasmo mi coglie quasi di sorpresa.
Questo rituale si sta trasformando in una specie di droga,ormai sono costretta a farlo sempre più spesso, la mattina dopo colazione, quando tutti si stanno preparando per uscire, con la scusa di truccarmi, mi chiudo in bagno, faccio partire il video, e dopo aver sbottonato i jeans, o alzato la gonna, infilo una mano sotto alle mutande, e mi tocco rapidamente, ormai mi basta poco, ho individuato un punto preciso, sotto alla radice del clitoride, lo premo con forza con la punta delle dita, e sfrego, sempre più veloce, godo in meno di un minuto.
Ho appena stipulato un contratto di consulenza per una società che si occupa di editoria, riviste patinate, specializzate in arte e letteratura.
Stanno soffrendo la rivoluzione internettiana hanno visto i loro fatturati crollare, devono al più presto elaborare qualche strategia per non fallire.
Il mio compito sarà quello di analizzare la loro situazione, tagliare qualche ramo secco, provare attraverso qualche investitore ad invertire la parabola discendente.
Oggi è il mio primo giorno, il direttore generale mi presenta allo staff, faccio conoscenza con le varie redazioni, prendo possesso di un ufficio direzionale, mi faccio portare tutto il materiale che mi occorre per comprendere dove vadano fatti gli interventi più urgenti.
Ormai mi sono installata nel mio nuovo mondo lavorativo, sono immersa nei diagrammi e nelle tabelle, tutto quello che dovrebbe essere considerato come una realtà oggettiva da tenere in considerazione, si trasforma in numeri e percentuali, tutti quelli che vedo transitare fuori dalle vetrate del mio ufficio, diventano potenziali vittime sacrificali, legate soltanto ad una sorta di lotteria,
indipendentemente da qualsiasi capacità possano avere.
C’è una giovane ragazza, specializzata in informatica, è qui con un contratto a tempo, mi sembra sveglia, per quello che mi sembra aver compreso, le hanno affidato il compito un paio di volte al giorno, di venire a chiedermi se ho bisogno di qualcosa, le fanno fare la cameriera.
Mi infastidisce questo suo asservimento, forse ha compreso che dalle mie decisioni dipenderanno le sorti di molti di quelli che ormai considera “colleghi”.
Spera probabilmente che, rendendosi servile, potrebbe sfuggire allo tsunami che aleggia intorno a lei, come se non avesse ancora ben compreso, che il suo nell’azienda è un contratto a scadenza, soltanto un fugace approccio a quello che sarà il suo destino, precaria a vita in un mondo lavorativo usa e getta.
Tutto si trasforma e mi si ritorce contro, una sera, quando tutti se ne sono andati.
O almeno è quello che credevo.
Come spesso mi accade, mi reco in ufficio nel pomeriggio inoltrato, dopo la pausa pranzo, e approfitto di quelle ore in cui tutti finito l’orario se ne vanno, per affrontare le parti più spinose del mio lavoro.
L’idea di decidere delle sorti future di qualcuno che vedo transitare al di là di quella vetrata che mi separa da mondo reale mi blocca, è l’unico modo per mantenere la mente lucida, restare concentrata sugli asettici dati.
Di solito è in queste condizioni di stress emotivo che sento il bisogno di toccarmi, non resisto, faccio partire il mio video, alzo la gonna, appoggio i piedi sulla scrivania, e con le cosce spalancate, seduta sulla mia sedia di pelle, mi masturbo con ferocia, la mano sotto alle minuscole mutande , il respiro forsennato, fino ad ansimare, fino a quando l’orgasmo non mi placa l’ansia da prestazione.
Purtroppo credo di essere sola, e non mi accorgo che qualcuno, a cui ho vietato di procedere in un lavoro che mi disturbava, colto da eccessivo zelo, si è recato in redazione in questo orario inconsueto, e non visto mi ha spiato, durante la mia seduta masturbatoria.
Lo scopro il giorno dopo.
L’antipatica ragazza si presenta con aria spavalda in ufficio, e con aria di sfida, mi chiede se può inviarmi un file che mi potrebbe molto interessare.
Attendo che il download sia terminato, e quando lo apro mi vedo, mi sta filmando da dietro alla vetrata, ho la gonna sollevata, i piedi appoggiati sulla scrivania, in sottofondo si sentono i miei gemiti di piacere, la mano che frenetica sfrega la mia fica, i lunghi sospiri di godimento che accompagnano l’orgasmo finale.
Alzo gli occhi e la osservo, mentre seduta alla sua scrivania dietro all’enorme monitor, mi guarda con un sorrisino compiaciuto, mi fa ciao con la manina.
