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Il Prigioniero di Zelda


di Isaac
30.07.2015    |    3.756    |    0 8.1
"Trasecolai, non m’aspettavo una cosa del genere e, per un attimo, pensai fosse venuta a sapere d’una mia fantasia, che m’ero guardato bene dal confidarle..."
Ormai la nostra frequentazione, iniziata su di un social network, durava da qualche mese ed all’iniziale simpatia era subentrata una confidenza sempre più intima tant’è che una sera in cui avevamo bevuto un po’ più del solito, Zelda, cedendo alla mie insistenze, mi confidò la sua più riposta fantasia: condurre due uomini che mai l’avessero fatto prima ad un’esperienza di fellatio reciproca, guidandoli in questa loro prima volta, esortandoli ed aiutandoli a superare difficoltà e ritrosie che certo ci sarebbero state tra due etero.

Trasecolai, non m’aspettavo una cosa del genere e, per un attimo, pensai fosse venuta a sapere d’una mia fantasia, che m’ero guardato bene dal confidarle sino ad allora e che consisteva proprio nell’accarezzare un uomo con la bocca.

Così abbozzai un sorriso di circostanza e le chiesi di spiegarmi meglio; lei aveva in ufficio questo nuovo collega, un giovane efebico che le era stato affiancato e che pendeva letteralmente dalle sue labbra; lei sospettava di certe tendenze del ragazzo che, però, sosteneva essere etero e fidanzato.

Avevo presente chi fosse il ragazzo, l’avevo anche salutato una volta che ero andato a prendere Zelda in ufficio per pranzo ed avevo notato sia l’acquiescenza di lui alle disposizioni di Zelda, che sapeva essere dolcemente autoritaria, che il suo bell’aspetto.

Zelda, ormai rilassatasi, mi confidò d’essere sicura di poter fare persuaso il giovane ad assecondare questa sua fantasia ma restava il problema di trovare l’altro uomo; finsi di pensare a chi potesse essere ma, quando incrociai lo sguardo di Zelda, capii di essere caduto nella sua trappola, e d’aver sempre fatto parte del suo piano.

Tentai una debole difesa d’ufficio, le dissi che in effetti anch’io avevo delle fantasie falliche ed orali in particolare, ma che non avevo mai pensato di concretizzarle, che sicuramente nell’ipotetica circostanza non avrei saputo cosa fare ma più argomentavo meno la mia posizione si faceva difendibile e, poco dopo, capitolai.

Si trattava di organizzare la cosa ma Zelda aveva pensato anche a questo: avrebbe invitato a casa propria il collega un sabato, con la scusa di dover finire l’elaborazione di una trimestrale di cassa, lì ci sarei stato io, avremmo pranzato tutti a tre assieme e, complice l’alcool, condotto la situazione sino al soddisfacimento di quella sua fantasia. Ancora non sapeva se sarebbe stato il collega giovane a prodigarsi con me o il viceversa e credo la cosa, il tenermi sulla corda sino ad allora, la divertisse.

Due sabati dopo ricevemmo l’ospite a casa di Zelda, mi confermai nell’impressione fosse un bel giovane, glabro, snello, lievemente effeminato, del tutto succube di Zelda dalle cui labbra letteralmente pendeva.

Mentre loro lavoravano in salotto io, in cucina, preparavo il pranzo, leggero ma abbondantemente annaffiato da vini corposi, sia bianchi che rossi di modo da massimizzare il loro effetto disinibente; finito che abbi (io m’ero già portato avanti con un paio di bicchieri, per darmi coraggio) li chiamai a tavola dove accorsero gioviali.

Apprezzarono le portate, ed onorarono le bottiglie, nonostante le deboli proteste di lui che si professava astemio (“tanto meglio”, pensavo, ed altrettanto faceva Zelda che mi lanciava occhiate d’intesa in tralice nel mentre che mi faceva un inusuale piedino).

Il nostro doveva aver intuito qualcosa, dai movimenti sotto al tavolo e dagli ammiccamenti ma, dopo un’accennata perplessità, pensò che la cosa non lo riguardasse ed anzi, si mise nella disposizione d’animo, propiziata dall’alcool che gli avevo somministrato in quantità francamente eccessiva, di godersi lo spettacolo, con ciò dimostrandosi men inibito di quanto temessimo.

