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UNA CAGNA AL MARE (immaginando una gita in programma)


di JoyChiara
18.01.2018    |    22.652    |    8 5.3
"“Ci serva anche una ciotola grande, quelle di metallo, facili da pulire” E così avevamo completato l’acquisto e tornammo verso casa con il pacco..."
Quello che non sapevo come giustificare ai miei colleghi di lavoro, in specie alle colleghe che per qualche strana ragione temevo potessero capire che mentivo, era quel segno di abbronzatura sul collo. Avevo portato il collare da cagna per tutto il tempo, ed eravamo stati tutto il giorno sulla spiaggia, sempre senza alcun indumento, nuda. Come poteva non segnarmi? Ed era l’unico segno su tutto il corpo, per il resto integralmente abbronzato.
Trovai la scusa d’aver sofferto un lieve mal di gola, e d’essermi messa un foulard sul collo. E mentre lo dicevo loro mi guardavano, e io non reggevo il loro sguardo. Maledetta curiosità di donne. Sempre a indagare.
Mi è difficile pensare a quanto accaduto ieri, trattata davvero come una cagna e in mezzo a tante persone. Ho pianto. È nessuno ha avuto pietà di me.
È successo all’improvviso, la sera, mentre sedevo per terra e il cameriere si era appena voltato, per tornare a servire al tavolo. Avevo retto l’emozione per tutto il tempo, la mattina sulla spiaggia e ora in albergo, a cena. Erano tutti voltati a guardarmi mentre lui, chinatosi con il grande piatto di portata su un braccio e la clips nell’altra mano, mi aveva riempito la ciotola con i cavatelli ai frutti di mare.
Angelo forse era l’unico che non mi guardava, faceva l’indifferente per farmi sentire ancora più nel mio ruolo di cagna, come se tutto fosse normale e d’abitudine per noi. Non lo era.
Era la prima volta che indossavo il collare e non l’avevamo fatto per scherzo nemmeno nei nostri incontri di coppia. Tornati dalla spiaggia mi aspettavo che il gioco finisse e invece no, trovo la ciotola che avevamo comprato insieme messa per terra, un metro oltre la grande tavolata che ospitava tutta la compagnia, una quindicina di persone di cui almeno dieci erano uomini, per la metà in coppia, come noi. Vicino alla ciotola c’era quel tappetino da cuccia, scelto scherzando da me e Angelo, nel negozio di articoli per animali. Era il nostro gioco. Mi eccitava molto che lui mi volesse far fare la cagna. Un giorno mi aveva preso per i capelli e mi aveva detto “Cammina!” e io avevo fatto un giro nella sua casa, portata da lui così, a 4 zampe. Era finito lì, ma abbiamo iniziato a pensarci sempre. Finché un giorno ci decidemmo a entrare in quel negozio e scegliere un collare di cuio con le borchie a punta, il suo guinzaglio di dotazione e un grande tappetino da cuccia. Avevamo finto di avere un cane di grande taglia, un maremmano aveva detto Angelo con tono sicuro, quando incuriosito il venditore ce l’ha chiesto, per consigliarci al meglio. “Sono cani di grande forza, ci vuole un collare solido. Ne volete uno a strangolo?” L’idea che Angelo dicesse si mi fece congelare il sangue. In verità lui non sapeva cosa fosse e si girò a guardarmi. Io presi coraggio e aggiunsi “No, per carità, dovrebbero vietarli”. Il venditore se la prese e non ci seguì più di tanto, meglio così. Presi il collare tra le mani e sentii fluire dentro di me il desiderio, scendere sino alle grandi labbra l’umore denso. L’idea che mi sarebbe stato messo al collo mi faceva impazzire di piacere. E ancora più il fatto che lo stessimo comprando pubblicamente, come se tutti potessero leggermi in viso che la cagna ero io. “Questo starebbe bene anche a te!” disse Angelo per sfidare il pubblico ludibrio. Lo fulminai di desiderio, “è vero, abbiamo gli stessi colori” e non potetti completare la frase perché non avevamo mai pensato a dare un nome a questa Lupa Maremmana inesistente. “Ci serva anche una ciotola grande, quelle di metallo, facili da pulire” E così avevamo completato l’acquisto e tornammo verso casa con il pacco sfrontatamente ostentato tra le mani. Giunti a casa non facemmo nemmeno in tempo a poggiarlo per terra che stavamo scopando e non ci pensammo più.