Dopo qualche minuto si alza e si mette a trapanare con un arnese, smartella e inchioda, deve ammodernare la connessione, far passare un cavo lungo ad un muro,per la prima volta inizio ad osservarla, improvvisamente la sua immagine fastidiosa, diventa il fulcro delle mie attenzioni.
Dalla scrivania attraverso la vetrata le faccio cenno di seguirmi, e a passo svelto e deciso mi reco nella stanza dove di solito gli impiegati fanno brevi pause, ci sono le macchinette per il caffè, un frigorifero dove tenere al fresco gli alimenti e le bevande, qualche tavolino per consumare uno spuntino.
La affronto con decisione, la stringo contro il muro in un angolo nascosto dietro alla dispensa, siamo sole.
Mi accorgo che è attraente, emana un fascino conturbante , vista da vicino ha una strana aria di sfida, sembra quasi che voglia prendersi gioco di me.
“cosa vuoi per cancellare quel dannato video”?
Glielo chiedo con decisione e un misto di paura.
Mi sorride, “non voglio nulla, piuttosto mi piacerebbe vedere quello che guardavi mentre ti toccavi”.
Resto un attimo interdetta, poi prendo lo smart phone e faccio partire il video.
Guarda incuriosita, “ti piace il sesso lesbo, non l’avrei mai detto lo sai”.
Inizio ad essere un pochino imbarazzata, mi fissa dritto negli occhi,
“lo cancello a patto che tu mi dia le mutande che indossi, e che fino a domani vada in giro senza”.
Senza nemmeno sapere come,le dico di girarsi e me le sfilo.
Mi porge il telefono, “cancellalo, l’unica altra copia ce l’hai tu, è quella che ti inviato”.
Le restituisco il telefono, avvolto nelle mutande,
“in ogni caso domani le rivoglio”.
Non sono abituata a non indossarle, quando cammino sento l’aria fresca che da sotto al vestito mi arriva alla patata trascorro il resto della giornata faticando a concentrarmi, torno a casa e, indosso degli abiti comodi e leggeri, ma inspiegabilmente resto senza mutande, non le metto nemmeno per dormire, mi sembra di essere preda di uno strano sortilegio.
Mi risveglio nella notte, sono tremendamente eccitata, mio marito come al solito dorme, mi tocco di nascosto dentro al letto, quasi soffoco nel tentativo di rendere silenzioso l’orgasmo improvviso che mi fa sussultare, il pensiero di quello che succederà l’indomani mi perseguita per il resto della nottata.
Ho appositamente scelto un abito corto, sul tram che abitualmente utilizzo per recarmi al lavoro, mi sono seduta in un posto bene in vista, ogni tanto apro le cosce, un paio di studenti li sorprendo a sbirciare, per la prima volta in vita mia mi sento eccitata all’idea che qualcuno possa vedermi la fica.
Passo davanti alla sua scrivania e le faccio cenno di seguirmi.
Ci ritroviamo nello stanzino delle colazioni, la guardo con aria di sfida, questo gioco improvvisamente mi ha eccitata, ha scatenato la mia voglia di trasgredire.
Alzo il vestito per un attimo, le faccio vedere che sotto sono nuda.
Mette una mano nella tasca dei jeans e tira fuori le mie mutande, me le porge con un mezzo sorriso soddisfatto.
La fisso dritta negli occhi e le dico con fare risoluto,
“tienile,voglio le tue, queste le dovrai indossare tu, domani vedremo chi le avrà più insozzate con la propria fica.”
Non sembra sorpresa, chiudo la porta e mi appoggio contro con la schiena, lei in un attimo si sfila i pantaloni e le mutande, me le porge e si infila le mie.
Faccio in tempo ad intravederla, è tutta depilata, una piccola fessura sembra quella di una bambina.
Alzo il vestito e indosso le sue mutandine, sono di cotone bianco, le mie di pizzo nero, domani vedremo chi più le avrà infradiciate di umori.
Attendo frenetica il suo arrivo, questa mattina sono arrivata presto, ho dormito male, sono andata almeno un paio di volte in bagno, mi sono toccata, la frenesia dell’orgasmo mi ha scombussolata.
Sento le mutandine di cotone zuppe di umori, una parte si è seccata, ha formato una specie di strato compatto, giallo scuro.
La vedo arrivare, si è materializzata all’improvviso, ha tagliato i capelli, rasati sulla nuca, con uno strano ciuffo pieno di ricci neri sul capo.
Non fosse che so che è una donna, potrebbe benissimo essere un compagno di scuola di mio figlio, un adolescente affascinante e scanzonato.
Mi saluta con una mano, da dietro alla vetrata, e mi fa cenno di seguirla, nella stanza delle colazioni.
Attendo un paio di minuti, e poi percorro il lungo corridoio, per infilarmi in quello che ormai considero il pozzo nero delle mie strane perversioni.
