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L' amore non ha ragioni


di TraCieloeTerra
06.05.2020    |    11.607    |    3 9.3
"Mia nonna morì prima di natale, lei venne al funerale; dopo avergli raccontato di quel discorso fatto l'estate precedente facemmo scrivere sulla lapide:..."
L'avaro disse all'amore che non aveva più ragione di provare quel sentimento, l'amore lo guardò, lo prese per mano sfiorando il suo cuore e pronunciò dolci parole nel suo orecchio da miscredente, se l'amore fosse una religione: - Guardami, non avere paura, sento il tuo ardore, siamo Noi l'amore.
Perché l'amore, sapeva, che nessuno si salva da solo.

Ero un adolescente quando conobbi mia cugina; era la figlia di una cugina di mio padre emigrata in francia in giovane età, il suo nome è Sophìe.
Un' estate andai a trovare alcuni miei zii residenti a Roma, in una zona periferica della capitale dove hanno un centro sportivo. Non ero molto convinto di andare non avendo un rapporto idilliaco con i miei innumerevoli cugini; mia sorella mi convinse e prendemmo il treno, non sapendo che quell'estate avrebbe cambiato per sempre il corso della mia vita.
Avevo diciassette anni e incredibilmente, tutt'ora, non conoscevo molti parenti sparsi nel continente europeo. Sarei dovuto rimanere lì un paio di settimane, ma vi rimasi un'intera estate.
I miei cugini passavano le giornate praticando vari sport; io non essendo uno sportivo passavo le mie giornate leggendo "Orgoglio e Pregiudizio", immerso nell'ombra maestosa di una quercia secolare.
Una mattina verso pranzo, mia nonna, disse noi che sarebbe venuta a trovarci sua nipote con la figlia. Erano mia zia e mia cugina, ma non le avevo mai incontrate; ci avvertì con rigore di fare sentire nostra cugina a suo agio, parlando lei solo francese, la situazione ci parve da subito complicata. Arrivarono tre giorni dopo, nel giorno dell'anniversario di matrimonio dei miei nonni; l'intera giornata era trascorsa ad allestire la sala per le feste situata al piano terra dello stabile e io fui tra gli ultimi ad andarmi a preparare.
Allagai il bagno come e mio solito fare, indossai un paio di pantaloni neri lucidi e una camicia di seta bianca.
Quella sera una leggera brezza soffiava tra gli alberi e la luna, ornata delle sue stelle più luminose era pronta, per cominciare il valzer dell'amore.
Scesi le scale e percorsi i gradini esterni che portavano alla sala; rimasi fuori qualche minuto fumando una sigaretta e ammirando il cielo, sperando nel futuro.
Entrai e come sempre mi venne ricordato il puntuale ritardo, con risi di scherno e con i classici buffetti dietro al collo del mio antipatico zio.
I miei nonni erano al centro circondati da un numero considerevole di corpi, tra battute e risatine entusiastiche, momenti emozionanti per loro essendo la prima volta che molti dei parenti emigrati erano tornati, riunendosi sotto lo stesso tetto. Mia nonna per me ha sempre avuto un atteggiamento di riguardo, secondo molti assomiglio a mio nonno con il quale però condivido solo l'aspetto fisico, in realtà penso che abbia sempre percepito la mia anima, dal giorno in cui mi disse: "non cambiare mai, sei nato per qualcosa di speciale". Si avvicinò a me sorridendomi, mi bacio sulla fronte con fare materno e mi prese per mano portandomi verso mia zia, la sconosciuta, presentandoci. Lei parlava italiano, ma dopo moltissimi anni che viveva in Francia aveva acquisito un leggero accento francese, che ho sempre trovato molto sensuale.
Voleva presentarmi sua figlia, che era stata trascinata non so in quale luogo da alcuni miei cugini. Alcuni di loro si avvicinarono e dietro, piccola ma maestosa, luminosa e accecante come un'eclissi, vi era lei. Iniziai a guardarla prima che arrivasse a noi, lei mi scrutava cercando sua madre, furono pochi metri, pochi metri per far fiorire l'amore in entrambi.