Questa era stata la grande occasione di prova. L’annuncio di una gita erotica, su una spiaggia nudista, senza freni per chi volesse fare sesso in pubblico e con ritiro in albergo per la sera, sempre riservato a coppie scambiste. L’unico patto fatto con Angelo è che non mi avrebbe costretto ad avere rapporti sessuali con altri, né uomini né donne. Lo stava rispettando. Sapevo che un giorno non lo avrebbe fatto più e non capivo se aspettavo anche io quel giorno o no. Problema rimandato. Sentivo però che per Angelo quello che stavo facendo ora era molto più importante e significativo. Molto più eccitante, da far scoppiare la testa solo a pensarci.
Sedutami sul tappeto, dinanzi alla ciotola, stetti un po’ annoiata e stanca ad aspettare, esclusa da tutta la compagnia che scherzava e rideva, prendendo posto intorno al tavolo. Io avevo ancora il collare, non l’ho mai levato per due giorni, ma non so perché avevo anche il guinzaglio, che mi pendeva davanti. Questo mi faceva sentire ancora più vulnerabile, perché chiunque avrebbe potuto afferrarlo costringendomi a seguirlo. Guardavo i commensali, ma non vedevo Angelo. Capii che era salito in camera e provai rabbia. Quanto avrei desiderato una doccia anch’io. Invece sulla spiaggia mi aveva sciacquato con una pompa, sempre messa a quattro zampe, e poi asciugata con un telo da mare e fatta salire sulla jeep per il rientro, seduta sul fondo. Cosa avrei fatto ora se qualcuno si avvicinava e mi tirava per il guinzaglio? Avrei urlato? Fatto resistenza? Sarei uscita dal ruolo, alzandomi e mettendo fine al gioco? Penso di si. Però quel guinzaglio pendeva davanti a me e tutti quegli uomini mi stavano osservando, tranne Angelo. Che entrò in sala tutto ripulito e con l’abito buono, per la sera.
Il cameriere intanto mi aveva servito. Abbassai lo sguardo sui cavatelli e poi sentii lo sguardo del Cameriere, imbarazzato forse più di me. Nessuno forse si aspettava una scena del genere. Nudismo in spiagge e scopate nelle stanze, niente di più. Camerieri pronti a fare commenti nelle cucine su tutte queste signore zoccole. “Che dici con quella ci provo?”.
Io invece ero in scena. Oscena. Umiliata! Soprattutto umiliata.
Appena rialzai lo guardai sul Cameriere fu luii ad abbassarlo repentinamente. Si alzò e senza scatti si girò per tornare al tavolo. Cercai ancora gli occhi di Angelo che si era seduto tra due coppie, ma lui si negò, anche se capii che mi stava guardando e immaginavo la sua eccitazione. Caddi invece sugli occhi di una Signora dallo sguardo carico di disprezzo e compiacimento. Poggiò la mano sul ginocchio del marito che mi sorrideva e che si voltò a dirle qualcosa.
Fu in quel momento che scoppiai a piangere!