“chiudi la porta a chiave”
E’ in mutande, si è sfilata i jeans, indossa solo la solita felpa verde con il cappuccio, e mi sta guardando, seduta in fondo allo stanzino, apre e chiude le gambe sottili, con entrambe le mani appoggiate sulla fica.
Senza pensare a quello che sto facendo, mi alzo la gonna e mi sfilo gli slip, una grossa macchia giallastra li decora, glieli tiro, lei li afferra al volo.
“E’ da ieri che non me la lavo, puzzo di fica da lontano un miglio, scommetto che tu le hai ancora immacolate”.
Mi sorride sorniona, se le sfila con aria di sfida, la sua patatina depilata appare improvvisa, mi lancia le mutande, sono tutte lordate di una crosta bianca e secca, che contrasta con il pizzo nero.
Seduta sullo scomodo sedile del tram, ripasso il susseguirsi della giornata.
Inebriata dall’odore e dalla feroce carica erotica di quelle mutande, mi sono lasciata trascinare nello scomodo bagno in fondo allo stanzino delle colazioni.
Il palmo della mia mano ricolmo della carne tenera e morbida della sia fica, le sue dita inforcate intorno al mio clitoride turgido, il sapore amaro delle sue orecchie, la sua lingua sul mio collo, i miei capelli nella sua bocca, l’orgasmo improvviso che mi ha sorpresa, lasciata senza forze, seduta sul lavandino, con lei che si allontanava, facendomi ciao con la manina.
Decido di prendermi una pausa dal lavoro.
Mio marito ha ripreso a scoparmi, è stato a causa dell’odore che emano, così mi ha confessato.
“hai smesso di lavartela, lo sai che quell’odore mi fa arrapare”.
Mi scopa a pecorina, e mi viene dentro, spero di non rimanere incinta, naturalmente non mi lavo, la cosa mi eccita da morire, ma poi inizio a temere l’insorgere di qualche irritazione, e finalmente sotto alla doccia, mi insapono e mi lavo, mentre lo faccio mi tocco, infilo il tubo dentro alla fica, apro l’acqua calda a tutta forza, alla fine resto spossata per la venuta esagerata.
Come previsto l’incanto finisce, torniamo alla nostra normalità, lui che dorme e io che mi tocco di nascosto.
Una mattina sento suonare il campanello, vado alla porta e trovo la ragazza con cui ci siamo scambiate le mutande, quella con cui ci siamo toccate la fica dentro al bagno.
E’ vestita da maschio, si è completamente rasata il capo, lo vedo quando si toglie la berretta di lana, ed entra in casa con fare deciso, sibilandomi mentre attraversa l’uscio,
“perché sei sparita, il nostro gioco ti aveva già stufata”?
La seguo timorosa, sono ancora in pigiama, temo che l’odore dei miei umori notturni, le possa arrivare alle narici, farfuglio qualche frase, per fortuna i ragazzi sono già usciti, mio marito li ha portati a scuola.
Le sue mani mi prendono dietro alla schiena, mi attirano verso di lei, per qualche istante mi manca il fiato,
perdo le forze e ogni inibizione, cado all’indietro sul divano, sento al sua lingua nella mia bocca, le sue mani sotto al pigiama, chiudo gli occhi, mi accorgo che si dirige in basso con la bocca, mi morde attraverso il pigiama, entrambe le mani mi tormentano il seno, richiudo gli occhi, mi giunge mezza strozzata la frase,
“il tuo odore mi fa impazzire”.
Sto per lasciarmi andare, penso che tra un istante mi sfilerò il pigiama, inizio a pregustare la sua lingua dentro alla mia fessura, quando il rumore della porta di ingresso che si apre, e la voce di mio marito che dice, “sono tornato, ho dimenticato il lap top nello studio, faccio in un minuto”, mi fa scattare in piedi, lei resta seduta, siamo mezze trafelate, quando ci vede il suo sguardo è tra il sorpreso e lo stralunato,
resta per un momento a fissarci,
“ah non sei sola lei chi è”?
“E’ una ragazza che lavora in reazione, dobbiamo creare una app, è venuta per capire come dovremo procedere”.
L’imbarazzo resta palpabile per qualche minuto, fino a quando lei si alza e con fare risoluto si congeda.
Per qualche giorno ci ignoriamo, riprendo la mia routine normale, elaboro dati dietro alla mia vetrata, ormai ho individuato chi nell’idea di futuro della casa editrice, non è congeniale al progetto, passo il tempo con i suoi occhi fissi su di me, ho il suo nome in una specie di stand by, una parte di me vorrebbe liberarsene per sempre, ma un magnetismo conturbante, mi costringe, ad osservare di nascosto quella testa rasata, la terribile felpa verde con il cappuccio, quei passaggi provocanti, le domande allusive, gli smartellamenti continui, per l’indispensabile connessione a banda larga che a gioco forza dovrà raggiungere tutte le postazioni, in ogni ufficio.