Dopo il pranzo il caffè, ovviamente corretto, l’ammazzacaffè e, giusto per non farci mancare nulla, una sambuca … ormai giacevamo tutti e tre piuttosto sciolti sui due divani d’angolo, io su quello da due posti, Zelda ed il giovane sull’altro, cominciammo a chiacchierare del più e del meno e Zelda prese a pretesto una barzelletta per cominciare ad introdurre l’argomento, posando distrattamente la mano sinistra sulla coscia del giovane, parlammo delle rispettive prime volte, delle esperienze più bizzarre e, finalmente, facemmo il gioco della verità: ciascuno avrebbe dovuto confessare la propria fantasia più riposta.

Cominciò il nostro ospite che subito ci spiazzò: da adolescente, in campeggio, fingendo di dormire aveva spiato due suoi compagni che si masturbavano a vicenda, ed era trasecolato quando uno dei due si era inginocchiato dinanzi all’altro e gli aveva praticato un pompino (disse proprio così); quella curiosità gli era sempre rimasta ma, data la tetragona moralità della sua fidanzata assai religiosa, che escludeva categoricamente il coinvolgimento di altri nel loro rapporto di coppia, disperava che si sarebbe potuta mai realizzare.

Una cappa di silenzio cadde su tutti e tre, io continuavo a bere, Zelda sorrideva sorniona ed il nostro ospite corrugava la fronte, forse rendendosi conto solo allora di che cosa aveva detto.

Zelda intervenne: “ma è una cosa molto comune, anche un mio cugino mi confidò essergli successa una cosa del genere, che male c’è? Sono giochi tra persone consenzienti che, in fondo, si danno solo piacere l’una con l’altra … e tu (rivolgendosi a me) che cosa ne pensi?”

Ingollai l’ultimo sorso di vino e, con la voce lievemente impastata, replicai: “Si, è così, tutti hanno di queste fantasie”. “Anch’io” aggiunsi dopo una pausa calcolata “ogni tanto mi sono attardato in questa fantasie ed ho spesso interrogato le mie partner su che cosa si prova mentre si sbocchina un uomo” (avevo deciso di lasciar perdere anch’io gli eufemismi …).

“Si? E che cosa ti hanno detto?” rilanciò Zelda. “Be’, non a tutte piace farlo, qualcuna lo percepisce come un’imposizione, come l’affermazione di una prevalenza del partner su di loro e come un’accettazione di subalternità che le umilia ma le più intelligenti, proprio per le stesse motivazioni ed inquadrando correttamente la cosa in un gioco di ruolo, si godono la situazione esercitando un potere immenso sul piacere del compagno”.

Lei mi scoccò un’occhiata infuocata e sibilò, fingendosi divertita “troppo aulico, come sei manierista!” temendo che quella mia inopportuna impancatura accademica raffreddasse l’atmosfera.

Capii l’antifona e subito mi corressi: “Quasi tutte loro dicono che la cosa le fa sentire molto porche, che l’odore di maschio, il sapore di cazzo le esalta in una frenesia che le eccita immensamente e, quando ricevono il piacere del proprio uomo nella bocca e sul viso si sentono gratificate quasi come da un orgasmo”.

“Si, dev’essere proprio così!” intervenne trafelato il giovane, tutto rosso in viso ed affannato; aveva un’evidente erezione e deglutiva nervosamente. Gli versai dell’altro vino eppoi, rivolto a Zelda, dissi: “Cara, che cosa possiamo fare per risolvere questa situazione? Non possiamo congedare il nostro ospite così, in questo stato”.

Lei finse di pensarci un attimo e replicò: “Vieni qui” nel mentre che si inginocchiava dinanzi al giovane ancora seduto e con sicurezza gli portava le mani in vita slacciando la cintura e sbottonandogli i calzoni; gli sfilo i mocassini ed i calzoni lasciandolo nudo dalla vita in giù con indosso solo le calze in filo di scozia nere.