Sua madre ci guardò, i nostri cugini ci guardarono, ci presentò e non proferimmo parola. Le nostre mani si presentarono, ma i nostri cuori stavano già ballando.
In quel momento le persone scomparvero, i suoni diventarono impercettibili, guardammo i nostri occhi, un sorriso infantile e sincero disegnò il nostro viso.
Le nostre mani tremavano, non penso fosse reale, ma è ciò che ricordo.
Era una vestale, benedetta da chi sa quale Dio per l'armonia del suo volto; i suoi capelli erano rossi, molto chiari, i suoi occhi erano verdi come lo smeraldo e la pelle bianca, candida, era il lino sul quale avrei dormito.
Durò pochissimo quella prima stretta di mano, ma dura ancora oggi dentro di noi.
Non credevo ai colpi di fulmine, sono una personale razionale, ma non riuscirei a spiegarlo in altro modo.
La madre, appena lei si allontanò con i miei cugini e avendo notato qualcosa mi ricordò senza imbarazzo il legame di sangue che ci univa. Dopo qualche minuto uscii dalla sala per andare a fumare una sigaretta davanti al campo da calcetto, seduto comodamente sulle piccole gradinate che lo circondavano, lontano da occhi curiosi, dal vociare della gente e dal rumore assordante della musica; ma il rumore era in me, più di quanto lo era fuori. Avevo avuto alcune ragazze in passato e in particolare con un ragazza ero stato un paio di anni all'inizio delle superiori, successivamente avevo rinunciato all'amore, in realtà non l'avevo mai incontrato e pensai che forse il caotico turbinio che sentivo in me faceva molto rumore per nulla. Oh Will, forse hai ragione! Forse certi amori non devono compiersi!
Ero immobile, guardavo il campo e il cielo, la luna e le stelle non accorgendomi che lei stava venendo verso di me. Sorrise e io di rimando, si sedette, solo in quel momento notai il suo vestitino bianco, con il pizzo che decorava il suo petto e le sue piccole affusolate gambe.
Era con le spalle scoperte e io con il leggero giubbotto di cui mi ero munito per uscire, lo tolsi e glie lo diedi; lei prese dalla sua borsetta il cellulare e premendo un tasto pronunciò delle parole in francese, era la prima volta che la sentivo parlare.
- Grazie! Perché sei qui da solo? - lessi sullo schermo del cellulare che mi porse.
La guardai e le risposi che stavo bene lì, stavo pensando.
- A cosa pensi? - non potevo certo dirle che stavo pensando a lei e dissi la classica frase di facili costumi: pensavo alla vita.
- Mi hanno detto che stai sempre da solo,- le risposi che non era vero, ma non c'era molto da fare lì.
Una voce ci chiamò, arrestò il nostro breve discorso, invitandoci a rientrare per il taglio della torta. Da lì a poco sarebbero iniziati i balli, ognuno cercava la propria dama e due miei cugini andarono verso di lei chiedendole di ballare, ma continuava a guardare me dall'altra parte della sala fino a quando non mi alzai dirigendomi verso il tavolo posto contro una parete. Mi versai un bicchiere di vino, vidi una mano sporgere, era lei che sollevò la brocca e versò nel suo bicchiere lo stesso liquido rosso.
Sorrise, non facevamo altro che sorridere; mandò giù il contenuto del tutto di un fiato e io feci altrettanto. Versai un altro bicchiere a entrambi. Non so quali siano stati gli sguardi dietro di noi ma in quel momento avrei voluto avere due occhi dietro la nuca.
Prese il cellulare, pronunciò una parola e mi mostrò lo schermo dove mi chiedeva se volevo ballare, risposi nel microfono che non mi andava e che non sapevo ballare; lei guardò lo schermo, poggiò il calice e disse: - Dansons! -, mi prese per mano nel preciso attimo in cui la pronunciò, ritrovandoci al centro della sala tra diverse coppie che piroettavano. I nostri corpi si avvicinarono, la mia mano destra e la sua mano sinistra si unirono, prese il mio braccio e lo mise intorno alla sua vita. Sentivo le palpebre immobili, ero imbarazzato dalla situazione, osservavo i miei piedi e lei con una mano rialzò il mio viso.