Sentii una sedia spostarsi e dei passi avvicinarsi. Ero seduta su un fianco, appoggiandomi su una mano e con le gambe piegate di lato. Sapevo che era Angelo, o meglio lo speravo di cuore perché non avrei sopportato altro. Mi aspettavo però un rimprovero, una sculacciata, speravo non in faccia ma sul culo. Invece si limitò, con una mia certa delusione, a consolarmi. Prese il guinzaglio e dopo avermi accarezzato la testa, come si fa ad un cane, mi chiese di mangiare. In pratica mi fece capire di mettermi per bene a 4 zampe e affondare il viso sulla ciotola. Questo era più crudele di una sculacciata e di un rimprovero recitato, di nuovo sentii tutta l’eccitazione di essere così umiliata. Mi alzai sulle ginocchia, mani per terra, e affondai il viso nella ciotola che nemmeno mi aveva asciugato le lacrime. Non si soffia il naso ad una cagna.
Lo fece invece, dopo che sollevai la faccia, sporca di muso. Mi pulì il muso con il suo tovagliolo e poi sfilò dai calzoni un fazzoletto con cui mi invitò a soffiarmi per bene il naso, dopo averlo passato sugli occhi. Gli trattenni la mano e gliela baciai con forza, tirandolo un po’ perché non andasse via e non mi lasciasse sola. Non lo fece. Doveva essere crudele e lo era stato meno di quanto pensavo. Si rivolse ai commensali che ci guardavano: “scusate Paola non è ancora abituata, non voleva disturbarvi il pranzo. Se lo fa di nuovo prometto che la punisco e la mando in stanza” e a quel punto mi dette due sonore sculacciate “e ora continua a fare la brava e mangia tutto, senza disturbare!”. E tornò al tavolo dove lo sentii per tutta la sera parlare in allegria e raccontare le cose più sconce di me, soprattutto alle Signore che ogni tanto mi guardavano divertite. Non so quanto invidiose o convinte di avere più potere di me.
Lo stesso le mie colleghe. Dicevano di vedermi cambiata, e con questo dicevano anche altro. Eravamo solite cambiarci negli spogliatoi e io avevo preso da tempo l’abitudine di depilarmi del tutto il pube e di indossare il perizoma. Loro non facevano che sfottermi. Avevo divorziato da poco e quindi stavo diventando una troia, una pronta a farsi scopare da tutti. Una zoccola. Nulla di più falso. Mi sarebbe stato molto difficile ed era stato l’incontro con Angelo a trasformarmi e farmi scoprire Porca, sino in fondo Porca. Ma volevo che lui fosse il mio unico e solo Padrone, anche se sapevo che un giorno mi avrebbe offerta ad altri uomini. Temevo quel giorno. Temevo di deluderlo. Di certo avevo deciso di vivermi la mia vita tutta d’un fiato e di non aver più paura. Cosa ero stata in tutti questi anni? Uno spirito mai nato e tenuto sotto vetro. Tutte cose che alle mie colleghe non avevo voglia di spiegare. Loro erano persone splendide, ma chiuse anche loro sotto vetro, e non lo sapevano. Avrebbero giudicato da dietro quel vetro che le soffocava. Il problema è che quel giorno sulla spiaggia Angelo mi aveva tenuta sempre nuda, anche nei momenti in cui tutti per una giocata ai tavolini del bar o altre necessità si coprivano o vestivano. Io i vestiti per due giorni non sapevo più cosa fossero. Ero nuda con il collare e tenuta a camminare a 4 zampe. Angelo spesso mi apriva anche le natiche. Lui diceva per controllare che non ci fossero problemi, oppure, facendosi sentire da tutti, che non avessi fatto la cacca. Lo faceva per espormi ancora di più e umiliarmi il più possibile. Così, a parte l’ombrellone e qualche sosta sotto il pergolato del Bar sulla spiaggia, mi ero abbronzata davvero tutta, specie sul culo. Prima di tornare al lavoro, per fortuna avevo una mezza giornata di tempo a causa del turno serale, corsi in merceria a comprarmi quei mutandoni neri da signora in lutto. Scherzo! Si usano anche sotto gli abiti da sera, per non far vedere i segni, ma sapevo già che avrebbero tutte commentato con sorpresa, vista la mia preferenza per i perizoma su cui continuamente buttavano l’occhio, ogni volta che mi spogliavo. Non usavo da tempo nient’altro, ma volevo nascondere in ogni modo la mia abbronzatura integrale. E così fu, ma furono più argute di quanto potessi immaginare. La mia amica del cuore, Chiara, fece anche una battuta. “Cos’è? Vuoi nasconderci che ti hanno sculacciata a dovere?”. Per un attimo temetti avesse scoperto tutto di me e Angelo. Avrei dovuto controllare meglio le mie espressioni, perché Chiara mi ricambiò con uno sguardo che voleva dire “ma vedi questa, non vuoi che abbia anche indovinato?”. Abbassai lo sguardo, feci la spiritosa e continuai a vestirmi. Nel farlo tenetti sott’occhio il mio cellulare. Il pensiero che Chiara avesse visto le foto che Angelo m‘inviava con il mio culo ridotto come un peperone, mi ghiacciava il sangue. Dovevo stare più attenta con queste curiosone, ma questo pensiero mi fece sorridere. Chissà che risate con Chiara a confessarsi tutto.