Trasecolai, mentre Zelda non diede a vedere alcuna emozione particolare, quando mi resi conto che il ragazzo aveva un cazzo di tutto rispetto, spesso, nerboruto, teso e paonazzo, mi spiegai così le resistenze della sua fidanzata a dividere con altri quel ben di dio e lo dissi, generando la risata liberatoria di lui e guadagnandomi un’occhiata di approvazione di Zelda.

Zelda mi fece inginocchiare accanto a lei, “Vedi? Toccalo anche tu, non morde mica?” allungai la mano destra e cautamente lo impugnai apprezzandone la marmorea durezza ed i sussulti nervosi che facevano sobbalzare quella splendida minchia; “Guarda, si fa così” si protese in avanti con la bocca socchiusa e, con lentezza micidiale, appoggiò le labbra umide intorno al glande inducendo un gemito affranto del ragazzo.

Se ne distaccò lentamente ed io rimasi ipnotizzato dal sottile filo di saliva e chissà cos’altro, che congiungeva il glande di lui con la punta della lingua leggermente estroflessa di lei, poi mi poggiò la mano sinistra dietro la nuca e mi indusse ad avvicinare il volto a quel cazzo completamente scoperto e bagnato dalla saliva di lei.

Sobbalzai quando avvertii quell’odore così familiare ma che, sino ad allora credevo solo mio, poi schiusi anch’io le labbra e cautamente le deposi sulla cappella violacea del ragazzo che quasi gridò.

Mi spinsi un po’ avanti e presi in bocca quasi metà del suo cazzo, avvertendo un sapore albuminoso che mi piacque; nel frattempo Zelda giocava coi mie capelli convincendomi a muovermi su e giù con lentezza “Succhialo, amore, succhialo e stai attento a non toccarlo coi denti …”

Il cuore mi batteva a mille, mi stava succedendo proprio quella cosa che avevo detto a proposito delle donne quando succhiano il cazzo, ormai ero in uno stato di trance, respiravo affannosamente e succhiavo sempre più forte, con escursioni lungo l’asta sempre più profonde, rivoli di saliva mi colavano dagli angoli della bocca, rigavano l’asta di lui e gli imbevevano i grossi e sodi coglioni che nel frattempo gli accarezzavo con le mani, prima di perdersi nell’imbottitura del divano.

Zelda sembrò leggermi nel pensiero, con la bocca vicino al mio orecchio che mordicchiava voluttuosamente sussurrò “Non preoccuparti del divano, sapessi quanta sborra ha assorbito!”

L’immagine di lei che sbocchinava un’infinite teoria di uomini facendoli sborrare come fontane mi fece salire il sangue agli occhi, ormai sentivo il cuore rimbombarmi nelle orecchie come un rullo di tamburi oceanici e quasi non sentivo più i gemiti e le incitazioni di lui, che mi diceva cose inimmaginabili mentre mi teneva per i capelli guidando i movimenti in una rapsodia parossisitica: “Succhia, troia, succhia! Più a fondo, più veloce, fammi godere, vengo, vengoooo!”

Finalmente esplose con un rantolo liberatorio, ed io avvertii il fiotto di seme caldo riempirmi la bocca, incanalandosi verso la gola e cercando di trafilare dalle labbra, ma io ero determinato a non lasciare andare sprecata neppure una stilla di sperma e cominciai a deglutire furiosamente nel mentre che succhiavo sempre più forte, nella concreta speranza di svuotargli del tutto i coglioni.

Lui era tutto un fremito, sembrava un condannato alla sedia elettrica ed io insistetti finché non mi implorò di smettere, e non subito … ero stravolto anch’io, col viso bagnato di saliva e di sperma e col fiatone; Zelda mi prese il viso disfatto tra le mani e lo tempestò di morbidi baci: “Bravo, bravo amore, mi hai fatto proprio contenta, com’è stato bello vedervi così coinvolti” poi mi strinse al seno cullandomi ed io mi sentii, finalmente, in paradiso …

Da allora il pranzo del sabato è divenuta una nostra consuetudine, chissà perché …
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