Il suo sorriso fu dolce e disse: - La vie est incroyable, tu ne trouves pas? -. Non sapevo assolutamente cosa avesse detto e sorrisi aprendo maggiormente le mie labbra. Lei apri la bocca in un sorriso altrettanto radioso: - ça va, ne t'inquiète pas! -, dandomi un bacio sulla guancia, alzandosi in punta di piedi.
Un solo ballo in cui non facemmo altro che fissarci negli occhi, quando alla fine dei dolci rintocchi musicali, un cugino, venne a richiederle di danzare; non poteva sottrarsi, e prima che lei acconsentì mi feci da parte, tornando verso il tavolo. Mi sorrise all'inizio del passo cadenzato che stavano accingendosi a compiere, inclinai la testa salutandola, andando verso i miei nonni seduti al tavolo e mi ritirai nella mia stanza. Sarei andato a dormire ma, in realtà, sarei andato a sognare.
Sognai come non facevo da molto tempo, sognai il suo volto, le sue mani, i suoi occhi, sognai di fare l'amore con lei, immaginai una vita insieme ma tutto questo sembrava solo una flebile illusione.
La mattina seguente ci ritrovammo a fare colazione insieme. Mi sedetti accanto a lei e mi versai una tazza di tè. - Bonjour chérie! -, disse guardandomi. Questo l'avevo capito e le risposi nello stesso identico modo incrociando i suoi occhi. Non eravamo soli, adesso non ricordo precisamente quanto fosse pieno il tavolo, resta il fatto che non dicemmo nulla, ma ogni tanto sorridevamo.
Quando finimmo la colazione andò rapidamente in bagno e sentii l'acqua scorrere. Restai una ventina di minuti sul terrazzo fuori casa dei miei nonni e quando rientrai pronto per scendere, lei era uscita dal bagno; udii la sua voce e quella di mia zia, il tono era acceso e il dibattito tra di loro doveva essere per un motivo importante perché gli animi surriscaldati durarono per diversi minuti, fino a quando mia zia non uscì e guardandomi sorrise, non un piacevole sorriso. Sophìe vide che ero fuori dalla porta, mi regalava sempre un sorriso ma in quell'istante non era luminoso, il suo volto era ingrigito; chiuse la porta davanti a me e io me ne andai. Passai la mattina sotto al gazebo vicino alla fontanella, continuando la lettura del romanzo della Austen, immedesimando come mi è solito fare la mia vita con storie e personaggi lontani dal nostro tempo. Il loro amore non ha avuto un facile inizio, i pregiudizi dei protagonisti nei confronti dell'altro e quello delle persone che li circondavano ne minavano il naturale sbocciare e l'orgoglio rampicante in tutti i caratteri forti ne disturbava la passione. Come Elizabeth e Darcy noi eravamo lì, il nostro feeling naturale era contaminato dal pregiudizio che non ci possa essere un legame d'amore tra parenti. La vita è ingiusta pensai, ma ero contento nel profondo, perché ciò che era celato e appena accennato spingeva il mio cuore a desiderarla ancora di più.
Si sedette accanto a me, mentre i bei giovincelli dei miei cugini giocavano allegramente. Anche lei aveva un libro, prese con un mano il mio e cercò la traduzione del titolo sul cellulare, dopo aver capito di cosa parlasse io presi il suo e lessi: "Sense and Sensibility". Ripetevo il titolo a voce, sense and sensibility, lo tradussi senso e sensibilità e non mi veniva in mente nessun libro. Ma la scrittrice era Jane Austen e allora collegai che in realtà in Italia era conosciuto con il titolo "Ragione e Sentimento". Non l'avevo mai letto e cercai la trama. Le sorrisi e presi il mio cellulare dicendo al registratore come trovasse il romanzo, lei rispose che doveva ancora leggerlo e disse nella sua lingua: - Il est temps de commencer! -. E' il momento di iniziarlo!