“Sono stata a casa tua, non sei curiosa di vedere dove vivo”?
Alzo lo sguardo, è entrata nel mio ufficio, è in piedi di fronte a me, dall’altra parte della scrivania, con il suo solito sorriso beffardo e l’aria di sfida.
“Invitami a cena così lo vedrò”.
Non so nemmeno io perché abbia formulato quella risposta, ma ormai è tardi per ripensarci, mi ritrovo davanti a questo portone di legno, mezzo scrostato, è una vecchia costruzione, sembra una di quelle case occupate, ci sono scritte fatte con lo spray, un gruppo di ragazzi vestiti in modo strano mi stanno osservando dall’altra parte della strada, ricontrollo l’indirizzo, quando lo scatto elettrico della serratura mi comunica che si è aperto, lo spingo e improvvisamente vengo proiettata in un mondo nuovo e sconosciuto.
Un grosso pitt bull nero mi osserva con sguardo sospettoso, poi mi annusa e scodinzola, si avvicina e mi lecca una mano.
Lei appare nella penombra del lungo corridoio che si apre davanti a me,
“non ti preoccupare lui è Rataplan sa riconoscere gli amici dall’odore”.
Ci inoltriamo nella profondità della casa, sembrerebbe una vecchia scuola, dalle porte semiaperte, mi giungono suoni di strumenti strimpellati, folate dell’acre odore della marijuana, intravedo dei ragazzi vestiti come quelli che mi osservavano fuori dal portone.
Finalmente entriamo in un enorme cucina, con al centro un grandissimo tavolo, e una serie di attrezzature da ristorante, fuochi multipli, stoviglie professionali.
Chiedo, che posto sia mai questo.
“E’ dove vivo, è una vecchia scuola abbandonata, è stata occupata molti anni fa, e ora è stata trasformata in una residenza multiculturale”.
“Paghiamo una quota per le spese, e poi tranne quando organizziamo cene comuni, ognuno si arrangia con il mangiare”.
Apre lo sportello di un forno, tutto di acciaio satinato, ed estrae un grande tegame di terracotta marrone scuro,
“è una pietanza nordafricana, la ricetta è di un ragazzo marocchino che studia arte drammatica, prendi in quel frigorifero due bottiglie di vino bianco e seguimi, andiamo a cenare nella mia stanza.
Usciamo dalla cucina e saliamo una grande scala, poi un altro corridoio, e finalmente entriamo in una grande stanza, al cui centro campeggia un enorme materasso in stile giapponese, libri ammassati ovunque, vestiti appesi ad alcuni appendiabiti, e su degli scaffali vicino a due finestroni, una quantità indefinita di vasi, con ogni sorta di piante e fiori.
Lo stufato era davvero buono, lo abbiamo mangiato direttamente dal tegame, poi finito il vino, e la seconda canna che lei ha rollato, senza dire nulla, mi sono svestita, e completamente nuda mi sono infilata sotto alle lenzuola, sul grande materasso.
Lei si è aggirata per qualche minuto tra le sue cose, poi è scomparsa dietro ad un separè che ancora non avevo notato, per riapparire nuda, con un grosso strap on allacciato, mi fissa dritta negli occhi,
“ti va bene se ti scopo”?
“è quello che attendo da quando siamo entrate qui”.
Senza vestiti è ancora più conturbante che con quelle felpe verdi, ha le spalle forti, le braccia sottili e tese, il seno piccolo e sodo, le cosce muscolose, mi sale sopra con dolcezza e decisione, fa passare le braccia sopra alle mie cosce spalancate, mi blocca nella posizione più indifesa, mentre sento la sua lingua prima sul collo e poi nella bocca, mi entra dentro con la sua protesi blasfema, il vino e l’erba mi hanno annebbiato la mente, le metto le mani sulle natiche sode e la tiro forte contro di me, la voglio tutta dentro, voglio che mi scopi fino a farmi male.
Mi risveglia un respirare profondo misto ad un ansimare voglioso.
La fica mi duole, e il buchetto del sedere mi brucia, mi rigiro verso i gemiti e i lamenti, e la vedo, è inginocchiata di fianco a me, con il sedere per aria, la faccia affondata nel cuscino.
Dietro di lei c’è una strana creatura, piena di tatuaggi e pirsing, i capelli lunghi alla rasta, due tette spaziali da cui pendolano dei ciondoli legati ad una catenella conficcata nei grossi capezzoli neri.
Indossa lo spaventoso strap on, la sta scopando, la tiene afferrata per le natiche, le assesta dei colpi precisi e cadenzati, osservo la scena come inebetita, mentre la ragazza tatuata, tra un sospirone e l’altro riesce a dire, “la tua amica si è risvegliata”.
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