Invece dopo mi feci seria e cominciai a ripensare all’altro ieri sulla spiaggia. Ci portavano in questa riserva naturista con le Jeep. Tutti erano con i sacchi da mare e vestiti leggeri, ma vestiti. Anche Angelo. Lui indossava pantaloncini bianchi, stretti in vita da una cintura di cuio marrò e sopra una polo Lacoste rosso antico. In testa un cappellino di paglia e, ai piedi, delle scarpe da ginnastica bianche, di cuoio. Aveva con se una sacca da mare e dentro c’erano due teli da mare, un costume di ricambio, un paio di sandali e creme contro la scottatura. Nient’altro. Per me, che ero completamente nuda, nulla, nemmeno un pareo. Eravamo arrivati la mattina in albergo, abbastanza eccitati e in ansia per quanto avevamo deciso di fare. Come ormai nostra consuetudine io avevo firmato un contratto prima di partire. In questo si diceva che sarei stata sempre con collare e guinzaglio e che dovevo sempre camminare a 4 zampe e che per mangiare dovevo usare una ciotola. Tante volte quel contratto era solo un modo per eccitarci, e delle cose scritte solo una minima parte poi si attuava. Avevamo comunque portato tutto con noi, collare guinzaglio tappetino e ciotola, nella stessa busta del negozio. Saliti in camera, toccava capire se avessimo fatto sul serio o no. All’accoglienza avevamo incontrato tante coppie e gli organizzatori. Tutti volevano sentirsi a proprio agio e tranquilli. Strette di mano, saluti, avvertenza che ognuno era libero di fare quello che voleva e che non doveva sentirsi obbligato a fare nulla che non piacesse. Gli organizzatori ci dissero di andare in stanza e prendere solo il necessario per il mare. Per la colazione a sacco avrebbero provveduto loro, perché si tornava in albergo solo per cena. Vidi Angelo farsi serio e non riuscii a levargli gli occhi da dosso. Altre Signore si erano avvicinate a me per prendere confidenza, una mi chiese se era la prima volta e io scherzando le risposi “Si vede?”. L’idea che tra poco non sarei stata più alla pari con loro mi dette molto fastidio. Non potevamo godercela così? Sarebbe stato meraviglioso. Con la coda dell’occhio seguivo intanto Angelo che si era accostato in modo riservato ad uno dei due organizzatori, tutti e due uomini. Forse uno con tendenze bisex, forse. Angelo gli parlava con tono circospetto e a un certo punto i loro sguardi furono su di me. Mi sentii non solo denudata, ma venduta al mercato delle schiave. Le ginocchia per un attimo mi cedettero e mi voltai di scatto, cercando uno sguardo amichevole tra le signore che mi erano intorno. Una stava raccontando che in un altro campeggio alcuni si erano messi a fare orge, ma lei aveva solo guardato. Un’altra, a tono, le aveva chiesto se faceva sesso solo con suo marito. Io annuii come se lo avessero chiesto a me, e ci scappò un bel sorriso con chi lo ebbe a notare. Qualcuno disse “si anche io, se ci riesco a farlo, davanti a tutti”. E tutte ridemmo. Sentii Angelo alle mie spalle: “saliamo?”