Le chiesi cosa era successo tra lei e sua madre ma non voleva parlarne, un giorno me lo avrebbe spiegato.
Solo alcuni anni dopo scoprii che il motivo ero io; mia zia aveva notato che tra noi c'era stato qualcosa, qualcosa di puro e innocente, e le stava ricordando chi ero per lei.
Lei difese questa infatuazione che al tempo non sapevamo spiegare bene, dicendole di non intromettersi. Rispondendole con tono di astio e parlando di amore per suo cugino, dopo un giorno; la madre giustamente, lo capimmo solo dopo, si surriscaldò. Pensava che fossero amori adolescenziali, cotte passeggere. Ma non importava più nulla, ormai i nostri cuori erano l'uno nella testa dell'altro e loro non avrebbero mai smesso di ballare insieme.
Mia zia ripartì una settimana dopo, senza di lei. Rimase dove ero io, e io, restai con lei. Passammo l'estate parlando con il traduttore del telefonino e imparò l'italiano più rapidamente di quanto io non feci con la lingua del Re Sole. I nostri silenzi, amorevoli, erano più profondi di ogni parola, i nostri sguardi erano più impertinenti dello sfiorarsi dei nostri corpi e i nostri sorrisi più penetranti di qualsiasi rapporto sessuale.
Qualche brava gente si accorse che c'era qualcosa di speciale tra noi, stavamo sempre insieme e ci capivamo solo guardandoci, parlando due lingue diverse. Ma la verità è che le nostre anime si capirono subito, e loro prima di noi, sapevano.
La mia dolce nonna un giorno mi prese in disparte e disse: - Sophìe? -, sorridendomi.
Io la guardai e abbassai lo sguardo, lei ripeté la domanda, solo il suo nome. Osservai i suoi occhi, aveva capito tutto e le dissi: - E' un angelo, nonna! -. Sorrise, mi abbracciò e rispose: - Non lasciarla andare. L'amore non ha ragioni, colore, religione! L'amore è purezza e la purezza non può essere ignorata! -. Non risposi, una lacrima scese rapidamente sul mio viso. Arrivò Sophìe, guardandoci ci chiese se andasse tutto bene. La nonna asciugò la mia lacrima e ci disse di andare, un attimo dopo averci stretto a lei e averci baciato.
Nel mese di Agosto facemmo l'amore, quello vero, a Fregene in spiaggia, sotto il manto stellato unimmo i nostri corpi spinti dalle nostre menti. E' stato dolce e passionale, calmo e tormentato, luminoso e oscuro perché noi eravamo tutto questo.
Non era per nessuno dei due la prima volta, ma per entrambi, fu la prima volta che facemmo l'amore. Chiunque può capire la differenza, il fato ha voluto che per me fosse mia cugina, anche se non l'ho mai considerata tale.
Mia nonna morì prima di natale, lei venne al funerale; dopo avergli raccontato di quel discorso fatto l'estate precedente facemmo scrivere sulla lapide: "l'amore non ha ragioni".
Sono passati una decina di anni e siamo più uniti che mai, siamo sempre stati presenti nella vita dell'altro nei momenti belli e in quelli terribili. Continuiamo a fare l'amore, mentalmente e fisicamente, gelosi del nostro segreto, ma per il momento la vita ci tiene lontani permettendoci di unirci solo nelle festività annuali. Le uniche persone a sapere di noi sono mia sorella e sua madre, e ora anche voi. Negli anni successivi abbiamo avuto entrambi altre storie, sapendo però, che il posto nel nostro cuore è riservato all'altro. L'amore non ha bisogno di parole, nessuna frase e nessuna lingua può racchiudere la sua complessità e la sua naturale nascita.
Mentre il mondo fa rumore e la vita prosegue non accorgendosi di noi, noi, continuiamo a ballare...

TraCieloeTerra

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