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Una notte al museo


di Isaac
20.05.2021    |    2.309    |    0 8.7
"Pur del tutto avvolto da lei, pur sopraffatto dal sapore e dal profumo afrodisiaco delle sue viscere, una parte della mia coscienza, al di fuori di me, la..."
C'eravamo conosciuti su un social due anni prima ed ero subito rimasto colpito dal fatto che lei dirigesse uno scavo a Pompei.

Archeologa, romana, collaborava col museo di Napoli e stava pubblicando uno studio su certi documenti di scavo ottocenteschi, redatti da un tedesco dimenticato, che aveva di recente scoperto in un archivio.

Mi aveva accennato a un rituale d'accoppiamento orientale, legato al culto di Mitra, che si praticava durante gli equinozi a Pompei ma ritenuto così blasfemo che al tramonto della permissiva era Giulio-Claudia era stato soppresso e il Vesuvio aveva fatto il resto per seppellirlo nell'oblio.

A cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo il tedesco dal nome impronunciabile aveva scoperto in un lupanare affreschi e iscrizioni, poi misteriosamente cancellati, e dei rotoli di pergamena che aveva trascritto prima di morire prematuramente per un indigestione di frutti di mare. O almeno così si diceva, che fosse annegato per congestione durante il bagno di mezzanotte ma il corpo non era mai stato trovato.

Oltre che erudita era donna d'una bellezza ancestrale, e finalmente, dopo tanto scrivere e telefonare, trovammo l'occasione per incontrarci, a Napoli.

Cenammo su di una terrazza affacciata sul golfo, a lume di candela, il vino bianco scorreva a fiumi tra le portate di pesce, crostacei e frutti di mare, l'attrazione tra noi era palpabile e già pregustavo quel che sarebbe seguito quando lei mi disse: "ho una sorpresa, vieni con me, senza fare domande".

Salimmo sulla sua auto; il vino, a cui non ero abituato, mi aveva dato alla testa in maniera insolita, così chiusi gli occhi e mi assopii per qualche istante.

Dopo poco più di mezz'ora arrivammo... a Pompei, dinanzi l'ingresso del parco archeologico. A quell'ora era chiuso e io, francamente, avrei preferito tornarci l'indomani, dopo aver passata assieme la notte; restai sorpreso quando dalla borsa estrasse un mazzo di chiavi e mi disse di seguirla fino a un ingresso di servizio.

L'atmosfera era divenuta rarefatta e irreale, camminavano in silenzio lungo il decumano, inondato dalla luna piena, mi sentivo come Dante condotto nell'Oltretomba da Virgilio, con la sensazione che dalle orbite scure degli edifici affacciati sulla strada qualcuno ci spiasse.

Arrivammo sino a quello che mi disse essere il lupanare delle sue ricerche, dall'interno proveniva una luce calda e baluginante e quando varcammo la soglia scoprii che l'interno era illuminato da lampade a olio appese al soffitto, guardandole meglio realizzai divertito che erano a forma di fallo. Le pareti erano affrescate con scene erotiche ma tra le une e le altre c'erano dei tratti scalpellati o ricoperti di calce, per rimuovere o coprire ciò che doveva esserci stato.

L'atmosfera era ipnotica, le figure alle pareti parevano muoversi alla luce tremolante delle lanterne e dalle profondità della mia coscienza intorpidita mi sembrava provenire il suono d'una lira pizzicata con indolenza lasciva, mi voltai verso la mia accompagnatrice e mi sembrò del tutto naturale ch'essa fosse al centro della stanza, accanto a un talamo che non avevo visto prima, del tutto nuda.

Aveva gli occhi aperti, rivolti verso di me, ma sembrava m'attraversasse con lo sguardo, che contemplasse qualcosa dietro di me, oltre le pareti demoniache di quella stanza, mi voltai per vedere cosa fosse e sentii le sue mani sulla mia schiena, direttamente sulla pelle; scoprii d'essere del tutto nudo anch'io ma, ormai, avevo capito d'essere rapito da qualcosa che mi trascendeva e che un rito misterioso, quel rito a cui aveva alluso nelle nostre conversazioni, di stava compiendo.

Stesa supina sul giaciglio, le gambe socchiuse con il lussureggiante sesso in evidenza, attendeva mi congiungessi con lei e io mi protesi ma venni colto da una vertigine, mi parve di cadere, d'una caduta senza fine. Più mi avvicinavo al suo ventre palpitante più mi sembrava che questi si ingrandisse, che l'orchidea al centro del suo desiderio si schiudesse per accogliermi, infine non vidi che quelle labbra e mi resi conto che stavo entrando dentro di lei ma non col mio membro, con tutto il corpo, letteralmente.

Ondeggiando sinuosamente come un pesce mi facevo strada dentro la sua vagina, stretto dalle sue pareti, aderendo a esse col mio volto, con le spalle, le braccia e il petto, poi le pelvi e le gambe in una mistica deformazione psicomorfa, infine il mio corpo tutto contenuto nel suo, il suo ventre sospeso nel tempo e nello spazio, dilatato a dismisura.

Pur del tutto avvolto da lei, pur sopraffatto dal sapore e dal profumo afrodisiaco delle sue viscere, una parte della mia coscienza, al di fuori di me, la guardava nel viso trasfigurato da un piacere sovrannaturale, la baciava, la stringeva tra gli spasmi e i contorcimenti del suo corpo espanso oltre la dimensione umana, ne sentiva gemiti e ansimi che gorgogliavano dal caos primigenio.

Poi avvertii una vampa irraggiare da me, come un fuoco che mi liqufacesse e si propagasse a lei, il mio corpo contenuto nel suo divenne un'onda di piacere cosmico che la inondò definitivamente facendoci svenire entrambi.

Quandi riaprii gli occhi mi sorpresi a fissare la luna piena dal finestrino della sua auto, lei sedeva accanto a me, guardandomi con attenzione partecipe. "Sei troppo stanco" mi disse "ti riaccompagno in albergo, vuol dire che la sorpresa te la farò domani" concluse mettendo in moto.
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