. Mi si gelò il sangue e pensai al contratto. Sicuramente lui voleva eseguirlo alla lettera. Non dissi nulla, non volevo deluderlo e una volta in stanza, infatti, lui non ebbe esitazioni. “Allora ho parlato con Marco, uno degli organizzatori e gli ho chiesto se la cosa li avrebbe disturbati. Mi ha detto che non siamo i primi e che ognuno può fare quello che crede, l’importante è che non sia contro la volontà di nessuno.” “Che devo fare?” “Spogliati e mettiamo il collare, dai” Lui proseguiva come un treno facendo finta di non capire le mie esitazioni. “Vuoi farti una doccia prima?” Pensai che quella era una ottima idea: gelata! Solo che appena mi spogliai Angelo mi si gettò addosso. Era eccitatissimo e mi venne subito dentro, io chinata sul lavandino e lui a infilarmelo da dietro. Si stupì molto nel non trovarmi bagnata. “Hai paura?” Non risposi, anzi feci cenno di no con la testa e lui usò le dita per allargarmi la fica, “poi stasera ti inculo per bene, eh?”. Mi girò di scatto e mi prese di rabbia la testa per strofinarsi con forza il cazzo nella mia gola. Incredibile come avessi imparato in così poco tempo a farmi fare anche questo. Io che a stento sapevo prenderlo in bocca e ogni volta facevo saltare il malcapitato, per i denti. Girata di nuovo infine mi penetrò e mi riempì di sperma. Ci gettammo insieme sotto la doccia, ghiacciata. Io uscii per prima e mi stavo asciugando, non osavo fare nulla. Sul letto avevo poggiato il costume da bagno. Lui uscì dalla doccia e lo mise via. “Lo sai questo non ti serve oggi, per niente” e mi abbracciò, ancora umido. Ci baciammo a lungo, come due innamorati, innamorati. Lui si staccò e, come in un rito, prese il collare e me lo mise al collo. Era un collare abbastanza alto, due dita, di un marrone che si accordava bene con la mia pelle. Mi portò davanti allo specchio per farmi vedere come mi stava. “Abbiamo fatto bene a prenderlo borchiato, vero?”. Poi tirò fuori il guinzaglio e me lo appese al collare. Iniziò quindi a vestirsi. “Allora siamo d’accordo che esci a 4 zampe” Andiamo piano così per le ginocchia, sulla spiaggia non ti faranno male ma qui devi un po’ sopportare.” “Mi sa che era meglio comprarle le ginocchiere, anche se antiestetico” “Se è troppo difficile me lo fai capire che almeno sino alla spiaggia vediamo un po’ come fare. Sei eccitata? Il tuo primo giorno da cagna, finalmente!”. Annuii con la testa, ma non era vero. Volevo scappare.
Infine la porta della stanza si aprì e fu la prova più difficile. Lui era vestito di tutto punto nella sua tenuta da spiaggia e io nuda al guinzaglio. “Forza abbassati!”. Vedere il mondo da quella altezza, doversi strofinare su un pavimento calpestato da tante scarpe non mi faceva piacere. Cercavo mentalmente ogni ragione per non farlo. Tutte tranne l’unica che avrebbe contato davvero: non voler essere ridotta allo stato animale! Quello mi piaceva da morire e mi ancorai con tutte le mie forze a questo pensiero, tanto che mi sembrò di sentire la vertigine. Primo passo, secondo passo, dalla moquette della stanza al pavimento freddo del corridoio, poi di nuovo il tappeto consunto, la fredda soglia dell’ascensore e il linoleum al suo interno. Si chiudono le porte dell’ascensore ed è stato quello l’inizio. Io tenuta davvero al guinzaglio, così in basso. Tra poco quelle porte si apriranno, come un sipario, e io sarò una Cagna per tutti! Avrei vomitato in quel momento. Angelo era fermo e sentivo che anche lui aveva paura, paura del giudizio di tutti, paura, paura, paura e basta. La porta si aprì e la paura aumentò, ma si doveva uscire, e uscimmo. Sapevo che se mi alzavo Angelo avrebbe capito. Sentivo che se lo stava augurando e la cosa mi fece male. Pensai che dovevo essere coraggiosa anche per lui, farlo felice, dargli tutto quello che aveva sempre desiderato: trattare la sua donna da cagna! Veramente. Così uscii per prima dall’ascensore a 4 zampe. Era evidente che Marco aveva avvisato tutti e molti fecero gli indifferenti. Due signore invece con cui avevo prima scherzato mi avevano aspettato e mi fecero un applauso di incoraggiamento. Non sapevo come ringraziarle. O se odiarle.
Ed eccoci quindi nella Jeep. Io l’unica accovacciata, nuda, tra le gambe di Angelo, che mi accarezzava la testa come ad una cagna e parlava di me in modo brutalmente sconcio. Tanto sconcio che non ve lo sto a ripetere. Il buco del culo, le ispezioni, la mia gola, insomma quelle cose lì.
Arrivati sulla spiaggia, ci avevano procurato degli ombrelloni e delle sedie da mare. Ovviamente ci tenne a prendere solo una sedia. Mise giù un telo facendomi segno di sdraiarmi sopra, ma io preferii sporcarmi di sabbia e far finta di non capire, come se quello fosse per lui. Sapevo che Angelo non amava la sabbia, ma una cagna è una cagna e ora doveva sopportarmi così. Mi ci rotolai dentro e lui alla fine borbottò “Buona che devo ancora metterti la crema e ti sei già riempita tutta di sabbia!”. Fui felice di quel momento di vera interpretazione del ruolo. Mi sentii naturalmente cagna, davvero. E mi piaceva quella improvvisa allegria tra noi. Tutto mi sembrò essere diventato facile. Gli sarei saltata addosso e un po’ lo feci. Lui stava meticolosamente infilando il bastone nel solco fatto prima con le mani e io presi a girargli intorno e mordicchiarlo sui polpacci. Era una scena ridicola e i vicini presero a guardarci, credo davvero con invidia. Una scena di felicità assoluta. Lui rideva e mi scalciava “Buona, buona, non riempirmi di sabbia che non mi piace”. Tirò su l’ombrellone, accertandosi che non prendesse vento e poi mi levò il guinzaglio e mi ordinò di andare a sciacquarmi in mare. Feci l’errori di correrci dentro, ero troppo felice e mi distrassi. Quando tornai dal mare, mi corressi e appena fuori mi misi 4 zampe e arrivai da lui che si era imbronciato. “Cosa hai fatto?” Che dovevo dire? Lui prese il guinzaglio e iniziò a battermelo sulle mie natiche. Faceva male, come la cinghia e io gridai, non per fermarlo ma per il dolore. Marco si avvicinò subito e qualcuno sulla spiaggia si alzò in piedi allarmato. Marco si chinò verso di me e mi chiese se era tutto ok, “Si, si, non preoccupatevi, grazie” “Lei basta che ci dice che no e noi lo fermiamo subito” Sentii Angelo sotto accusa e mi dispiacque da morire, Lui era solito prendermi a cinghiate ed era per me normale, poi mi sculacciava ed ero arrivata a sopportare otre 300 schiaffi, a mano piena, mano che gli baciavo perché a lui faceva male quando mi batteva molto, sempre con la destra. Gli diventava rosso anche a lui il palmo della mano. Mi venne dal cuore dire a Marco “per favore, io sono contenta così, davvero contenta, non rovini tutto”. Marco e Angelo si guardarono negli occhi. Lui si voltò e andò via, ma intanto erano arrivate due Signore per accertarsi che io fossi davvero consenziente. Angelo prese coraggio e parlò anche con loro. Io era a 4 zampe e dovevo alzare il capo e Angelo mi chiese se ero d’accordo ad una punizione di 40 colpi di mano per l’errore commesso. Io dissi di si e guardai le Signore e prendendo coraggio “Voi non vi fate mai sculacciare?” Una mi guardò strano, ma poi dovette girarsi di scatto, davvero scandalizzata dall’altra che mi rispose “Io sì, sempre, anche con la frusta”. Angelo sentendola prese coraggio e i colpi che seguirono furono meravigliosi, sotto lo sguardo dell’una scandalizzata ma curiosa e dell’altra desiderosa di riceverne presto anche lei. Finita la punizione, Angelo prese a spalmarmi la crema protettiva, dicendo loro che era importante che non mi scottassi. Ovviamente me la spalmava con gran cura, avendo premura di aprirmi bene le natiche, e di strofinare i seni penduli. Loro erano la cosa che più mi metteva in imbarazzo, perché grandi e si muovevano tanto. Mi sentivo una vacca e non una cagna e li detestavo per questo. Angelo no, non li detestava affatto. Ora finalmente come da programma poteva portarmi a spasso sul bagnasciuga. Avevo anche le natiche un po’ arrossate e la cosa non poteva che essere ancora più eccitante. Lui poi mi sfotteva per le mammelle che penzolavano, e io lo volevo uccidere per questo. Ogni tanto mi levava il guinzaglio e mi diceva “Vai in acqua, vai” e ovviamente ora sapevo che non dovevo alzarmi ma entrarci a 4 zampe. La sabbia rendeva il gioco più facile, ma alla fine della giornata era davvero esausta. Non so quanto e chi avrei pagato per alzarmi in piedi. Per fortuna dopo un po’ anche lui prese ad entrare spesso in acqua e in quei momenti ci si rilassava, ci si abbracciava, e almeno due volte è riuscito a infilarmi dentro il suo cazzo, senza però venire. Così la seconda volta, uscendo dal mare, una volta che l’acqua era bassa lui aveva voluto incularmi. Un po’ non sapeva se levarsi il costume e fare nudismo come tanti, doveva risolvere di avere il cazzo intostato assai. Ne approfittò per mostrarmi a tutti in quella posizione da cagna, inculata come capita ad una cagna d’essere inculata. Tra sabbia e sale non era però una buona idea. L’ano si era seccato e non veniva facile, così una delle Signore si era avvicinata con la crema da Sole e l’ha offerta ad Angelo. Lui l’ha ringraziata e con quella mi ha riempito l’ano oltre che spalmarsela sull’uccello. “Così non mi scotto!” disse per fare inutilmente lo spiritoso. Io ero scomoda con ginocchia e mani nella sabbia che restando ferma sprofondavano. La Signora, del tutto nuda, tranne orecchini e cordoncina d’oro sui fianchi, era rimasta lì di fianco a vedere come il cazzo mi scivolasse dentro e io temevo che Angelo mi chiedesse di leccarle la fica. Lei intanto si masturbava e guardava, ma io scoppiai in un rantolo enorme di piacere, liberatorio, quando sentii lo sperma schizzarmi caldo su per il retto, davanti a quella platea ammutolita.
Angelo si ributtò in acqua e io andai ad adagiarmi sotto l’ombrellone, anche se lui non c’era camminando a 4 zampe. Sapevo che mi stava guardando e non volevo deluderlo. Quando uscì gli feci le coccole e lui a me. Poi si alzò dicendo “avrai sete” e tornò con un piattino di plastica chiesto al Bar, insieme ad una bottiglia d’acqua da due litri. Lui riempiva il piattino e io leccavo l’acqua. Era vero, stavo morendo di sete.
Lui non resisteva troppo al sole e si portava sempre sotto l’ombrellone, con la sedia a sdraio. Io invece amavo sentire i raggi del sole sulla mia pelle, ma lui voleva che li prendessi accucciata e con il culo alto, perché, diceva, voleva che mi abbronzassi per bene anche nel solco delle natiche. Capite ora come ero tornata nello spogliatoio del lavoro.
Saliti tutti al bar per la pausa cestino, Angelo aveva preso a far vedere a tutti il mio buco del culo, ora parlando dell’inculata sulla spiaggia ora con la scusa della cacca e delle abitudini da prendere con una cagna per questo. Per limitarlo in questa continua esibizione di me, avevo preso a mettermi con la testa sulle sue cosce. Mi piaceva tanto che me la accarezzasse, più animale che mai.
Arrivati i panini, ovviamente fu lui a imboccarmi con tozzi di pane e condimento. Se cadeva lo dovevo raccogliere e mangiare lo stesso. Imparai a porgerlo a lui e lui prendeva il boccone dalla mia bocca, lo puliva di eventuali residui di sabbia o aghi di pino e me lo rimetteva in bocca. Alla fine quello diventò un gioco di gruppo e tutti volevano provarci a darmi qualcosa e accarezzarmi, “che bella cagna, sei davvero fortunato”. E così via.
Già. Davvero fortunato. E io? Voi che dite? Fortunata anche io?
La notte Angelo nemmeno in stanza mi fece smettere di essere una cagna. Mi rimproverava d’aver pianto, altrimenti mi avrebbe fatto preparare una cuccia, giù all’aperto. Ero terrorizzata da quello che stava dicendo. Mi lavò lui, nella doccia. Le ginocchia mi facevano davvero male e me le medicò, “Comprerò quelle ginocchiere, oppure le facciamo noi, color pelle e aderenti, che non diano disturbo agli occhi”. Mi insaponava tutta, mi lavò anche i capelli, me li asciugò con phone, passò con cura l’asciugamano su tutto io il mio corpo. Io avevo desiderio e temevo che lui si mettesse a letto senza fare sesso. Lo capì e disse “Cuccia!” Era un segnale convenzionale. Quando lui diceva così, dovevo sedermi sulle ginocchia, alzare le mani tipo cagnetta in piedi, gomiti sul petto e polsi sotto la gola, e aprire la bocca. Aprirla bene perché lui ci infilasse il cazzo dentro. Lingua ovviamente tutta fuori, da brava cagnetta. Dopo mi scopò da dietro e poi di nuovo in culo, come piaceva a lui, entrando dall’uno per passare nell’altra e così via. Mi dispiacque non sentirlo vibrare dentro di me. Volle fare l’ennesima porcheria e venne sul pavimento, dicendomi di leccare lo sperma da terra. Mi faceva schifo ma lo feci, con la lingua bella tesa. A lui il cazzo si rizzò di nuovo e tornò a prendermi, sempre da dietro purtroppo. Volevo guardarlo in viso per fortuna ci fu uno specchio che mi corse in aiuto. Appena lo vidi anche io sentii le vibrazioni salire, il cervello impazzire e venimmo finalmente insieme, finalmente dentro di me. Sentivo le contrazioni forti della mia vulva stringergli il cazzo che aveva perso rigore. Restammo così per un’apparente eternità. Momento magico. Poi ci staccammo e io pensai che il gioco era finito. Lui capì e perentorio “Resta lì! Ti pulisco io.” Prese un asciugamano, lo bagnò, e dopo avermi insaponato fica e culo, lo passò sino a ripulirmi per bene. Quella notte dormii da cagna, per la prima volta, lui sul letto, io sul tappetino, ai suoi piedi, ancora con il collare. Ero felice? Voi che dite?
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